Se volete capire come il “politicamente corretto” stia uccidendo la libertà di espressione, leggete l'addio al “New York Times” di Bari Weiss: “Le mie incursioni nel “pensiero sbagliato” mi hanno resa oggetto di continuo bullismo da parte di colleghi che non sono d'accordo con le mie opinioni. Mi hanno definita nazista e razzista. Mi è stato sempre insegnato che i giornalisti hanno il compito di stendere la prima bozza della storia. Adesso, la storia stessa non è che qualcosa di effimero che va modellato secondo le necessità di una narrazione predeterminata”. Scritta dalla Weiss all’editore Arthur Gregg Sulzberger, una perfetta testimonianza “dall’interno” del settarismo ormai imperante.
Testo di Bari Weiss da www.bariweiss.com pubblicato da “il Giornale”
Caro A.G.,
È con tristezza che le scrivo per informarla delle mie dimissioni dal New York Times.
Tre anni fa sono entrata in questo giornale con gratitudine e ottimismo. Venivo assunta con l’obiettivo di portare voci che altrimenti non sarebbero apparse sulle vostre pagine: autori esordienti, centristi, conservatori e altri che istintivamente non avrebbero considerato il Times come la loro casa. La ragione di questo sforzo era chiara: l’incapacità di prevedere il risultato del voto del 2016 da parte del giornale significava che quest’ultimo non riusciva più a comprendere il paese di cui parlava. [Il direttore esecutivo] Dean Baquet e altri lo hanno ammesso in varie occasioni. La priorità per la sezione opinioni era rimediare a questa lacuna critica.
È con tristezza che le scrivo per informarla delle mie dimissioni dal New York Times.
Tre anni fa sono entrata in questo giornale con gratitudine e ottimismo. Venivo assunta con l’obiettivo di portare voci che altrimenti non sarebbero apparse sulle vostre pagine: autori esordienti, centristi, conservatori e altri che istintivamente non avrebbero considerato il Times come la loro casa. La ragione di questo sforzo era chiara: l’incapacità di prevedere il risultato del voto del 2016 da parte del giornale significava che quest’ultimo non riusciva più a comprendere il paese di cui parlava. [Il direttore esecutivo] Dean Baquet e altri lo hanno ammesso in varie occasioni. La priorità per la sezione opinioni era rimediare a questa lacuna critica.
Ero onorata di essere parte di questo tentativo, guidato da James Bennet. Sono fiera del mio lavoro come autrice e come redattrice. (...) Ma la lezione delle presidenziali - sull'importanza di comprendere gli «altri» americani, sulla necessità di resistere al tribalismo e sulla centralità del libero scambio di idee per una società democratica - non è stata imparata. È invece emersa una nuova opinione diffusa sulla stampa, ma forse soprattutto su questo giornale: che la verità non è un processo di scoperta collettiva, ma un'ortodossia già nota a pochi illuminati, il cui compito è quello di informare tutti gli altri.
Pur non comparendo nel colophon del New York Times, Twitter è diventato in ultima analisi il suo vero direttore editoriale. Poiché l’etica e il costume di quella piattaforma sono diventati quelli del giornale, il giornale stesso è diventato sempre più una specie di spazio performativo. Le storie vengono selezionate e raccontate in modo da soddisfare la più ristretta delle platee, anziché consentire a un pubblico curioso di leggere cose sul mondo e poi trarre le proprie conclusioni. Mi è stato sempre insegnato che i giornalisti hanno il compito di stendere la prima bozza della storia. Adesso, la storia stessa non è che qualcosa di effimero che va modellato secondo le necessità di una narrazione predeterminata.
Le mie incursioni nelle “ pensiero sbagliato” mi hanno resa oggetto di bullismo costante da parte dei colleghi che non condividono le mie idee. Mi hanno chiamata nazista e razzista. Ho imparato a scrollarmi di dosso i loro commenti quando stavo «scrivendo un altro pezzo sugli ebrei». Diversi colleghi sono stati assillati da altri colleghi perché troppo gentili verso di me. Il mio lavoro e il mio ruolo vengono apertamente sminuiti nei canali Slack della società dove intervengono regolarmente i redattori. Qui alcuni colleghi insistono che io debba essere estirpata da questa azienda affinché la stessa possa divenire davvero “inclusiva”, altri invece aggiungono un’ascia emoji accanto al mio nome nei loro post. Ancora, altri impiegati del New York Times mi insultano pubblicamente su Twitter dandomi della bugiarda e bigotta, certi che questa persecuzione nei miei confronti non sarà punita. Non vengono mai puniti. Esistono parole precise per designare tutto ciò: discriminazione illegale, ambiente di lavoro ostile, dimissioni costruttive. Non sono un’esperta legale. Ma so che è ingiusto.
Non capisco come lei possa avere permesso a questi atteggiamenti di penetrare nella sua azienda sotto gli occhi dell’intero staff del giornale e del pubblico. E non riesco a conciliare il fatto che lei e altri vertici del Times siate rimasti immobili mentre mi elogiavate in privato per il mio coraggio. Presentarsi al lavoro come centrista in un giornale americano non dovrebbe richiedere eroismo.
Una parte di me spera di poter dire che la mia è stata un’esperienza isolata. Ma la verità è che la curiosità intellettuale – per non dire dell’assumersi dei rischi – oggi al Times è considerata un disvalore. Perché pubblicare qualcosa di stimolante per i nostri lettori o scrivere qualcosa di audace per poi trovarsi a doverlo anestetizzare per renderlo ideologicamente kosher, quando possiamo mettere al sicuro i nostri posti di lavoro (e i clic sul sito) pubblicando il quattromillesimo articolo su Donald Trump pericolo numero uno per il Paese e per il mondo? Così l'autocensura è diventata la norma.
Al Times, le regole rimaste sono applicate con estrema selettività. Se l'ideologia di una persona è in sintonia con la nuova ortodossia, l'autore e il suo lavoro verranno risparmiati dall'inquisizione. Tutti gli altri vivono nel terrore della gogna digitale. Il veleno on line è giustificato, a patto che sia diretto contro i giusti bersagli.
Gli articoli che sarebbero stati facilmente pubblicati solo due anni fa, oggi metterebbero in guai seri sia il direttore sia l'autore. O addirittura ne causerebbero il licenziamento. Se un pezzo può suscitare reazioni interne o sui social media, il direttore o l'autore evitano di proporlo. E se per caso si sentissero abbastanza forti da suggerirne la pubblicazione, verrebbero rapidamente ridotti a più miti consigli. E se, di tanto in tanto, riescono a far pubblicare un pezzo che non promuove esplicitamente la causa progressista, ciò accade solo dopo che ogni riga è stata attentamente vagliata, negoziata e ponderata.
Ci sono voluti due giorni (e due posti di lavoro persi) per dire che l'articolo di Tom Cotton (sulla necessità di un intervento militare in seguito alle rivolte in Usa, ndt) «non è stato all'altezza dei nostri standard». Abbiamo inserito una nota della redazione a un reportage di viaggio su Jaffa poco dopo la sua pubblicazione perché non aveva «toccato aspetti importanti della composizione sociale di Jaffa e della sua storia». Ma non ci siamo sentiti in dovere di aggiungerne una all'intervista di Cheryl Strayed con la scrittrice Alice Walker, un'orgogliosa antisemita che crede nei Rettiliani.
Il giornale di riferimento [paper of record] è sempre più il riferimento di coloro che vivono su una lontana galassia, i cui interessi non appartengono affatto alle vite della maggioranza delle persone. Si tratta di una galassia dove, solo per fare qualche esempio recente, il programma spaziale sovietico viene elogiato per la sua «diversità», dove il doxxing [diffusione dati sensibili spesso con intento malevolo -ndr] di ragazzi adolescenti viene condonato se fatto in nome della giustizia, dove tra i peggiori sistemi di caste della storia dell’umanità, accanto alla Germania nazista, figurano gli Stati Uniti.
Sempre più spesso, il nostro giornale di informazione sembra parlare a chi abita in una galassia lontana e ha preoccupazioni profondamente differenti dalla maggior parte della gente. Una galassia in cui, per fare qualche esempio, il programma spaziale sovietico viene lodato per la sua «diversità». (...) e l'elenco dei peggiori sistemi di caste della storia dell'umanità include gli Stati Uniti accanto alla Germania nazista. Anche ora, sono fiduciosa che la maggior parte dei dipendenti del Times non condivida questo punto di vista. Eppure sono intimiditi. Perché? Forse perché credono che l'obiettivo finale sia virtuoso. Forse perché credono che sarà loro garantita protezione se annuiscono mentre quello che abbiamo di più prezioso - il nostro linguaggio - è degradato al servizio di una lista della spesa di giuste cause che cambiano continuamente. Forse perché ci sono milioni di disoccupati in questo Paese e loro si sentono fortunati ad avere un lavoro in un settore in contrazione. O forse perché sanno che al giornale, al giorno d'oggi, difendere i principi non fa guadagnare consensi. Ti mette un bersaglio sulla schiena. Troppo saggi per postare su Slack, mi scrivono in privato sul «nuovo maccartismo» che ha messo radici al giornale.
Sono tutti brutti segnali, specialmente per i giovani autori indipendenti e per i redattori particolarmente attenti a quello che devono fare per avanzare nella carriera. Regola uno: esprimi le tue idee a tuo rischio e pericolo. Regola due: non arrischiarti a commissionare un articolo che contraddica la narrazione. Regola tre: mai credere a un direttore o a un editore che ti invita ad andare controcorrente. Alla fine l’editore si piegherà al volere della folla, il direttore sarà licenziato o assegnato ad altra mansione e tu sarai abbandonato.
Per questi giovani autori e redattori, c’è una sola consolazione. Mentre posti come il Times e altre un tempo grandi istituzioni giornalistiche tradiscono i loro standard e perdono di vista i loro princìpi, gli americani hanno ancora fame di notizie corrette, idee vivaci e dibattito onesto. Entro in contatto con queste persone ogni giorno. Qualche anno fa lei disse che «una stampa indipendente non è un ideale liberal o progressista o democratico. È un ideale americano». L’America è un grande paese che merita un grande giornale.
Tutto ciò non impedisce che in questo giornale lavorino ancora alcuni dei giornalisti più talentuosi del mondo. Ed è questo che rende così straziante il clima illiberale che si respira. Sarò, come sempre, una lettrice appassionata dei loro articoli. Ma non posso più fare il lavoro per cui mi ha portato qui - il lavoro che Adolph Ochs ha descritto in quella famosa dichiarazione del 1896: «Fare delle colonne del New York Times una tribuna per tutte le questioni di importanza pubblica, e a tal fine invitare a una discussione intelligente fra tutte le diverse opinioni».
L’idea di Ochs è una delle migliori in cui mi sia imbattuta. E mi ha sempre confortata la certezza che le idee migliori prevalgono. Ma le idee non possono prevalere da sole. Hanno bisogno di una voce. Hanno bisogno di essere ascoltate. Soprattutto, devono essere sostenute da persone che desiderino viverle.
Cordialmente,
Bari
Pur non comparendo nel colophon del New York Times, Twitter è diventato in ultima analisi il suo vero direttore editoriale. Poiché l’etica e il costume di quella piattaforma sono diventati quelli del giornale, il giornale stesso è diventato sempre più una specie di spazio performativo. Le storie vengono selezionate e raccontate in modo da soddisfare la più ristretta delle platee, anziché consentire a un pubblico curioso di leggere cose sul mondo e poi trarre le proprie conclusioni. Mi è stato sempre insegnato che i giornalisti hanno il compito di stendere la prima bozza della storia. Adesso, la storia stessa non è che qualcosa di effimero che va modellato secondo le necessità di una narrazione predeterminata.
Le mie incursioni nelle “ pensiero sbagliato” mi hanno resa oggetto di bullismo costante da parte dei colleghi che non condividono le mie idee. Mi hanno chiamata nazista e razzista. Ho imparato a scrollarmi di dosso i loro commenti quando stavo «scrivendo un altro pezzo sugli ebrei». Diversi colleghi sono stati assillati da altri colleghi perché troppo gentili verso di me. Il mio lavoro e il mio ruolo vengono apertamente sminuiti nei canali Slack della società dove intervengono regolarmente i redattori. Qui alcuni colleghi insistono che io debba essere estirpata da questa azienda affinché la stessa possa divenire davvero “inclusiva”, altri invece aggiungono un’ascia emoji accanto al mio nome nei loro post. Ancora, altri impiegati del New York Times mi insultano pubblicamente su Twitter dandomi della bugiarda e bigotta, certi che questa persecuzione nei miei confronti non sarà punita. Non vengono mai puniti. Esistono parole precise per designare tutto ciò: discriminazione illegale, ambiente di lavoro ostile, dimissioni costruttive. Non sono un’esperta legale. Ma so che è ingiusto.
Non capisco come lei possa avere permesso a questi atteggiamenti di penetrare nella sua azienda sotto gli occhi dell’intero staff del giornale e del pubblico. E non riesco a conciliare il fatto che lei e altri vertici del Times siate rimasti immobili mentre mi elogiavate in privato per il mio coraggio. Presentarsi al lavoro come centrista in un giornale americano non dovrebbe richiedere eroismo.
Una parte di me spera di poter dire che la mia è stata un’esperienza isolata. Ma la verità è che la curiosità intellettuale – per non dire dell’assumersi dei rischi – oggi al Times è considerata un disvalore. Perché pubblicare qualcosa di stimolante per i nostri lettori o scrivere qualcosa di audace per poi trovarsi a doverlo anestetizzare per renderlo ideologicamente kosher, quando possiamo mettere al sicuro i nostri posti di lavoro (e i clic sul sito) pubblicando il quattromillesimo articolo su Donald Trump pericolo numero uno per il Paese e per il mondo? Così l'autocensura è diventata la norma.
Al Times, le regole rimaste sono applicate con estrema selettività. Se l'ideologia di una persona è in sintonia con la nuova ortodossia, l'autore e il suo lavoro verranno risparmiati dall'inquisizione. Tutti gli altri vivono nel terrore della gogna digitale. Il veleno on line è giustificato, a patto che sia diretto contro i giusti bersagli.
Gli articoli che sarebbero stati facilmente pubblicati solo due anni fa, oggi metterebbero in guai seri sia il direttore sia l'autore. O addirittura ne causerebbero il licenziamento. Se un pezzo può suscitare reazioni interne o sui social media, il direttore o l'autore evitano di proporlo. E se per caso si sentissero abbastanza forti da suggerirne la pubblicazione, verrebbero rapidamente ridotti a più miti consigli. E se, di tanto in tanto, riescono a far pubblicare un pezzo che non promuove esplicitamente la causa progressista, ciò accade solo dopo che ogni riga è stata attentamente vagliata, negoziata e ponderata.
Ci sono voluti due giorni (e due posti di lavoro persi) per dire che l'articolo di Tom Cotton (sulla necessità di un intervento militare in seguito alle rivolte in Usa, ndt) «non è stato all'altezza dei nostri standard». Abbiamo inserito una nota della redazione a un reportage di viaggio su Jaffa poco dopo la sua pubblicazione perché non aveva «toccato aspetti importanti della composizione sociale di Jaffa e della sua storia». Ma non ci siamo sentiti in dovere di aggiungerne una all'intervista di Cheryl Strayed con la scrittrice Alice Walker, un'orgogliosa antisemita che crede nei Rettiliani.
Il giornale di riferimento [paper of record] è sempre più il riferimento di coloro che vivono su una lontana galassia, i cui interessi non appartengono affatto alle vite della maggioranza delle persone. Si tratta di una galassia dove, solo per fare qualche esempio recente, il programma spaziale sovietico viene elogiato per la sua «diversità», dove il doxxing [diffusione dati sensibili spesso con intento malevolo -ndr] di ragazzi adolescenti viene condonato se fatto in nome della giustizia, dove tra i peggiori sistemi di caste della storia dell’umanità, accanto alla Germania nazista, figurano gli Stati Uniti.
Sempre più spesso, il nostro giornale di informazione sembra parlare a chi abita in una galassia lontana e ha preoccupazioni profondamente differenti dalla maggior parte della gente. Una galassia in cui, per fare qualche esempio, il programma spaziale sovietico viene lodato per la sua «diversità». (...) e l'elenco dei peggiori sistemi di caste della storia dell'umanità include gli Stati Uniti accanto alla Germania nazista. Anche ora, sono fiduciosa che la maggior parte dei dipendenti del Times non condivida questo punto di vista. Eppure sono intimiditi. Perché? Forse perché credono che l'obiettivo finale sia virtuoso. Forse perché credono che sarà loro garantita protezione se annuiscono mentre quello che abbiamo di più prezioso - il nostro linguaggio - è degradato al servizio di una lista della spesa di giuste cause che cambiano continuamente. Forse perché ci sono milioni di disoccupati in questo Paese e loro si sentono fortunati ad avere un lavoro in un settore in contrazione. O forse perché sanno che al giornale, al giorno d'oggi, difendere i principi non fa guadagnare consensi. Ti mette un bersaglio sulla schiena. Troppo saggi per postare su Slack, mi scrivono in privato sul «nuovo maccartismo» che ha messo radici al giornale.
Sono tutti brutti segnali, specialmente per i giovani autori indipendenti e per i redattori particolarmente attenti a quello che devono fare per avanzare nella carriera. Regola uno: esprimi le tue idee a tuo rischio e pericolo. Regola due: non arrischiarti a commissionare un articolo che contraddica la narrazione. Regola tre: mai credere a un direttore o a un editore che ti invita ad andare controcorrente. Alla fine l’editore si piegherà al volere della folla, il direttore sarà licenziato o assegnato ad altra mansione e tu sarai abbandonato.
Per questi giovani autori e redattori, c’è una sola consolazione. Mentre posti come il Times e altre un tempo grandi istituzioni giornalistiche tradiscono i loro standard e perdono di vista i loro princìpi, gli americani hanno ancora fame di notizie corrette, idee vivaci e dibattito onesto. Entro in contatto con queste persone ogni giorno. Qualche anno fa lei disse che «una stampa indipendente non è un ideale liberal o progressista o democratico. È un ideale americano». L’America è un grande paese che merita un grande giornale.
Tutto ciò non impedisce che in questo giornale lavorino ancora alcuni dei giornalisti più talentuosi del mondo. Ed è questo che rende così straziante il clima illiberale che si respira. Sarò, come sempre, una lettrice appassionata dei loro articoli. Ma non posso più fare il lavoro per cui mi ha portato qui - il lavoro che Adolph Ochs ha descritto in quella famosa dichiarazione del 1896: «Fare delle colonne del New York Times una tribuna per tutte le questioni di importanza pubblica, e a tal fine invitare a una discussione intelligente fra tutte le diverse opinioni».
L’idea di Ochs è una delle migliori in cui mi sia imbattuta. E mi ha sempre confortata la certezza che le idee migliori prevalgono. Ma le idee non possono prevalere da sole. Hanno bisogno di una voce. Hanno bisogno di essere ascoltate. Soprattutto, devono essere sostenute da persone che desiderino viverle.
Cordialmente,
Bari
19 commenti:
per favore non dimenticate di sempre mettere in link le fonti:
https://www.bariweiss.com/resignation-letter
E' la Stampa bellezza….è la magistratura bellezza….è la Chiesa bellezza...è la scuola bellezza e si potrebbe ancora continuare, ma a cosa serve? La democrazia e la libertà svaniscono giorno dopo giorno per la vigliaccheria di chi ha il potere e non lo esercita,di chi gestisce la legge in modo cervellotico ed autoreferenziale ,di chi pur ricoprendo altissime cariche parla e si comporta in modo irresponsabile.Molte grandi istituzioni ormai sono diventate dei simulacri vuoti asserviti al politicamente corretto.
Non so quanti storici siano stati al cento per cento oggettivi, né so quanti giornalisti abbiano dato voce a tutte le voci che entravano nei fatti da loro raccontati. So con certezza che molti, nel tempo, hanno provato ad essere intellettualmente onesti. La differenza con l'oggi è che pochissimi si cimentano nel raccontare la verità dei fatti preferendo raccontare l'interpretazione dei fatti, tacitamente e neanche tanto tacitamente, imposta dal potere per poter continuare a reggersi e restare tale.
Scoperto che l'opinione comune si costruisce come si costruisce un grattacielo, una strada, una nave da guerra, il potere si è dato da fare a costruire l'opinione comune che lo sostiene e lo sosterrà emarginando al meglio tutte le altre opinioni se non proprio silenziandole.
Credendo nella libertà di opinione ritengo che ogni sistema educativo che voglia essere tale abbia il dovere di insegnare, di trasmettere gli strumenti che permettono alle intelligenze di essere e restare e di diventare sempre più e sempre meglio libere tanto da poter vagliare fatti ed opinioni personalmente.
Lo strumento oggi più volutamente disatteso è insegnare la differenza tra bene e male fin dalla più tenera età e continuare ad insegnare questa differenza durante tutta l'età scolastica, università inclusa, in particolare al di là delle apparenze e delle illusioni e delle manipolazioni a cui bene e male sono soggetti ad essere ribaltati dagli stessi esseri umani che vogliono sottomettere altri esseri umani al loro potere o più semplicemente quando la propria accidia fa ritrarre dallo sforzo di ascoltar e vederci chiaro e rende contenti della versione imposta 'dei fischi per fiaschi' o 'di Roma per toma' o 'delle lucciole per lanterne'.
Anche questo non è un problema nuovo sulla faccia della terra, ma ancora una volta tutta la scienza moderna, l'alta tecnologia, i nostri aggiornamenti, i nostri dialoghi, ci hanno tenuti volutamente all'oscuro del poco essenziale per poter ben vivere e ben morire.
"così straziante il clima illiberale che si respira."
Forse perche' non e' piu' importante fare l'interesse della "comune umanita'" ma "far incassare " sempre piu' denaro alla testata giornalistica ?
C'e' sempre dietro la questione morale .
OT La cattedrale gotica di Nantes, intitolata ai SS. Pietro e Paolo, sta andando a fuoco.
per favore non dimenticate di sempre mettere in link le fonti:
Non tralascio mai di mettere le fonti. Non ho messo questa volta il link pur avendo detto di aver ripreso la notizia e il testo da Il Giornale, perché in certi punti la traduzione è resa meno pedestre...
Grazie Fabrizio,
Ho pubblicato un articolo
Maria, mi spiace dirtelo ma dovresti mettere un filtro più rigido sui commenti perché in troppi post importanti vedo sempre più persone che interrompono un fecondo dibattito per cercare il pelo nell’uovo o la mezza virgola fuori posto (anche laddove non c’è – e non suole esservi) o per fare i troll. Non perderci tempo.
Saluti dalla lontana Scozia.
"...Il veleno on line è giustificato, a patto che sia diretto contro i giusti bersagli"
Questa frase sintetizza l'ipocrisia tipica del progressismo sinistroide imperante.
Si pensi l'accusa di "fascismo", che essendo "male assoluto", giustifica la libertà di odiare e fare del male a chi è ritenuto tale.
Ed è tale chiunque esprima un pensiero non allineato, che non c'entra nulla col fascismo.
Reprimenda durissima di Aldo Cazzullo, sul Corriere, a Susanna Ceccardi. La candata leghista in Toscana si è infatti permessa di criticare "Imagine", canzone simbolo del mondialismo, definendola "comunista". Cazzullo le dà della "reazionaria" e sostiene che John Lennon è stato "un simbolo di libertà".
Verissimo. E' stato un simbolo di libertà: la libertà di drogarsi, la libertà di praticare magia sessuale, la libertà di atteggiarsi, lui miliardario inglese, a santone orientale. La libertà di vivere da sradicati, inautenticamente. Un perfetto esempio di esistenza inautentica, modello ideale per le esistenze inautentiche che scrivono sui giornaloni.
Martino Mora
La melodia accattivante di Imagine mi è sempre piaciuta, ma non conoscevo l'inglese. Quando ho letto la traduzione del testo mi sono accorto che era un inno al relativismo nichilista...
"Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall'errore... È un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne
una sola disposizione; nessuno poi ha la possibilità di abrogarla completamente."
Cicerone, De re publica, 3, 22, 33.
Cazzullo bisogna capirlo e le sue reprimende vanno inserite nel contesto del CdS.Il povero Aldo soffre di solitudine perchè fra le firme di quel giornale è uno dei pochissimi giornalisti di centrodestra .Ogni tanto per sopravvivere deve fare una sparata contro quelli che i suoi compagnucci attaccano tutti i santi giorni...Riguardo a Imagine non sapevo cosa dicesse e credo non lo sapesse quasi nessuno.Andava bene per ballare fra studenti ma il testo francamente può essere preso sul serio solo da gente che fa uso,e neanche moderato, di sostanze.
Problemi in Grecia. Prevista anche tracciabilità e vaccini obbligatori (regole europee)
Ma è vero che Salvini e Meloni hanno detto sì ai vaccini?
https://www.controinformazione.info/la-capitale-della-grecia-e-stata-spazzata-dalle-proteste-di-massa-contro-la-nuova-legge-che-vieta-le-manifestazioni/
Questi signori si sentono onnipotenti...arrivati in cima di solito ruzzolano a valle con gran rovina. Buona ruzzolata!
Il problema non è Rutte, il problema è l'Italia che, in soli dieci anni, ha fatto passare il proprio debito pubblico da 1900 miliardi a 2500 miliardi, perdendo contestualmente il 10% di PIL reale.
E come è stato utilizzato quel debito?
- Per abbassare le imposte alle imprese italiane, che hanno il total tax rate and contribution più alto mondo, ed introdurre una tassazione competitiva, semplice e stabile, che non cambi ogni anno e permetta di programmare nel lungo periodo e che non disincentivi al risparmio ed agli investimenti? No.
- Per ridurre il cuneo fiscale, il più alto al mondo, ai lavoratori che producono nuova ricchezza, che consenta loro maggiore disponibilità di reddito? No.
- Per costruire infrastrutture, centrali energetiche necessarie a ridurre i costi della dipendenza energetica, reti digitali e di telecomunicazioni, reti di collegamento e trasporti efficienti (strade, ferrovie, aeroporti, ponti)? No.
- Per migliorare il livello delle nostre scuole ed università al fine formare lavoratori preparati e richiesti dal mercato ed una ricerca scientifica che consenta di migliorare i processi produttivi e di aumentare il valore aggiunto per unità di prodotto? No.
Per eliminare gli adempimenti e gli ostacoli creati dalla burocrazia italiana, bizantina, stupida, cattiva e garantire una giustizia certa e veloce? NO.
Ma loro vorrebbero fare ancora più debito. E non presentano un progetto che preveda la ricrescita e una strategia industriale, ma assistenzialismo e sussidi a pioggia...
FIRENZE. LO ZELO DEI VIGILI (IN)URBANI.
Ecco il racconto surreale di quanto è successo ieri ad una mia amica, Titti Giuliani Foti attraverso la parole testuali della protagonista, suo malgrado, della vicenda. Siamo a Firenze.
"Vado all' incontro con un regista in moto. Appuntamento a un tavolino in Sant' Ambrogio
Mi fermo con la moto accanto a lui mi tolgo il casco, lo saluto :ci sono, parcheggio .
Davanti ho una pattuglia di vigili urbani che deve monitorare la movida. Mi sposto di due metri col casco in mano per parcheggiare e mi trovo due vigili davanti.
Lei viaggia senza casco
State scherzando?
Me lo sono tolto un secondo fa per salutare e ora sono qui a parcheggiare
Arriva il regista e chiede quale sia il problema
E loro: la sua amica viaggiava senza casco. Lui :ma che dite? L'ha tolto un attimo fa per salutarmi
Quelli non ascoltano.
Morale i vigili urbani mi hanno trattenuto per oltre due ore accertando addirittura il numero del telaio della moto chiamando una seconda pattuglia per il fermo amministrativo del mio motore, e multone galattico perché non avevo il casco
Più 5 punti tolti dalla patente
Una delinquente insomma
Tutto mentre Sant'Ambrogio pullulava di gente senza mascherine né distanziata".
Ci si accanisce contro i cittadini, in questo caso una signora distinta e chiaramente inoffensiva, e ci si tiene alla larga da coloro che, davvero meritevoli di sanzioni, potrebbero costituire un pericolo con le loro reazioni anche a livello fisico.
Non ho parole per esprimere tutto il mio disgusto nei confronti di un atteggiamento vessatorio da parte di questi vigili (in)urbani, evidentemente in cerca di vittime cui comminare multe senza buon senso solo per fare comodamente cassa.
Se a questo si aggiunge il fermo amministrativo di un mezzo che Titti usa per il suo lavoro di giornalista, potete capire che il sospetto che alcuni tutori dell'ordine pubblico sfoghino le proprie frustrazioni sui cittadini, colpevoli a prescindere, è più che fondato. Tutta la mia solidarietà a Titti e la mia condanna nei confronti di questi due "eroici" vigili privi di buon senso e ben lontani dall'avere la simpatia dei cittadini
Stefano Burbi
Nuovi orizzonti per la chimica
"Un giovane lettore, Massimiliano, studente di chimica, mi scrive:
sfogliando una rivista online, il Journal of Organic Chemistry, mi sono imbattuto in questo editoriale:
Confronting Racism in Chemistry Journals
Ossia “Lottare contro il razzismo nelle pubblicazioni scientifiche di Chimica”.
In questo editoriale, firmato all’unanimità da tutti i membri e i collaboratori, evocato sacralmente “il brutale omicidio di George Floyd” come prova dei “secoli di violenza sistemica subiti dai neri americani”, notano che anche la Chimica ci sono “i gruppi sottorappresentati” che non riescono a pubblicare nei giornali scientifici a causa dei “pregiudizi e discriminazioni”: sono meno rappresentati non solo “i neri”; ma i “generi”, insomma la “diversity” non è garantita per nulla.
Ragion per cui, i redatttori fanno sapere ai futuri chimici neri che, che loro hanno deciso: “ Ci impegniamo a intraprendere le seguenti azioni:
Raccogliere e rendere pubbliche le nostre statistiche sulla diversity all’interno delle nostre riviste, includendo i nostri redattori, consulenti, revisori e autori; riferire annualmente sui progressi
Formazione di redattori nuovi ed esistenti per interrompere la distorsione nella revisione tra pari (peer review)
Inclusa la diversità dei collaboratori del giornale come metro di giudizio esplicito della validità del direttore
Nominare un difensore civico che funga da collegamento tra i redattori e la nostra comunità
Sviluppare un piano di diversità attuabile per ogni rivista che compare nella ACS (American Chemical Society”
Insomma d’ora in poi, quando il Journal of Organic Chemistry riceve una ricerca, prima di pubblicarla esamina anzitutto una cosa: quanti negri, quante lesbiche e transessuali, quanti latinos e gay hanno contribuito alla ricerca? Se le quote delle “minoranze sottorappresentate” non risultano rispettate, il comitato di redazione non pubblica; e considera il direttore responsabile del giusto mix; lo giudicherà in base alla sua apertura ai LGBTQ* e ai suoi pregiudizi…
Siamo in pieno maoismo, completo di Guardie Rosse e corsi di rieducazione: applicato alla Chimica USA. (M. Blondet)
Per Platone era "naturale che la tirannide non si formi da altra costituzione che la democrazia; cioè dalla somma libertà viene la somma schiavitù".
A noi però non viene fatta concessione di chiamarci sudditi silenziati e perseguitati da leggi inique, oppressive, totalitarie e intolleranti.
Noi dovremo sopportare ancora di dirci che siamo tutti liberi nella bella democrazia. E forse qualcuno alla fine lo penserà davvero.
Se non altro in URSS tutti sapevano di non essere liberi. E si negava Dio e si applicava una economia ingiusta e inefficiente.
Ora invece si impone una ideologia culturale ancora più profonda. E si nega persino ciò che si vede.
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