Nella mentalità attuale, successiva al concilio Vaticano II, la “concelebrazione” consiste nel porre in atto una celebrazione in cui diversi sacerdoti “con una sola volontà e una sola voce e con un unico atto sacramentale compiono e offrono insieme l'unico sacrificio e insieme vi partecipano” (Decreto SCR Ecclesiae semper, 7/3/1965).
Nel Nuovo Testamento non vi è un solo elemento che permetta di parlare di una simile “concelebrazione” intesa nel senso datogli dal citato decreto.
Al II secolo risale uno scritto di sant'Ignazio di Antiochia da alcuni inteso come prima attestazione di “concelebrazione”, eccolo:
“Procurate di partecipare ad un'unica Eucaristia; poiché una è la carne del Signore nostro Gesù Cristo, uno è il calice che ci unisce nel sangue di lui, uno è l'altare, come uno è il Vescovo, circondato dal collegio dei presbiteri e dai diaconi, miei compagni di ministero“ (Lettera ai Filadelfi, 4). In sant'Ignazio, come può ben vedersi, non vi è però nessun elemento che permetta di stabilire che i presbiteri facessero qualcosa di diverso dai diaconi, ma, anzi, le parole stesse di sant'Ignazio escludono chiaramente che i presbiteri che attorniavano il vescovo, facessero qualcosa di diverso dai diaconi (ma anche da tutto il popolo). I presbiteri citati da san'Ignazio dunque non “concelebrano” affatto come alcuni sostengono se per “concelebrazione” si intende ciò che intende il succitato decreto. In antico “concelebrare” significava solo essere uniti al celebrante, essere con-il-celebrante. Per capire correttamente l'argomento bisogna dunque chiarire bene il concetto di “concelebrazione”. Oggi, come si evince dal decreto citato, essa consiste in quella che definiamo “concelebrazione sacramentale”; ma in origine la concelebrazione era solo “cerimoniale”. Tale distinzione tra concelebrazione sacramentale e cerimoniale è stata introdotta a inizio Novecento da un liturgista ma ci è utilissima per capire bene la questione, perché tra le due modalità di concelebrazione c'è un'enorme differenza. Tale distinzione da alcuni è respinta perché di introduzione moderna ma è invece utilissima per comprendere la questione visto che tra la “concelebrazione” arcaica e quella moderna c'è una differenza abissale. Non si tratta di applicare al passato concetti moderni, come qualcuno afferma, ma si tratta di usare un metro di valutazione, anche se creato solo di recente, per capire bene il passato.Anche nella lettera ai Corinti di san Clemente, della fine del I secolo, non vi è nessun indizio che ci possa portare a pensare che i presbiteri facessero qualcosa di uguale a quello che faceva il vescovo e quindi qualcosa di diverso da diaconi e popolo, come sarebbe la concelebrazione sacramentale. In san Clemente infatti il solo sommo sacerdote (il vescovo) è definito detentore di “particolari uffici liturgici” mentre dei presbiteri dice solo che ad essi “è stato assegnato un incarico specifico e ai leviti incombono propri servizi”.
All'inizio del III secolo la clericalizzazione del culto inizia a manifestare i primi segnali: a Roma Ippolito (Tradizione Apostolica, c. 4) ci informa che i presbiteri stendono tutti le mani sulle oblate, ma specifica che la preghiera eucaristica è detta dal solo vescovo, e non poteva esser diversamente visto che non essendoci ancora un testo unico né libri liturgici, ogni volta l'anafora poteva essere diversa perché tramandata oralmente. Agli inizi del III secolo dunque noi incontriamo una prima azione che i presbiteri compiono di diverso da tutti gli altri (diaconi e popolo): stendere le mani, anche se in completo silenzio.
Ancora verso il VI-VII secolo il Liber Pontificalis dice solo che i presbiteri stanno in piedi davanti al vescovo e alla fine da questo vengono comunicati (Louis Duchesne, Liber Pontificalis, 2 voll. Parigi 1886-1892, vol. I, 1886, 139).
È solo alla fine dell'VIII secolo che abbiamo la prima testimonianza inequivocabile di una concelebrazione sacramentale: l'Ordo Romanus III infatti afferma che i cardinali tengono in mano tre oblate che consacrano contemporaneamente, e ciò avveniva solo 4 volte all'anno (Natale, Pasqua, Pentecoste, 29 giugno).
La concelebrazione sacramentale cioè consiste in una degenerazione della primitiva concelebrazione ed è frutto della clericalizzazione del culto: i presbiteri si arrogano di fare gesti e compiere azioni che fino ad allora non avevano mai fatto perché la “concelebrazione antica consisteva in una semplicissima assistenza, ciascuno nel proprio ruolo, all'azione sacramentale posta in essere dal solo vescovo.
Nel XIII secolo la concelebrazione sacramentale decade restandone qualche debole traccia solo nella ordinazione dei sacerdoti e più ancora nella consacrazione dei vescovi, anche se non è del tutto chiaro se i presbiteri neo ordinati e più ancora il vescovo neo consacrato, attuino realmente una concelebrazione sacramentale vera e propria.
La cosiddetta concelebrazione sacramentale è dunque nata verso la fine dell'VIII secolo, non è pertanto antichissima ed è frutto di decadenza liturgica e di clericalizzazione della liturgia.
Ritornando all'affermazione di san'Ignazio noi possiamo dire che la celebrazione eucaristica in cui agisce un solo sacerdote è più conforme allo spirito della liturgia dove uno è il Corpo di Cristo, uno il calice, uno l'altare, uno deve essere pure il vescovo (o il sacerdote che lo sostituisce) che agisce in persona Christi. La motivazione addotta dall'ultimo concilio per giustificare la concelebrazione e cioè che essa “manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio” (SC 57) è frutto di una mentalità ancor più decadente e pure aberrante perché usa la liturgia in modo strumentale a vantaggio del clero. La motivazione del Vaticano II è figlia di una inaccettabile mentalità non solo clericale ma addirittura clericocentrica.
La concelebrazione in cui il clero sta da una parte dell'altare e i fedeli laici dall'altra parte costituisce per questi una vera mortificazione liturgica del loro sacerdozio comune. Le gravi problematiche causate dalla concelebrazione sono riconosciute dagli stessi modernisti che ammettono proprio come le concelebrazioni “producono non di rado un certo disagio tra i fedeli i quali si sentono sopraffatti dall'assemblea clericale” (M. Augé, Nuovo Dizionario di Liturgia, ed. Paoline, 1984, pag. 268). La liturgia deve essere la nostra guida nel capire la liturgia stessa. Il giovedì santo il rito antico stabilisce che la messa in Coena Domini debba esser celebrata dal decano della chiesa e tutti gli altri presbiteri vi partecipano al pari di ogni altro fedele. Uno è Cristo, uno è il Sacrificio, uno è l'altare, uno solo deve essere il sacerdote che agisce in persona Christi. Che la "concelebrazione sacramentale" sia una degenerazione latina lo dimostra bene pure il fatto che essa è sconosciuta nel rito bizantino dove la concelebrazione è puramente cerimoniale, nel senso che solo un sacerdote pronunzia l'anafora e i gesti consacratorî. Gli altri sacerdoti parati eventualmente presenti hanno un puro ruolo cerimoniale (come i canonici parati alla messa pontificale romana), e al massimo pronunziano le ecfonesi al termine delle litanie diaconali minori, o svolgono il ruolo del diacono se assente. La partecipazione di tali sacerdoti parati è di solito limitata alle grandi feste e ai pontificali. Il termine "concelebrare" (συλλειτουργέω) è usato indistintamente anche per il diacono e i servienti. (m.g.) Fonte: Lo Spigolatore romano
10 commenti:
Non sarà qualcosa che viene dal mondo protestante? Solo con il Cardinale Bea si fecero per la Chiesa cattolica i passi decisivi verso l ecumenismo.
Lo spigolatore romano non cita mai la Mediator Dei di Pio XII, che non è certo favorevole alla Concelebrazione. Inoltre, per ciò che riguarda il Vaticano II, la c.d. "clericalizzazione" non c'entra. Il Concilio mostra di favorirla perché include ambiguamente i fedeli nella offerta eucaristica, alla pari del sacerdote officiante. Introduce un concetto errato di sacerdozio comune o dei fedeli, interpretando erroneamente la famosa frase di S. Pietro, che si limita a ripetere i titoli di onore che l'AT dà al popolo eletto in quanto appunto eletto da Dio ("popolo di Dio", "stirpe regale"..).
Nell'ottica del VAticano II, ogni Messa è una "concelebrazione" di sacerdote e fedeli, considerati anch'essi (impropriamente) sacerdoti.
Il VAticano II ha fatto proprio un errore già condannato da Pio XII nella Mediator Dei e in altri suoi interventi sulla liturgia.
Vedere le recenti dichiarazioni del card. Roche sull'Offerta Eucaristica.
T.
Certi commenti, qui come altrove, fanno pensare agli spigolatori romani che parlare di liturgia e di storia liturgica oltreché di ortoprassi è solo tempo perso. Si afferma che ad includere "ambiguamente i fedeli nella offerta eucaristica" sia stato il concilio. Eppure se si guarda il canone romano vi leggiamo "pro quibus tibi offerimus vel qui tibi offerunt hoc sacrifiucium"! Il canone cioè afferma che il popolo "OFFRE". Lo stesso testo dell'orate fratres parla di "meum ac vestrum sacrificium". Quanta ignoranza liturgica che abbiamo! E dall'alto della nostra ignoranza ci permettiamo pure di giudicare! Poveri noi! Donfi.
Il commentatore accusa lo spigolatore romano di non citare la Mediator Dei. Lo accontentiamo subito: "si deve inoltre affermare che anche i fedeli offrono la vittima divina, sotto un diverso aspetto.
Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori della Chiesa. «Non soltanto - così Innocenzo III di immortale memoria - offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio - egli dice - è offerto principalmente in persona di Cristo. Perciò l'oblazione che segue alla consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da Cristo e offre insieme con Lui».
Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico significano e dimostrano che l'oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo l'offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente: «Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto presso Dio Padre Onnipotente», ma le preghiere con le quali viene offerta la vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto Sacrificio. Si dice, per esempio: «per i quali noi ti offriamo e ti offrono anch'essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu stesso ci hai donato e date, l'Ostia pura, l'Ostia santa, l'Ostia immacolata».
Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del «carattere» che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo". Donfi.
Caro Donfi, grazie per le precisazioni.
Faccio presente che la questione si pone nei termini spiegati qui
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/p/notazioni-sul-catechismo-della-chiesa.html
Replica di T.
Si cita la Mediator Dei in modo scorretto.
Pio XII precisa che l'offerta dei fedeli non è uguale a quella delsacerdote officiante, è fatta solo "in voto", spiritualmente. È una partecipazione spirituale solamente. È un'offerta "diversa ratione" rispetto a quella del sacerdote.
INfatti la MD dice che i fedeli offrono "in certo modo" (quomodo) anche insieme con lui. Ciò significa che il popolo "offre" solo nel senso che "unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espaizione e il suso ringraziamento alla intenzioen del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote..".
La distinzione è caduta con la Sacrosantum Concilium e per le note ragioni.
T.
# Ancora sulla Mediator Dei mal interpretata -1
La stessa citazione in italiano del commentatore che mi accusa di ignoranza, si inizia in questo modo: "...anche i fedeli offrono la vittima divina, sotto un diverso aspetto" (...at praeterea christifideles etiam divinam offerre hostiam, diversa tamen ratione, dicendi sunt). La chiave ermeneutica valida sta tutta in quel "sotto un diverso aspetto", diversa tamen ratione, che il suddetto commentatore trascura.
Questa "ratio diversa" Pio XII la illustra nel prosieguo della MD.
Infatti, tra gli errori diffusi dal Movimento Liturgico c'era anche quello di voler considerare l'offerta euc. del popolo fedele allo stesso livello di quella del sacerdote officiante, insomma di elidere la differenza tra sacerdozio vero e proprio e quello detto "comune" dei fedeli, che deriva dal battesimo e non comporta una mutazione nella personalità come nel caso del sacerdozio sacramentale o gerarchico, imprimendo il Sacramento dell'Ordine un "carattere" indelebile, con i poteri annessi, che il fedele laico non può avere.
"Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine "offerta" (offerendi vocem). L'immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull'altare in stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli.
Ponendo però sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A questa oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito (suo modo) e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo (quodammodo), anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico". (segue, per la conclusione)
T.
# Ancora sulla Mediator Dei - 2, conclusione.
Conclude poi Pio XII sul punto:
"Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote (per sacerdotis manus) è chiaro dal fatto che il ministro dell'altare agisce in persona di Cristo in quanto Capo, che offre a nome di tute le membra; per cui a buon diritto si dice che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l'oblazione della vittima.
Quando poi si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso (haud aliter ac ipse sacerdos), compiono il rito liturgico visibile - il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato (quod solius ministri est ad hoc divinitus deputati) - ma che unisce i suoi voti di lode impetrazione, di espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote, acciocchè vengano presentate a Dio Padre nella oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote.
È necessario, infatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura sua il culto interno; ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa quell'ossequio supremo col quale lo stesso principale offerente, che è Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano debitamente Dio".
Pio XII insistette sempre, tra l'altro, sull'importanza del culto interno, che non doveva esser sacrificato a quello esterno, liturgico in senso stretto, come sembra esser avvenuto oggi, dopo le riforme basate sul Concilio.
Sull'offerta dei fedeli una cum il sacerdote (vedi commento prec.) è noto che l'art. 48 della Sacr. Concilium, dedicato alla partecipazione attiva dei fedeli alla Messa, ha rimosso il "quodammodo" (in certo modo) della MD:
"..offrendo [i fedeli] la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi..". Questa è una delle "bombe a scoppio ritardato" inserite dai neomoernisti nei testi del VAt II. La deflagrazione possiamo dire sia diventata atomica pochi mesi fa, quando il card Roche ha detto che il Vat II proprio su questo punto ha cambiato la dottrina della Chiesa: ora i fedeli offrono assieme al sacerdote (presbitero, nella neolingua conciliare). PUnto e basta.
Con questa interpretazione ufficiale, la liturgia del Novus Ordo si pone da se stessa fuori dalla tradizione della Chiesa e persino contro.
T.
L'IGNORANZA DI TANTI TRADIZIONALISTI.- Il benemerito blog chiesaepostconcilio nei giorni scorsi ha ripreso il nostro articolo sulla concelebrazione. Un commentatore è intervenuto, anche con una certa erudizione latina, contestando certe affermazioni. Alla fine di un suo lungo commento esegetico della Mediator Dei ha sentenziato che il termine "presbitero" appartiene alla "neolingua conciliare". Robaccia da modernisti, insomma, secondo lui. Chi però conosce, oltre alla Mediator Dei, anche altri testi, come ad esempio le sacre Scritture, sa che il termine presbitero nel nuovo Testamento compare tre volte al singolare e quattro volte al plurale. Lo stesso apostolo ed evangelista Giovanni si definisce "presbitero". Ma oltre alla sacra Scrittura e ai testi patristici gli stessi libri liturgici preconciliari usano tale termine: sia il Caeremoniale Episcoporum come pure il Pontificale Romanum hanno centinaia di volte il termine presbitero! (l'uso più comune è nell'espressione "presbitero assistente"). Altro che "neolingua conciliare". Questa è una vera e propria ignoranza preconciliare! Ahinoi largamente diffusa fra i tradizionalisti che sanno magari tutto, ma proprio tutto su Mediator Dei (dove il termine "presbitero" non compare) e ignorano i libri liturgici stessi, e la loro terminologia, del rito che pur difendono! Abbiamo ragione nel dire che con l'ignoranza e i paraocchi non si va da nessuna parte? Abbiamo ragione nel dire che dobbiamo studiare. Si o no? Donfi.
Consiglio, a tutti coloro che capiscono il francese, questo bel libro del carmelitano père Joseph de Sainte-Marie, ocd "Eucharistie, salut du Monde: études sur le saint sacrifice de la Messe, sa célébration, sa concélébration." Ed. du Cèdre 1982
Si tratta di una raccolta di articoli pubblicati su La Pensée Catholique; non è apparso niente di così serio e fatto bene nè prima nè dopo la sua pubblicazione]. Padre Joseph de Sainte-Marie è stato professore di facoltà a Roma, e l'opera è pubblicata con imprimatur.
Di per sé la concelebrazione non è eretica: san Tommaso ne affronta il tema, i sacerdoti concelebrano così come i vescovi nel giorno della loro ordinazione.
- la concelebrazione così come viene praticata oggi, cioè sacramentale (tutti i concelebranti che pronunciano le parole) è recente (dall'VIII secolo), l'uso dell'antichità e delle chiese d'Oriente è la concelebrazione cerimoniale: i sacerdoti assistono alla messa di un solo celebrante [normalmente il vescovo]. La concelebrazione sacramentale è apparsa a Roma e ha coinvolto solo il Papa e alcuni cardinali. La Chiesa greco-ortodossa scismatica lo rifiuta totalmente e conosce solo la concelebrazione cerimoniale. Invece la Chiesa Russa lo accetta. Ma si sa, per diversi aspetti la Chiesa russa è stata molto influenzata da Roma.
- nelle messe di ordinazione è prevista la concelebrazione nell'ordo di san Pio V: i neo-ordinati ed essi soli concelebrano con il vescovo consacrante. Esisteva anche a Lione per il giovedì santo.
- una concelebrazione = una messa, anche se ci sono 100 concelebranti (ma essendo l'offerta infinita, la Chiesa ritiene che ogni celebrante possa ricevere un onorario)
- la concelebrazione "in sé" della Messa crismale non è intrinsecamente più cattiva della concelebrazione di un'ordinazione, poiché altrimenti i sacerdoti vi parteciperebbero semplicemente, e potrebbero celebrare la Messa del giorno, prima o dopo.
- il problema sollevato da P. Joseph de Sainte-Marie si traduce in un uso improprio della concelebrazione che non corrisponde affatto a quanto richiesto dalla costituzione conciliare: questo uso improprio riduce il numero delle Messe celebrate universalmente nella Chiesa, tuttavia la moltiplicazione del numero delle Messe rientra nello sviluppo organico del dogma relativo al sacramento dell'Eucaristia (fatto smentito dai protestanti e da alcuni recenti teologi "cattolici" come Rahner nel 1946, la cui opera "Die vielen Messen und das eine Opfer" [Molte messe e un solo sacrificio] è fonte di confusione nell'attuale teologia cattolica sull'argomento), mentre la tradizione è molto chiara: "Ogni volta che questo sacrificio è celebrato in memoria, è l'opera della nostra redenzione che si compie"
- il problema posto dai sacerdoti VOM che concelebrano alla Messa Crismale è che concelebreranno nel NOM: la polemica nasce quindi da questo biritualismo annuale [e quindi dall'accettazione del NOM] imposto come segno di unità dai vescovi e non della "cattolicità" del fatto di concelebrare una volta all'anno con il vescovo.
- si noti che quando i patriarchi orientali concelebrano saltuariamente con il Papa, nessuno li chiama "biritualisti".
(Traduzione mia dal francese del commento di un sacerdote, abbé F.H., sul forum francese:
https://archives.leforumcatholique.org/consulte/message.php?arch=2&num=217909 )
Questa è la copertina del libro: https://www.livresenfamille.fr/10814-large_default/l-eucharistie-salut-du-monde.jpg
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