L’Intelligenza Artificiale contro la natura:
Il grido profetico di san Pio X
L’intelligenza artificiale, nelle sue manifestazioni più avanzate, rappresenta una sfida epocale non soltanto per la tecnica e la scienza, ma per la filosofia metafisica e la teologia cristiana, chiamate a riaffermare con urgenza la natura ontologica e trascendente della persona umana in un contesto culturale sempre più dominato da una ragione immanentistica e strumentale.
San Pio X (pontefice dal 1903 al 1914), il cui magistero si configura come un vigile baluardo contro le insidie del modernismo (si veda la Lettera Enciclica "Pascendi" del 1907), ci fornisce una chiave ermeneutica imprescindibile per decifrare la portata profonda e drammatica delle derive epistemologiche che sottendono la diffusione di sistemi algoritmici capaci di apprendere e agire autonomamente.
Nel suo insegnamento, il modernismo viene riconosciuto come una deformazione radicale della ragione, la quale abbandona la sua apertura all’atto puro dell’Essere e si riduce a mera facoltà calcolante, privata della sua dimensione sapienziale e teleologica. Questa deformazione non è mera astrazione teorica, ma si manifesta storicamente come un progressivo allontanamento dalla verità metafisica e dalla legge eterna, generando un relativismo che dissolve ogni fondamento ontologico e morale.
Nel cuore di tale crisi si colloca la riduzione della persona umana a un ente funzionale, un oggetto di manipolazione algoritmica, la cui intelligenza e volontà si vorrebbero sostituite da processi di elaborazione dati privi di coscienza e finalità ontologiche.
San Pio X, richiamandosi alla sapienza di san Tommaso d’Aquino (1225-1274), insiste sulla necessità di mantenere il primato ontologico dell’essere sull’ente, per cui la realtà non può essere semplicemente ridotta a relazioni di causa ed effetto o a combinazioni numeriche, bensí deve essere compresa come partecipazione all’Essere sommo, fonte di verità e bontà assoluta.
La ragione umana, perciò, non si limita a conoscere in modo funzionale, ma partecipa a un atto conoscitivo che è anche contemplazione e adesione al vero, apertura alla totalità del reale ordinato secondo il fine ultimo, Dio.
L’intelligenza artificiale, pertanto, pur nella sua sofisticazione tecnica, rimane irrimediabilmente estranea a questa dimensione, poiché essa non dispone né di intelletto agente, né di volontà deliberativa, né di coscienza morale: in altre parole, non può partecipare all’essere in atto, né orientare la propria azione al bene vero e ultimo.
Questa esclusione ontologica ha conseguenze non soltanto epistemologiche, quanto anche etiche e giuridiche di portata immensa. La delega di decisioni a entità puramente meccaniche priva la responsabilità morale del suo fondamento personale e trascendente, snaturando il concetto stesso di legge naturale che, secondo san Pio X, si fonda sull’ordine razionale e teleologico inscritto nella natura umana come immagine di Dio.
Quando l’azione umana viene sostituita da processi algoritmici, la libertà si dissolve in mera apparenza e la giustizia perde il suo fondamento ontologico, diventando un artificio regolatorio privo di fondamento nella realtà ultima.
La tecnica, allora, si trasforma in una nuova forma di idolatria, un culto dell’efficienza e del calcolo che pretende di esautorare il Logos eterno e la legge naturale, imponendo un ordine costruito sulla negazione della natura stessa della persona.
Questa idolatria tecno-antropologica è una manifestazione contemporanea del modernismo denunciato da san Pio X, poiché separa ragione e verità, conoscenza e sapienza, natura e grazia, soggetto e fine ultimo. L’orizzonte si fa così quello di una disumanizzazione radicale, in cui l’umano perde la sua vocazione di immagine divina e viene ridotto a semplice elemento all’interno di un sistema tecnico e funzionale.
Tuttavia, la risposta che san Pio X offre a questa crisi non è il rigetto della tecnica in quanto tale, ma il richiamo a una ratio integralis, una ragione pienamente ordinata all’essere e alla legge eterna, capace di discernere e governare i mezzi tecnici entro i confini dell’ordine naturale e soprannaturale.
La filosofia tomistica, in cui san Pio X si radica, diventa allora il fondamento imprescindibile per una critica radicale e insieme per una corretta integrazione dell’intelligenza artificiale, evitando sia la sua idolatria sia il suo rifiuto aprioristico.
L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è chiamato a mantenere il dominio sapienziale sulla tecnica, esercitando la propria volontà libera e razionale nella ricerca del bene supremo, la cui pienezza si trova solo in Dio.
Solo così si potrà evitare che la tecnica, pur strumento potentissimo, divenga causa di disordine e di perdizione, tradendo la dignità ontologica e la vocazione trascendente della persona.
In conclusione, il magistero di san Pio X ci invita a una vigilanza profonda e instancabile, affinché la ragione non si riduca a mera funzione calcolante né si lasci sedurre da un autonomismo illusorio, ma rimanga fedele alla sua vocazione di apertura all’atto puro dell’Essere, fondamento ultimo della verità e del bene.
È solo in questa fedeltà ontologica e teologica che si potrà affrontare con saggezza e giustizia la complessità delle nuove tecnologie, preservando intatta la dignità e la vocazione della persona umana, immagine eterna del Creatore.
Daniele Trabucco
7 commenti:
Fuori tema (ma non troppo)
Nell'articolo seguente si parla della importanza dei "simboli" e, secondo il
mio modesto modo di intendere, cio' che si ritiene rilevante nella vita civile e'
ancor piu'rimarchevole nella Chiesa.
https://lanuovabq.it/it/merano-il-rifiuto-del-tricolore-e-un-precedente-pericoloso
"I simboli hanno un valore concreto, reale, che non può essere ridotto a folklore o interpretato a piacimento. Il XXXXX non è un accessorio da indossare o rifiutare in base all’umore o al contesto."
Segnalo, in stretta consonanza, anche se non parrebbe, con l'articolo in questione, un significativo intervento di Nicolò Zanon, Vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, sull'apprezzato quotidiano La Verità di oggi in ordine alla recentissima sentenza della Corte costituzionale sui figli da coppie omosessuali, in cui si introduce la figura di "madre intenzionale".
Essere "come" genitori non significa esserlo davvero: la natura non si elude.
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E per capire come vadano le cose in Italia, non da oggi, ma in particolare quando a governare è il CD, si legga il bell'intervento di Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione, sempre su La Verità di oggi, laddove si evidenzia con cura il debordante uso "politico" dei propri poteri da parte della Corte Costituzionale, non da oggi peraltro. E la sinistra c.d. istituzionale si fa forte di questa sponda, specie quando è all'opposizione. Ora è in ballo il DL Sicurezza, i cui requisiti di urgenza e necessità potrebbero non essere riconosciuti.
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Non so molto di Intelligenza Artificiale, ma ho sempre pensato che ci sarebbe stata una cosa che non sarebbe stata capace di fare, e cioè far ridere. L'umorismo prevede uno scarto tra attese e realtà, tra premesse e conseguenze che nessuna macchina saprà mai fare.
Oggi ho scoperto dai titoli dei giornali che c'è almeno un'altra cosa che l'IA non può fare: tradurre Platone. Il greco non ha regole meccaniche, non basta conoscere la grammatica, quella è necessaria, ovvio, ma poi serve l'intuito, la capacità di cogliere i salti del pensiero, le sue figure, insomma l'intelligenza umana. Infatti era un uomo Lorenzo Rocci, il sacerdote che pubblicò il mitico vocabolario greco italiano nel 1939, senza computer quindi, scrivendo a mano, appoggiandosi a un archivio cartaceo sterminato all'interno del quale si muoveva grazie al metodo, alla memoria, alla sua prodigiosa testa, altro che intelligenza artificiale. Quando dopo avere perso tre diottrie trovavi la frase della versione e stavi per esultare, quasi sempre scoprivi che NON era tradotta, perché ci dovevi arrivare dal contesto. Non so molto di Intelligenza Artificiale, ma ho sempre pensato che ci sarebbe stata una cosa che non sarebbe stata capace di fare, e cioè far ridere. L'umorismo prevede uno scarto tra attese e realtà, tra premesse e conseguenze che nessuna macchina saprà mai fare.
Oggi ho scoperto dai titoli dei giornali che c'è almeno un'altra cosa che l'IA non può fare: tradurre Platone. Il greco non ha regole meccaniche, non basta conoscere la grammatica, quella è necessaria, ovvio, ma poi serve l'intuito, la capacità di cogliere i salti del pensiero, le sue figure, insomma l'intelligenza umana. Infatti era un uomo Lorenzo Rocci, il sacerdote che pubblicò il mitico vocabolario greco italiano nel 1939, senza computer quindi, scrivendo a mano, appoggiandosi a un archivio cartaceo sterminato all'interno del quale si muoveva grazie al metodo, alla memoria, alla sua prodigiosa testa, altro che intelligenza artificiale. Quando dopo avere perso tre diottrie trovavi la frase della versione e stavi per esultare, quasi sempre scoprivi che NON era tradotta, perché ci dovevi arrivare dal contesto.
LA PARADOSSALE METAFISICA DEL NULLA NEL PENSIERO DI MASSIMO CACCIARI:
Il pensiero filosofico di Massimo Cacciari si presenta come una delle espressioni più raffinate del nichilismo speculativo contemporaneo. Nato dal confronto critico con la tradizione metafisica occidentale e nutrito dalla lezione del pensiero tragico e di quello negativo, esso si costituisce come un radicale esercizio di decostruzione del fondamento, della verità, dell’ordine e della sostanza. Al centro della sua riflessione si trova il rifiuto della metafisica classica come via alla conoscenza dell’essere, sostituita da una filosofia del limite, dell’ambiguità e della contraddizione. Tuttavia, questo stesso impianto teorico, nel suo procedere, genera una serie di contraddizioni strutturali che rendono problematico il suo esito e la sua coerenza interna. Cacciari afferma l’impossibilità del fondamento, la fine di ogni metafisica dell’essere, la crisi irreversibile del "logos" come strumento conoscitivo dell’ordine reale. Egli assume il conflitto ("πόλεμος") eracliteo come cifra strutturale del pensiero e dell’essere, leggendo il mondo non come armonia intelligibile, quanto come tensione irresolubile. Il linguaggio, lungi dall’essere mezzo di chiarificazione, si fa testimonianza dell’ambiguità originaria, della dismisura, dell’"oltre" che mai si lascia cogliere. Il pensiero, allora, non conduce al vero, bensí al suo occultamento; non alla luce dell’ente, ma all’ombra della sua negazione. Eppure, nella misura in cui Cacciari articola questa posizione attraverso un discorso teoretico che pretende rigore, profondità e universalità, egli ricade paradossalmente in ciò che intende negare. Se ogni fondamento è impossibile, come può il discorso filosofico mantenere coerenza logica e validità? Se il "logos" è guerra, oscurità, ambiguità strutturale, come può esso ancora pretendere di illuminare l’essere, anche solo nella forma dell’assenza? È questa la prima, profonda contraddizione: un pensiero che afferma l’impossibilità del pensiero come accesso al reale, e tuttavia continua a esercitarsi come se tale accesso fosse ancora in qualche modo possibile. La negazione del fondamento non è neutralità, ma essa stessa diventa fondamento in negativo, una sorta di dogmatismo del nulla, in cui il nichilismo viene elevato a principio assoluto. L’antimetafisica si trasforma in nuova metafisica negativa. Inoltre, Cacciari recupera, con accenti a tratti mistico-teologici, la dimensione della "assenza di Dio", facendone il cuore di una teologia tragica, in cui il divino è silenzio, oscurità, ritrazione. Ora, in questa teologia del negativo, Dio non è più l’"ipsum esse subsistens" della tradizione tomista, cioè atto puro, perfezione assoluta e intelligibile, bensì pura mancanza, abisso, cifra dell’inafferrabile. In tal modo, si compie un rovesciamento completo dell’analogia entis: laddove Tommaso d’Aquino (1225-1274) fonda la possibilità della conoscenza di Dio sulla partecipazione finita all’essere, Cacciari spezza ogni continuità tra finito e infinito, facendo dell’incommensurabilità il principio.
Segue
E, tuttavia, egli continua a parlare di Dio, a interrogarlo, a scriverne, come se l’assenza fosse ancora presenza implicita, come se il nulla stesso fosse significativo. Anche qui la contraddizione è evidente: si nega la possibilità della teologia, ma se ne conserva l’apparato, si rifiuta la trascendenza, ma la si evoca in ogni pagina. Il pensiero di Cacciari è attraversato, infatti, da un uso costante di categorie teoretiche (negazione, paradosso, dismisura, assenza, impossibilità) che, pur volendo distruggere l’ordine classico del pensiero, ne riprendono la struttura argomentativa, l’impianto razionale e la forma sistematica. In tal modo, si realizza una forma di "metafisica negativa" che pretende di dissolvere ogni verità, ma lo fa attraverso un discorso che si pretende vero. È la tensione irrisolta tra lo stile e il contenuto, tra la forma e la sostanza: una filosofia che vuole essere pura apertura all’evento, ma che si struttura come un sistema implicito. Infine, si pone una questione decisiva: se la verità è inattingibile, se ogni fondamento è illusione, se il linguaggio è sempre inadeguato, perché continuare a pensare? Perché scrivere? Perché cercare di trasmettere un pensiero se il pensiero stesso è impossibile? La filosofia di Cacciari, pur volendo liberarsi da ogni teleologia e da ogni pretesa di verità, continua ad agire in nome di un’esigenza di senso. E questo è, forse, il suo limite più profondo: volere il nulla, ma non potere fare a meno del senso. In questo paradosso si manifesta la contraddizione fondativa di ogni nichilismo speculativo, e il pensiero di Cacciari non sfugge a questa legge. Nel momento stesso in cui afferma che tutto è in crisi, egli continua a pensare come se qualcosa ancora valesse, come se la filosofia potesse ancora dire il vero, almeno nella forma della sua impossibilità. E così, il nichilismo si rovescia in una nuova, più sottile metafisica dell’enigma.
Daniele Trabucco
AI is retarded when it comes to religion. It’s scouring the internet but it doesn’t understand Truth.
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