« ...La fede in lui non era un complemento, ma la misura di tutto il suo agire. » (dall’ omelia di Mons. Angelo Amato per la Beatificazione, Varsavia 06/06/2010)
Cercai di ribattere: don Jerzy, vorrei solo sapere come la pensa... M’interruppe con tono scherzoso: «Allora venga a Messa quando tengo l’omelia». Ci sono già venuto tante volte! «Bene – concluse con un timido sorriso –. Continui così. Arrivederci».
Ma quella fu l’ultima volta che vidi don Popieluszko. Era l’estate del 1984, aveva appena compiuto 37 anni e di lì a pochi mesi sarebbe stato ucciso da quegli stessi poliziotti che da tempo lo pedinavano, lo minacciavano e lo perseguitavano con interrogatori, perquisizioni e arresti.
Chi era padre Jerzy Popieluszko? «Un fanatico, un Savonarola dell’anticomunismo, un tipico esempio del clericalismo militante», l’aveva definito il portavoce del governo di Jaruzelski. C’era invece chi lo considerava un intrepido oppositore del regime, un combattente della libertà.
Ma Popieluszko non aveva nulla dell’agitatore politico, richiamava alla verità cristiana e alla libertà interiore insieme con il rispetto della propria coscienza e della grande tradizione patriottica della Polonia. Non era certo un eroe, provava spesso sentimenti d’ansietà e di stanchezza. Aveva imparato a vincere la tentazione dell’odio e della ribellione violenta contro l’ingiustizia e cercava di testimoniarlo con la sua vita prima ancora che con i suoi discorsi. «Vincere il male con il bene», era il suo motto evangelico.
A partire dal marzo 1982, in pieno stato di guerra, don Jerzy organizza le «Messe per la patria» che verranno poi celebrate tutte le ultime domeniche del mese. Una tradizione risalente all’Ottocento quando la Polonia occupata dalle potenze straniere difendeva la propria identità rifugiandosi sotto il manto della Chiesa. Le ricordo bene: Messe interminabili, con migliaia di persone che s’assiepavano fin sul sagrato e nelle strade vicine, mentre gli altoparlanti diffondevano le sue omelie in tutto il quartiere, sorvegliato da una milicja sempre più nervosa. Con sottile humour don Popieluszko era solito invitare i fedeli a pregare «per coloro che sono qui per dovere professionale» mettendo in imbarazzo gli spioni del Sb, i servizi segreti comunisti.
È così che questo pretino dall’aspetto modesto e dal fisico malaticcio diventa un personaggio leggendario, chiamato a predicare in ogni angolo della Polonia. Già assistente degli studenti universitari diventa protagonista per caso, mandato un giorno a celebrare la Messa tra gli operai delle acciaierie di Huta Warszawa.
E allorché nel dicembre 1981 viene proclamato lo stato di guerra e messo fuori legge il sindacato di Walesa, lui non smette di essere «il cappellano di Solidarnosc». Fino a quando, il 19 ottobre 1984, una finta pattuglia della polizia stradale lo ferma sulla strada di Torun, lo sequestra e lo uccide fracassandogli il cranio a colpi di manganello e ne getta il corpo ormai esanime nelle acque gelide della Vistola. Un delitto orrendo che viene raccontato nei macabri dettagli dagli assassini, tre agenti dei servizi segreti processati e condannati a pochi anni di carcere e già tutti in libertà.
I mandanti restano nell’ombra, nonostante le inchieste formalmente ancora aperte. Per la Polonia fu uno choc terribile, per il regime di Jaruzelski l’inizio della fine.
Nel 1997 prende il via il processo di beatificazione che si è concluso lo scorso 19 dicembre con il decreto di Benedetto XVI in cui si dichiara che «don Jerzy Popieluszko è stato ucciso in odio alla fede».
È il primo martire della Polonia comunista, «un autentico profeta dell’Europa», lo definì Giovanni Paolo II ricordando il suo sacrificio «che affermò la vita attraverso la morte». (Luigi Geninazzi fonte: Avvenire, 05/06/2010)
1 commento:
La Chiesa è intransigente sui principi, perché crede, ma è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano.
(R. Garrigou-Lagrange O.P.).
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