Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 12 maggio 2013

Corso di Canto Gregoriano alla Porziuncola - Assisi

Perché cantare ancora oggi il gregoriano?
Tre possono essere i motivi per cui all’inizio del terzo millennio ci si può interessare al canto gregoriano.
Un motivo spirituale. Chi vive la fede cristiana s’accorge come la Parola di D-i-o (sic!) necessiti di una mediazione che vada al di là della spiegazione filologica e dell’applicazione moraleggiante. Percepire la voce di D-i-o nella sua Parola è un’azione del cuore in ascolto di quanto le parole della Bibbia non riescono a esprimere.
La musica è il linguaggio privilegiato del cuore: di D-i-o e dell’uomo. Il canto gregoriano ha la forza di in-cantare, distogliere il cuore dalle preoccupazioni perché si dilati e si orienti a D-i-o nell’adorazione e nel silenzio attonito.
Un motivo culturale. Chi è attento alle opere dello spirito umano, avverte la grandezza dell’arte poetica, la capacità di comunicare a livello profondo di emozioni con linguaggi che spesso non sono ordinari. Il canto gregoriano è un itinerario di bellezza e di armonia. Esso riassume l’esperienza poetica di decine di generazioni a partire dall’antico Israele fino alle espressioni mutuate dalle tante e diverse culture dove il cristianesimo ha portato il Vangelo, ricevendo in cambio nuove possibilità di comunicazione musicale.
Un motivo antropologico. Molti brani del repertorio gregoriano sono costruiti secondo particolari tecniche musicali sperimentate in ambito semitico (maqam) e indiano (raga). La melodia si muove su particolari circuiti mentali che obbligano a percorrere determinati itinerari legati alla memoria e alle sue variazioni, il tutto segnato da alternanza di conosciuto e di ignoto, di presente e di rimosso. Sotto questo aspetto il cantare e anche il solo ascoltare le melodie gregoriane può costituire un momento di forte terapia: il filo d’Arianna che aiuta a districarsi nel labirinto interiore e che permette a mente e cuore di indagare, scoprire e ricuperare la verità di sé stessi.
(Giacomo Baroffio)
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Il corso si terrà ad Assisi, alla Porziuncola, 1-6 luglio 2013
Chi fosse interessato a partecipare può scaricarsi 

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto interessante.
E' un argomento che meriterebbe di essere approfondito.

rocco ha detto...

ciao mic,
ma perche Dio e' scritto D-i-o? proprio non capisco. e non so cosa ne pensi, ma le cose scritte nella locandina non lasciano presagire nulla di buono. mah... sono d'accordo con anonimo delle 10:12. l'argomento andrebbe approfondito. intanto se si vuole si puo andare a leggere una pagina internet molto interessante che ho gia postato tempo addietro e che se non ricordo male anche a te era piaciuta.

http://digilander.iol.it/gregduomocremona/lattanzi.htm

Anonimo ha detto...

Baroffio si è convertito all'ebraismo?

Gregorius ha detto...

http://www.cantofratto.net/baroffio.html

Anonimo ha detto...

ma perche Dio e' scritto D-i-o?

Credo che sia solo un modo per scandirlo. Visto che il gregoriano è definito più esegesi che musica... dato che ogni parola acquista un certo significato e una certa enfasi e accentuazione nel contesto.

Gli ebrei, invece, scrivono D-o per rispetto. Essi non lo pronunciano nemmeno il Nome, ma lo sostituiscono, nella pronuncia vocale, col termine Adonài= Signore mio.

Ricordo di aver inserito un articolo del Rav di Segni che conteneva il tetragramma (JHWH) che avevo indicato con le lettere ebraiche. Ebbene, mi ha scritto, invitandomi a toglierlo dal testo per sostituirlo con Adonài.

Quanto alla derivazione del gregoriano dal salmodiare ebraico, lo avevo sentito dal mio professore di ebraico, che sottolineava come fosse il cristianesimo ad aver custodito in questo la tradizione più antica, mentre nell'ebraismo si era interrotta.

Anni fa, ho ascoltato una interessantissima conferenza di musicologi, i quali sostengono che di molti salmi nonché di molti dei testi ebraici della Sacra Scrittura è riconoscibili la loro antichità rispetto ad altri, dal fatto che appare evidente (a chi ha questa chiave di lettura) la loro utilizzazione liturgica, dal momento che si riesce anche a ricavare la melodia dal testo nel quale ad ogni lettera corrisponde una nota musicale... Ho ascoltato un 'cantilenare' (non so come diversamente definirlo) di una bellezza indicibile...

Anonimo ha detto...

Capite che delitto e che iconoclastia, assurda e inqualificabile, sia stato il tentativo (peraltro finora perfettamente riuscito, al solito tramite la prassi, nonostante la Sacrosanctum Concilium non lo avesse previsto) di espungerlo dalla Messa?

Possiamo sperare solo in un recupero e nel fatto che chi custodisce questi tesori faccia di tutto per non lasciarli seppellire definitivamente!

Anonimo ha detto...

Rocco, devo ringraziarti per quel link.
Lo avevo già visto ed è interessantissimo.
Farò di tutto per pubblicare ancora degli approfondimenti.

E grazie anche a Gregorius.

C'è molto da approfondire anche nella musica sacra e nel gregoriano in particolare.

Gregorius ha detto...

Un altro testo di Baroffio qui

http://www.simmetria.org/simmetrianew/contenuti/articoli/45-scienza-sacra/145-musica-e-partecipazione-nella-liturgia-di-gbaroffio.html

e uno stralcio
....
a) un fatto puramente fisico esigito dalla necessità di far pervenire il messaggio divino a una cerchia vasta di uditori presenti in uno spazio ampio. La semplice pronuncia parlata in casi del genere non permette a un discorso di raggiungere lunghe distanze. Il gridare ad alta voce distorce i suoni e rende incomprensibile il messaggio. Di qui la scoperta di un tono di voce che canta il parlato su una corda di recita ricca di armonici che permettono alla voce stessa di correre e raggiungere un vasto uditorio.
b) un fatto di rilevanza spirituale: ogni proclamazione è sempre anche un’interpretazione di quanto viene annunciato. Il tono della voce, il mutare del timbro, la fluidità o gravità nella pronuncia, il tono sommesso o forte sono tutte componenti che a livello istintivo, in modo intuitivo e quasi sempre al di là di un processo razionale voluto coscientemente, rivelano ciò che è realmente percepito quale nucleo centrale del discorso che si pronuncia o della parola che si legge.
Quest’ultima è forse la ragione principale per cui i nostri padri nella vita liturgica di Israele hanno elaborato un sistema di proclamazione della Parola di Dio - la cantillazione - che è costituito da una serie di segmenti musicali con particolari caratteristiche atte a permettere di identificare le grandi sezioni del pensiero e del discorso con cui tale pensiero viene espresso. Ci sono pertanto formule di intonazione che evidenziano l’inizio di ciascun periodo, formule di cadenza che esprimono la conclusione intermedia o definitiva del discorso e altre strutture musicali tutte elaborate al fine di rendere comprensibile la Parola nel suo dispiegarsi verbale. In tale modo essa è sottratta alla proclamazione-interpretazione di chi la pronuncia; in tale modo essa è libera di dire se stessa a quanti l’ascoltano nella fede senza condizionamenti dei mediatori (i lettori, i salmisti).
...

Anonimo ha detto...

un fatto puramente fisico esigito dalla necessità di far pervenire il messaggio divino a una cerchia vasta di uditori presenti in uno spazio ampio. La semplice pronuncia parlata in casi del genere non permette a un discorso di raggiungere lunghe distanze. Il gridare ad alta voce distorce i suoni e rende incomprensibile il messaggio. Di qui la scoperta di un tono di voce che canta il parlato su una corda di recita ricca di armonici che permettono alla voce stessa di correre e raggiungere un vasto uditorio.

Interessantissimo!

Avevo sentito dire che anche il Discorso della Montagna presentasse questa caratteristica di prestarsi alla "cantillazione", ecco il termine giusto... nella mia ignoranza, nel post sopra avevo usato "cantilenare".

Renzo T. ha detto...

La cantillazione, come giustamente fa notare Baroffio, ha una doppia valenza:una fisico-acustica (grazie alle vibrazioni regolari fa comprendere un suono intonato anche a lunghe distanze laddove il semplice parlare ad alta voce o anche l'urlare non risulta comprensibile) e un'altra di rispetto della pronuncia del testo.
Naturalmente per cantillazione ci si riferisce alle letture: epistola e vangelo nella messa e nelle profezie del Sabato Santo. Ma la cantillazione risalta in modo particolare sulle passioni articolate su tre melodie: "C" (Cronista - melodia media) "+" (Cristo - melodia grave) e "S"(Sinagoga - melodia acuta). Dove "C" non sta per cronista, ma per celeriter, vale a dire una melodia di tessitura media pronunciata con una certa celerità.
La croce "+" (che comunemente si è portati pensare a Cristo)è una deformazione di una "T" che indica tenere e/o trahere, vale a dire una melodia al grave cantata più lentamente con maggior gravità, come si conviene alle parole di Cristo. Mentre il segno "S", erroneamente interpretato come sinagoga, sta ad indicare sursum, una melodia all'acuto. In quella regione acuta cantano tutti i protagonisti all'infuori di Cristo e del cronista: Pietro, Pilato, l'ancella ostiaria, il sommo sacerdote, la folla ecc. Talvolta, tale altezza di suono esprime bene anche l'invettiva della folla istigata dai sacerdoti.
Per quanto riguarda, invece, gli altri stili del gregoriano diversi dalla cantillazione, in particolare i canti della Messa, meritano un'analisi ciascuno: sono vere palestre di esegesi biblica.
Ecco la grande ricchezza che abbiamo perso e che stoltamente i responsabili della formazione dei preti nei seminari hanno buttato al macero.
Nessuno scandalo in questa stoltezza: stiamo solo attraversando i tempi di "nec rubricat, nec cantat".
C'è, comunque, un "piccolo gregge" che tiene viva la fiamma del canto gregoriano e la tramanda per quando verranno tempi migliori per la Chiesa. Questo piccolo gregge, anche se ormai tutti l'hanno dimenticato, con questo suo impegno ottempera alle disposizione degli artt. 116 e 117 della Sacrosanctum Concilium (almeno fino a quando tale disposizione non sarà dichiarata decaduta dai novelli "pauperisti-novatori").

bedwere ha detto...

Ho udito che il tono peregrinus usato per il salmo 113 durante i vespri di domenica (eccetto che nel tempo pasquale) e` utilizzato da una qualche congregazione di ebrei yemeniti, confermando l'origine antichissima della tradizione. Qualcuno puo` confermare?

Anonimo ha detto...

Gentile Mic,
le allego (in due blocchi) alcuni stralci di un mio articolo di qualche tempo fa...
Cordiali saluti,
Mattia Rossi

La pastorale liturgica antropocentrica, sviluppatasi smaniosamente negli anni postconciliari, ha messo in evidenza una forte contraddizione. Per decenni, a causa di una scorretta comprensione del senso di quella actuosa participatio invocata dal Vaticano II, il canto gregoriano è stato considerato come inadatto alla liturgia riformata, quando basterebbe semplicemente sfogliare i documenti conciliari per rendersi conto che la Chiesa afferma ufficialmente che essa «riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana» al quale deve spettare «il posto principale» (Sacrosanctum Concilium, n. 116). E lo fa proprio in quei documenti di quel Vaticano II al cui spirito molti si appellano per dimostrare il definitivo superamento della “vecchia” musica sacra. In realtà, il dettato conciliare è inequivocabile e il Magistero ecclesiale, onde evitare il dilagare del soggettivismo e di una Babele musico-liturgica si aggrappa fortemente alla Tradizione, ci trasmette, per dirla con san Paolo, ciò che ha ricevuto (cfr 1Cor 15, 3).
Occorre, allora, chiedersi come mai la Chiesa riconosca il gregoriano come suo e come mai il Magistero non lo abbia mai abrogato o sostituito, ma esaltato, additato come «supremo modello» (PIO X, motu proprio Inter sollicitudines, n. 3) al quale le nuove composizioni dovrebbero ispirarsi affinché «siano pervase dallo stesso spirito che suscitò e via via modellò quel canto» (GIOVANNI PAOLO II, Chirografo per il centenario del motu proprio Tra le sollecitudini sulla musica sacra, n. 12). Ma qual è questo «spirito» così prezioso del gregoriano?
Ragionare di canto gregoriano significa interrogarsi prima di tutto sul suo significato intrinseco: che cos’è realmente? da che cosa nasce? che cosa fa del canto gregoriano quella definizione di “canto della Chiesa”? Se, da questa primissima e ovvia definizione, saliamo di un gradino ci accorgiamo immediatamente che esso, paradossalmente, non è canto, non è musica. E’ sottomesso ad altri scopi; non conosce canoni musicali e ritmici fissi applicabili indifferentemente a formule melodiche prestabilite. Ogni brano conserva caratteristiche retoriche specifiche che mettono musicalmente in luce determinate parole piuttosto che altre, un fraseggio piuttosto che un altro, ritmi scorrevoli piuttosto che un andamento allargato: tutto questo serve per sottolineare, attraverso il suono, quella particolare parola e ottenere, così, quel preciso significato che si inserisce in quel determinato contesto liturgico. Ecco il vero fascino del canto gregoriano: non è un semplice pronunciamento del testo, ma una spiegazione, è la lectio divina della Chiesa, è la Parola che si fa suono. Ogni brano, anzi ogni neuma, è frutto di una lenta maturazione il cui fine è, attraverso finissimi artifici retorici, proporre la Parola nella sua autentica interpretazione. E la Parola non è posta nella liturgia, ma è essa stessa liturgia: il canto, in quanto manifestazione sonora della Parola divina, è liturgia. La riforma liturgica ha voluto dare grande risalto alla Parola di Dio anche attraverso la terminologia: “Liturgia della Parola”. Ed è proprio questa parte della celebrazione che, disattendendo i dettati conciliari, viene troppo spesso banalizzata, improvvisata e depauperata della sua solennità. Il canto gregoriano non permette tutto ciò: il canto delle letture, ciascuna con una melodia differente, e l’ornamentazione del graduale (che deriva da gradus, il gradino dell’ambone dal quale veniva cantato) nella sua concezione di brano meditativo, risaltano, onorano e celebrano la Parola di Dio offrendola all’assemblea affinché sia assimilata e meditata.
(continua...)

Anonimo ha detto...

(…segue)
«Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19). Così l’evangelista Luca descrive l’atteggiamento di Maria; e così gli apostoli conservarono nel loro cuore gli insegnamenti di Cristo e li trasmisero a memoria alle prime comunità: cuore e memoria furono gli strumenti indispensabili per i primi cristiani e, prima ancora, per il popolo d’Israele. Anzi, la Chiesa stessa ha riservato alla memoria una funzione indispensabile per la formazione, non solo culturale, ma umana: la memoria della Sacra Scrittura è memoria di Dio. E la stessa sorte è toccata anche al canto gregoriano: a memoria i monaci imparavano le melodie e le “serbavano nel loro cuore”. Il loro lavoro di meditazione dei passi musicati della Scrittura era chiamato ruminatio, paragonandolo, così, al processo digestivo: la crudezza di una linea melodica doveva essere “digerita” e trasformata pienamente in evento sonoro della Rivelazione, in Parola di Dio.
Con il X secolo, e la nascita della scrittura neumatica, il monaco ha la possibilità di annotare, al di sopra dei testi, tutto un insieme di segni i quali, se non indicavano le altezze dei suoni (la melodia) che rimanevano a memoria, fornivano precisissime indicazioni ritmiche e interpretative di ogni brano. L’importanza di questa svolta fu immensa: la notazione neumatica era – e, fortunatamente per noi, è – la traduzione scritta della ruminatio, i segni neumatici diventano ultima espressione del Lògos e perpetuazione di quel Verbo che è sin dal principio (cfr Gv 1, 1).
«Prendi i contratti di compra e mettili in un vaso di terra perché si conservino a lungo» (Ger 32, 14). Questo ha sapientemente fatto la Chiesa: ha reso suo il gregoriano, l’ha custodito gelosamente e l’ha annoverato fra i suoi tesori a causa del Messaggio che esso veicola. La Santa Chiesa, che è nostra Madre, propone questo tipo di musica perché è convinta – a ragione – che esso sia realmente incarnazione sonora della Parola di Dio e che lo sia nel suo autentico significato. La Chiesa propone il gregoriano perché esso è veramente suono dell’Invisibile, epifania sonora del Verbo. E’ Dio, il quale non ha «bisogno della nostra lode» (Messale romano, Prefazio comune IV), che parla a noi attraverso un canto plasmato dallo Spirito, è una musica che dal Cielo discende sulla terra ed è in grado di infondere la gioia e la speranza nel cuore come la cetra di Davide calmava lo «spirito cattivo» di Saul e lo trasformava in un altro uomo (1Sam 16, 14-23).
C’è, però, un rischio: la Parola, per essere tale, deve essere proclamata; l’esegesi, per essere interpretativa, deve essere spiegata; il canto gregoriano per essere manifestazione deve essere cantato, altrimenti è puro esercizio intellettuale. Ecco, allora, la vera sfida odierna nostra e della Chiesa. Il nostro dovere è quello di riplasmare la musica delle nostre liturgie con il canto gregoriano; esso ci dice non solamente cosa cantare, ma soprattutto come cantare. Dobbiamo porre, parafrasando san Paolo, «questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4, 7).
Mattia Rossi
(da “Liturgia culmen et fons”, settembre 2011)

Anonimo ha detto...

Grazie infinite a Mattia Rossi per il testo, che pubblicherò al più presto.

Intanto, avevo appena programmato (la troverete domattina) la pubblicazione dell'articolo scritto nell'anniversario della SC che avevo pescato da MiL ;)

Anonimo ha detto...

Quel piccolo gregge di semplici cantori di gregoriano è oggi più disperso di quindici anni fa. Allora, qualche raro studioso aveva ancora la speranza di poterlo riproporre anche nella liturgia, e non solo in concerto, cosa che si è poi rivelata pressochè inattuabile.
I motivi che mi sembrano fondamentali:
Il primo è culturale. E' venuta meno (nel clero, nei maestri e nei cantori) la sensibilità estetica (amore per la Bellezza) che faccia apprezzare il lavoro, l'autodisciplina, la difficoltà e il tempo necessari per raggiungere un livello appena decente.
Il secondo è liturgico: essendo il gregoriano parte integrante della liturgia, è strettamente legato al V.O. Nel Novus ordo, viceversa, appare inevitabilmente come un di più, inserti di abbellimento un po' arcaico all'interno della struttura del rito in italiano che è quello che è: questa alternanza crea stridore che nullifica ogni sforzo. Con il V.O. invece la difficoltà pratica è nel celebrante il quale difficilmente accetta di cantare tutto, come è d'obbligo, l'intero rito, letture comprese; spesso si sente parlare anche della eccessiva durata della Messa, per la tempistica degli orari parrocchiali.
Il terzo motivo è antropologico: è difficile reperire oggi nelle persone i requisiti necessari per il gregoriano: una fede fervente, un grande amore allo studio, una vocalità malleabile, una buona dose di paziente perseveranza, umiltà, spirito fraterno e di servizio.
Aver vissuto per alcuni anni l'esperienza anche mistica del gregoriano e avervi dovuto rinunciare (per i suddetti motivi) è un dolore lacerante che non auguro a nessuno e che si riacutizza ogni volta che entro in chiesa (lodi, messa, vespro,
funerale o matrimonio che sia). E si offre, pregando per una rinascita.
Francesca

Anna Cervone ha detto...

Non reggeva il pensier
l'innodie eteree:
inabissava in note d'infinito.