Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 6 ottobre 2020

La chiave di lettura di Fratelli tutti

Dopo le prime osservazioni qui, di seguito lo scritto di Andrea Mondinelli sulla chiave di lettura di Fratelli tutti confermata dalle corpose citazioni di  scritti di J. Dormann, sacerdote e teologo tedesco, con le sottolineature di un'attenta analisi. Noto che è la stessa chiave di lettura da me sottolineata qui ancor più articolata e approfondita e non esclude altri punti controversi che affronteremo.  La questione è alquanto sconvolgente! Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio. Nelle immagini sotto riportate la copertina dell'enciclica, sulla quale spicca una improvvida colomba arcobaleno, è messa a raffronto con l'espressione originale Fratelli tutti (San Francesco Ammonizioni, 6, 1: FF 155) che veicola ben altri significati rispetto al manifesto sociale di Bergoglio e dunque è stata ripresa con improntitudine (cliccare sull'immagine per ingrandire). La traduzione: "Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l'hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell'ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò é grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!"


Cari amici,
come ormai ben saprete l’ultima enciclica di Francesco è composta da oltre 200mila battute per la lunghezza di 138 pagine.
Ovviamente, non l’ho ancora letta nella sua interezza, ma voglio offrirvi la chiave di lettura che vi consenta di non perdervi nel mare magnum delle parole. L’idea di fondo emerge già dal titolo “Fratelli tutti” (FT) ed è necessario aggiungere che non solo in Francesco ma anche in molti prelati, papi compresi, della chiesa post conciliare si è affermata l’idea che tutti gli uomini siano fratelli, perché figli dello stesso Dio. Quest’affermazione è in aperto contrasto con la sana dottrina cattolica ed un errore veramente pernicioso.
Sono sempre rimasto molto colpito dalla profezia di mons. Fulton Sheen, pronunciata alla radio il 26 gennaio del 1947, nell’ambito di una trasmissione intitolata “Light Your Lamps” (Accendete le vostre lampade); il titolo della puntata era “Signs of Our Times” (Segni dei nostri tempi), (qui): 
In che modo egli [l’Anticristo] verrà in questa nuova era per convincerci a seguire il suo culto? Verrà travestito da Grande Umanitario; parlerà di pace, prosperità e abbondanza non come mezzi per condurci a Dio, ma come fini in sé. […] Invocherà la religione per distruggere la religione; parlerà perfino di Cristo e dirà che è stato il più grande uomo che sia mai vissuto; dirà che la sua missione è liberare gli uomini dalla schiavitù della superstizione e dal fascismo, che baderà di non definire mai
Ma in mezzo a tutto il suo apparente amore per l’umanità e alle sue chiacchiere su libertà e uguaglianza, avrà un grande segreto che non rivelerà a nessuno: non crederà in Dio. Poiché la sua religione sarà la fratellanza senza la paternità di Dio, ingannerà perfino gli eletti. Istituirà una controchiesa che sarà una scimmiottatura della Chiesa perché lui, il diavolo, è la scimmiottatura di Dio. Essa sarà il corpo mistico dell’Anticristo e a livello esteriore ricorderà la Chiesa come corpo mistico di Cristo. In un disperato bisogno di Dio, indurrà l’uomo moderno nella sua solitudine e frustrazione a morire dalla voglia di entrare a far parte della sua comunità, la quale darà all’uomo uno scopo più grande senza bisogno di correzione personale né di ammettere la propria colpa. 
Attenzione alla frase «Poiché la sua religione sarà la fratellanza senza la paternità di Dio, ingannerà perfino gli eletti»! Cosa significa la fratellanza senza la paternità di Dio? Significa non riconoscere la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, tanto aborrita dai modernisti. Sul sito mussulmano http://www.sufi.it/ ecco come è presentato Gesù (qui): 
Comunque, l'argomento merita d’essere approfondito. Ora, se qualcuno vuole chiamare Gesù "figlio di Dio" o "Dio" per il fatto che egli venne creato senza il concorso di un padre umano e per il fatto che DIO stesso lo avrebbe adottato e avrebbe agito con lui come un padre, allora bisogna applicare il medesimo ragionamento, e in maniera più appropriata, ad Adamo, il quale non ebbe né padre né madre. E se la paternità di Dio è interpretata in senso figurato, allora essa deve applicarsi a tutto quanto il genere umano, in particolare a coloro che si sono distinti nel servizio del Signore Sommo.
Il senso del documento sulla “Fratellanza umana” di Abu Dabhi (qui e indice articoli) è proprio quanto indicato dal sito sufi: la paternità di Dio è interpretata in senso figurato, ossia nel senso che siamo tutti creature di Dio. Questo è esplicitamente dichiarato nella prima frase del documento: 
La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere.
Questo NON è il significato cristiano di fratellanza in Cristo, vero Dio e vero uomo, che ci rende figli adottivi di Dio. Il documento di Abu Dabhi esprime, invece, la fratellanza senza la paternità di Dio. Vediamo altri passaggi significativi:
Un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà, tale da invitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme, affinché esso diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli
Qui si parla addirittura di fede nella fratellanza umana (originale in corsivo)! Si eleva la fratellanza umana a credo. Anche qui, come spesso accade, la solita capriola mortale: dalla fede in Dio creatore (posizione minima comune) si passa alla fede nella fratellanza umana, scambiando le cause con gli effetti. Infatti, ci si appella a lei come ad una divinità. Appello ripreso al termine al n. 285 di Fratelli tutti
In nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. 
Quelli appena descritti sono i disastrosi effetti di una perniciosa teologia che ha infettato la cittadella cattolica. Si tratta della così detta redenzione universale dovuta all’incarnazione del Verbo divino, che non solo avrebbe assunto la natura umana, diventando vero uomo, ma avrebbe unito a sé tutta l’umanità, ossia ciascuno uomo: 
Egli è «l’immagine dell’invisibile Iddio» (Col 1,15), è l’uomo perfetto che ha restituito al figlio d’Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme dal momento del primo peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo [GS n. 22].
La redenzione universale è il grimaldello per comprendere l’enciclica e posso già anticiparvi che Francesco è sostanzialmente in linea con il Concilio Vaticano II e ancora di più con la teologia di Giovanni Paolo II. Pertanto, per comprendere a fondo FT occorre avere piena coscienza di cosa sia l’incarnazione redentrice. I testi di riferimento delle corpose citazioni di Johannes Dormann, sacerdote cattolico e teologo tedesco professore in Scienze missionarie e religiose all’università di Munster, sono i seguenti: La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi - vol. I, Dal Concilio Vaticano II all’elezione papale; vol. II, La “Trilogia trinitaria”, Parte prima: Redemptor hominis; vol. III, La “Trilogia trinitaria”, Parte seconda: Dives in misericordia; vol. IV La “Trilogia trinitaria”, Parte terza: Dominum et vivificantem e risalgono al lontano 1994!

Torniamo a GS 22. In che modo è avvenuta questa unione? È sufficiente o solo necessaria alla salvezza di ogni uomo? Per cercare di comprendere GS 22, facciamo un passo indietro a GS 10: 
La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. 
Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. 
Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo. 
Leggiamo ora il commento di tale passo effettuato dall’allora Card. Wojtyla riportato nel libro “Segno di contraddizione. Riflessioni sul Cristo”, che raccoglie le conferenze che il futuro papa Giovanni Paolo II tenne nel 1976 nel corso di un ritiro alla presenza di Paolo VI e dei suoi più stretti collaboratori: 
(b) Così la nascita della Chiesa, nel momento della morte messianica e redentrice di Cristo, è stata anche, in sostanza, la nascita dell'Uomo, e Io è stato indipendentemente dal fatto che l'uomo lo sapesse o no, lo accettasse o no! In quell'istante l'uomo è passato a una nuova dimensione della sua esistenza, concisamente espressa da san Paolo: "in Cristo" (Rom. 6,23; 8,39; 9,1; 12,5; 15,17; 16,7 e in altre lettere). L'uomo esiste "in Cristo", e così esisteva fin dall'inizio, nell'eterno disegno di Dio; ma è per mezzo della morte e della risurrezione che questa "esistenza in Cristo" è diventata un fatto storico, radicata nel tempo e nello spazio. 
Il commento del 1994 di Johannes Dormann, sacerdote cattolico e teologo tedesco professore in Scienze missionarie e religiose all’università di Munster, è decisivo:
Questi due testi [GS n.10 ed il commento di Wojtyla], quello del Concilio come quello del Cardinale, sono redatti nello stile del "linguaggio pastorale conciliare". Siamo pertanto talvolta costretti a rendere le affermazioni teologiche di questi due testi con i concetti precisi dell'insegnamento della Chiesa e della teologia tradizionale. Lavoro poco piacevole quando si pensi che si tratta d'una questione dogmatica che nel "sistema cattolico" potrebbe essere esposta in poche parole in modo perfettamente chiaro. 
• A proposito del testo conciliare (GS n.10). Per quanto attiene al nostro argomento, le proposizioni seguenti sono d'una importanza capitale: il Concilio in un riepilogo pastorale confessa la fede tradizionale della Chiesa nell'unico Redentore, nell'universalità della volontà salvifica di Dio, nel sacrificio redentore di Cristo e nella grazia salvifica. Nella lingua tradizionale della Chiesa, queste verità possono essere tradotte in modo più preciso come segue
Dio vuole la salvezza eterna di tutti gli uomini. Di conseguenza dona la grazia sufficiente per la salvezza non soltanto a tutti i giusti, ma anche a tutti i non credenti, che sono tali senza colpa alcuna da parte loro. In ragione dell'unicità del Redentore e del suo sacrificio, questa grazia è sempre gratia Christi. Tutte queste proposizioni di fede della Chiesa sulla redenzione dell'umanità si rapportano all'universalità oggettiva del piano divino redentore. Quanto al lato soggettivo della redenzione, che vien trattato come fosse dogma sotto il titolo di "giustificazione del peccatore", il testo conciliare ben interpretato non dice parola.
Tuttavia si tratta di una distinzione capitale sia per il nostro argomento che nell'insegnamento della Chiesa. Ma poiché oggi è ben dimenticata, ecco una breve esposizione di questa questione dogmatica. L'uomo-Dio Gesù Cristo, con la soddisfazione da lui offerta a Dio al nostro posto ed il merito che ci ha acquisito come Redentore, ha compiuto la riconciliazione dell'umanità con Dio. Tuttavia questa redenzione oggettiva universale deve essere presa, e fatta propria da ciascuno in particolare, con la redenzione soggettiva. Si chiama giustificazione, o santificazione l'atto con il quale il frutto della redenzione è applicato ad ogni uomo. La grazia del Cristo designa il frutto della redenzione. Il principio della redenzione soggettiva è il Dio trinitario. La comunicazione della grazia, in quanto opera dell'amore divino, è attribuita allo Spirito Santo, benché sia un'opera comune delle tre persone. La redenzione soggettiva non è tuttavia unicamente opera di Dio, ma reclama la libera collaborazione da parte dell'uomo dotato di ragione e di libertà (Dz 799). E in questa cooperazione fra la grazia divina e la libertà umana che riposa il mistero insondabile dell'insegnamento sulla grazia. Per poter acquisire questa redenzione soggettiva, Dio non sostiene l'uomo solo con un principio interno, la forza della sua grazia, ma anche mediante un principio esterno: è l'attività della Chiesa docente, governante e dispensante la grazia di Gesù Cristo attraverso i sacramenti. Lo scopo di questa redenzione soggettiva è l'eterna beatitudine nella contemplazione di Dio.
A proposito del commento del Cardinale (b). Nelle frasi della costituzione pastorale citate sopra, il Cardinale scopre come un enunciato della fede della Chiesa che potrebbe essere espresso in questo modo: 
Al momento della "morte redentrice del Cristo" si sono compiute nello stesso tempo la "nascita della Chiesa" e la "nascita dell'Uomo". Morte redentrice del Cristo - nascita della Chiesa - nascita dell'Uomo: il legame stabilito mostra chiaramente che la nascita dell'uomo significa la sua "nuova nascita" soprannaturale, la comunicazione "dell'esistenza in Cristo". Questa realtà soprannaturale è esattamente significata con l'espressione "nuova dimensione" dell'esistenza umana. Ciò è detto, d'altronde, expressis verbis. L'ora della nascita della Chiesa è dunque stata, secondo il Cardinal Wojtyla, la nascita dell'uomo nella grazia. Non si può dunque più parlare veramente di una "nuova nascita". Non pare si possa intendere il discorso del Cardinale nel senso dell'universalità oggettiva della redenzione. Cerchiamo dunque di sapere in modo preciso se l'affermazione della nascita simultanea della Chiesa e dell'uomo significa che ogni uomo, riscattato soggettivamente, figlio di Dio, riceve un'esistenza nel Figlio di Dio. Pare sia proprio così dal momento che la nascita dell'uomo, con la quale riceve "l'esistenza in Cristo", avviene "che l'uomo lo sappia o no, lo accetti o no".
Mentre il cardinale ordina le sue idee in un contesto ampio, in ultima analisi va a fondare la sua tesi sul piano salvifico universale di Dio. Vi distingue un aspetto eterno ed un aspetto temporale: secondo il piano di salvezza eterna in Dio, l'uomo esiste "fin dall'inizio", vale a dire dall'eternità, in Christus. Questo piano di salvezza eterna si realizza nel tempo, cioè nella storia, con l'opera redentrice del Cristo. Perché, "per mezzo della morte e della risurrezione, questa "esistenza in Cristo" è diventata un fatto storico, radicato nel tempo e nello spazio". Di conseguenza la nascita soprannaturale dell'uomo sarebbe, così come la morte redentrice del Cristo e la nascita della Chiesa, un "fatto storico", indipendentemente dal fatto che l'uomo "lo sappia o no, lo accetti o no". Tutto dà a capire che il Cardinale insegna tanto l'universalità oggettiva che soggettiva della redenzione.
La fede cattolica tradizionale ci dice che la Chiesa è nata nel momento della morte redentrice di Gesù. Ma affermare che la "nascita della Chiesa" è stata nello stesso tempo la "nascita dell'Uomo" (nella grazia), "ch'egli lo sappia o no, che lo accetti o no" è una nuova fede. La fede cattolica tradizionale insegna che tutti i giusti ab origine mundi appartengono in un modo o nell'altro alla Chiesa del Cristo, Salvatore del mondo. Sostenere che la "nascita della Chiesa" implica automaticamente la nascita dell'Uomo" (nella grazia) è un nuovo credo.
Questa teoria della salvezza universale ha nella teologia moderna il senso di una "rivoluzione copernicana". Karl Rahner l'ha formulata in un modo sorprendente. Se tutti gli uomini, grazie alla morte e alla resurrezione di Cristo, acquisiscono, che lo sappiano o no, che lo vogliano o no, "l'esistenza in Cristo", si può allora considerare i non-cristiani come dei "cristiani anonimi" e l'umanità non-cristiana come un "cristianesimo anonimo".
Ma poiché si tratta di una tesi che stabilisce tutta la teologia della Chiesa su di una nuova base, dobbiamo chiederci se non avremmo forse, in ragione del suo "linguaggio conciliare pastorale", compreso male il Cardinale.
Donde la domanda: il cardinal Wojtyla formula in qualche altro punto delle sue conferenze nel corso dei ritiri, la tesi dell'universalità oggettiva e soggettiva della redenzione in termini dogmatici assolutamente chiari che escludono ogni ambiguità? Si trova ad esempio la formulazione dogmatica chiara, affermante che tutti gli uomini sono, per la croce del Cristo, non solamente (oggettivamente) riscattati, ma anche (soggettivamente) giustificati?
Un passo delle conferenze nel corso dei ritiri, in cui si tratta ugualmente della realizzazione nella storia del piano divino di salvezza, dà la risposta (p. 99):
(La morte di Gesù sulla croce) "è un punto della storia, in cui gli uomini vengono, per così dire, concepiti di nuovo ed entrano in una traiettoria nuova del disegno di Dio, che il Padre ha preparato nella verità della Parola e nel dono dell'Amore. Punto in cui la storia dell'uomo incomincia di nuovo, indipendentemente, se così si può dire, dai condizionamenti umani. Questo punto appartiene all'Ordine divino, al modo divino di vedere l'uomo e il mondo. Le categorie umane del tempo e dello spazio sono quasi del tutto secondarie. Tutti gli uomini, fin dall'inizio del mondo e fino alla sua fine, sono stati redenti e giustificati da Cristo e dalla sua Croce". 
 Il Cardinale sostiene dunque la tesi secondo la quale ogni uomo "esiste in Cristo" o possiede "l'esistenza in Cristo" "fin dall'inizio, nell'eterno disegno di Dio", in modo tale che "tutti gli uomini, fin dall'inizio del mondo e fino alla sua fine, sono stati redenti e giustificati da Cristo e dalla sua Croce". Di conseguenza, l'umanità tutta intera si troverebbe dal principio fino alla fine del mondo in possesso della grazia santificante, nello stato di un'effettiva redenzione(1). A questa tesi corrisponde il fatto clamoroso che i fattori soggettivi della redenzione come la giustificazione attraverso la fede e la santificazione nel senso dell'insegnamento tradizionale della Chiesa sono interamente passati sotto silenzio. Di più, essi sono ridotti a poca cosa o perfino direttamente negati. Così è detto che la redenzione dell'uomo si produce indipendentemente da lui "che l'uomo lo sappia o no, che lo accetti o no". O ancora: "Le categorie umane del tempo e dello spazio sono quasi del tutto secondarie". Che resta della tragica gravità e del carattere decisivo della vera storia della salvezza per la vita eterna o l'eterna dannazione?
Possiamo dare per certo che il cardinal Wojtyla difende la tesi dell'universalità oggettiva e soggettiva della redenzione, e, di conseguenza, della redenzione universale.
La salvezza universale corrisponde alla theologia naturalis del cardinal Wojtyla: la "meravigliosa trascendenza dello spirito umano" si rivela nella sua theologia revelata per il fatto che tutti gli uomini possiedono in maniera nascosta "l'esistenza in Cristo". Questa "meditazione sul Cristo" è una tappa nell'itinerario spirituale di Giovanni Paolo II verso Assisi. A lato delle ragioni filosofiche, vi si trovano i motivi teologici del culto comune di tutte le religioni: la tesi della salvezza universale!
Per sostenere questa tesi, che giammai ha fatto parte dell'insegnamento della Chiesa, il Cardinale fa appello a un documento ufficiale del Concilio. Ne ha il diritto? 
Il confronto fra il testo conciliare ed il commento del Cardinale costituisce un esempio classico della problematica del "linguaggio conciliare pastorale" e dell'ermeneutica di Karol Wojtyla.
Nel testo conciliare non si trova parola di una "nascita della Chiesa" o "dell'Uomo". Il commento del Cardinale va manifestamente al di là della redazione del testo. Il commento mette d'altronde l'accento sulla realtà dell'universalità della redenzione soggettiva di cui il testo del Concilio non parla. Quale che sia l'apertura che il "linguaggio pastorale" dà a questo testo per un'ampia interpretazione, il commento supera comunque i limiti fissati dal dogma della Chiesa. La tesi della salvezza universale non trova nella lettera del testo conciliare proposto alcuna solida base.
L'arcivescovo di Cracovia ha cooperato tuttavia egli stesso, nella sua qualità di Padre conciliare, alla Costituzione pastorale ed ha forse conosciuto l'intenzione dei redattori di questo testo. Rimarrebbe da sapere se la sua interpretazione non renda il senso nascosto del testo conciliare. Non è questo che un esempio del dilemma che "il linguaggio conciliare pastorale" spesso suscita nell'interpretazione dei documenti del Concilio
Dormann ricorda come Wojtyla abbia partecipato al concilio e arriva a dimostrare l’influsso di p. Henri De Lubac sulla teologia di Giovanni Paolo II.
C'è una similitudine evidente fra la cristologia e l'ecclesiologia di Karol Wojtyla e quella di Henri de Lubac. Anche per il de Lubac il Cristo si è unito nell'Incarnazione a tutta l'umanità, in modo che tutti gli uomini sono organicamente legati al Cristo, a formare, con la Chiesa, un'unità organica. Per de Lubac i cristiani non sono che le "membra formali" del corpo del Cristo. Essi hanno il dovere missionario di rendere accessibile ai non-cristiani la singolarità, a loro sconosciuta, del cristianesimo. 
La nostra indagine, tuttavia, non si propone di porre in luce le evidenti similitudini e le eventuali differenze fra la teologia di Karol Wojtyla e quella di Henri de Lubac, ma punta alla nozione di rivelazione. L'interrogativo che ci si pone è dunque il seguente: il pensiero di Karol Wojtyla sulla nozione di rivelazione presenta delle concordanze, similitudini o punti d'incontro con quello del Padre de Lubac? 
Per fornire una risposta precisa, riassumiamo dapprima in breve la nozione di rivelazione secondo il cardinal Wojtyla. Nel commento del cardinal Wojtyla al testo conciliare sopraccitato, tratto dalla Gaudium et Spes (n. 22), si legge: 
"il testo conciliare, applicando a sua volta la categoria del mistero all'uomo, spiega il carattere antropologico o perfino antropocentrico, della Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa Rivelazione è concentrata sull'uomo: il Cristo svela pienamente l'uomo all'uomo, ma lo fa per mezzo della Rivelazione del Padre e del suo amore (cfr. Giov. 17, 6).
Siamo dunque al cospetto della seguente relazione: "Il mistero dell'uomo" (vale a dire l'esistenza in Cristo), è quanto il Cristo "rivela" o "svela pienamente all'uomo", e ciò, "attraverso la rivelazione del Padre" (cioè attraverso la rivelazione che il Cristo fa di suo Padre). Relazione fondamentale nel concetto di rivelazione del cardinal Wojtyla, che coincide in modo sorprendente con l'esposizione di Henri de Lubac: Nell'esegesi del Padre de Lubac dell'epistola ai Galati (1,15 ss.) si legge che S.Paolo ha, in questa lettera, pronunciato "una tra le frasi più nuove e più ricche di significato che mai siano state pronunciate da un uomo, il giorno in cui (...) dettò questa frase: "Ma quando piacque a colui che sin dal seno di mia madre, mi prescelse e mi chiamò mediante la sua grazia, di rivelare in me il Figlio suo ..." (Gal. 1, 15-16). Lo straordinario di una tale parola consiste, secondo il de Lubac, nel fatto che l'Apostolo dice: "non soltanto di rivelarmi suo Figlio, mostrarmelo in una visione qualunque o farmelo comprendere oggettivamente, ma: di rivelarlo in me. Rivelando il Padre ed essendo rivelato da lui, il Cristo finisce di rivelare l'uomo a se stesso. Prendendo possesso dell'uomo, afferrandolo e penetrando fino al fondo del suo essere, spinge anche lui a discendere in sé per scoprirvi bruscamente regioni fino ad allora insospettabili. Grazie al Cristo la persona è adulta, l'Uomo emerge definitivamente dall'universo". 
Il cardinale Siri a buon diritto ha mostrato il suo stupore per l'enfasi con la quale il de Lubac sottolinea questo "in me" di S. Paolo e formula un giudizio su tali affermazioni rapportandole al punto essenziale: "Il Padre de Lubac dice che il Cristo rivelando il Padre e rivelato da Lui, finisce per rivelare l'uomo a sé stesso. Quale può essere il significato di questa affermazione? O Cristo è unicamente uomo, o l'uomo è divino. Tali conclusioni possono non essere espresse così nettamente, tuttavia determinano sempre questa nozione del soprannaturale in quanto implicato nella natura umana di per sé. E quindi, senza volerlo coscientemente, si apre il cammino dell'antropocentrismo fondamentale".
Si è potuto vedere chiaramente che anche nel cardinal Wojtyla la natura umana implica il soprannaturale. Egli parla ingenuamente del carattere antropocentrico della rivelazione e della missione della Chiesa. La nozione di rivelazione di Henri de Lubac si ritrova nel cardinal Wojtyla perfino nei termini che adotta. Senza dubbio alcuno non si commette errore a supporre che la corrispondente formulazione della Costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 22) risalga, in ultima analisi, essa pure ad Henri de Lubac. La nozione di rivelazione è in teologia il principio oggettivo di conoscenza. Possiamo perciò parlare d'una "Nuova Teologia" per il cardinal Wojtyla, come per Henri de Lubac? Pio XII ha condannato questo genere di teologia con l'enciclica Humani generis (1950). Fra i teologi colpiti da questo verdetto era il Padre Henri de Lubac, promotore eminente della "Nuova Teologia". Giovanni Paolo II l'ha elevato al cardinalato in tal modo riabilitando ufficialmente la sua Nuova Teologia.
Cerchiamo, ora, di trarre le conclusioni derivanti da questa “Nuova Teologia”. Se si sostiene che la "nascita della Chiesa" implichi automaticamente la nascita dell'Uomo" (nella grazia), allora è evidente non solo che tutti siamo fratelli, ma anche che siamo già salvi indipendentemente dalla religione a cui apparteniamo e pure se siamo agnostici o atei. Il n.281, molto significativo, dell’enciclica Fratelli tutti lo sancisce in pieno: 
281. Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio. Perché «Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!»(2).
Appena prima, nell’enciclica Fratelli tutti, c’è una citazione molto significativa di Giovanni Paolo II:
272. Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità».
273. In questa prospettiva, desidero ricordare un testo memorabile: «Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. […] La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza» . 
Secondo Giovanni Paolo II, la dignità della persona umana è l’immagine visibile del Dio invisibile. Su cosa si fonda tale affermazione? Ebbene, si fonda sulla teologia della redenzione universale ed ha a che vedere con il compito compito della Chiesa. La teologia della redenzione universale implica uno sdoppiamento della rivelazione. Esiste, cioè, una rivelazione ontologica in cui nel momento dell’incarnazione ogni uomo è unito a Cristo, che lo sappia o no, ed una rivelazione storica a posteriori in cui Gesù rivela all’uomo inconsapevole, ma già unito a Cristo, l’immenso amore di Dio Padre, che sacrifica il Figlio per l’umanità intera. Appunto far conoscere questa rivelazione posteriore sarebbe il compito della Chiesa nel mondo.
Il cristiano non precederebbe dunque il non-cristiano nel possesso "dell'esistenza nel Cristo", in quanto essa deve essere comune a tutti gli uomini, ma goderebbe soltanto della conoscenza offerta e rivelata nel Cristo della natura vera e profonda dell'umanità dell'uomo. Faccio ancora riferimento all’egregio lavoro di don Dormann, che ricordo è del lontano 1994, per mettere in evidenza la continuità teologica tra Giovanni Paolo II e Francesco. La lettura della seguente lunga citazione fornisce la chiave di lettura non solo di Fratelli tutti, ma dell’intera pastorale di Francesco. 
La posta in gioco qui è nientemeno che una verità fondamentale del cristianesimo: si tratta del dogma del peccato originale, oggi oggetto di vive discussioni. La dottrina cattolica insegna che, a causa del peccato originale, Adamo ha perduto la somiglianza soprannaturale con Dio (similitudo Dei) e che la sua immagine naturale (imago Dei) è stata "ferita". La Chiesa insegna che per mezzo del sangue di Cristo l'uomo è stato oggettivamente liberato dal suo stato di natura decaduta (naturae lapsae) a causa del peccato originale, e l'ha stabilito, giustificandolo, nello stato di filiazione divina per grazia (Dz 793-796). La Redenzione è la Nuova ed Eterna Alleanza nel sangue di Cristo che egli ha versato per noi in remissione dei peccati, come la Chiesa professa ed annuncia ogni giorno con le parole del Signore nella S. Messa. 
Il cardinale proclama una cosa ben diversa: egli sostiene, infatti, che l'antica Alleanza "è stata distrutta a causa del peccato originale". Ma, secondo Wojtyla, tale "distruzione" non significa per questo che lo sarebbero state anche "l'immagine e la somiglianza con Dio". Tutt'altro. Secondo la tesi del papa, in ogni uomo fin dal primo momento della sua esistenza è presente, "in forma inviolabile", l'immagine e la somiglianza di Dio (Redemptor hominis 13, 3). Insomma, la prima, fondamentale, Alleanza di Dio con l'umanità è stata si distrutta a causa del peccato originale, ma non per questo l'uomo ha perduto la propria dignità di essere fatto a immagine e somiglianza di Dio". 
Con altrettanta chiarezza viene affermato che la seconda Alleanza, conclusiva e definitiva, che il Padre ha stretto con l'umanità nel Figlio, ripristina, completa, perfeziona e conferma la prima Alleanza che era stata distrutta, ponendola sul fondamento ancora più saldo della Redenzione. 
Questi aspetti di completamento, perfezionamento conferma della prima Alleanza per mezzo della seconda consistono nel fatto che Adamo, essendo a immagine e somiglianza di Dio, è stato anche reso partecipe dell' "essere in Cristo" in forma completa, perfezionata e confermata. Tale fu a priori, dal momento della creazione, l'apporto della prima Alleanza che doveva essere distrutta. Rimane il problema di comprendere quale concezione della storia della salvezza venga qui proposta. La risposta è fornita dallo stesso cardinale Wojtyla in questa proposizione di non facile comprensione: 
"L'uomo esiste "in Cristo", e così esisteva fin dall'inizio, nell'eterno disegno di Dio; ma è per mezzo della morte e della risurrezione che questa "esistenza in Cristo" è diventata un fatto storico, radicato nel tempo e nello spazio"(4). 
Dal punto di vista della storia della salvezza ciò significa che il dono dell'Alleanza, vale a dire "l'esistenza in Cristo", conferita a priori a tutta l'umanità nell' Alleanza di Adamo, diventa a posteriori un fatto radicato nella storia della salvezza. Evidente che qui viene proposta una particolare concezione non solo della prima Alleanza, ma anche della storia della salvezza. Il principio della "rivelazione sdoppiata" le determina entrambe. 
La conferma proviene da un'altra distinzione operata dal cardinale. Egli distingue tra "disegno di Dio", ovvero "l'Ordine divino, il modo divino di vedere l'uomo e il mondo", da una parte, e l'ordine e le visioni storiche delle cose, con le loro "categorie umane del tempo e dello spazio" dall'altra, queste ultime quasi completamente secondarie rispetto a tale Ordine divino (pag. 99). Su tale distinzione il cardinale si basa per affermare: "Tutti gli uomini, fin dall'inizio e fino alla sua fine [del mondo, N.d.R.], sono stati redenti e giustificati da Cristo e dalla sua Croce" (pag. 99). Ciò significa che, secondo il piano divino, Adamo è stato redento e giustificato a priori, esiste "in Cristo" e "possiede" l'esistenza in Cristo", è quindi già un "cristiano anonimo". Nel piano della salvezza quello che è a priori, diventa nella storia, a posteriori, un fatto radicato nello spazio e nel tempo. Anche in questa distinzione è evidente come il principio della "rivelazione sdoppiata" determini sia il carattere della storia della salvezza, sia quello della prima Alleanza. 
Possiamo quindi concludere dicendo che la seconda Alleanza, definitiva e finale, che il Padre ha stretto nel Figlio con l'umanità, è fondamento storico, conferma e rivelazione di quell'Alleanza che Dia per amore, aveva donato a priori ad Adamo, sua immagine Così ogni uomo, dall'inizio e fino alla fine del mondo possiede, oltre alla dignità di essere a immagine di Dio, anche quella dell'adozione divina per grazia, del Figlio, il Redentore, come vera umanità dell'uomo (Redemptor hominis 11, 4; 13, 3). Ogni uomo e "un cristiano anonimo" a priori, già all'atto della sua creazione. Nel corso della storia della salvezza ciò che è dato a priori diventerei a posteriori un fatto e una rivelazione storici, radicati nello spazio e nel tempo. Dovrebbe dunque essere chiaro che la "rivelazione sdoppiata" è il principio della teologia ell'Alleanza del papa Attraverso essa la tesi della redenzione universale viene ancorata alle fondamenta della teologia dell'Alleanza. È di là che la storia della salvezza e della rivelazione traggono il loro specifico carattere astorico. Il corso obiettivo della storia biblica diventa una "storicità" soggettiva ed esistenzialista. 

Una concezione d'insieme più universale della fede
La teologia dell'Alleanza di Karol Wojtyla, fondata sul principio della "rivelazione sdoppiata" conduce, per logica interna, ad una nuova concezione dogmatica della fede, in sé perfettamente coerente, vale a dire ad una teologia più universale: l'insegnamento più universale del papa annuncia il Dio di tutte le religioni, il Dio di Assisi. Questi è, per il papa, il "Dio di maestà infinita" e il "Dio dell'Alleanza". Creando Adamo e nello stesso tempo concludendo un'Alleanza con lui, Dio gli ha comunicato in maniera irrevocabile e indelebile l'intera pienezza del suo amore creatore e redentore. Grazie alla rivelazione del Nuovo Testamento il cristiano sa che il Dio della creazione e dell'Alleanza è il Dio trinitario: per il papa il Padre invia il Figlio e lo Spirito Santo nel cuore di ogni uomo. Così è espressa "la verità principale della fede": "Tutti sono creati da un Dio Creatore e tutti sono redenti da Cristo Redentore"(5).
Questa "verità principale della fede", che va intesa nel senso della redenzione universale contiene, in nuce, una concezione dogmatica nuova e più universale della fede. Secondo la cristologia più universale, il "Figlio di Dio la sua incarnazione si è unito (formalmente) ad ogni uomo”(6).
L'Incarnazione significa quindi non solo l'unione del Figlio con la natura umana in Gesù Cristo, ma anche l'unione formale del Figlio con ciascun uomo, con tutta l'umanità, dalla creazione fino alla fine del mondo. L'assioma della redenzione universale si radica dunque concretamente nel carattere universale dell'Incarnazione. 
La soteriologia più universale è già presente nella cristologia più universale: l'opera del Redentore è universale non solamente in senso oggettivo, ma anche in senso soggettivo: "Tutti gli uomini, fin dall'inizio del mondo e fino alla sua fine, sono stati redenti e giustificati da Cristo e dalla sua Croce". L'umanità non cristiana è un "cristianesimo anonimo". La frontiera tra cristiani e non cristiani nella questione della salvezza è stata rimossa. La distinzione tradizionale tra universalità oggettiva della Redenzione e giustificazione soggettiva viene lasciata cadere. 
La pneumatologia più universale si radica in questa cristologia e in questa soteriologia più universali: infatti "la dimensione piena del mistero della redenzione, nel quale Cristo è unito al Padre e ad ogni uomo" consiste nel fatto che egli continuamente comunica a tutti lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è presente ed è operante nei cuori di tutti gli uomini. 
La concezione secondo la quale Creazione e Alleanza sono concomitanti implica l'antropologia e la dottrina della grazia più universali: in ogni uomo è presente, infatti, indistruttibile, "l'immagine e la somiglianza con Dio" e ciascun uomo possiede la dignità inalienabile dell'adozione per grazia divina dell'uomo redento. Già a partire dalla prima Alleanza, il "dualismo" tra natura e grazia è stato per principio superato, poiché "ogni uomo, in virtù della sua stessa natura, è chiamato a partecipare ai frutti della Redenzione di Cristo, alla Sua stessa vita"(7). 
L'ecclesiologia più universale deriva direttamente dalla "verità principale della fede". L'aver riconosciuto che "la Chiesa del Dio vivente riunisce tutti gli uomini", ha indotto la Chiesa conciliare ("la Chiesa del nostro tempo"), "cosciente di questa verità e proprio nella sua luce [...] a ridefinire nel Concilio Vaticano II la propria natura"(8). Due differenze essenziali caratterizzano questa nuova concezione della Chiesa: 

1) Alla Chiesa del Dio vivente appartengono tutti gli uomini: essa è il Popolo di Dio, che riunisce tutti i popoli e tutte le religioni in pellegrinaggio verso la comune meta trascendente, come simbolicamente è stato espresso ad Assisi64. Essa è il corpo mistico di Cristo in seno lato, che, attraverso la sua Incarnazione, ingloba tutta l'umanità. È la Chiesa del "cristianesimo anonimo" che ancora non è divenuta cosciente della propria essenza. 

2) Vi è anche una concezione più limitata della Chiesa. A questa Chiesa in senso ristretto appartengono tutti i cristiani che sono coscienti della propria identità cristiana. Ne consegue che "al Popolo di Dio della nuova Alleanza appartengono [...] tutti coloro che credono in Cristo". Tutti i cristiani formano "nella comunione del Popolo di Dio il corpo di Cristo". In sintesi, questa Chiesa formata da tutte le Chiese e comunità ecclesiali è "la Chiesa ecumenica". Una di esse è la Chiesa conciliare, che, a partire dal Concilio Vaticano II, ha ridefinito la propria essenza in questo modo: "La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unita di tutto il genere umano" (Lumen gentium 1,1). 

Questa nuova definizione dell'essenza della Chiesa è, anche per il papa, la definizione chiave della Chiesa del Concilio, da intendere precisamente nel senso seguente. Essere "segno di unità" per tutto il genere umano significa che "tutti gli uomini sono abbracciati da questo sacramento dell'unità. Essere lo "strumento" dell'unione di tutto il genere umano vuoi dire che la missione della Chiesa è far conoscere all'umanità la sua unione nel Cristo, che già ontologicamente esiste in forma latente, annunciandogliela, avvicinandogliela e rendendola consapevole di essa.
La teologia più universale del papa fornisce un "nuovo criterio" per l'interpretazione del mondo: "La coscienza della paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, "figli nel Figlio", della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo". 
L'obiettivo dichiarato di questo pontificato [di Giovanni Paolo II ndr] è di pervenire, grazie a questa teologia, all'unità della Chiesa, all'unità della cristianità, all'unità fra tutte le religioni e di tutta l'umanità - nel “Dio di Assisi". Il culto reso a questo Dio è per il papa "prefigurazione di come Dio vorrebbe avesse corso la storia dell'umanità, "la prefigurazione di un mondo di pace". 
La questione decisiva per il cattolico è di sapere se egli possa scorgere, al pari del papa, in questa "nuova visione più universale" della fede che il Vaticano II ha donato "alla Chiesa di domani", la vera universalità della fede cattolica, una sintesi più profonda e più completa dell'antica fede, o, al contrario, una rottura con la Tradizione e una fede sostanzialmente nuova; se egli possa senza riserve di ordine dogmatico seguire il papa fino alla "montagna mistica" di Assisi, oppure, di fronte ad essa, debba tirarsi indietro spaventato. 
Nella citazione è nominato il punto 13 della Redemptor hominis, prima enciclica di Giovanni Paolo II. In tale punto la doppia nozione imago-similitudo Dei occupa un posto eminente, e in un contesto in grado di fugare ogni serio dubbio sul senso esatto del ragionamento, e di esprimere in modo chiaro e inequivocabile la tesi della redenzione universale. Eccone il testo: 
Qui, dunque, si tratta dell'uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell'uomo «astratto», ma reale, dell'uomo «concreto», «storico». Si tratta di «ciascun» uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. Ogni uomo viene al mondo concepito nel seno materno, nascendo dalla madre, ed è proprio a motivo del mistero della Redenzione che è affidato alla sollecitudine della Chiesa. Tale sollecitudine riguarda l'uomo intero ed è incentrata su di lui in modo del tutto particolare. L'oggetto di questa premura è l'uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso. Il Concilio indica proprio questo, quando, parlando di tale somiglianza, ricorda che «l'uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa». L'uomo così com'è «voluto» da Dio, così come è stato da Lui eternamente «scelto», chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio «ogni» uomo, l'uomo «il più concreto», «il più reale»; questo è l'uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre. 
Ed ecco il commento di Dormann: 
tutto questo testo potrebbe essere inteso e interpretato nel senso del dogma cattolico, fino alla frase ove si dice che l'immagine (imago) e la somiglianza con Dio (similitudo), dell'uomo con Dio rimangono intatte. È questa l'idea nodale di tutto il passo. Si potrebbe senza difficoltà dire con la dottrina tradizionale che "ogni uomo concreto" è "incluso nel mistero della Redenzione", ch'egli è "per sempre, attraverso questo mistero" "unito" a Gesù Cristo e che ogni uomo "a causa del mistero della Redenzione" "è affidato alla sollecitudine (curae) della Chiesa". Ma non si può, per la dottrina tradizionale, sostenere che nella "realtà unica ed impossibile a ripetere" di ogni "uomo reale, concreto, storico" "permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso", dal momento che il dogma del peccato originale insegna la ferita infetta all'imago e la perdita della similitudo Dei nella realtà concreta di ogni uomo (qui). La redenzione presuppone la condizione di peccato nella quale ogni uomo si trova dopo la colpa originale, condizione che viene cancellata attraverso la giustificazione del peccatore. Il Concilio di Trento definisce la giustificazione "come il passaggio dallo stato in cui si trova l'uomo, nato figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio, ad opera del secondo Adamo Gesù Cristo nostro Salvatore" (Dz 796) (qui). È evidente che la frase decisiva dell'enciclica - la quale afferma che nella realtà unica ed impossibile a ripetere, di ogni uomo concreto "permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso" - è inconciliabile con il dogma della Chiesa. 
Questa affermazione è in diretta contraddizione con l'insegnamento del Concilio di Trento sulla giustificazione. Secondo tale Concilio, invero, essa consiste nel fatto che l'uomo passa dallo stato in cui si trovava come "figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio per mezzo del secondo Adamo". La formulazione della prima enciclica, secondo la quale nella "realtà unica e irripetibile" di ogni uomo, "permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso" (integra permanet), va ben al di là del testo del Concilio che parla di una similitudo deformata. Ma non basta. L'affermazione che in ogni uomo dall'istante del suo concepimento integra permanet imago et similitudo Dei ipsius, fa pensare al dogma dell'Immacolata Concezione! 
È bene comprendere, allora, che la teologia fondante l’appello di Abu Dabhi o l’enciclica Fratelli tutti non è originaria di papa Francesco, ma affonda le radici nelle variazioni subite dalla Chiesa nel CVII e nel post concilio ed è con essa in perfetta continuità. Altrimenti, si rischia di prendere fischi per fiaschi… [che peraltro non si sono fatti attendere: vedi. Quando si guardano le luci e non si vogliono vedere le ombre -ndr]
Andrea Mondinelli
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1. Giovanni Paolo II parla dell'unità di tutto il genere umano nel Cristo nell'enciclica Sollicitudo rei socialis: "Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini nel Cristo, "figli nel Figlio", della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo". (Sollicitudo rei socialis, § 40). Il punto saliente della concezione che il Cardinale ha della storia, è che il piano divino eterno della redenzione, che abbraccia tutti gli uomini, è già, in modo misterioso, una realtà nella storia
2. Dal film Papa Francesco. Un uomo di parola. La speranza è un messaggio universale, di Wim Wenders (2018).
3. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 44: AAS 83 (1991), 849
4. Segno di contraddizione, cit., pag.103
5. Giovanni Paolo II, Allocuzione al clero di Roma (in occasione del secondo sinodo della diocesi di Roma dopo il Vaticano II) in OR, tedesco 8.3.1991: "Il Concilio Vaticano II, come documento complessivo comprendente molti documenti singoli di vario carattere, è un grande progetto magisteriale e pastorale per la Chiesa del futuro. Nutro la certezza, nel profondo della mia coscienza, che esso fu opera dello Spirito Santo che ci ha assistito, che ci ha aiutato ad attuare questo Concilio e ad esprimerci in quell'ora in quel modo... Il nostro Sinodo è diverso, esso non può essere uguale al primo. Esso deve essere diverso a motivo del Concilio Vaticano II, perché il Concilio ci ha dato una nuova visione della Chiesa, una visione più adeguata, più aperta all universalità del Popolo di Dio: universalità cattolica, che si realizza in certo qual modo in tutta l’umanità, perché tutti gli uomini hanno lo stesso Creatore e lo stesso Redentore. Tutti sono creati da Dio Creatore e tutti sono redenti da Cristo Redentore. Cosi l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II trova alla fine la sua chiave di interpretazione in questa verità principale della fede. Questa pone molti problemi di ordine ecumenico, relativi al dialogo con le altre religioni e tradizioni spirituali, con tutte le condizioni di vita dell uomo, con tutto il mondo contemporaneo, in varie dimensioni."
6. Karol Wojtyla, "Segno di contraddizione", Milano, 1977, ed. Vita e Pensiero, pag. 115 7. Così Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Euntes in mundum, I, 2 (DC 85, 1988, p. 384). 8. Karol Wojtyla, "Segno di contraddizione", Milano, 1977, ed. Vita e Pensiero, pag. 26.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Aperta ( Questa visione di GPII modernista, CVIIista, cozza con il miracolo del suo essere sopravvissuto all'attentato. O Maria Santissima ha sviato la pallottola o l'ha sviata qualche altro. Attenzione.) e chiusa la parentesi.

Anonimo ha detto...

Solo apparentemente OT perché rientra nella mens della neo-chiesa...

Paglia consulente del governo "per lo studio di iniziative volte a migliorare la qualità della vita degli anziani."
Evidente, il ministro ateocomunista vuole l'imprimatur del Vaticano per la sua legge sull'eutanasia...

Anonimo ha detto...

Chi riesce a vedere attraverso e dietro le parole scritte le reali intenzioni, le passioni (e spesso le patologie) dello scrivente e di chi gli suggerisce, leggerà nella più o meno lunga enciclica "Fratelli tutti" sempre e solo lo stesso messaggio: castratevi.

Anonimo ha detto...

I volantini distribuiti nel 68 nelle università dai maoisti scappati di casa oggi sono diventati enciclica.

Anonimo ha detto...

La "Fratelli tutti" è un vero e proprio invito all'apostasia!
Una sola risposta è possibile dare a Bergoglio: se si salvano anche gli atei ed i membri delle altre religioni allora si salvano anche i cattolici che rigettano la "Fratelli tutti" e tutti gli altri insegnamenti bergogliani.
Bergoglio, con questa enciclica, ha cestinato il proprio intero "magistero"!

Catacumbulus ha detto...

Cit.:
"Tutte queste proposizioni di fede della Chiesa sulla redenzione dell'umanità si rapportano all'universalità oggettiva del piano divino redentore. Quanto al lato soggettivo della redenzione, che vien trattato come fosse dogma sotto il titolo di "giustificazione del peccatore", il testo conciliare ben interpretato non dice parola. Tuttavia si tratta di una distinzione capitale sia per il nostro argomento che nell'insegnamento della Chiesa".

Noto che questo lampante esempio di "appiattimento monodimensionale" di una verità complessa e articolata è uno dei tipici modi in cui si realizza l'ambiguità gnostica propria dell'essenza del modernismo. Tanto per fare un esempio, altrettanto fondamentale, ricordo la mancata distinzione in "Dignitatis Humanae" tra "foro interno" e "foro esterno", ciò che fornisce la base per sdoganare il riufiuto della dottrina tradizionale sulla libertà religiosa.

A mio avviso il guadagno indispensabile che un futuro Magistero ortodosso dovrà realizzare sul piano teologico, onde giungere a superare il modernismo, è l'elevazione del mezzo e del metodo a caratteristica essenziale, e non accidentale, del modernismo stesso. In questo modo il metodo-essenza del modernismo (il linguaggio volutamente ambiguo) assurgerà ad elemento oggettivo direttamente imputabile d'eresia, alla stessa stregua di un'affermazione dogmatica manifestamente falsa. Fino a che non si arriverà a questo, i modernisti avranno sempre un doppio vantaggio decisivo: l'uso imperterrito dell'ambiguità (che come extrema ratio consente sempre un agile gioco di difesa: possibilità di interpretazione ortodossa per non averla esplicitamente esclusa) e la storia stessa del cumulo di ambiguità che giustificano lo scarroccio ulteriore, ossia il progresso in nuove e più gravi ambiguità, che, appunto, senza il cumulo di quelle precedenti sarebbero ingiustificabili.

L'uomo si danna o si salva nella pratica (rispetto alla qualità morale delle sue azioni pratiche), non nella teoria, dunque è chiaro perché a costoro non importa nulla della logica rigorosa... e in questo trovano, purtroppo, la quadratura del cerchio...

Anonimo ha detto...

Oggetti di culto, venerati dai maestri di 'formidabili quegli anni' eh, già, canne gratis, sesso gratis e senza responsabilità alcuna, promozioni a pioggia di somari conclamati et voilà les jeux sont faits : W il 68!.....per chi ha voglia e coraggio di scorrerla, leggo che si autosbrodola o cita 180 volte, considerando che è la lunghezza del documento, una volta per ogni pagina, dai commenti, non dei soliti tradizionalisti testoni,pare sia uno spot pubblicitario mondialista male scritto e male esposto in ogni senso, scendono in campo fior fiore di analisti, politologi, esperti in vari campi finanziari ed altro, che dicono tutti la stessa cosa, in sintesi FT è la corazzata Potemkin, e stavolta non sono i soliti gruppi di nostalgici tutti pizzi e merletti ed altre carinerie che ti fanno ingoiare solo perché non ti metti a tappetino davanti all'idoletto panamazzonico e ai suoi padrini, la gran loggia spagnola.......sapete che solo in Catalogna ce ne sono ben 240? E allora di che ci si stupisce, anche les frères Français hanno espresso soddisfazione...... quelli anglo scozzesi mai si abbasserebbero con i papisti.....

Anonimo ha detto...

ERRORE: "l'universo,le creature e tutti gli esseri umani sono UGUALI per la Sua Misericordia"? Non considerando ora il panteismo implicito che si può ricavare NON si è uguali per misericordia ma uguali per creazione natura umana, uguali come genere umano, anche se non cloni, siamo diversi infatti. Siamo uguali anche per dono della Redenzione che è stata compiuta a favore di tutti, ma SE accolta. Siamo uguali per santificazione? NO, offerta a tutti NON viene accolta da tutti. SE NON accolta serve a NULLA. Dato di fatto incontrovertibile.
"la fede in Dio e la fede nella fratellanza" NON sono due fedi, io credo e quindi amo in Dio in fratelli anche se mi sono poco piacevoli, ma li amo perchè amo Dio , per la UNICA fede in Dio.
"In lui (Lui) la natura umana assunta ma non annientata per cui per ciò stesso in noi innalzata" nel riconoscimento di essere noi dei? La natura umana deprivata dal peccato originale, è assunta da Cristo,vissuta in santità, innalzata con Croce e TRASFORMATA NELLA RISURREZIONE: non è più la stessa nel Corpo risorto. Non la risurrezione ma la morte è quella che compie la REDENZIONE, la risurrezione è un fatto innato della natura Divina di Gesù che ci induce alla speranza ed alla fede, ma il Sacrificio è quello che ci salva espiando in modo vicario. La natura umana è riscattata ed innalzata SE accoglie la Grazia santificante, lo stesso Spirito Santo di Gesù. Accoglie vivendo la santità volendola.
Siamo tutti creati dalla stessa Trinità, redenti dalla stessa Trinità tramite Gesù, MA non tutti santificati e per il libero arbitrio di rifiutare. Che Dio sia in ogni uomo in questo tempo è un dato di fatto affermato anche da santa Teresa d'Avila, ma in modalità maggiore o minore, o come morto, sempre per scelta individuale. Il peccato contro lo Spirito Santo poi separa da Dio già in questo tempo, sono parole di Gesù.

Anonimo ha detto...

Errato che Gesù"svela l'uomo a ogni uomo", svela il disegno di Dio su ogni uomo a ogni uomo, con l'annuncio evangelizzante dei Suoi. L'INCARNAZIONE è un fatto storico indipendente dal peccato originale, previsto da Dio, MA il peccato originale ha preteso il Sacrificio e la Morte, quindi NON stava nel progetto di Dio ma nella Redenzione necessaria a causa del peccato che ha degradato la natura. Quindi non sono la Morte e Risurrezione il fatto storico, che invece sono il fatto storico MUTATO da Dio per riparare.Adamo figlio di Dio, come scritto nella genealogia di Gesù, non era da redimere prima del peccato originale. Ogni anima è creata per Dio in un contenitore, vaso deperibile che dovrà trasformarsi in glorioso o dannato, per scelta propria. Ogni uomo è scelto da Dio anche nell'immagine degradata MA deve volerlo, e l'immagine non redenta NON è intatta: proprio NO.
Si potrebbe parafrasare che Colui che ci ha creati senza di noi, salvati e redenti senza di noi, NON ci santifica senza di noi.Ad immagine di Dio è la libertà di ognuno DONATA davanti a cui Dio si ferma su questa terra ed in questo tempo. E per accogliere la Redenzione si deve chiedere, pentirsi del male, vivere con le opere la fede nel vero Dio. E se non si è ignoranti invincibili la Grazia santificante si ottiene solo ed esclusivamente attraverso i canali sacramentali, filo diretto con Dio, attraverso la Sua Chiesa, vera ed UNA, e non impostura anticristica. Dio chiama tutti ma chiama tutti nella Sua Chiesa, un solo Ovile con un solo Pastore. Il dio massonico invece accetta tutti e vuole tutti peccatori.

Anonimo ha detto...

Cascioli (nuova bussola quotidiana) di tutt'altro parere:

https://www.lanuovabq.it/it/fratelli-tutti-visione-opposta-a-giovanni-paolo-ii

L'ago della bussola non è forse un po' disorientato?

Anonimo ha detto...

Ogni anima è creata da Dio per Sè, come tabernacolo, libera di rifiutarLo; Dio rispetta il libero arbitrio, dono anch'esso di Dio. Il corpo degradato dal peccato originale accoglie un'anima perfetta creata in quell'istante da Dio, e l'anima resta limitata da un corpo non perfetto, degradato dal peccato originale. Dal peccato ci libera il Battesimo ma restano i fomiti che dobbiamo vincere personalmente con l'aiuto di Gesù. Quindi senza Battesimo restano fomiti e tara originale e peccato che si trasmette per generazione, dogmaticamente stabilito dal concilio di Trento. Parlare di concezione immacolata per ogni uomo per Redenzione "salva tutti" a priori e posteriori è blasfemo, non per nulla Giuda è per loro santo dato che era "necessario" alla salvezza universale, quindi anche Bergoglio con le sue pachamame incinte e nude ripescate nel Tevere, col priapo sdraiato in posizione erotica, sono necessari in tal pedagogia satanica onde farci tutti liberi da Gesù Cristo sotto l'ampia manica di Lucifero e suoi servi. Quest'uomo va dichiarato per ciò che è: servo di Satana.

mic ha detto...

L'ago della bussola non è forse un po' disorientato?

Infatti per questo avevo messo il link in conclusione dell'articolo quando Mondinelli accenna a che si possano prendere fischi per fiaschi (che non si sono fatti attendere)....

Anonimo ha detto...

Se Cascioli e compagnia cantante accettassero la, per altro evidente, continuità tra GPII e Bergoglio sarebbero costretti a riconoscerne, anche, la paternità conciliare.
Non sia mai... Anatemaaaaaa

tralcio ha detto...

Il capitolo 10 del vangelo di San Luca ci consegna in questi giorni il parere autorevole di Gesù su alcune questioni di attualità.

Gesù invia 72 discepoli a preparargli l'incontro nelle città che sta per visitare.

Li manda come agnelli in mezzo ai lupi ad annunciare che il Regno di Dio è vicino.
Quindi sono inviati con un compito preciso e sapendo che il contesto è ostile.
Eppure li invia come ambasciatori di pace, spiegando che cosa fare se non accolti.

Il gesto non è dei più carini: scuotere contro di loro la polvere dai calzari;
con un surplus di sentenza non bene augurante, rimandando alla sorte di Sodoma...
Addirittura, a differenza di chi invece si è convertito, di precipizio agli inferi...

Insomma Gesù invia i 72 con le idee chiare e ha le idee chiare sulle conseguenze. "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato".

Quando i 72 tornano colmi di gioia (evidentemente quando si ascolta Gesù le cose vanno bene...) Gesù stempera subito gli entusiasmi per il successo mondano: "Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli".

E poi parla di una "piccolezza" molto particolare: di quelli che non bastano a se stessi, ma si sentono loro stessi bisognosi di tutto. Di questi gioisce Gesù: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli".

Tutta l'opera dei 72 e anche i servizi resi (guarire i malati, liberare dagli spiriti...) va a finire lì, nella rivelazione: "Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". Beato chi capisce questo.

...

tralcio ha detto...

...

E' allora che un dottore della legge vuole sfidare Gesù. Lo chiama Maestro, ma gli fa una domanda da catechismo su come avere la vita eterna. Gesù non casca nella provocazione e ribalta i ruoli, facendosi dire il catechismo dal dottore, che risponde da manuale: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso".

Attenzione: Gesù dice: BENE, fa questo e vivrai (ETERNAMENTE).
Dunque Gesù non dice "solo" di "amare il prossimo", ma di amare il prossimo a motivo di Dio, con tutto noi stessi, di cui l'amore al prossimo è l'altra faccia della medaglia.

Dato che il dottore pare senza dubbi sull'amare Dio (oggi forse i dottori scarseggiano), ma si pone una domanda su chi sia il suo prossimo (o su chi la legge stabilisca essere il prossimo), Gesù sfodera la famosa parabola in cui, tra Gerusalemme e Gerico, in Giudea, area ostile ai samaritani, l'unico a fare "bella figura" su questo comandamento è un "senza Dio".

Gesù voleva forse dire che i "senza Dio" hanno ragione ad esserlo?
O voleva dire che anche i "senza Dio" possono essere prossimo di qualcuno?
Il buon senso dice la seconda.

Gesù smaschera una certa resistenza del dottore a convertirsi al vangelo in cui il buon Samaritano, il prossimo di tutti, è proprio Gesù. E' Dio, anche per chi non lo riconosce prossimo a farsi prossimo. A pagare, promettendo di saldare il conto al suo ritorno.

La prossimità è compassione nel momento in cui qualcuno è messo in croce dalla storia.
Ma la parabola vuole spostare il centro da "chi è il mio prossimo" (un oggetto rispetto a me) a "sii tu prossimo di qualcuno" (quindi su me come soggetto di prossimità).
Questo è il cristianesimo, a motivo dell'amore a Dio "con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente".

Quale Dio? Quello rivelato da Gesù, Padre e Figlio.

Signori massoni, non avete ancora capito che la fratellanza è solo questa?
Reverendi prelati con simpatie massoniche, possibile che il vangelo vi dica così poco?

lorenz ha detto...

Le su riportate osservazioni di Mondinelli con la chiave di lettura delle citazioni di scritti del Dormann in questo frangente spingono a trarre certune conclusioni non più procrastinabili: da metterne, cioè allora in gioco, non solo un'indeterminatezza dunque di una certa idea di redenzione universale soggettiva, ma e anche poi quel modo di ipostatizzare il concetto già che naturale dell'umano quale che allora ne deriva. Viene da domandarsi se al di qua poi dell'esito ben redentivo, anche già la considerazione che si dà per scontata dell'umano in base allo schema storico dei diritti universali del cittadino non vi vada qui pur riconsiderata: siamo sicuri che quella soglia di una dignità umana che vieterebbe assolutamente di prevedere una pena di morte sia un dato da assumere comunque solo per scontato? Oppure si potrà dare una scansione analogica secondo cui pur essendo comunque uomo, qualcuno smetta di esservi più integramente "un" uomo perché si sia intanto degradato al punto di originariamente aver messo in moto una situazione che poi conduca altre creature a far ricorrere all'aborto? In passato la depenalizzazione del delitto d'onore, e anzi una stessa specifica pena di morte, hanno potuto essere non altro che il tentativo estremo e insostituibile di ovviare a quell'altrimenti inesorabile ricaduta nel meccanismo universalmente precristiano di sfogare le tensioni irrisolvibili sacrificando satanicamente i nascituri; quanto che poi siamo invece ritornati a fare oggi, da una parte apparentemente assolutizzando i diritti umani di tutti quanti gli adulti, ma e contemporaneamente allora però cancellando pur quindi indiscriminatamente anche poi solo la possibilità di una considerazione umana dei nascituri per loro stessi.
Insomma, gli appunti ermeneutici di Dormann danno da pensare: paradossalmente potrebbero tenere in gioco un margine residuale di ricezione semmai ipotizzabile delle apparenti prese di posizione così apodittiche sulla pena di morte presenti in questa ultima stupefacente enciclica, ma e lo terranno allora quindi in gioco solo a prezzo di alzare però il tiro a veramente ben esercitare un allora maggiore distanziamento critico dalla summenzionata concezione, inadeguatamente conciliare, di una redenzione universale invariabilmente soggettiva.
Ci si ritrova con le spalle al muro, fino a prova contraria.