Eccellenza, cari fratelli sacerdoti della Fraternità Sacerdotale san Pio X,
È con gioia che ho appreso la soddisfazione che vi ha dato [questa frase non esiste sul testo inglese] la nostra ultima dichiarazione (28 ottobre 2012) che ha affermato in maniera pubblica e autorizzata che le relazioni della Santa Sede con la Fraternità sacerdotale S. Pio X restavano aperte e piene di speranza. Finora, a parte le sue decisione ufficiali, la Santa Sede si è, per differenti ragioni, astenuta dal rettificare certe affermazioni inesatte a proposito della sua condotta della sua competenza in queste relazioni. Comunque sia, viene il momento in cui, nell'interesse della verità, la Santa Sede sarà obbligata ad affermare alcune di queste indelicatezze. Particolarmente dolorose sono state le prese di posizione che attaccano la persona e la missione del Santo Padre : ciò, ormai, richiede una risposta.
Recenti prese di posizione di membri della Fraternità che occupano importanti posti di autorità non possono che far dubitare della possibilità effettiva d'una riconciliazione. si pensa, in particolare, a interviste rilasciate dal Superiore del Distretto di Germania, già Superiore generale della Fraternità (18 settembre 2012) e dal primo Assistente generale della Fraternità (16 ottobre 2012), come pure ad un recente sermone del Superiore generale (1 novembre 2012). Il tono e il contenuto di queste dichiarazioni hanno suscitato una certa perplessità sull'affidabilità nonché sulla effettiva possibilità d'un proseguimento delle nostre relazioni. Mentre la Santa Sede attende pazientemente una risposta ufficiale della Fraternità, alcuni suoi superiori tengono, nelle comunicazioni non ufficiali, un linguaggio che, agli occhi di tutti, appare come un rifiuto delle disposizioni richieste per la riconciliazione e la regolarizzazione canonica della Fraternità nella Chiesa cattolica.
Inoltre, ripercorrendo la storia delle nostre relazioni dopo gli anni 1970, si è indotti alla constatazione obiettiva che i termini del nostro disaccordo in ordine al Concilio Vaticano II restano, di fatto, immutati. Con la sua autorità magistrale, la Santa Sede ha sempre affermato che occorre interpretare i testi del Concilio alla luce della Tradizione e del Magistero, e non l'inverso, mentre la Fraternità ha insistito nel dire che certi insegnamenti del Concilio sono erronei e dunque non suscettibili di ricevere una interpretazione in armonia con la Tradizione e il Magistero. Col passare degli anni, questo punto morto è rimasto più o meno tale e quale. Pur permettendo un fruttuoso scambio di vedute su alcuni temi precisi, i tre anni di colloqui dottrinali appena conclusi fondamentalmente non hanno portato cambiamenti alla situazione.
In queste circostanze, mentre rimane la speranza, è chiaro che nei nostri scambi dovrebbe essere introdotto un elemento nuovo, se non vogliamo apparire alla Chiesa, al grande pubblico e, in definitiva a noi stessi, come impegnati in uno scambio cortese, ma senza uscita né frutto. Occorre sviluppare considerazioni nuove, di natura più spirituale e teologica, che trascendano i disaccordi importanti e apparentemente insormontabili sull'autorità e l'interpretazione del Concilio Vaticano II, oggetto della nostra attuale divisione; queste considerazioni saranno centrate sul nostro dovere di preservare e di amare l'unità e la pace della Chiesa, che sono volute da Dio.
Mi sembra opportuno introdurre queste nuove considerazioni sotto forma di una lettera personale per l'Avvento, indirizzata personalmente a lei così come ai membri della Fraternità sacerdotale. La sua posta in gioco non è altro che l'unità della Chiesa.
La salvaguardia dell'unità della Chiesa
In questo contesto, tornano in mente le parole di San Paolo : « Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. » (Ef 4, 1-6).
Con queste parole, l’apostolo Paolo ci invita a custodire l'unità della Chiesa, l'unità che è data dallo Spirito e ci unisce all'unico Dio « che regna al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti » (Ef 4, 6). La vera unità è un dono dello Spirito, e non il risultato della nostra azione.
Tuttavia, le nostre decisioni e le nostre azioni ci rendono capaci di cooperare nell'unità dello Spirito o di agire contro le mozioni dello Spirito. Conseguentemente, san Paolo ci esorta a vivere «in maniera degna della vocazione che abbiamo ricevuto » (Ef 4, 1), a vivere custodendo il dono prezioso dell'unità.
Al fine di perseverare nell'unità della Chiesa, san Tommaso d’Aquino sottolinea che, secondo San Paolo, « bisogna coltivare quattro virtù e bandire i quattro vizi che vi sono contrapposti » (Commentario alla Lettera agli Efesini, § 191). Cosa bisogna evitare sulla via dell'unità ? L’orgoglio, l'ira, l’impazienza e lo zelo disordinato. Secondo l’Aquinate, « il primo vizio rifiutato da [san Paolo] è l'orgoglio. Quando una persona arrogante decide di dirigere gli altri, mentre questi altri, nella loro fierezza, rifiutano di sottomettersi, sorgono discordie nella società, e scompare la pace … La collera è il secondo vizio. Poiché un collerico è portato all'ingiustizia, verbale o fisica, ciò che produce confusione. …Il terzo è l'impazienza. Talvolta, un uomo umile e dolce, che si vieta di provocare scompiglio, non sopporta con pazienza gli attacchi effettivi o supposti che sono portati contro di lui. … Il quarto vizio è lo zelo disordinato. Lo zelo disordinato può portare su qualunque cosa; a causa di esso, gli uomini giudicano tutto ciò che vedono, senza attendere momento e luogo opportuni, ed è una catastrofe per la società » (ibid.).
Come possiamo agire contro questi vizi ? San Paolo ci dice : « abbiate molta umiltà, dolcezza e pazienza, sopportatevi gli uni gli altri con amore » (Ef 4, 2).
Secondo l’Aquinate, facendoci vedere la bontà presente negli altri e riconoscere le nostre forze e le nostre debolezze, l'umiltà ci aiuta ad evitare lo spirito di rivalità nei nostri rapporti con gli altri. La dolcezza « appiana le difficoltà e conserva la pace » (Commentario alla Lettera agli Efesini, § 191). Essa ci aiuta ad evitare le manifestazioni disordinate di collera donandoci la serenità di fare il nostro dovere con uniformità d'umore e in uno spirito di pace. La pazienza ci rende capaci di sopportare la sofferenza per ottenere il bene ricercato, soprattutto se è difficile da raggiungere o se circostanze esteriori si schierano contro la realizzazione dell'obbiettivo. La carità fa evitare lo zelo disordinato donandoci di sostenerci gli uni gli altri, « assumendoci i difetti degli altri con carità » (ibid.). San Tommaso dà questo consiglio : « Quando qualcuno cade, non bisognerebbe immediatamente correggerlo, a meno che non ci sia un tempo e un luogo per questo. Bisognerebbe attendere con compassione, poiché la carità tutto sopporta (1 Co 13, 7). Non si tratta di tollerare per negligenza o complicità, per familiarità o amicizia carnale, ma per carità. … Noi che siamo forti, dobbiamo portare le infermità dei deboli (Rm 15, 1)» (ibid.).
Il prudente consiglio di San Tommaso può esserci utile, se accettiamo di essere formati dalla sua saggezza. Nel corso degli ultimi quarant'anni, le nostre relazioni non sono state talvolta carenti di umiltà, di dolcezza di pazienza e di carità ?
Ricordiamoci di ciò che ha scritto Papa Benedetto XVI ai suoi fratelli nell'episcopato per spiegare la promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum : «Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. » (Lettera del 7 luglio 2007).
Come le virtù d'umiltà, di dolcezza di pazienza e di carità possono modellare i nostri pensieri e le nostre azioni.
Innanzitutto se cerchiamo umilmente di riconoscere la bontà che esiste in coloro con cui possiamo essere in disaccordo anche su punti apparentemente fondamentali, siamo capaci di esaminare le questioni disputate in uno spirito di apertura e in tutta buona fede. In secondo luogo, se abbiamo una vera dolcezza, possiamo conservare uno spirito di serenità evitando di parlare con un tono che divide o di sviluppare considerazioni imprudenti che offenderanno invece di favorire la pace e la reciproca comprensione. In terzo luogo, se conserviamo una vera pazienza, riconosceremo che, nella ricerca del bene prezioso che perseguiamo, dobbiamo volere, se necessario, accettare la sofferenza dell'attesa. Infine, se ancora sentiamo il bisogno di correggere i nostri fratelli, ciò deve avvenire con carità, nel momento e nel luogo adatti.
Nella vita della Chiesa, tutte queste virtù tendono a preservare « l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace » (Ef 4, 3). Se i nostri rapporti sono segnati dall'orgoglio, dalla collera, dall'impazienza o dallo zelo disordinato, la nostra ricerca inquieta del bene della Chiesa non ci condurrà che all'amarezza. Se, d’altra parte, la grazia di Dio ci fa crescere in verità nell'umiltà, dolcezza, pazienza e carità, la nostra unità nello spirito sarà mantenuta e noi cresceremo più profondamente nell'amore di Dio e del prossimo, portando a compimento tutta la legge che Dio ci ha donata.
Se insistiamo tanto sull'unità della Chiesa, è perché essa riflette la comunione della santa Trinità ed è da essa operata. Come leggiamo in un sermone di Sant'Agostino : « Il Padre e il Figlio ci hanno augurato di essere in comunione con essi e tra noi ; attraverso questo dono, che entrambi possiedono come se non fossero che uno, hanno desiderato unirci a loro e unirci fra di noi attraverso lo Spirito Santo che è Dio e dono di Dio » (Sermone 71, 18).
L’unità della Chiesa non è una cosa che non otterremmo da noi stessi attraverso il nostro proprio potere ma è un dono della grazia divina. È riconoscendo questo dono che Agostino può dire : « Un nemico dell'unità non partecipa dell'amore di Dio. Conseguentemente coloro che sono fuori della Chiesa non hanno lo Spirito Santo » (Lettera 185, § 50). Ecco parole che raggelano : un nemico dell'unità diviene nemico di Dio, perché rifiuta il dono che Dio ci ha fatto. « Come provare che amiamo il nostro prossimo ? » chiede sant'Agostino. « Non frantumando la sua unità, perché osserviamo la carità » (Omelie sulla prima Lettera di Giovanni 2, 3). Ascoltiamo cosa dice sant'Agostino a coloro che dividono la Chiesa : « Voi non avete la carità, perché, in nome del vostro onore, provocate divisioni nell'unità. Comprendete dunque attraverso questo che lo Spirito viene da Dio. … Voi vi separate voi stessi dall'unità del mondo, voi dividete la Chiesa con scismi, voi lacerate il corpo di Cristo. Egli è venuto nella carne per riunirlo ; voi, gridate per lacerarlo » (ibid. 6, 13). Come possiamo evitare di divenire nemici di Dio ? « Che ciascuno interroghi il suo cuore. Se qualcuno ama suo fratello, lo Spirito di Dio abita in lui. Che egli guardi, che egli metta alla prova se stesso sotto lo sguardo di Dio ! Che egli veda se esiste in lui un amore della pace e dell'unità, un amore della Chiesa sparsa su tutta la terra ! » (ibid. 6, 10).
Come dunque comportarci con coloro con cui è difficile essere amici ? Ascoltiamo sant'Agostino : « Amate i vostri nemici in modo da desiderare di averli per amici ; amate i vostri nemici in modo da farne dei compagni » (ibid. 1, 9). Per Agostino, la forma autentica dell'amore non può essere che un dono di Dio : « Chiedete a Dio di potervi amare gli uni gli altri. Voi dovreste amare tutti gli uomini, anche i vostri nemici, non perché sono vostri fratelli, ma perché possono diventarlo, in modo da poter essere sempre infuocati dell'amore fraterno, sia per colui che è divenuto vostro fratello, che per il vostro nemico, in modo che amandolo, egli possa divenire vostro fratello » (ibid. 10, 7).
L'esempio dell'amore che trasforma i nostri nemici in amici ci viene, in ultima analisi, da Cristo stesso : « amiamoci, perché Egli ci ha amati per primo (4, 19). Come potremmo amare, se Egli non ci avesse amati per primo ? Attraverso il suo amore, siamo divenuti suoi amici, ma Egli ci ha amati come [quando eravamo] nemici, in modo da far di noi suoi amici. Egli ci ha amati per primo e ci ha accordato i mezzi per di amarlo » (ibid. 9, 9).
Per sant'Agostino, l'unità della Chiesa viene dunque dalla comunione della Beata Trinità e dv'essere mantenuta, se vogliamo restare in comunione con Dio stesso. Attraverso la grazia di Dio, dobbiamo preservare questa unità con una grande determinazione, anche se ciò implica sofferenze e una paziente resistenza : « Sopportiamo il mondo, sopportiamo le tribolazioni, sopportiamo lo scandalo dei processi. Non torniamo sui nostri passi. Restiamo saldi nell'unità della Chiesa resistiamo in Cristo nell'unità della Chiesa, resistiamo in Cristo, resistiamo nell'amore. Non abbandoniamo le membra della sua sposa, non abbandoniamo la fede, in modo da poter essere glorificati nella sua presenza, e noi saremo sicuri in lui, da subito per la fede e più tardi attraverso la visione di cui lo Spirito Santo ci ha dato il pegno » (ibid. 9, 11).
Il posto della Fraternità sacerdotale nella Chiesa
Cosa vi è dunque chiesto nella presente situazione ? Certamente di non perdere lo zelo del vostro fondatore, Monsignor Lefebvre. Lungi da ciò ! Al contrario, vi si chiede di ravvivare la fiamma del suo zelo ardente per la formazione degli uomini al sacerdozio di Gesù Cristo. È sicuramente venuto il momento di abbandonare la retorica aspra e contro produttiva che è sorta nel corso degli anni passati.
Ritornare al carisma un tempo affidato a Monsignor Lefebvre, il carisma della formazione dei preti nella pienezza della Tradizione cattolica per esercitare presso i fedeli un apostolato che scaturisca da questa formazione sacerdotale. Ecco il carisma sul quale la Chiesa fece discernimento quando la Fraternità Sacerdotale San Pio X fu approvata nel 1970. Non abbiamo dimenticato il giudizio elogiativo formulato dal Cardinal Gagnon sul seminario di Écône nel 1987.
Il carisma autentico della fraternità consiste nel formare preti per il servizio al popolo di Dio, non a darsi la missione di giudicare e correggere la teologia o la disciplina d'altri nella Chiesa. Dovrete centrarvi sulla trasmissione di una formazione filosofica, teologica, pastorale, spirituale e umana dei vostri candidati, perché essi possano predicare la parola di Cristo e agire come strumenti della grazia di Dio nel mondo, in particolare attraverso la celebrazione solenne del santo Sacrificio della Messa.
Occorrerà certamente prestare attenzione ai passaggi del Magistero che vi sembrano difficili da conciliare con l'insegnamento magisteriale, ma queste questioni teologiche non dovrebbero costituire il centro della vostra predicazione o della vostra formazione.
Sulla questione di sapere chi è competente per correggere un abuso, possiamo considerare il caso di san Pio X e dei suoi interventi nel campo della musica sacra. Nel 1903, san Pio X promulgò il celebre motu proprio Tra le sollecitudini, che promuoveva in tutta la Chiesa una riforma della musica sacra. Questo documento segnava lo sbocco di due iniziative antecedenti di Giuseppe Sarto : un votum sulla musica sacra scritto su richiesta della Sacra Congregazione dei Riti nel 1893, ed una lettera pastorale sulla riforma della musica sacra nella Chiesa di Venezia pubblicata nel 1895.
Questi tre documenti avevano sostanzialmente lo stesso contenuto. Eppure, il primo era una lista di suggerimenti per la Chiesa romana, il secondo una istruzione per i credenti situati sotto la giurisdizione del Patriarcato di Venezia, e il terzo una serie di disposizioni valide per la Chiesa universale. In quanto Papa, san Pio X aveva l'autorità necessaria per segnalare gli abusi in materia di musica sacra nel mondo intero, mentre, come vescovo, non poteva intervenire che nella sua diocesi. Con le sue prescrizioni disciplinari e dottrinali, San Pio X poteva trattare i problemi nella Chiesa su un piano universale, precisamente a causa della sua autorità universale.
Anche se siamo convinti che il nostro punto di vista su una questione particolare disputata è giusto, non dobbiamo usurpare la missione del Sovrano Pontefice arrogandoci il diritto di correggere pubblicamente gli altri nella Chiesa. Noi possiamo proporre e cercare d'influire, ma non mancare di rispetto nei confronti delle legittime autorità locali o agire contro di esse. Dobbiamo rispettare il genere proprio di diverse sorta di istanze : è la fede che bisognerebbe predicare nei nostri pulpiti e non l'ultima interpretazione di ciò che crediamo problematico in un documento magisteriale.
Fu un errore fare di ogni punto difficile dell'interpretazione teologica del Vaticano II materia di una controversia pubblica cercando di spingere coloro che non sono competenti in teologia ad adottare il nostro punto di vista su punti teologici delicati.
L’Istruzione Donum Veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1990) afferma che un teologo può « degli interrogativi concernenti, a secondo dei casi, l’opportunità, la forma o anche il contenuto di un intervento del magistero », sebbene « La volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola » (§ 24).
Tuttavia, un teologo « non presenterà le sue opinioni e le sue ipotesi divergenti come se si trattasse di conclusioni indiscutibili. Questa discrezione è dettata dal rispetto della verità e dal rispetto del popolo di Dio (cf. Rm 14, 1-15 ; 1 Co 8 ; 10, 23-33). Per le stesse ragioni il teologo rinuncerà alla loro espressione pubblica e intempestiva » (§ 27).
Se, dopo una intensa, paziente e leale riflessione da parte sua, rimangono difficoltà «è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato. In questi casi il teologo eviterà di ricorrere ai «mass-media» invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità ». (§ 30).
Questa parte del compito del teologo condotta in uno spirito leale e animato dall'amore per la Chiesa può talvolta essere difficile « Può essere un invito a soffrire nel silenzio e nella preghiera, con la certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi. » (§ 31).
Tuttavia un esame critico degli atti del magistero non deve mai divenire una sorta di « magistero parallelo » dei teologi (cf. § 34), perché esso deve essere sottoposto al giudizio del Sovrano Pontefice che ha « il compito preservare l'unità della Chiesa, con la sollecitudine di offrire a tutti l'assistenza per rispondere con i mezzi opportuni a questa vocazione e grazia divina » (Lettera apostolica Ecclesiae unitatem § 1).
Noi vediamo dunque che, per coloro che, nella Chiesa hanno il dovere o la missione canonica di insegnare c'è posto per un impegno veramente teologico e non polemico con il Magistero. Intellettualmente parlando in ogni caso non possiamo concentrarci unicamente sulla controversia. I problemi teologici difficili non possono essere adeguatamente trattati se non attraverso l'analogia della fede, cioè la sintesi di tutto ciò che il Signore ci ha rivelato. Vedremo ogni dottrina e articolo di fede come sostenendo gli altri e imparare a capire i legami interni che esistono fra ognuno degli elementi della nostra fede.
Per intraprendere studi di teologia, dobbiamo avere un'adeguata un'esperienza culturale, biblica e filosofica. Penso, ad esempio, a un passaggio del Codice di Diritto canonico del 1917 riprodotto nell'introduzione di Benziger all'edizione inglese della Summa Teologica : « I religiosi che hanno già fatto gli studi classici dovranno studiare la filosofia per almeno due anni e la teologia per quattro anni, seguendo l'insegnamento di San Tommaso e in accordo con le istruzioni della Sede apostolica » (CIC 1917, can. 589). Consideriamo la saggezza di questa direttiva: la teologia deve essere intrapresa da coloro che sono stati ben formati sia nelle scienze umanistiche che in filosofia. La Congregrazione per l'Educazione cattolica ha recentemente richiesto che lo studio della filosofia duri tre anni durante la formazione al sacerdozio. Senza questa apertura, la nostra ricerca teologica non avrà il ricco humus culturale sul quale la fede si radica e che è indispensabile per una piena comprensione dei concetti e dei termini filosofici che sottendono le formulazioni dottrinali della Chiesa.
Se ci focalizziamo soltanto sulle questioni più difficili e controverse, - che devono, certamente, essere oggetto di grande attenzione - possiamo finire col perdere il senso dell'analogia della fede e metterci a vedere la teologia soprattutto come una sorta di dialettica intellettuale sui soggetti conflittuali più che come un impegno di saggezza con il Dio vivente che si è rivelato a noi in Gesù Cristo e che, attraverso lo Spirito Santo, ispira il nostro lavoro, la nostra predicazione e la nostra azione pastorale.
Conclusione
Con la sua maniera magnanima di esercitare il munus Petrinum, papa Benedetto XVI è estremamente desideroso di superare le tensioni che sono esistite tra la Chiesa e la vostra Fraternità. Una riconciliazione ecclesiale immediata e totale metterà fine ai sospetti e alla diffidenza sorte da una parte e dall'altra ? Senza dubbio non così facilmente.
Ma ciò che noi cerchiamo non è un'opera umana : noi cerchiamo la riconciliazione e la guarigione per mezzo della grazia di Dio, sotto la guida amorosa dello Spirito Santo. Ricordiamoci gli effetti della grazia enunciati da San Tommaso : guarire l'anima, desiderare il bene, realizzare il bene che ci si è proposto, perseverare nel bene e, per concludere, ottenere la gloria (cf. Somma Teologica Ia IIae, 111, 3).
Le nostre anime hanno innanzitutto bisogno di essere guarite, purificate dall'amarezza e dal risentimento nati da trentanni di sospetti e di tormenti da una parte e dall'altra. Dobbiamo pregare il Signore di guarirci da tutte le imperfezioni dovute alle difficoltà, soprattutto dal desiderio di autonomia che è, infatti, estraneo alle forme tradizionali di governo nella Chiesa. Il Signore ci dona la grazia di desiderare alcuni beni : in questo caso, il bene d'una unità e d'una comunione ecclesiale totali. È un desiderio che molti di noi condividono, umanamente parlando, ma ciò che abbiamo bisogno di ricevere dal Signore è la comunicazione di questo desiderio alle nostre anime, in modo da farci desiderare l'ut unum sint con lo stesso desiderio di Cristo.
Soltanto allora la grazia di Dio ci permetterà di realizzare il bene che ci proponiamo. È Lui che ci spinge a cercare una riconciliazione e la porta a compimento.
Ecco giunto il momento di una grazia straordinaria : cogliamola con tutto il cuore e con tutto lo spirito. Preparandoci alla venuta del Salvatore del mondo nel corso di quest'Avvento dell'Anno della Fede, preghiamo e speriamo con fiducia : non possiamo vedere la riconciliazione, da molto tempo attesa, della Fraternità sacerdotale San Pio X e la Sede di Pietro ?
Il solo futuro immaginabile per la Fraternità San Pio X si trova sul cammino di una piena comunione con la Santa Sede, nell'accettazione di una professione di fede incondizionata nella sua pienezza, e dunque con una vita sacramentale, ecclesiale e pastorale convenientemente ordinata.
Avendo ricevuto da Pietro l'incarico di essere strumento di riconciliazione della Fraternità sacerdotale, oso far mie le parole dell'apostolo Paolo che ci esorta a « vivere fedelmente la vocazione ricevuta, con ogni umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace ».
Sinceramente vostro in Cristo,
+ J. Augustine Di Noia, O.P.
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[Fonte: Blog francese Summorum Pontificum]
Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio
41 commenti:
Mi permetto di riportare qui il commento di un anonimo letto da Raffaella, sperando che chi l`ha scritto non me ne voglia e chissà forse se ci legge potrà portare il suo contributo anche qui.
Non mi sembra che questa lettera contenga niente di nuovo. Messo in soldoni, il messaggio e':
1) sarete riammessi se state zitti e rinunciate a fare qualunque critica
2) potrete operare in tutte le diocesi a patto che non contrastiate il vescovo locale
3) ogni discussione sul CV2 deve essere condotta a porte chiuse e niente ne deve trapelare sui media.
I primi due punti ammontano a chiedere il suicidio della SSPX. Sia chiaro: io non sono mai stato vicino alla SSPX e non ne condivido tutte le tesi; in particolare, apprezzo molti punti della riforma liturgica non credo che la messa Novus Ordo sia da buttare. Pero' credo che le critiche fatte dalla SSPX, che le si condivida o no, siano perfettamente legittime. Il magistero ordinario non e' un dogma, non e' intoccabile e incriticabile. Oltretutto, molti teologi e religiosi progressisti perfettamente inseriti nelle strutture ecclesiali criticano apertamente il magistero ordinario (e talvolta anche quello straordinario) senza che nessuno si sogni di rimuoverli. Perche' proprio alla SSPX dovrebbe essere messo il bavaglio?
Il terzo punto, poi, e' assolutamente ridicolo nell'epoca dell'internet. La chiesa non ha ancora imparato che nel terzo millennio qualunque discussione deve essere fatta in modo pubblico e trasparente, sotto gli occhi di tutto il mondo. E' rimasta gravemente scottata per avere voluto impedire che lo scandalo dei preti pedofili diventasse pubblico, eppure non ha imparato. "
Comunque mi sento di dire che quella lettera è e resta una LETTERA PRIVATA che NON avrebbe dovuto uscire dalla confidenzialità.
Non so quali siano gli intenti e i sentimenti di chi l`ha fatta uscire ma non credo siano a fin di bene.
Una volta uscita, e ormai diffusa su internet, è stato giusto tradurla, è un servizio alla verità al fine di evitare al massimo le strumentalizzazioni malevoli.
Ho letto la lettera molto velocemente e velocemente rispondo: mi sembra che il tono di Di Noia (poco abituato a parlare ai media) sia molto diverso da quello di Muller (molto loquace con chiunque)...forse la differenza sta, appunto, nella Carità!
Cara Luisa,
Nel terzo punto del commento di Raffaela, vorrei sottolineare che le discussioni nella Chiesa sono sempre stati pubblici. Alcuni dei Concili ecumenici sono stati chiamati a rispondere alle domande esattamente di un uomo che ha esteso su gran parte della Chiesa sui dubbi o errore. Nel caso dell'arianesimo, lui è venuto a disturbare la pace pubblica e un Concilio Ecumenico è stato convocato per risolvere il problema con la verità. In questo senso, vuolere diventare secreti le discussioni nella Chiesa, sembra in qualche modo seguire la direzione di Dignitatis humanae, sembra una misura per preservare la pace pubblica.
L'opere polemici dei Padri della Chiesa, mostrano che questo tentativo di mettere in secreto una discussione che è di interesse per tutta la Chiesa, è una cosa strana alla tradizione della Chiesa stessa...
È difficile...
le discussioni nella Chiesa sono sempre stati pubblici.
grazie, Gederson !
finalmente una messa a punto ispirata al buon senso. Non si capisce a che cosa giovi tutto questo segreto. Perchè il cosiddetto popolo di Dio non deve sapere ciò che si decide nella Chiesa, se -SE- ogni decisione riguarda la salvezza della anime ?
se non è soltanto una serie di trame politiche, in cui nessuno deve interferire ?
ma allora siamo nella politica, roba mondana, non riguardante la Fede e non ispirata dallo Spirito Santo.
Mi stupisce che molti qui non se ne rendano conto.
reinvio qui una mia riflessione che ho postato stamattina, forse non pervenuta (o non gradita? vorrei una cortese spiegazione dai redattori....)
diceva Jacobus:
Pare che Di Noia voglia partire dalla riconciliazione politica per poi proseguire in quella teologica.
Quando si parla di "riconciliaziione politica", siamo nel mondo dei compromessi, già si è pronti a negoziare sulla Verità, non ci sono paletti precisi, si può cedere su tutto, indefinitamente.
Quindi non si può immaginare come si possa -in seguito- ritornare alle verità teologiche, in-deformabili
per loro natura.
Se uno in una trattativa "cede" per fini politici, già inizia a scivolare su un piano inclinato. La risalita sarà sempre più difficile:
è ciò che accade da mezzo secolo, e nella FSSPX già inizia lo stesso fenomeno da qualche mese (o anno, lo sa meglio chi segue le cose da vicino).
Tre cose strane in questa lettera, per altri versi molto bella. Piena tuttavia di luci e di qualche ombra si cui non mi voglio soffermare:
1. i sacerdoti ordinati nei seminari normali di rado hanno formazione umanistica né tanto meno tomista. Purtroppo uno dei filosofi più seguiti è Rahner...
2. proprio alla FSSPX, i cui seminari FSSPX sono alcuni dei pochissimi luoghi dove ancora si apprende la filosofia tomista, si richiama la formazione filosofica dei sacerdoti !
3. da come parla il vescovo sembra che i seminaristi FSSPX impieghino tutto il loro tempo a studiare questioni controverse, e non la totalità della dottrina cattolica!
Non è solo "difficile", questa situazione di secretazione, Gederson, è semplicemente una cosa MAI vista, una procedura mai usata dalla Chiesa docente, in quasi 2000 anni.
Poi mi sconcerta vedere che quelle persone che si scandalizzano giustamente perchè il gruppo NC pretenda che i suoi catechismi siano segreti, ammettano poi che vi debba assolutamente essere il segreto su fatti, discorsi e iniziative pastorali di grave portata, che riguardano l'intera Chiesa, clero e fedeli.
Questo difforme e incoerente atteggiamento è stupefacente, non si riesce a definirlo.... però talora fa venire un mente una specie di "doppiopesismo", cioè giudizi morali diversi, non equanimi, a seconda dell'oggetto che si giudica. E perchè ?
le regole di comportamento non dovrebbero essere le stesse per tutti, piccoli e grandi, pecore e pastori ?
Il terzo punto, poi, e' assolutamente ridicolo nell'epoca dell'internet. La chiesa non ha ancora imparato che nel terzo millennio qualunque discussione deve essere fatta in modo pubblico e trasparente, sotto gli occhi di tutto il mondo. E' rimasta gravemente scottata per avere voluto impedire che lo scandalo dei preti pedofili diventasse pubblico, eppure non ha imparato.
Non solo, ma come sottolinea anche Gederson Falcometa, perchè non rendere pubbliche discussioni che potrebbero essere utili a tutto il popolo di Dio? Certo che di questo passo la fase interlocutoria si protrerrebbe all'infinito. Con l'aria che tira c'è poco da sperare in una fase conclusiva (Gherardini docet!)
E' comprensibile il richiamo al rispetto e alla misura, ma le "porte chiuse" non appartengono alla Chiesa!
come Mic dice:
le "porte chiuse" non appartengono alla Chiesa!
per l'appunto.
Come è il dire, sia anche il fare.
Voglio anche ricordare, come a me, a Luisa, Mic e a tutti quelli che leggono, che
Gesù stesso, Nostro Signore, Divino Fondatore e Capo invisibile della Santa Chiesa,
quando fu condotto davanti al Sinedrio, interrogato dal sommo sacerdote circa i suoi insegnamenti, per i quali veniva incriminato,
rispose:
«Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si radunano, e non ho detto niente in segreto."
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Ricordiamolo sempre, cari amici cattolici, questo discorso di Gesù, perchè oggi ce n'è grandissimo bisogno, dappertutto, ma specialmente nella povera Chiesa disastrata anche per questo sistema di intrighi e trame occulte.
sarebbe oppurtuno che venissero rese note anche altre lettere di capi dicastero ai rispettivi ordinari/prelati/congregazioni...per riportarli nell'ovile...ammesso che vi siano...
La lettera richiama virtù bellissime e direi obbligatorie (almeno in tendenza)per ognuno,quando si riceva una ingiustizia personale(vedasi p.es. la perfetta obbedienza di Padre Pio).Però essendo qui in gioco questioni dottrinali,come può la Carità contraddire la Verità?Se è ormai appurato l'esistenza nei documenti conciliari di dottrine quantomeno ambigue,la maggiore Carità dovrebbe venire da parte della S. Sede con un autorevole definitivo chiarimento (infallibile).
Penso che il giusto richiamo alla unita'' non possa essere disgiunto da quello alla Verita' perche' in Questa quella si fonda altrimenti e' unita' umana e basta.
Marco P.
Questa lettera di Mons. Di Noia ha indubbiamente delle parti belle, tuttavia a rifletterci bene ha vari punti che non mi convincono.
Non ho tempo per parlarne..... devo pregare ed andare a dormire presto.
Solo dico: tutto questo zelo verso la Fraternità San Pio X, mentre nessuna lettera a teologi modernisti, nessun rimprovero al Card. Martini autore di un "testamento" in cui rimproverava la Chiesa.....
Da parte di di Noia sempre il solito linguaggio con cui da 50 anni cercano di addormentare le coscenze delle persone, invocando il "tacete ed obbedite"......
Poi il parlare di formazione filosofica e teologica proprio ai seminaristi della San Pio X che sono così ben preparati (come pure i preti della Fraternità)......
Ci sono poi toni paternalistici e anche forse sottilmente ipocriti e l'illusione di stare nel giusto quando sappiamo che la Chiesa ha 2000 anni e non è nata con un Concilio postosi in discontinuità con il depositum fidei di sempre.......
Sul blog "Una Fides" è riportato l'intervento del Prof. De Mattei al congresso sul Vat.II organizzato a Parigi dalla Fraternità. Intervento molto profondo che meriterebbe di essere conosciuto e che indirettamente è la risposta a Mons. Di Noia......
don Bernardo
Ripeto che in fondo, se veramente a Roma volessero ristabilire la tradizione, potrebbero farlo indipendentemente dalla SPX.
Settembre 2012. Il noto sacerdote gesuita (sic!) specializzato in danze induiste, si esibisce (mezzo nudo) in una chiesa tedesca.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=V5JRadjAeZs
Poi il papa e l'Ecclesia nuova hanno il coraggio di ribadire che "i preti della SPX non esercitano nessun magistero lecito nella Chiesa", e anche che "non sono cattolici perché non accettano il Concilio".
E menomale, e chi lo vuole un collega cosi' ?
In realtà gli basta tirare un sasso per beccare un prete non cattolico! Ma se non sei SPX hai l'immunità a vita. Altro che preambolo...
Stiamo commentando una lettera di cui abbiamo due versioni, inglese e francese, non totalmente concordanti, non si sa quale sia l`originale e non sappiamo chi l`ha uscita dalla sua confidenzialità.
I diretti interressati tacciono e Padre Lombardi ne sminuisce la portata riducendola ad un`iniziativa personale di Mons. Di Noia, come se non fosse stato il Papa ad averlo nominato a quel posto, come se quel testo non fosse stato sottoposto molto probabilmente al Papa.
Non paragono di certo una corrispondenza privata con gli insegnamenti secretati di un certo movimento o ancora con dispute sul Magistero della Chiesa o su questo o quel documento conciliare che dovrebbero svolgersi nel silenzio ovattato e al riparo da occhi e orecchie indiscreti.
Sono situazioni totalmente diverse e non comparabili.
È scioccante che ci sia nella Chiesa una formazione detta "cattolica" i cui iniziatori rifiutano la pubblicazione dei testi formativi, non è giusto, anzi, direi che è insensato esigere che le discussioni teologiche attorno ai documenti del Magistero o conciliari restino segrete, e poi perchè ricordare alla Fraternità quel testo che in ogni caso nessuno ha rispettato?
Basta andare in una libreria per rendersene conto...
Ma una lettera privata è una lettera privata fino a quando, preferibilmente entrambi (visto il tema mi sembra logico), mittente e destinatario si mettano d`accordo per pubblicarla.
Abbiamo già dimenticato l`uso deplorevole che ha fatto la Commissione vaticana della fuoriuscita della lettera dei tre vescovi(e anche qui c`entra il blog SP)?
Io,no.
Non si vuole che si discutano apertamente e pubblicamente le questioni dottrinali perché così facendo il Concilio Vaticano II parte già perdente!
Inoltre parlarne, nel mondo massmediatico moderno, significa pubblicizzare non solo le idee proprie ma anche quelle della controparte, e quindi guai a dare spazio mediatico alle idee della FSSPX.
Infatti chiedete in giro, al solito cattolico medio, cosa ne sa di Summmorum Pontificum, di colloqui dottrinali, ecc? Niente!
Discutendone si potrebbe anche risvegliare dal torpore.
Anche io mi devo svegliare presto. Concordo con Areki al 100%. Bisogna solo vedere cosa ci sarà in questa enciclica sulla fede, prossima ad uscire. Magari sarà il colpo di scena che rimette apposto tutta la crisi?! Chissà.
L'esempio però di San Pio X è assolutamente poco calzante e poco pertinente e anche fastidioso visto che gli abusi più odiosi sono stati operati nella musica da messa dopo il Concilio fatta di canzonette e balletti benedetti a sfregio delle sacrosante norme universali di Pio X e Pio XII, da tutti i Papi Conciliari.
Da un Papa musicista ci saremmo aspettati una fermezza e un rigore risolutivo, invece abbiamo solo avuto un Palombella, una montagna che invece di partorire un topolino partorisce un asino.
Non dice niente il fatto che il Papa parli di "nuova Babele"?
E siamo proprio sicuri che l'uso inappropriato delle parole non segnali una perdita dei significati, a volte una vera ignoranza, in breve e in profondità un collasso culturale?
Se a questo si aggiunge l'uso volutamente strumentale che spesso si fa delle parole, il quadro è desolante.
Nessuno ne è esente, è difficilissimo di questi tempi capirsi. Anche nella Chiesa.
Nella Chiesa Cattolica, però, esiste la Grazia, ed esistono le grazie di stato che, nel caso della Gerarchia, assicurano il corretto esercizio del munus docendi.
Non c'é nulla nella lettera di Mons. Di Noia che non possa essere proclamato dai tetti, sicché non capisco le remore a svolgere pubblicamente questo discorso.
Oltretutto è assolutamente illusorio immaginare che nell'era di internet si possano seguire le procedure di quando non c'era la radio. Se si è abolito l'Indice perché è impossibile controllare la stampa, e si è giustamente promossa l'istruzione di massa, la diffusione della conoscenza anche delle Sacre Scritture; allora tutto questo esige una responsabilità diffusa.
Questa responsabilità pubblica va coltivata ed educata. Non ci sono più comunità territoriali separate, e la corrispondenza viaggia in tempo reale e in chiaro per tutti, non arriva in carrozza.
Se ci si astiene dal render tempestivamente palesi i messaggi buoni, si ottiene solo di lasciare il campo a chi ne sforna di cattivi. Non si usa prudenza: si edifica Babilonia.
Si disilludano quanti continuano a (e forse trovano comodo) usare metodi di secretazione, misure e tempi ormai inadeguati in tutto ciò che riguarda il bene comune della Catholica.
A parte il ridicolo riferimento alla Musica Sacra (ben altra materia, peraltro ampiamente disattesa dalla Chiesa Conciliare al pari di tutto il resto) io vedo in questa lettera un vuoto desolante.
Monsignore cita San Paolo alla Fraternità, a proposito di chi è fuori della Chiesa: perché non ripetono queste belle parole agli incontri ecumenici?
Ho voluto scrivere un articolo un po' lungo, ma che spero smuova un po' le coscienze intorpidite di tanti fratelli... Lo scenario non mi sembra così irreale.
http://opportuneimportune.blogspot.it/2013/01/autoritarismo-indifferenza-compromesso_22.html
Baronio
Marco P. hai ragione nel commento che ha fatto, vedete quello che diceva Sant'Agostino nel De Vera Religione:
"Per tutto ciò che tende all'unità la verità costituisce regola, forma, esempio o comunque la si voglia chiamare, perché essa sola ha pienamente realizzato la somiglianza con Colui dal quale ha ricevuto l'essere, ammesso che l'espressione " ha ricevuto " non sia usata in maniera impropria se riferita al Figlio, perché egli non ha l'essere da se stesso ma dal primo e sommo principio che si chiama Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome (Ef 3, 15)."
Per quanto riguarda le virtù di che parla Don Di Noia nel testo, sono belíssime, ma sarà possibile praticare queste virtù verso la Chiesa e non rispettare la tradizione? Quanti testi abbiamo letto che parlano del disprezzo e mancanza di rispetto per la tradizione? Se abbiamo questo in mente, vediamo che qualcosa non va bene...
Anche le parole citata per Don Di Noia del SP, dove se parla delle omissione nelle divisioni del cristianesimo, per parte dei responsabili per la Chiesa, sono per me inaccettabili. La testimonianza di quello che fanno in nome della “unità” è sufficiente per invalidare queste accuse di omissioni. Non se poteva aspettare del magistero pre-conciliare una offerta di unità, come quella che è stata offerta per gli anglicani o um ecumenismo utopico che lascia spesso l'impressione che la Chiesa ha perso l'unità e ha bisogno di ritrovarla. Le divisioni hanno cominciato ad esistere nel cristianesimo, dal momento che Giuda ha tradìto Gesù. Recentemente hanno difeso una rivisione della figura di Giuda (La BBC), in questo caso, la linea di questo sarebbe una presunta omissione di Gesù in relazione a Giuda? Se questo è un’assurdo per il caso di Giuda, perchè dobbiamo credere nelle omissione del magistero in ciò che riguarda le divisioni del cristianesimo? Leggiamo nel Vangelo che dobbiamo considerare come pagani e pubblicani chi non ascolta la Chiesa. Quindi, come possiamo capire questo insegnamento del Vangelo oggi? In tutti i casi che ci sono stati divisioni la Chiesa ha parlato, ma non gli hanno sentito, quindi, possiamo ancora parlare omissione della Chiesa?
Qualcuna volta me sembra che in nome dell'unità hanno posto la Chiesa in un Divenire perpetuo, perché la verità, questo dono più bello di Dio, causa delle divisioni ...
Beh, se Satana non esiste e se nella Chiesa esisteva solo i grani, questa speranza dell’ecumenismo conciliare potrebbe anche concretizzarsi. Ma purtroppo, Satana esiste, la zizzania esiste nella Chiesa, anche come i luppi, i maiali e i cani. In questo se vede anche la missione utopica data alla Chiesa per la Gaudium Et Spes: gli uomini della Chiesa sono pastore delle pecorele, non sono pastore di pecorele, luppi, maiali e cani. Con tanti neologismi, abbiamo bisogno di identificare un neologismo per una "gregge" che comprende tutti questi animali. Forse mi sbaglio, forse le parole del profeta Isaia quando dice, “il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue e il serpente si nutrirà di terra. Non si faranno male né si danneggeranno su tutto il mio santo monte, dice il Signore”, sono state soddisfatte e ancora dobbiamo parlare dell’unità del genero umano.
Tutti le altre crisi della Chiesa sono stati risolti con l'applicazione della regola di San Vincenzo di Lerino, ma come il magistero ha insegnato novità dottrinale, il magistero attuale non può applicare questa regola senza lasciare le novità insegnata e sembra che queste novità sono più importante che tutto quello che era stato insegnato prima.
Marco P. hai ragione nel commento che ha fatto, vedete quello che diceva Sant'Agostino nel De Vera Religione:
"Per tutto ciò che tende all'unità la verità costituisce regola, forma, esempio o comunque la si voglia chiamare, perché essa sola ha pienamente realizzato la somiglianza con Colui dal quale ha ricevuto l'essere, ammesso che l'espressione " ha ricevuto " non sia usata in maniera impropria se riferita al Figlio, perché egli non ha l'essere da se stesso ma dal primo e sommo principio che si chiama Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome (Ef 3, 15)."
Per quanto riguarda le virtù di che parla Don Di Noia nel testo, sono belíssime, ma sarà possibile praticare queste virtù verso la Chiesa e non rispettare la tradizione? Quanti testi abbiamo letto che parlano del disprezzo e mancanza di rispetto per la tradizione? Se abbiamo questo in mente, vediamo che qualcosa non va bene...
Anche le parole citata per Don Di Noia del SP, dove se parla delle omissione nelle divisioni del cristianesimo, per parte dei responsabili per la Chiesa, sono per me inaccettabili. La testimonianza di quello che fanno in nome della “unità” è sufficiente per invalidare queste accuse di omissioni. Non se poteva aspettare del magistero pre-conciliare una offerta di unità, come quella che è stata offerta per gli anglicani o um ecumenismo utopico che lascia spesso l'impressione che la Chiesa ha perso l'unità e ha bisogno di ritrovarla. Le divisioni hanno cominciato ad esistere nel cristianesimo, dal momento che Giuda ha tradìto Gesù. Recentemente hanno difeso una rivisione della figura di Giuda (La BBC), in questo caso, la linea di questo sarebbe una presunta omissione di Gesù in relazione a Giuda? Se questo è un’assurdo per il caso di Giuda, perchè dobbiamo credere nelle omissione del magistero in ciò che riguarda le divisioni del cristianesimo? Leggiamo nel Vangelo che dobbiamo considerare come pagani e pubblicani chi non ascolta la Chiesa. Quindi, come possiamo capire questo insegnamento del Vangelo oggi? In tutti i casi che ci sono stati divisioni la Chiesa ha parlato, ma non gli hanno sentito, quindi, possiamo ancora parlare omissione della Chiesa?
Qualcuna volta me sembra che in nome dell'unità hanno posto la Chiesa in un Divenire perpetuo, perché la verità, questo dono più bello di Dio, causa delle divisioni ...
Beh, se Satana non esiste e se nella Chiesa esisteva solo i grani, questa speranza dell’ecumenismo conciliare potrebbe anche concretizzarsi. Ma purtroppo, Satana esiste, la zizzania esiste nella Chiesa, anche come i luppi, i maiali e i cani. In questo se vede anche la missione utopica data alla Chiesa per la Gaudium Et Spes: gli uomini della Chiesa sono pastore delle pecorele, non sono pastore di pecorele, luppi, maiali e cani. Con tanti neologismi, abbiamo bisogno di identificare un neologismo per una "gregge" che comprende tutti questi animali. Forse mi sbaglio, forse le parole del profeta Isaia quando dice, “il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue e il serpente si nutrirà di terra. Non si faranno male né si danneggeranno su tutto il mio santo monte, dice il Signore”, sono state soddisfatte e ancora dobbiamo parlare dell’unità del genero umano.
Tutti le altre crisi della Chiesa sono stati risolti con l'applicazione della regola di San Vincenzo di Lerino, ma come il magistero ha insegnato novità dottrinale, il magistero attuale non può applicare questa regola senza lasciare le novità insegnata e sembra che queste novità sono più importante che tutto quello che era stato insegnato prima.
“Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale”. Georges Bernanos
Sembra che le proposte di Don Di Noia hanno um desiderio profondo di fare degli preti della FSSPX il miele della terra, tale come sono la maggioranza dei pretti conciliare. Per essere il sale della terra preferisco la posizione di Padre Berto (teologo personale di Don Lefebvre) come espresso ad un lettore di Pensée Catholique in uno testo dal titolo "Polemica e carità" che ho trovato solo in francese:
http://www.salve-regina.com/salve/Pol%C3%A9mique_et_Charit%C3%A9
Beh, io sono brasiliano, ma spero di non sentire nostalgia di questo spirito polemista di Padre Berto nella Chiesa.
Napolitano dice:
c'è un mancanza enorme nella ecclesiologia presentata nella letter di Mons. Di Noia: sembre che egli non vuole nella Chiesa nessun exercizio di una vocazione profetica, che denuncia errori e immoralità in foro pubblico...
Ma i profeti del A.T. denunciavano tali sia nel corte del Re, sia nel Tempio, sia nel pubblico, sia contro i pagani...
Quindi, l'argomentazione contenuta nella lettera di Di Noia non è ben fondata...
Questa lettera, a mio avviso, ha più ombre che luci:
- non si comprende il richiamo allo studio della filosofia a chi è mediamente più preparato di un qualsiasi prete diocesano;
- per quale motivo si dovrebbe silenziare il dibattito su questioni controverse?
- pretestuoso il caso di s.Pio X
sembra che in nome dell'unità hanno posto la Chiesa in un Divenire perpetuo,
è proprio così, purtroppo, la Chiesa intrappolata in un panta-rèi senza fine. Evidentissimo, da tutti i fiumi di carte e conferenze e congressi e parole straripanti.
E quella direzione continua, senza ripensamenti, e diventa pensiero obbligatorio per tutti, regime di pensiero UNICO, senza scampo.
Più cose ci sarebbero da ridire alla "santa" sede....santa perché Nostro Signore vi ha posto Pietro a Pascere TUTTO il gregge, non solo una parte che punge il tutto.
Anzitutto le parole tradizionale (la stessa parola di Dio, virtù...etc...) sulla bocca dei modernisti non hanno lo stesso significato...infatti le utilizzano "pro doma sua".
Le stesse cose e con toni ben più forti andrebbero dette pubblicamente alla sdtragrande maggioranza dell'episcopato...teologi...
mi sa tanto di tentativo per far rientrare in modo indolore uno scisma inesistente ma fastidioso, perché scardina 50anni di inutile dafarsi...
Dio benedica la buona volontà del Pontefice ceh cerca a modo suo, con gli strumenti che ha, di salvare il salvabile...
Nel 1990 la CDF, e dunque l`allora card. Ratzinger, ha pubblicato la DONUM VERITATIS rivolta ai vescovi e attraverso loro ai teologi, immagino che il dissenso e le libertà prese dai teologi l`abbiano motivata.
Molto interessante il capitolo sulla vocazione del teologo,
leggo che "La libertà propria alla ricerca teologica si esercita all’interno della fede della Chiesa."
e che nell`Istruzione
" si intende parlare di quell’atteggiamento pubblico di opposizione al magistero della Chiesa, chiamato anche «dissenso», e che occorre ben distinguere dalla situazione di difficoltà personale, di cui si è trattato più sopra. Il fenomeno del dissenso può avere diverse forme, e le sue cause remote o prossime sono molteplici.
Quando infatti il dissenso riesce ad estendere la sua influenza fino ad ispirare una opinione comune, tende a diventare regola di azione, e ciò non può non turbare gravemente il Popolo di Dio e condurre ad una disistima della vera autorità[30]."
Ancora:
"A più riprese il Magistero ha attirato l’attenzione sui gravi inconvenienti arrecati alla comunione della Chiesa da quegli atteggiamenti di opposizione sistematica, che giungono perfino a costituirsi in gruppi organizzati[25]. Nell'Esortazione apostolica Paterna cum benevolentia Paolo VI ha proposto una diagnosi che conserva ancora tutta la sua pertinenza. "
È ancora detto che:
Ma l’esigenza critica non va identificata con lo spirito critico, che nasce piuttosto da motivazioni di carattere affettivo o da pregiudizio. Il teologo deve discernere in se stesso l’origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede. L’impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione.
11. Il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede.
Richiami forti ma restati senza seguito, a che cosa serve redigere e pubblicare un`Istruzione se poi NEI FATTI, SUL TERRENO, nessuno interviene per farla applicare?
Ancor più se si sa, e l`Istruzione lo precisa,che quel documento fa parte del Magistero ordinario?
Quale assenso è stato dato all`istruzione?
I teologi, cardinali, vescovi, professori hanno continuato liberamente a seminare confusione e ribellione nella Chiesa con i loro magisteri paralleli.
E oggi mons. Di Noia riattualizza quell`Istruzione per la FSSPX!
Non mi sembra molto coerente .
C`è in quell`Istruzione un passaggio che mi suscita parecchie domande, è questo:
"La volontà di ossequio leale a questo insegnamento del Magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola.
Può tuttavia accadere che il teologo si ponga degli interrogativi concernenti, a secondo dei casi, l’opportunità, la forma o anche il contenuto di un intervento. Il che lo spingerà innanzitutto a verificare accuratamente quale è l’autorevolezza di questi interventi, così come essa risulta dalla natura dei documenti, dall’insistenza nel riproporre una dottrina e dal modo stesso di esprimersi[24].
In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione. Di fatto il teologo, che non può esercitare bene la sua disciplina senza una certa competenza storica, è cosciente della decantazione che si opera con il tempo. Ciò non deve essere inteso nel senso di una relativizzazione degli enunciati della fede. Egli sa che alcuni giudizi del Magistero potevano essere giustificati al tempo in cui furono pronunciati, perché le affermazioni prese in considerazione contenevano in modo inestricabile asserzioni vere e altre che non erano sicure. Soltanto il tempo ha permesso di compiere un discernimento e, a seguito di studi approfonditi, di giungere ad un vero progresso dottrinale."
Non sono teologa, e nemmeno competente in quella materia, ma mi sbaglio se leggo in quelle parole un`apertura su un`interpretazione del Magistero che potrebbe anche essere di rottura?
La lettera parla di "analogia della fede". Che significa?
Vedi CCC. 114 3. Essere attenti all'analogia della fede. Per « analogia della fede » intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della Rivelazione.
Mic,
Ho sentito questo termine "analogia della fede" nella teologia del protestante Karl Barth. È la prima volta che ascolto questo termine nella teologia cattolica.
Ho trovato in questa pagina del sito
http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Vita%20Spirituale/08-09/10-Bibbia_una-sola.html
...Oltre alla dimensione ecclesiale, i documenti del Magistero moderno parlano anche dell’analogia della fede (cf EB 109.5 51.612). La formula è presa dal testo di Paolo ai Romani, dove si parla dei diversi carismi nel Corpo di Cristo (cf Rm 12,6).
Per analogia della fede non si intende solo l’unità complessiva della Scrittura, ma l’unità di tutto il messaggio salvifico, sia quello custodito nella Scrittura, sia quello riecheggiato dalla Tradizione cristiana nell’arco della storia, dietro l’insegnamento del Magistero.
L’interpretazione biblica dunque deve servirsi di questo contesto vivo e inserirsi pienamente, perché anche qui il medesimo Spirito è all’origine della Parola scritta e presiede al suo approfondimento nella Tradizione ecclesiale.
L’analogia della fede applicata alla Scrittura allontana le interpretazioni contrarie alla fede della Chiesa ed inoltre diventa stimolo e luce nell’approfondire il mistero della Scrittura, perché tutti i misteri si articolano gli uni con gli altri e si chiariscono reciprocamente.
Cara Luisa,
Anch'io non sono teologo, ma in quanto i documenti del Magistero conciliari hanno errori mescolati con verità, sono pericolosi per noi laici. In questo senso ho dei dubbi sulla regola di San Vincenzo di Lerino. Per ricordare quello che lui dice:
«Quando l’errore si espande talmente da infiltrarsi in quasi tutta la Chiesa, occorre aderire a ciò che Ella ha insegnato sempre e dappertutto ed è stato creduto universalmente» (Commonitorium, III, 15).
Che cosa significa l'infiltrarsi dell'errore in quasi tutta la Chiesa? Significa che l'errore può infiltrarsi in una determinata epoca storica fino al magistero? Come si applica la regola di San Vincenzo, in pratica?
In certo senso, la regola di San Vincenzo ricorda il motto di Sant'Agostino: "Unità nelle cose fondamentali, libertà dove c'è il dubbio, carità in tutto". La regola di San Vicenzo propone esatamente la unita intorno a quello che sempre la Chiesa ha insegnato e la libertà delle dubbi.
Un saluto dal Brasile
Si tratta di un principio teologico essenziale alla teologia cattolica, per il quale, per esempio, si può fare riferimento alla Costituzione dogmatica Dei Filius (1870):
------------------
Quando la ragione, illuminata dalla fede, cerca con zelo, pietà e moderazione, per il dono di Dio arriva a una certa conoscenza molto feconda dei misteri, sia grazie all’analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso degli stessi misteri fra loro e con il fine ultimo dell’uomo. Mai, però, essa è resa capace di penetrarli come le verità che formano il suo oggetto proprio. I misteri divini, infatti, per loro intrinseca natura, sorpassano talmente l’intelligenza creata, che anche se trasmessi per divina rivelazione e ricevuti mediante la fede, rimangono avvolti nel velo della fede e quasi avviluppati in una caligine, fino a quando, in questa vita mortale, «siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2Cor 5,6).
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http://www.disf.org/Documentazione/05-0-Vaticano_I.asp
Ho tratto il riferimento da un breve trattato sull'Analogia di Alberto Strumìa, nel quale la parte più direttamente pertinente è il capitolo III "Analogia e teologia".
http://www.disf.org/voci/29.asp
Giuseppe il testo che lui ha postato parla della analogia fidei esattamente nella teologia di Karl Barth, guarda:
"La teologia dei riformatori, specie con Karl Barth (1886-1868) ha fatto uso dell’espressione analogia fidei per indicare nella divina rivelazione l’unica fonte di conoscenza di Dio, contrapponendola alla analogia entis intesa come fondamento della via percorsa dalla ragione naturale per una conoscenza non rivelata di Dio che, nella visione luterana, è negata in radice ( Lutero). Rifiutando la possibilità di una conoscenza analogica di Dio partendo dal creato, tali autori cercano di fondare la possibilità e l'intelligibilità della Rivelazione unicamente sul dono della grazia: «I nostri concetti e i nostri termini umani — affema Barth —, in quanto nostri, sono totalmente incapaci di esprimere Dio e il suo mistero; la loro possibilità di essere veri viene loro soltanto dalla rivelazione». Per Barth, di Dio si può dire soltanto ciò che Dio stesso dice di Sé, cioè solo la sua Parola, il Cristo. Va tuttavia osservato che tale prospettiva non risolve in modo convincente il problema di fondare l'intelligibilità e la comprensione della parola rivelata, in quanto, sebbene aiutati dalla grazia, la nostra comprensione di Dio continuerà ad esprimersi con le parole del nostro linguaggio, perché le uniche disponibili. In definitiva, non si potrà mai prescindere dalla necessità dell'analogia dell'essere: «se il Cristo può utilizzare tutte le risorse dell'universo creato per farci conoscere Dio e i costumi divini, è perché la parola creatrice ha preceduto ed è il fondamento della parola rivelatrice, ed è perché l'una e l'altra hanno come principio la stessa Parola interiore di Dio. La rivelazione del Cristo suppone la verità dell'analogia» (R. Latourelle, Teologia della Rivelazione, Assisi 1986, p. 425)" http://www.disf.org/voci/29.asp
Altri fonti:
Nota 58 in un libro di De Lubac:
http://books.google.com.br/books?id=ooZMfhSj4FAC&pg=PA124&lpg=PA124&dq=%22analogia+della+fede%22+Karl+Barth&source=bl&ots=0RABUklU-S&sig=aX9shpfMHlypXgcCdBEpbtnSyNs&hl=pt&sa=X&ei=QPf-UMj-Hoik8gSPlYDwCA&ved=0CDoQ6AEwAg#v=onepage&q=%22analogia%20della%20fede%22%20Karl%20Barth&f=false
L'Anselmo di Urs Von Balthasar:
http://www.uprait.org/sb/index.php/ao/article/viewFile/205/157
L'uomo secondo il disegno di Dio: trattato di antropologia teologica - Battista Mondim
http://books.google.com.br/books?id=7IS_Tsj2yRYC&pg=PA137&lpg=PA137&dq=%22analogia+della+fede%22+Karl+Barth&source=bl&ots=p2B0l5suKW&sig=8nN8cojw0LrAyudcrHG7vM48BUQ&hl=pt&sa=X&ei=QPf-UMj-Hoik8gSPlYDwCA&ved=0CEQQ6AEwBA#v=onepage&q=%22analogia%20della%20fede%22%20Karl%20Barth&f=false
Karl Barth nell'analogia fidei difende che l'uomo non può avere nessuna conoscenza di Dio se Dio stesso non si rivela a lui. In quanto me sembra che Santo Tommaso difende l'analogia dell'essere, dove difende che l'uomo può avere una conoscenza di Dio per la ragione, ma questa è limitata. Nel commento di Battista Mondim, Urs Von Balthasar non vuole separare e contrapporre l'analogia dell'essere della analogia fidei, sarà possibile?
Per fine, per il commento dell'anonimo, l'analogia fidei in qualche modo se une al concetto di fonte di rivelazione della Dei Verbum o alla "reductio ad unum" che lei fa.
Un saluto dal Brasile
Bisogna concedere che, senza minimamente derogare alla Verità e alla chiarezza, ci possono essere dei metodi differenti per esprimerla e per dibattere.
Dipende A CHI si voglia indirizzare il dibattito e CHI debba far crescere.
I temi inerenti i problemi di alcune allocuzioni del Concilio, non sono temi "divulgativi".
Per divulgarli c'è bisogno di un criterio. E questo criterio è giusto che tenga conto della Chiesa, della sua coiesione e del suo stato, di Sposa incorrotta di Cristo.
Lo ripeto: non sto dicendo che bisogna mentire per quieto vivere. Sto dicendo che i metodi HANNO UN SENSO. E che le discussioni sul Concilio HANNO SENSO, ma devono essere concepite in modo costruttivo.
Nel senso che se discutendo il Concilio si attacca la CHiesa, la si accusa, si inveisce o si radicalizza lo scontro, questa discussione non è costruttiva ma è "esclusivista".
Il metodo migliore, secondo me, è quello usato dai FI.
Essi dicono esattamente LE STESSE COSE della SPX, ma in un modo molto particolare. Che definisco realmente "costruttivo" e inattaccabile.
Tutto abbastanza imbarazzante, in pratica si invita la spx a comportarsi come le altre sette di cui ormai si compone la Chiesa.
Perché questo è diventata la Chiesa oggi: una collezione variopinta di sette ereticali, ognuna con la propria patente di legittimità a patto di non parlare degli altri.
Concordo con le osservazioni molto acute di tutti i commentatori che mi hanno preceduto.
Ormai il cattolicesimo non dovrebbe neanche chiamarsi più così proprio perché viene meno il significato stesso del termine, non c'è universalità nella logica dei particolarismi senza violare il principio di non contraddizione.
Ormai ci vogliono come iniziati a logge massoniche, visto l'invito all'esoterismo (chiusura) e a negare l'essoterismo (apertura) connaturato con il cattolicesimo.
Tra le altre cose mi ha copito il riferimento a non giudicare il prossimo, come se le scomuniche quelli della spx se le fossero date da soli.
Boh! Ma di cosa stiamo parlando?
Osservatore dice,
Annonimo a 23 gennaio 2013 14:22:
hai indovinato la intenzione di molti parrocci nel mondo che hanno tolto la parola 'Cattolica' dal nome delle sue parrocchie nei ultimi 30 anni; i suoi eredi hanno tolto in seguito il nome "Chiesa": adesso parlano di "centro communitario" e "communità di base"...(in verità communità di basso, ma communque)
Uno degli elementi spesso ripresi della lettera di Mons. di Noia è la sua riflessione sulla ragion d'essere della FSSPX: formare preti e non polemizzare sulla teologia.
Se si legge la biografia di Mons. Lefebvre di Mons. Tissier de Mallerais ci si accorge che l'opera sacerdotale fu lanciata per rispondere ai gravi problemi dottrinali incontrati dai seminaristi nella loro formazione. Mi sembra che siano i giovani aspiranti al sacerdozio che hanno cercato Mons. Lefebvre per la sua reputazione di uomo di fede integra, perché si trovavano in una situazione tragica per la sopravvivenza della loro vocazione sacerdotale in un contesto di quasi apostasia.
La formazione dei preti è stata immediatamente considerata nel suo rapporto con la correttezza teologica. Separare l'una dall'altra mi parrebbe problematico.
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