Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 22 aprile 2021

Dante universale non globalista

Intervista a Marcello Veneziani su Dante per la rivista Il Timone.
Veneziani, lei sostiene che l’Italia non fu fondata da un condottiero ma da un poeta, perché?

Prima di diventare uno stato o un regno unito l’Italia fu unificata dalla lingua e dalla cultura. L’unità letteraria precede di secoli la più recente, e controversa, unificazione politica, militare, dinastica. L’Italia, sostengo nel libro, è una nazione culturale, nata dall’arte, dalla letteratura. E prima che una nazione, l’Italia fu una civiltà, una koinè, derivata dall’Impero romano e dalla cristianità, dal diritto romano e dal cattolicesimo romano. Dante è il primo ad avere questa visione e pone le basi della lingua attraverso l’apologia e l’adozione del volgare illustre come lo definiva. Per questo davvero Dante può definirsi “nostro padre”, fondatore d’Italia oltreché della lingua italiana, precursore di quel fremito spirituale e civile che poi si ritrovò nei secoli e nell’espressione stessa di Risorgimento.

Ha scritto che la storia è in funzione della geografia, se ho ben capito anche lei pensa che questo aspetto abbia a che fare con Dante fondatore della patria, in che senso?

La geografia ricorre nel De vulgari eloquentia e in tutte le opere dantesche; la sua idea d’Italia si radica nei territori, nei dialetti, nelle differenze dei popoli. Dante distingue l’Italia non tra nord e sud ma tra versante adriatico e versante tirrenico; la linea di separazione è la dorsale appenninica. A suo parere l’Italia non può prescindere dalla sua configurazione geografica. A questa considerazione che potremmo definire di realismo geopolitico, si unisce anche quella che GianBattista Vico poi chiamerà geografia poetica, in cui il ruolo della lingua, dei versi, delle sensibilità letterarie e spirituali gioca un ruolo importante per la coesione nazionale e l’amor patrio.

Esiste ancora questa Italia geoculturale? Se no perché?

Credo di sì, è la croce e la delizia della nostra unità che non è mai stata uniformità. Sarebbe una violenza alla storia, all’etnografia, alle culture non vedere questa diversità storica e culturale alle radici dell’Italia. Ma sarebbe anche folle ritenere irrilevante la configurazione del nostro stivale, una penisola circondata dal mare e separata dall’arco alpino dal resto del continente. Siamo una nazione disegnata dalla natura. Prima che la storia è la geografia a imprimere una forte identità all’Italia. A quella conformazione geografica ha fatto seguito una sedimentazione culturale millenaria che ha dato luogo all’identità italiana.

In che senso ritiene che Dante sia il trait d’union tra pensiero laico e cristiano?

Dante non è Machiavelli, non concepisce l’autonomia della politica dalla morale e dalla religione, è fortemente intriso della civiltà cristiana medievale, ha un severo impianto teologico e una forte visione della trascendenza. È cattolico ma non clericale, in polemica con papi e cardinali del suo tempo e non ritiene possibile – come mostra nel de Monarchia – stabilire la priorità del potere ecclesiastico su quello politico. Reputa entrambi i poteri provenienti direttamente da Dio, e storicamente – fa notare – il potere dell’impero precede di secoli il potere della Chiesa. Qui è il primo fondamento della sua visione religiosa e politica; che resta profondamente teologica e sacrale ma al di fuori della supremazia della chiesa attraverso la nota donazione di Costantino, che all’epoca di Dante non era stata ancora disvelata come falsa. Il pensiero dantesco, così sanguigno così celeste, non insegue l’angelismo, sa ben distinguere tra la civitas terrena e la civitas dei. Da qui il formarsi di un pensiero che col senno di poi è stato definito laico.

Che differenza c’è tra l’universalismo di Dante e il globalismo cavalcato dai liberal di tutto il mondo?

L’universalismo di Dante è piramidale, ha una base terrena larga e un vertice unitario trascendente. La sua visione del Sacro Romano Impero mantiene questa verticalizzazione insopprimibile. La globalizzazione invece è un processo di uniformazione del mondo sulla base di due gambe terrene, che appartengono al regno dei mezzi e non dei fini: la tecnica e l’economia, la tecnologia e il mercato. Per così dire la globalizzazione è orizzontale, l’universalismo dantesco è verticale, alla sua sommità c’è Dio, non il profitto, non la volontà di potenza, non Faust né Prometeo.

Lei scrive che Dante è platonico nell’anima e aristotelico nella mente, perché?

Platonica è la sua visione metafisica, il suo afflato, il divino mondo delle idee e delle beatitudini, la concezione spirituale dell’amore come energia ascendente. Aristotelico è invece l’impianto logico, l’osservazione della realtà, della natura e dell’umanità, la concezione etico-politica. Aristotele giunge a Dante dai suoi “commentatori” arabi, in primis Averroè. Platone è la sua visione del paradiso, tra Beatrice e san Bernardo di Chiaravalle. E dietro Platone e Aristotele, ci sono per Dante come per gran parte della cultura del suo tempo, la lectio di Sant’Agostino e della Patristica da un verso e di San Tommaso e della Scolastica dall’altro.

Dante capostipite del pensiero vivente italico? E che cos’è questo pensiero vivente italico?

L’espressione “pensiero vivente” è mazziniana, e su quella definizione si è inserita una corrente di pensiero spiritualista che potremmo definire propriamente il pensiero italiano; che parte dalla romanità e dalla cristianità, poi si esprime nel medioevo dantesco e tomista, si ritrova in parte nel pensiero umanistico e rinascimentale, per ritrovarsi poi in Vico e nel pensiero di Rosmini, di Gioberti e di Mazzini, per ritrovarsi infine nello spiritualismo del XX secolo. È un pensiero che non resta astratto, accademico, analitico o illuministicamente razionale; ma è un pensiero che si fa sintesi di vita, si fa storia, si fa politica, si fa umanità. È spiritualismo politico, quello dantesco, un pensiero poetico, ove poetico indica qualcosa che si agisce, s’incarna, s’invera. D’altra parte basta leggere i testi e i versi di Dante per rendersi conto che la contemplazione del divino, il senso religioso, la beatitudine celeste, non sono mai disgiunti dalla vita e dalle sue passioni. La poesia di Dante è poesia intellettuale ma non nel senso di cerebrale o di intellettualistica; è poesia dell’intelligenza, intelletto d’amore, intuizione e visione.

Quale Risorgimento nel senso inteso da Dante è possibile oggi dove Dio e la Tradizione sembrano essere fuori dallo spazio pubblico?

Il Risorgimento nella sua definizione originaria deriva dal pensiero religioso ed è l’idea di resurrezione applicata alla vita di una nazione. Nel pensiero che lo accompagnò nei suoi primi passi, con Rosmini e Gioberti, ma anche con Manzoni, indicava proprio una risposta spiritualistica alla Rivoluzione francese e una correzione “religiosa” del laicismo massonico che pure permeò il processo unitario. Sull’idea del Risorgimento come opposto all’idea di rivoluzione e di controrivoluzione, scrisse pagine memorabili Augusto del Noce, che lesse anche Dante in questa chiave. Dante che si potrebbe dire parafrasando un giudizio famoso, fu il più grande degli italiani e il più italiano dei grandi; o il sommo poeta tra gli italiani e il sommo italiano tra i poeti. Mi pare difficile ravvisare oggi i segni e i presagi di un Risorgimento nel senso indicato. Dante resta profeta inascoltato, visionario inattuale”.
Lorenzo Bertocchi, Il Timone, marzo 2021 -  Fonte 

21 commenti:

Anonimo ha detto...

l'Italia oramai è un campo di prigionia. Le nostre case come celle, le passeggiate come ore d'aria, le quarantene come isolamento, le autocertificazioni come lasciapassare, i pass va**inali come futuri permessi premio. Ci muoviamo come se stessimo facendo una gigantesca ginnastica d'obbedienza. Mascherati, in fila, proni ai voleri dell'autorità. Puniti per il fatto stesso di voler vivere e respirare. Riprogrammati come automi, manovrati come burattini nella nuova normalità.
"Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!"
Risuonano come un monito, tuonano fragorosi i versi del Canto VI del Purgatorio, di Dante Alighieri. Da madre a matrigna. Da sovrana a schiava. Da patria a prigione. Questa è oggi la nostra terra, dove il sistema creato infligge pene detentive e rieducative ai suoi figli. Prendere coscienza, intimamente, della nostra condizione di "prigionieri" è dunque essenziale per spezzare le catene invisibili che ci tengono in schiavitù. Per continuare a sperare in un futuro degno, in una terra " fertile" da coltivare. Rifiutare in blocco la narrazione pandemica è l'unica strada percorribile. L'ultima speranza rimasta.

Coprifuoco, misura demenziale se non criminale ha detto...

Letta la bozza del nuovo decreto.
Misure che nessun altro paese si sognerebbe di adottare! Misure degne del periodo più buio della storia! Draghi si conferma il sicario dei poteri finanziari per liquidare definitivamente l’Italia! Chi non si oppone a una simile infamia è complice di questi criminali!

Anonimo ha detto...


Misure che nessun altro paese si sognerebbe di adottare...

Vivi all'estero? Probabilmente no. E allora informati e vedrai che in diversi altri paesi europei si adottano le stesse misure o misure simili.
E che anche negli altri paesi fuori degli uffici postali ci sono le file con la gente pazientemente a intervalli di due metri e la mascherina, magari sotto la pioggia.
All'estero non hanno la mentalità masochistica del "solo da noi succedono certe cose".

Anonimo ha detto...

Non fatevi il "PASS VERDE", è un passaporto autoritario che mina i diritti garantiti dalla Costituzione.
Disobbedite
Spostatevi liberamente dove vi pare: più di una multa (peraltro impugnabile) non potranno.
È un preciso DOVERE opporsi agli abusi
https://t.me/joinchat/T_xa5xM_0jF7b3wS

Anonimo ha detto...


Importante intervista di Veneziani su Dante padre spirituale dell'Italia.

Le tesi di fondo di Veneziani sembrano condivisibili.
È certamente esistita un'unità d'Italia prodotta dagli uomini di cultura, a partire appunto
dall'epoca di Dante. Su questa "unità" bisognerebbe tuttavia precisare.
Mi chiedo se non sia stata soprattutto unità sentita da élites colte assai più che da ceti dirigenti e popolazioni, nonostante certi fondamentali valori comuni, creati dalla religione.

Possiamo chiederci: perché l'unità culturale ci ha messo tanti secoli a diventare anche politica? Per un insieme di fattori, non ultimo dei quali l'opposizine costante del papato ad una monarchia nazionale italiana, considerata troppo pericolosa per la libertà d'azione della Chiesa.
Tesi di Machiavelli ripresa in questo modo da Ippolito Taine, nel 1864, in un giudizio forse troppo duro ma che, a mio avviso, fa riflettere:

"Tutta la storia d'Italia si raccoglie in questa formula: essa è rimasta troppo latina. Gli Eruli, gli Ostrogoti, i Longobardi, i Franchi non si sono mai stanziati nel suo territorio nè vi hanno dominato a lungo; essa non è stata germanizzata come il resto dell'Europa; s'è ritrovata nel secolo X presso a poco come trecento anni prima di Cristo, municipale e non feudale, estranea al sentimento di fedeltà del vassallo e al sentimento dell'onore del soldato, i due sentimenti che hanno formati i grandi Stati e le pacifiche società moderne, esposta, come le città antiche, agli odi reciproci, alle violenze intestine, alle sedizioni repubblicane, alle tirannie locali, al diritto della forza e per conseguenza al regno della violenza privata, all'oscurasi dello spirito militare, alla pratica dell'assassinio. Ogni volta che stava per formarsi un nucleo importante, il Papa armava contro di lui le resistenze municipali: così egli distrusse i Longobardi, gli Hohensstaufen del Nord, gli Hohenstaufen del Sud [chiamando anche gli stranieri, Franchi e poi Francesi]. Il Sovrano spirituale non poteva soffrire nella sue vicinanze un grande Re laico, e, per restare indipendente, impediva alla Nazione di formarsi. E così nel sec. XVI, mentre in Europa si costituivano le grandi monarchie, appoggiate sul coraggio dei sudditi e degli Stati organizzati, sostenute dalla pratica della giustizia, l'Italia, sperduta in piccole tirannie, sparsa in deboli repubbliche, corrotta nei costumi, rammollita nei suoi instinti, si trovò racchiusa nelle forme strette della civiltà antica, sotto il patronato impotente del Cesare spirituale, che le aveva impedito di unirsi senz'essere capace di proteggerla. Essa fu invasa, saccheggiata, divisa e venduta..."
(I. Taine, Viaggio in Italia, antol., tr.it. A. Roggero, UTET, 1932, pp. 113-114).
PP

Anonimo ha detto...

C'è del vero in questo quadro del 'Viaggio in Italia' di I.Taine, che capovolto fu il successo della cristianizzazione dell'Europa, piccole comunità religiose missionarie sparse in Europa, rispondenti al solo Papa lontano. Comunità territoriali donate alla Chiesa eppoi espropriate dalla nobiltà o dallo stato. Anche la Chiesa ha avuto difficoltà con il possesso della terra, dei beni immobili. Un paradosso? Credo che tutto sia dipeso dalla sua maggiore o minore fedeltà alla missione affidatale dal Signore Gesù Cristo. Forse non è tanto un saper amministrare o un non saper relazionarsi col potere del re, del nobile, di uno stato, quanto tutto è dipeso dai periodi di tiepidezza da essa attraversati.

Anonimo ha detto...

Borghi e Bagnai – due lezioni a Drake
https://www.maurizioblondet.it/borghi-e-bagnai-due-lezioni-a-drake/

Aloisius ha detto...

Domanda per prof. PP:
quelle monarchie ostacolate dal Papa erano straniere; ma se il Papa non le avesse ostacolate, secondo Lei, non saremmo stati totalmente dominati e, quindi, uniformati sotto tutti i punti di vista, alle identità straniere di quei potentati?

Anonimo ha detto...

IMPORTANTISSIMO URGENTE ATTENZIONE LEGGETE:

https://www.lanuovabq.it/it/ora-e-chiaro-il-nemico-delle-cure-a-casa-e-speranza

IL MINISTERO SI OPPONE
Ora è chiaro: il nemico delle cure a casa è Speranza
EDITORIALI23-04-2021 Andrea Zambrano
Nonostante il Senato abbia impegnato il Governo a rivedere i protocolli di cura domiciliare, il Ministero ricorre al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che lascia libertà di cura ai medici di non utilizzare il protocollo della vigile attesa. E' ormai chiaro che Speranza avversa le terapie domiciliari. Infatti nel suo libro "fantasma" non c'è alcuna traccia di covid at home, ma c'è molto dell'utopismo e del paternalismo della Sinistra green.

Inutile giraci attorno: l’avversario numero uno delle cure domiciliari covid ha un nome: si chiama Roberto Speranza e di mestiere fa il ministro della Salute. La decisione di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar di marzo che confermava i medici che si oppongono al protocollo della vigile attesa con paracetamolo rappresenta non solo un'insensata opposizione del Ministero alla buona medicina, alla medicina coraggiosa che in questa pandemia ha sfidato gli scienziati da salotto per curare e non ricoverare la gente in ospedale. È anche la pietra tombale su ogni speranza che il governo guidato da Draghi potesse finalmente invertire la rotta nel considerare il covid una malattia da curare e non un pretesto per chiuderci in casa spaventando e facendoci andare in ospedale quando la situazione ormai è compromessa....

Anonimo ha detto...

segue:

Ora che la notizia del ricorso è stata resa pubblica non c’è bisogno di aggiungere molto e si deve concludere che il Covid non si vuole curare: non solo non si voleva curare ieri, ma non lo si vuole curare tempestivamente oggi che abbiamo sufficienti nozioni mediche per poterlo fare con successo.
Scrivendo questo giornale di cure domiciliari da ormai un anno, da molto prima che l’argomento diventasse di dominio pubblico, e avendo seguito tutti i passaggi e raccontato tutte le esperienze in campo (leggi QUI il dossier Covid at home), possiamo avere in mano sufficienti indizi per affermare che il fallimento delle terapie domiciliari covid ha avuto nel ministero della Salute il suo principale artefice.
Ed è stupefacente notare come, mentre ieri si è tenuta l’udienza in consiglio di Stato in cui il governo conferma ancora una volta la volontà di insistere sulla vigile attesa, oggi il comitato dei medici che da mesi promuovono la revisione dei protocolli di cura domiciliare incontrerà Agenas. Comprensibile che l’avvocato dei medici, Erich Grimaldi, ieri si sia chiesto qual è il governo che deve considerare, quello che tratta con lui o quello che a lui si oppone?
Per la verità le avvisaglie di questa indisponibilità a non considerare le cure domiciliari si erano avute un mese fa quando, alla revisione dei componenti del Cts, Speranza non aveva fatto inserire il professor Luigi Cavanna che delle cure domiciliari covid (e dell’uso dell’idrossiclorochina) è il pioniere e il clinico più autorevole. Era parso fin da subito che non c’era alcuna volontà di affrontare finalmente il tema delle cure precoci...

Anonimo ha detto...

segue:

Ma l’aspettativa si era ripresentata quando l’8 aprile il Senato, su iniziativa della Lega di altri partiti con mozioni simili, aveva votato all’unanimità la mozione con la quale impegnava il governo a rivedere il protocollo vigile attesa e a modificare le linee guida per una vera terapia domiciliare covid che non prevedesse solo la Tachipirina nelle fasi iniziali dei sintomi. Proprio qualche giorno prima, il professor Giorgio Remuzzi del Mario Negri aveva pubblicato il primo studio sulle cure covid con l’utilizzo di antinfiammatori e una percentuale bassissima di ricoveri (appena il 2%).
Insomma, gli elementi per prendere coraggio e iniziare a dare ai 45mila medici di medicina generale delle linee guida chiare una volta per tutte con il solo scopo di curare e non mandare la gente in ospedale quando ormai la situazione è irrimediabilmente compromessa, c’erano tutti.
Invece…
Invece non solo si è atteso, ma si è anche evitato di affrontare il problema. Questo atteggiamento non può non essere una precisa strategia politica del governo Draghi che ha confermato pubblicamente la sua fiducia a Speranza, non può che essere il risultato di una programmazione che vede nella cura precoce del covid un ostacolo al raggiungimento di certi scopi. Quali? Sicuramente il vaccino che deve essere il primo e unico obiettivo delle attuali politiche sanitarie.
Si tratta di una strategia della quale si trova traccia nel libro scritto dal ministro della Salute e che è stato ritirato prima ancora di uscire in libreria nel settembre scorso.
In “Perché guariremo” non c’è un solo passaggio in cui Speranza abbozzi anche solo lontanamente alla cura precoce domiciliare come metodo migliore per non affollare gli ospedali....

Anonimo ha detto...

segue:

Le copie “samizdat” che girano nelle redazioni mostrano chiaramente che lo Speranza-pensiero è un misto di utopismo da Internazionale socialista della salute, paternalismo di Stato e manifesto della sinistra green abilmente camuffato da diario di bordo di un ministro alle prese con la pandemia che coinvolge i medici di base soltanto quando deve pensare alle magnifiche sorti e progressive della sanità futura post covid.
Ma di come curare il covid tempestivamente a casa oggi con gli antinfiammatori e della coraggiosa esperienza dei medici che lo hanno fatto ricorrendo perfino ai giudici non c’è traccia. E il fatto che un ministro della salute non riporti nulla di tutto questo nelle sue res gestae è significativo del fallimento alla voce cure e della situazione attuale dove il covid è un emergenza ormai permanente senza alcuna prospettiva di fine.

Anonimo ha detto...

Credo anch'io che il Papato abbia sempre ostacolato l'unità politica dell'Italia.Qusto per il semplice motivo che trovandosi nel bel mezzo della penisola ha sempre considerato ,giustamente, molto pericoloso ,per la sua stessa sopravvivenza, avere lo stesso vicino a nord ed a sud. Fra gli stati italiani l'unico che per un certo periodo ebbe velleità egemoniche sull'Italia fu la Repubblica di Venezia .I Savoia in quel periodo erano ancora in una posizione periferica e privi di vera autonomia.Da notare che anche loro parteciparono ,con onore,alla battaglia di Lepanto.

gsimy ha detto...

le tesi di Taine sono alquanto discutibili: per esempio non è affatto vero che i Longobardi non si sono mai stanziati, azi, nel sud della penisola sono esistiti stati governati da questo popolo fino al XI secolo, quando furono assorbiti dai normanni. questi ultimi poi sono un esempio che contrasta quello che lo storico sostiene: senza l'appoggio e l'investitura papale non sarebbero mai riusciti a conquistare buona parte della penisola.
poi non tiene conto di una cosa: appena le monarchie europee passano da uno stato feudale, con autonomie locali, a uno stato centralizzato e assoluto, dopo poco i sovrani cominciano a erodere i diritti, le proprietà e le autonomie della Chiesa
qualche esempio:
- i monarchi scandinavi, che grazie alla diffusione del luteranesimo riusciranno a rendere le Chiese locali un organo dello Stato e poi rendersi sovrani assoluti
- la Spagna, che dopo lo scioglimento dei fueros locali e delle monarchie pre-reconquista (Aragona, Valencia, Castiglia etc) a favore di un regno unico, passerà a sciogliere i gesuiti
- l'Austria di Giuseppe II

Anonimo ha detto...


Risposta provvisoria, sotto forma di appunti, alle osservazioni sul passo di Taine [1].

-- Le notazioni di Taine vanno sottoposte a giusta critica. Bisognerebbe distinguere bene il positivo dal negativo nell'azione storica del Papato politico in Italia. Taine sembra vedere solo il negativo, che comunque c'è stato, mi sembra impossibile negarlo.
-- Lo Stato della Chiesa è nato per gradi sotto il peso della situazione, di compleeta devastazione, nella quale si trovava l'Italia dopo la Guerra Gotica, nel VI secolo, non come conseguenza di una dottrina antecedente. Per il Papa lo Stato può essere solo un utile strumento per svolgere nel modo migliore la sua missione (solo spirituale) non come fine in sé. Il potere temporale appartiene alla costituzione ecclesiastica della Chiesa non a quella divina. Ciò significa che lo Spirito Santo non fa mancare il suo aiuto alla Chiesa quando sia priva del potere temporale.
-- L'esistenza di un potere temporale, nei primi secoli, è stata assai utile non solo alla Chiesa ma anche all'Italia. I papi hanno difeso spesso la "libertà d'Italia" contro gli stranieri, cioè l'indipendenza dei vari Stati italiani (Comuni o altro che fossero) contro gli stranieri, fossero essi l'imperatore tedesco o bizantino o i potentati mussulmani. Difesa militarmente e spiritualmente (p.e. contro le eresie che provenivano da Bisanzio, anche riuscendo a far cacciare i bizantini dall'Italia). Questo uno degli aspetti positivi. Accanto ovviamente all'aspetto positivo di fondo, che però trascende la dimensione temporale, l'aver cioè dato agli italiani una religione comune (quella vera) e quindi costumi morali e familiari comuni, al di là delle molteplici differenze. L'Italia fu convertita a Cristo prima dello stabilirsi (che fu graduale) del potere temporale.
-- Ma bisogna anche dire che la "libertà d'Italia" (non l'unità, attenzione, come a volte sostiene qualche neolegittimista disattento) non era un fine in sé per il papato ma sempre un mezzo per garantirgli al meglio la propria missione, che resta sovrannaturale e vede nell'Italia stessa sempre un mezzo per la Salvezza di tutti gli uomini.
Pertanto, quando il papato si vedeva oppresso dall'impero si alleava alle forze centrifughe contro di esso; quando dalle forze centrifughe (le fazioni romane, le rivolte locali, comunali, gli attacchi dei sovrani territoriali) si alleava all'impero. Cinismo? No, direbbe Machiavelli, semplicemente colpa della "natura effettuale della cosa", della necessità politica, che impone la sua (a volte spietata) razionalità in vista del fine del politico, che è pur sempre quello di mantenere e salvare lo Stato, fosse pure delle Sante Chiavi, cercando di rispettare per quanto possibile i principi della morale.
È stata questa l'azione politica dei Pontefici che, perdurando nel tempo, ha danneggiato l'Italia, anche nel carattere?
Potrebbe sembrare, e già per non essersi distinta, quest'azione, dalla consimile politica dei vari potentati italiani, sempre in lotta tra loro e sempre pronti a chiamare stoltamente lo straniero per abbattere il rivale? Infatti, se il Papa, al dunque, fa politica come gli altri, dov'è allora la superiorità che il Vicario di Cristo dovrebbe dimostrare anche nel modo di gestire il potere?
Ma la risposta al quesito è, forse, più articolata. [segue]
PP

Anonimo ha detto...


INCISO - Prima della nazione italiana è esistita una "nazione italica", unitaria attorno a Roma, cui hanno concorso nel tempo tutti i popoli dell'Italia. Nazione italica e nazione italiana.

Giusto ricordare che, prima dello Stato unitario attuale, è esistita una nazione italiana, anche se disunita politicamente. Va però combattuta l'opinione, che pur si è letta tante volte, secondo la quale, una nazione unitaria italiana non ci sarebbe mai stata, nemmeno al tempo dei romani.
Tale nazione, invece, ci fu. Nacque con la federazione italica fondata dai romani, loro in posizine di preminenza ma concedenti diritti e autonomie agli altri popoli italici. Tale federazione resistette all'attacco di Pirro e poi a quello molto più grave di Annibale, nonostante alcuni pesanti defezioni. Annibale, isolato nel meridione, che dominava e devastava, attendeva un forte esercito di soccorso guidato dal fratello, Asdrubale, che fu affrontato e distrutto dal console C. Claudio Nero (battaglia del Metauro - Annibale ne fu informato dalla testa del fratello lanciatagli nel suo campo dai romani).
Durante la marcia dell'esercito di Nero verso Nord a tappe forzate per incontrare l'invasore, i popoli italici (Larinati, Frentani, Marrucini, Pretuzi, Piceni..) aiutarono in tutti i modi i romani. Le popolazioni italiche rimaste fedeli avevano data alla guerra il senso di una guerra nazionale contro un nemico invasore (Annibale, il punico, l' africano). Molti Marsi, Peligni, Marrucini si arruolarono volontari con Scipione, dopo Canne, in Africa e Ispagna. Esisteva una compatta nazione italica, vivace nelle sue autonomie locali, nello stesso tempo unita sotto il governo di Roma, popolante tutta la dorsale appenninica (Paratore). Questa nazione si estese via via nel tempo, come Stato romano; comprendeva anche gli etruschi, la Magna Grecia, insomma il resto della penisola. Nel 46 aC vi furono fatti aderire (da Cesare) i Celti della pianura padana, l'ex nemico ereditario di tutti i popoli dell'Italia, integratosi poi perfettamente alla romanità e alla "nazione italica".
La "nazione italica" riunita in uno Stato unitario godette per alcuni secoli i vantaggi dell'esser la sede dell'impero (l'Italia per molto tempo non pagò imposte).
Con la decadenza dell'impero la nazione italica si depauperò, la sua composizine etnica mutò, assorbì elementi orientali ma anche nordici, tuttavia non scomparve del tutto. Era diventata in misura notevole cristiana, quando arrivarono le invasioni barbariche. Ma dobbiamo ritenere che la nazione fosse sopravvissuta ad esse: stava rinascendo, cristiana e in parte germanizzata, sotto il regno dei re ostrogoti, sempre come Stato unitario, che, dai resti dell'impero, aveva ritenuto la Provenza e l'attuale Slovenia, sino alla Sava (poi confine tra cattolici e ortodossi). Più, se ben ricordo, le isole.
Insomma, stava nascendo un regno d'Italia (romano-germanico) forte e indipendente, i cui capi (germani ariani) si sarebbero convertiti e sarebbero stati assimilati dal fondo latino, come accadde in Gallia e Hispania. Ma su questo sviluppo naturale, ancora agli inizi, si abbatté la sventura delle guerre giustinianee di riconquista dell'intero occidente all'impero, un sogno megalomane, destinato al fallimento, grazie al quale l'Italia fu distrutta e ridotta a miserabile avamposto bizantino di frontiera, insidiato a macchia d'olio dai Longobardi invasori, per secoli.
Iniziava quello che fu chiamato l'Alto Medioevo, durante il quale il papato dovette lentamente procedere a costituirsi uno Stato, vista la protezione quasi nulla che gli veniva da parte dell'imperatore romano d'Oriente, se voleva sopravvivere, anche solo fisicamente.
pp


gsimy ha detto...

non bisogna dare per scontata l'assimilazione degli ostrogoti: dopo la morte di Teodorico la convivenza pacifica stava finendo e il regno traballava, e in breve avrebbe subito l'assalto dei confinanti. in questa situazione di incertezza era ovvio per i romani d'oriente voler riaffermare la loro autorità
poi l'italia era demograficamente in crisi già prima della guerra gotica, che ne accellerò il declino, per poi subire un altro colpo con le peste del VI secolo

Anonimo ha detto...


Ho scritto, mi pare, che ai Goti non fu dato il tempo di assimilarsi, durarono al potere troppo poco, circa 60 anni, gli ultimi di guerra. Era ovvio per i romani d'oriente voler affermare la loro autorità? Era ovvio, cercavano comunque di affermarla con l'intrigo. Meno ovvio che volessero riconquistare tutta la parte occidentale dell'ex impero, compito impossibile, visione megalomane di Giustiniano che per l'Italia è stata rovinosa. Giustiniano ha avuto grandi meriti per la civiltà, con la Codificazione del diritto romano. Ma la sua politica estera è stata al di sopra delle forze dell'impero d'oriente, Stato greco, che nei confronti dell'Italia sarebbe diventato di fatto un nemico, come ai tempi di Pirro.
La crisi demografica si sarebbe potuta superare, almeno in parte, con la pace, se non ci fosse stata l'invasione bizantina. Circa gli assalti dai confinanti: i Goti d'Italia avevano battuto i Franchi e mantenuto la Provenza. Era un'Italia anche troppo estesa, comunque sempre migliore di quella disunita che è venuta dopo.
PP

Anonimo ha detto...


Tornando a Taine e chiudendo qui, grazie alla benevolenza di Mic
che ospita queste riflessioni - Libertà d'Italia, della Chiesa, Nazione italiana.

-- Aloisio ha ragione, Taine sul punto non si esprime con precisione. Tuttavia, non direi che la lotta contro Longobardi e Svevi rappresentasse la difesa contro "lo straniero". In una fase iniziale, certamente. Ma i Longobardi non erano diventati cattolici e italiani? E lo Stato svevo, non era uno Stato di fatto italiano, anche se governato da un imperatore (che, nel caso di Federico II, era "tedesco" per modo di dire). L'imperatore, in quanto tale, poteva poi considerarsi "straniero"?
Per non tediare troppo il lettore, mi limito ad alcune sintetiche considerazioni.

Mi ha colpito nella frase di Taine il fatto che a suo dire il Papato ha impedito il formarsi della Nazione italiana, non del semplice Stato italiano, dell'Italia politica. L'affermazione appare eccessiva. Ma forse un nucleo di vero c'é: la Chiesa ha formato la nazione italiana sul piano del costume, dei valori, della spiritualità (cattolica, appunto), della tradizione, del modo di vivere, della cultura, ma ha fortemente contribuito ad impedire che questa nazione diventasse unitaria costituendosi spontaneamente a Stato di tutti gli italiani. Con una mano ha tolto quello che ha dato con l'altra, si potrebbe dire.
Se la Nazione è un fatto soprattutto spirituale, nel quale si coagulano valori trascendenti l'individuo e il gruppo, la città, il campanile, allora Nazione in questo senso gli italiani non sono stati, per secoli e anche grazie all'azione antiunitaria della Chiesa, che si sentiva accerchiata da una nazione che fosse diventata Stato unitario.

-- Tra "libertà d'Italia" e "libertà della Chiesa", il papato preferiva ovviamente la seconda anche a costo di sacrificare la "libertà d'Italia".
-- Questo esser nazione che non poteva diventare Stato ha creato nel carattere italiano delle storture ancora presenti, a cominciare appunto dalla mancanza del senso dello Stato.
-- Con la vittoria degli Asburgo spagnoli contro la Francia nelle Guerre d'Italia, la Chiesa dovette accettare che per quasi due secoli un unico potere (l'imperiale asburgico) dominasse l'Italia a NOrd e a Sud dei suoi Stati. Ne ha risentito davvero l'azione spirituale del papato? Ad esser onesti, non si direbbe.
-- Con l'unificazione ad opera dei SAvoia, la Chiesa perde addirittura tutto il potere temporale. Dal 1870 al 1929 ne ha forse risentito la sua azione nello spirituale? Secondo me, e molti altri, no. Era comunque doveroso restituire alla Chiesa un potere temporale ma in una forma adatta alle esigenze dei tempi e che non ostacolasse l'unità dell'Italia, unità con la quale la Chiesa ha mostrato di poter convivere senza problemi.
-- Contraddizione riservata all'Italia cristiana: le lotte per instaurare uno Stato centralizzato o comunque indipendente negli altri paesi (Francia, Inghilterra, Ungheria, Polonia, etc) erano solo politiche e militari. In Italia coinvolgevano la religione, perché vi partecipava il papa o erano, in tutto o in parte, contro di lui. In tal modo l'uso politico della religione riusciva a spegnere le energie vitali delle forze politiche italiane ma nello stesso tempo screditava la religione.

-- F. Guicciardini: "La Chiesa in effetto non ci ha amici, né quelli che desidererebbero bene vivere, né per diverse ragioni i faziosi e tristi."
E l'Italia, ne ha avuto, amici?
PP

Anonimo ha detto...

https://gloria.tv/post/MSBfuPbyLuh74ZLTKSeqRdRbh

Anonimo ha detto...

Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore, comprendendoli mirabilmente e dei quali egli stesso viveva. Conseguentemente, coloro che osano negare a Dante tale merito e riducono tutta la sostanza religiosa della Divina Commedia ad una vaga ideologia che non ha base di verità, misconoscono certo nel Poeta ciò che è caratteristico e fondamento di tutti gli altri suoi pregi.

“In praeclara Summorum”. L’enciclica dantesca di Benedetto XV