Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 7 gennaio 2015

Il silenzio del canone è più eloquente delle parole

Grazie alla sollecita disponibilità del nostro traduttore, che ringrazio toto corde, posso condividere questo nutriente testo ripreso dal blog New Liturgical Movement [qui]. Esso ha rimandi a testi dello stesso Autore altrettanto edificanti, che spero riuscire a pubblicare al più presto. Eccone un piccolo stralcio che approfondisce quanto poi di seguito pubblicato:
L'effetto del silenzio (o del discorso sommesso o sussurrato) è quello di cullare i sensi esteriori in uno stato ricettivo; indurre la tranquillità, il riposo, e la pace interiore; rilassare la tensione del sistema nervoso; e, gradualmente, indurre uno stato di riposo in attesa di Dio, che apre il 'subconscio' [o 'superconscio' che dir si voglia. In ogni caso le facoltà psichiche e spirituali] all'irruzione e all'influsso della grazia e delle ispirazioni spirituali. Il rito romano antiquior ha la capacità di favorire l'entrare nel "riposo" di Dio, il misterioso riposo del sabato, il settimo giorno che anticipa la gloria eterna dell'ottavo giorno della beatitudine celeste. L'origine della transizione da un'Anaphora parlata ad una parzialmente o completamente silenziosa è il fatto che in tempi, oggi indeterminabili ma di fatto brevi, è diventato a poco a poco abituale, sia in Oriente che in Occidente, recitare alcune delle preghiere eucaristiche più solenni, in particolare la maggior parte del Canone, a voce molto bassa o incomprensibile. Tale recita è stata definita 'mistica' ( mystikos ), espressione che indica sufficientemente il suo significato. ... Si evince solo un forte senso, non solo di umiltà, ma anche di 'miseria' e 'nulla', quale si addice a una creatura ammessa alla presenza immediata del suo Creatore. In fondo è l'elemento principale che riesce a creare quell'atmosfera esaltante di adorazione rapita, che è il tratto distintivo del culto cattolico nel corso dei secoli; e che il più intellettuale, pedagogico, e umanamente 'edificante' culto dei protestanti [della Riforma e dei neo-protestanti moderni] sembra incapace di evocare. [per poi comprendere e vivere…]

Dum medium silentium tenerent omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens Sermo tuus, Domine, de caelis a regalibus sedibus venit. “Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l'onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale” (Introito, Domenica tra l'Ottava di Natale, MR 1962).
Nell'articolo della scorsa settimana ho parlato delle ragioni per cui è più sensato seguire l'antica abitudine di dividere la Messa tra “Messa dei Catecumeni” e “Messa dei Fedeli” in luogo della moderna nomenclatura “Liturgia della Parola” e “Liturgia dell'Eucaristia”. Questa settimana voglio invece riflettere sulla bellezza peculiare dell'antichissima tradizione del canone silenzioso [1] e su quanto esso confermi l'intuizione secondo la quale la Parola discende su di noi nella liturgia in un modo personale che trascende la presenza nozionale della Parola stessa che si ottiene con la lettura delle singole parole di un libro. Il succitato Introito fa emergere entrambi questi punti: la venuta di Colui che è Parola nel mezzo di un silenzio assoluto.

Come ho strenuamente difeso nella mia lectio divina dell'ultima Quaresima [2], il Signore ci parla indubbiamente nella Sacra Scrittura e attraverso di essa, e dobbiamo quindi tornare costantemente a tale fonte per poterLo ascoltare; tuttavia, Egli ci si fa presente in un modo ancóra più intimo nella Santa Comunione. La pratica tradizionale della recitazione silenziosa del Canone da parte del sacerdote enfatizza il fatto che Cristo non ci si fa presente a parole, ma nell'unica Parola che EGLI STESSO È, e che – essendo immanente, trascendente ed infinita – nessuna lingua umana può mai pronunciare. Una volta assunto questo fatto nella nostra vita di preghiera, le parole della Sacra Scrittura potranno, paradossalmente, penetrare i nostri cuori più efficacemente ed avere un effetto "più che protestante" sulle nostre menti.

Per "effetto protestante" intendo la singolare capacità dei protestanti di ascoltare o leggere ripetutamente la Scrittura – per esempio il sesto capitolo del Vangelo secondo Giovanni o il sedicesimo del Vangelo secondo Matteo o la Prima Lettera ai Corinzi sull'Eucaristia – senza che le loro menti si aprano al loro ovvio significato cattolico. Somigliano ai discepoli sul cammino di Emmaus, profondamente radicati nelle Scritture ma incapaci di carpire il punto centrale, ossia la vittoria del Messia sul peccato e sulla morte. Gesù deve spiegare loro di persona quanto essi hanno già "saputo" ma non hanno mai interiorizzato, ci si fa presente di persona nella Presenza Reale ed è interiorizzato nel modo più completo quando ci viene consentito di condividere il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità.

Quando si conferisce alla "Liturgia della Parola" un'esistenza separata come una delle due parti della Messa, specialmente quando questa distinzione viene incrementata da un enorme lezionario con letture frequentemente estese e sconnesse dalle altre preghiere e antifone della Messa, sorge la sensazione di trovarsi di fronte a un testo fluttuante ed autoreferenziale, la cui lettura e predicazione rischia di diventare l'arena pastorale centrale, lasciando in ombra l'essenza sacramentale della Messa. Quanto spesso abbiamo assistito a una Liturgia della Parola la cui estensione assumeva dimensioni enormi, perdendo ogni rapporto e proporzione col cuore palpitante della liturgia che offre il sacrificio e della successiva comunione? In molte Messe a cui ho partecipato in tanti anni, il tempo speso per i saluti iniziali, le letture e l'omelia ha raggiunto i 45 minuti, mentre quello che andava dalla presentazione dei doni in poi veniva concentrato in 15 minuti. Una volta terminato il lavoro intellettualmente stimolante e socialmente appagante delle letture e della predica, si sceglie in tutta fretta la seconda o la terza Preghiera Eucaristica – preghiere estremamente rimpicciolite rispetto alla precedente cornucopia testuale e che sembrano quasi una pia riflessione finale. L'anafora e il suo punto chiave, la consacrazione, sono ristrette e perdono la loro centralità.

Quanto è differente il ritmo della liturgia tradizionale! È un crescendo graduale che porta logicamente – si potrebbe persino dire estaticamente – all'Offertorio, al Prefazio, al Sanctus, al Canone, alle Preghiere dopo il Canone e alla Comunione. Tutto ciò che viene prima – le preghiere ai piedi dell'altare, la confessione dei peccati, l'"Aufer a nobis", la colletta, l'epistola e il Vangelo, il Credo – è e viene sentito come una preparazione a qualcosa di ben più grande, facendoci desiderare e incamminandoci verso il compimento, la realizzazione, della parola di Dio nell'unica Parola che è Dio. Il Credo rappresenta un punto testuale centrale, così come dovrebbe effettivamente essere, dal momento che si tratta di un sommario divinamente approvato dell'insieme della rivelazione.

Di conseguenza, ha un senso il pronunciare o cantare ad alta voce tutto fino al Credo (e specialmente quest'ultimo) e passare decisivamente al silenzio, all'amorosa contemplazione della fonte di significato senza voce ed eterna al di là delle parole della Scrittura e del Credo, una volta raggiunti l'Offertorio e il Canone. A questo punto, lo Spirito Santo ha già condotto la Chiesa, con meravigliosa chiarezza, all'elevazione dell'Ostia e del Calice, che comprende in un modo non verbale tutte le parole che si possano pronunciare sull'offerta di Cristo sulla Croce per amore di noi peccatori. Quell'Ostia viene elevata per noi, per noi uomini e per la nostra salvezza, affinché la osserviamo e la veneriamo: "Quando il Figlio dell'Uomo verrà innalzato, Egli attirerà tutte le cose a Sé...". Nel mezzo del silenzio del Canone, improvvisamente tutti i campanelli suonano e il sacerdote innalza alla vista di tutti l'Alto Sacerdote, l'Uomo-Dio Eucaristico sospeso tra l'umanità e Dio, la vittima la cui morte riconcilia l'uomo con Dio (il significato del crocifisso al centro dell'altare emerge qui: il simbolo della morte di Cristo viene "confrontato" con la sua vivente Realtà, l'immagine viene misticamente confrontata col suo Esemplare nascosto). Questa elevazione parla con una pienezza che il silenzio del Canone accentua nel modo più drammatico possibile.

Questo profondo silenzio al centro esatto della Messa è solo una delle migliaia di ragioni per cui l'appetito del cristiano affamato del cibo e della bevanda divini viene allo stesso tempo saziato e stimolato dalla Messa tradizionale in latino. Essa ha qualcosa da dire a ciascuno di noi con le sue antifone magnificamente disposte, con le sue lezioni, le sue preghiere gravate dal peso degli anni eppur fresche del vigore del loro umano realismo e del loro sapore soprannaturale; ma soprattutto, essa possiede la Parola senza parole che ci vince e ci conforta, toccando e scuotendo le nostre oscure profondità in cui il Vangelo deve essere ancora predicato e trasformandoci con una prontezza allo stesso tempo delicata e terribile. Grazie a Dio, quel silenzio comincia a parlare a un numero sempre crescente di anime – anime che ne hanno abbastanza della verbosità rumorosa e incessante caratteristica della modernità e, purtroppo, di molte liturgie che la riflettono.
PETER KWASNIEWSKI 
__________________________
NOTE
[1] Vedi il mio recente articolo "The Silent Canon: Is Worship Supposed to be Aweful?" per un'argomentazione sulla reale antichità di questa pratica – un'ulteriore dimostrazione del fatto che la vera intenzione dei riformatori liturgici degli anni '60 non era quella di restaurare l'antica pratica, bensì quella di introdurre novità.
[2] Vedi il mio articolo "Lectio Divina: Liturgical Proclamation and Personal Reading" e i vari link alle altre parti della serie elencati al suo interno.
[Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

6 commenti:

Silvano ha detto...

Grazie cara mic per questa boccata di aria limpida.
Oggi, purtroppo, continuiamo ad assistere (salvo eccezioni) a liturgie che di cattolico hanno ben poco.

tralcio ha detto...

Estraggo dal testo:

"Il Signore ci parla indubbiamente nella Sacra Scrittura e attraverso di essa, e dobbiamo quindi tornare costantemente a tale fonte per poterLo ascoltare; tuttavia, Egli ci si fa presente in un modo ancora più intimo nella Santa Comunione".

Ora, pensate che bello oggi, alla Santa Messa, essere in comunione con Gesù (che vuol dire anche essere pacificati, non arrabbiati verso qualcuno) nell'assaporare queste parole, così dure e vere:

1Gv 3,22-4,6
Carissimi, qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da Dio, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui.
In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo.
In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio.
Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo.
Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto costoro, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo.
Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta.
Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta.
Da questo noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore.

Più chiaro di così...

Mettete alla prova gli spiriti...
Lo spirito dell'anticristo "aggiusta" Cristo persino nominandolo, ma riducendolo a idea, a qualcosa che non è presenza reale, che non è adorazione... Una volta che lo riconosciamo dobbiamo perdere la pace? Noooo !!! Preghiamo per loro.

Anonimo ha detto...

Stupendo. Non è arida discettazione intellettuale ma sgorga da una mente e da un cuore pieni di luce e di pace.

Aggiungo che quel silenzio centrale, quel prete inginocchiato in adorazione umile verso Dio, quelle parole antiche e universali, cariche della santità di secoli di vita della Chiesa, quella Parola muta innalzata e assunta in ginocchio dai fedeli, hanno reso salda e viva quella conversione che era iniziata in me attraverso migliaia di parole lette in solitudine, che mi avevano aperto la mente ed il cuore, ed ha aperto la mente ed il cuore di mio marito, resi ostinatamente ciechi e duri dalla menzognera cultura anticristiana e soprattuto anticattolica che ci nutre sin dall’età scolare, refrattari a qualunque parola indicasse l’evidenza. E tutto ciò senza alcuna conoscenza particolareggiata della liturgia e del significato di ogni parola pronunciata.

Anna

Anonimo ha detto...

Io aspetto in silenzio la nascita di qualcuno,come sto facendo in questo momento, ma nell'Eucarestia c'è bisogno di tutto il contrario: l'abbagliante bellezza e profondità e potere delle anafore occidentali ed orientali deve essere proclamata,cantata, narrata ed elevata perchè è la Preghiera stessa di Gesù al Padre alla quale sono invitato ad unirmi, è la legge della preghiera che permette che la fede diventi realtà per tutti, per ogni uomo, che la fede diventi legge per ogni uomo anche il più perduto.
Ripassa Mic, ripassa e se puoi, taci.

mic ha detto...

Un lettore che si esprime in maniera così apodittica e saccente sarebbe più corretto uscisse dall'anonimato.
Mi limito a dire che nella sua filippica c'è una parola di TROPPO: "narrata".
Gesù sull'Altare del Golgota NON NARRA, COMPIE. E chi è presente a quel sublime compimento, ch'è Actio Sua, si pone in religioso e adorante silenzio, mentre il Sacerdote vive in persona Christi la solennità dell'evento più grande della storia.
Se generazioni di credenti hanno da subito, come ricorda l'autore, avvertito questa sensibilità spirituale, chi è costui per venirci a propinare il contrario di ciò che anche noi sentiamo tanto infinitamente sacro e solenne da sentire l'esigenza di "entrare in noi stessi " senza distrazioni per accogliere e vivere la Presenza e l'opera del Salvatore, Cristo Signore?

Anonimo ha detto...

Bisognerebbe far leggere questo bellissimo articolo a quanti più sacerdoti possibile!
Riflettevo pochi giorni fa proprio su questo.
Di fronte al silenzio, o alla preghiera submissa voce, l'anima si genuflette insieme al corpo e prova a respirare misticamente l'aria del Golgota, intuisce il Sacrificio, contempla.
Di fronte alle parole, spesso proclamate a voce troppo alta, quasi recitate teatralmente, con silenzi troppo brevi (5 secondi all'elevazione, quando va bene) e troppo poco densi, l'anima assiste a una sacra rappresentazione (della Santa Cena, appunto, "more protestantico") e basta. Parole, parole, parole. Tirate via, in fretta, perché è tardi e magari si è fatta un'omelia troppo lunga. Assurdo.
Certo, il rischio del canone silenzioso è che il fedele si distragga e pensi ad altro, ma questi sono problemi del fedele, che sciupa un'opportunità immensa: io mi distraggo invece parecchio, per esempio, nelle celebrazioni NO urlicchiate e recitate, cerco di meditare, ma faccio fatica...
humilitas

PS con domanda aperta: qualcuno ha visto la Messa di Natale del vdR? Ieri un prete affetto da una forma acuta di bergogliolatria mi diceva che l'ineffabile di bianco vestito si è inginocchiato durante l' Et incarnatus est mozartiano, ma vorrei capire se si è inginocchiato alla consacrazione...