Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 16 gennaio 2019

Intervista al Vescovo Crepaldi sulle migrazioni. Ma "La Verità" sbaglia titolo

Il quotidiano italiano “La Verità” ha pubblicato ieri lunedì 14 gennaio una intervista all’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente dell'Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân, a firma di Lorenzo Bertocchi. L’occasione era data dall’uscita in libreria del Decimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio stesso, edito da Cantagalli.
Purtroppo i redattori del quotidiano hanno messo un titolo sbagliato: “Non esiste un diritto ad emigrare”, come se questo emergesse dall’intervista di Mons. Crepaldi, cosa che invece non è. Già nell’Ottavo Rapporto dedicato proprio al fenomeno delle Migrazioni [vedi nel blog], il vescovo Crepaldi aveva chiarito l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa sull’argomento: a) c’è un diritto a non emigrare; b) c’è un diritto ad emigrare; c) non c’è un diritto assoluto ad immigrare, ossia ad entrare in un altro Stato".
Fatta eccezione per questo errore nel titolo, opera redazionale e da non attribuirsi all’autore dell’intervista, le risposte di Mons. Crepaldi meritano attenzione e per questo riportiamo qui sotto l’intervista. (Fonte)

Si moltiplicano gli appelli all’accoglienza, spesso anche da parte di uomini di Chiesa. Quali sono i criteri che la Dottrina sociale della Chiesa offre per affrontare il problema delle immigrazioni senza cadere nel vuoto buonismo? 
Una delle vie privilegiate di esercizio della carità è la politica, la quale richiede anche l’uso della ragione perché non si limita ad azioni personali di solidarietà ma vuole costruire una società solidale, che funzioni in tale modo. Non potendo andare tutti a Lampedusa ad accogliere immigrati bisogna impegnarsi con una buona politica la quale deve sempre perseguire il bene comune, che non è solo quello degli immigrati, ma anche quello della nazione accogliente e quello del bene della comunità universale. Quindi le politiche dell’immigrazione devono considerare i bisogni di chi chiede accoglienza e nello stesso tempo interrogarsi sulle reali possibilità di integrazione oltre l’assistenza immediata e di altri problemi, come per esempio combattere la criminalità organizzata che organizza gli sbarchi, disincentivare la collusione di alcune ONG, non scaricare tutta la responsabilità sull’Italia ma favorire la collaborazione europea e mediterranea e così via. La carità personale getta spesso il cuore oltre l’ostacolo, ma la politica deve regolare l’accoglienza in modo strutturale nella tutela del bene di tutti.

Secondo il recente Decimo Rapporto del vostro Osservatorio, la questione del rapporto con l’islam assume chiaramente una rilevanza politica e deve perciò essere giudicata anche con i principi della Dottrina sociale. Cosa significa per l’integrazione dei migranti di fede islamica? 
La politica che si occupa di religioni deve prima di tutto conoscere le religioni di cui si occupa, evitando di considerarle tutte uguali o tutte diverse. In altre parole, deve misurarsi con la verità delle religioni, altrimenti non esercita la propria razionalità politica. Questo è un dovere della politica che va attuato anche nei confronti dell’islam. È un compito, in un certo senso, anche della Chiesa, che non dovrebbe limitarsi al solo dialogo interreligioso o predicare una accoglienza generica e indifferentista. Anche la Chiesa dovrebbe valutare l’islam – come del resto le altre religioni – alla luce dei principi della sua Dottrina sociale.
L’integrazione autentica richiede questa valutazione, nel rispetto di tutti, compreso l’islam che certamente non ha interesse ad essere considerato diversamente da quello che è. Per conoscere una religione però, bisogno rifarsi alla sua teologia, alla sua visione di Dio, la quale richiede sempre al fedele una coerenza rispetto ai suoi principi. Questa coerenza teologica si impone sempre, prima o dopo. Le discussioni sull’islam “moderato” o “europeo” qui cadono.
Ecco perché non bisogna far finta che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l’integrazione. Ne elenco alcuni: l’idea di Dio come Volontà, le sue leggi come decreti a cui obbedire alla lettera, l’impossibilità di un diritto naturale, la coincidenza tra legge islamica e legge civile, la distinzione antropologica tra categorie di persone, la priorità della Umma sull’umanità allargata, l’espansione come conquista… Illudersi che queste ed altre caratteristiche possano mutare è ingenuo, come pensare che un cattolico possa rinunciare alla Trinità di Dio e alla incarnazione di Gesù.

Per qualcuno sembra che il fenomeno dell’immigrazione sia ineluttabile e l’unica soluzione sia la società multietnica fatta di diverse culture e religioni. Lei che ne pensa?
Bisogna distinguere tra le situazione di fatto e quelle di diritto. Può darsi che il fenomeno delle migrazioni e delle immigrazioni di fatto continui, ma nessuno può dire che sia in sé un bene. I vescovi dell’Africa invitano i loro giovani a non emigrare e la Dottrina sociale della Chiesa dice che esiste prima di tutto un diritto a “non emigrare” e a rimanere nella propria nazione e presso il proprio popolo. Del resto, si sa che dietro la marea migratoria ci celano molti interessi anche geopolitici. Le migrazioni non sono quindi un bene in sé, la cosa dipende se servono il bene dell’uomo o no, e se non sono un bene in sé non sono nemmeno ineluttabili, anche se il giudizio di fatto oggi sembra dirci così.
Lo stesso dicasi per la società multireligiosa: non è un bene in sé, essa è a servizio del bene comune, che rimane il fine ultimo della comunità politica. Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali. Dire che è un bene in sé significa rinunciare a valutare le religioni con un criterio di verità.
In un celebre discorso pronunciato 9 giorni dopo l’attacco alle torri gemelle di New York, il cardinale Giacomo Biffi disse che a proposito dell’immigrazione «dovere statutario del popolo di Dio e compito di ogni battezzato è di far conoscere Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, e il suo necessario messaggio di salvezza». Questo compito della comunità cristiana non viene messo un po’ in secondo piano oggi?
L’evangelizzazione e la promozione umana vanno insieme. Questo vuol dire anche che la promozione umana non può sostituire l’evangelizzazione. Accogliere e integrare può essere l’obiettivo della politica, ma la Chiesa ha un obiettivo che va oltre: annunciare Cristo. Ritengo che oggi ci sia la tentazione di fermarsi prima dell’annuncio.
Sempre secondo Biffi «poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione» e indicava chiaramente che «la responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri».

Sembra buon senso, eppure oggi sembra sostituito da un "ecumenismo” dal sapore “politico". Sbagliava forse il cardinale Biffi? 
Come dicevo sopra, l’ecumenismo politico che accoglie tutte le religioni indiscriminatamente, significa l’abdicazione della politica al proprio dovere di perseguire il bene comune, che non è una semplice convivenza ma una convivenza ordinata. Ci sono aspetti delle religioni che mettono in pericolo questa convivenza ordinata. Bisogna però anche rovesciare il ragionamento: la ragione politica occidentale si è indebolita e tollera ormai tutto. Essa nasconde questa sua debolezza trasformando in valore la sua indifferenza religiosa. Il debole, come diceva Nietzsche, si difende trasformando in virtù la propria miseria. Così fa anche l’Europa che chiama tolleranza religiosa l’indifferentismo religioso. La politica deve essere tollerante ma non può tollerare il male da qualsiasi parte esso venga, comprese le religioni. Le politiche religiose, fatta salva la dignità delle persone, devono tenere conto di queste differenze sia nell’accogliere che nell’integrare e non può mai fare di ogni erba un fascio. 

6 commenti:

La Repubblica ha detto...

Migranti, anche in Spagna stretta sulle Ong: Open Arms bloccata a Barcellona

irina ha detto...

"...Ora, com'è COMPITO della CARITA' farci praticare TUTTI i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla DEVOZIONE aggiungerci la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva TUTTI i Comandamenti di Dio NON può essere giudicato NE' buono, NE' devoto..."

( San Franesco Di Sales, Filotea, Introduzione alla vita devota, p.23, Paoline, Milano, 1996 )

Anonimo ha detto...

4.305 cristiani sono stati uccisi soltanto perché cristiani nell'ultimo anno, mille in più rispetto all'anno prima (3.066). Oggi la ong Porte Aperte pubblica la lista dei 50 paesi dove più si perseguitano i cristiani. Sono 1.847 le chiese attaccate. L'Occidente – i suoi media che fanno pippa, le sue insulse cancellerie, i suoi intellettuali presi da Cesare Battisti, i suoi organismi internazionali venduti – se ne fregano, troppo presi a esecrare l'Occidente stesso (razzista, misogino, islamofobo, populista etc..) e Israele, un paese dove i cristiani godono di una libertà immensa. Le autorità cristiane europee - da Roma a Westminster - lisciano il pelo al mondo islamico, principale fonte di persecuzione anticristiana assieme alla Cina comunista (con la quale il Vaticano ha da poco stretto un patto scellerato). L'Europa, nella cui memoria storica ci sono tante guerre di religione, ha svenduto uno dei suoi capisaldi, la libertà religiosa, che fu così importante ancora nella Guerra Fredda. Sto leggendo "Serotonina" di Houellebecq, dove scrive: "Ecco come muore una civiltà, senza seccature, senza pericoli né drammi e con pochissimo spargimento di sangue, una civiltà muore semplicemente per stanchezza, per disgusto di sé…". Questo nostro voltafaccia sui cristiani è puro disgusto di sé...
Giulio Meotti

mic ha detto...

Israele, un paese dove i cristiani godono di una libertà immensa. 

Una delle notizie più recenti (fonte AsiaNews)
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2018/11/gerusalemme-la-colonizzazione_18.html

rivelazione.net ha detto...

“La dottrina sociale della Chiesa è chiara: i popoli devono rimanere nelle loro terre. La politica decide se accogliere o no, la religione deve annunciare Cristo. Ma forse qualcuno se n’è scordato…“

A parlare è Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuan sulla dottrina sociale.
E’ chiaro che sono parole in netto contrasto con la linea di Bergoglio.
Bergoglio che continuamente sostiene l’immigrazione e condanna il nostro Governo che chiude i porti.
Bergoglio che fa politica invece di preoccuparsi di evangelizzare Cristo.
Bergoglio che vuole arrivare ad un’unione tra le religioni senza tener conto delle differenze sostanziali che le dividono.
...
L’arcivescovo Crepaldi proprio riferendosi all’integrazione afferma: “Non bisogna sottovalutare la religione delle persone che vengono accolte. In questo caso l’Islam. Non bisogna far finta che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l’integrazione“. Aggiunge: “Una società multireligiosa non è un bene in sè. Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali“.

mic ha detto...

"

Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali“."

Per non parlare della coatta sottomissione degli "infedeli" cioè di tutti gli altri, della teocrazia che non considera la persona se non in funzione dell'appartenenza alla comunità che ne strangola il libero arbitrio... e si potrebbe continuare a lungo.