Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis, un articolo di Robert Keim dell'11 maggio: il primo papa Leone salvò Roma dai barbari. Cosa farà il quattordicesimo?
Il primo papa Leone salvò Roma dai barbari
Cosa farà il quattordicesimo?
Gli Unni erano in movimento, diretti a ovest. Gli studiosi ancora non sanno chi fossero esattamente. Le loro origini etniche e le caratteristiche razziali non sono ben comprese, e poco della loro lingua è sopravvissuto. Emersero da qualche parte dall'interno dell'Asia e condussero una vita nomade e pastorale nella steppa: una vita sicuramente dura, che li rese un popolo duro. Combattevano a cavallo, con arco e spada, ed erano una forza da non sottovalutare. Persino i leggendari soldati di Roma erano impressionati dalla loro disciplina sul campo di battaglia. Lo Strategicon di Maurizio, un trattato militare tardo romano, raccomandava di attaccarli a fine inverno, quando i loro cavalli erano deboli. Sembra un buon consiglio, ma non serve a molto se decidono di attaccarvi a giugno, quando i prati sono rigogliosi e i cavalli forti.
La costa settentrionale del Mar Nero li condusse dall'Asia all'Europa orientale e, intorno alla metà del V secolo d.C., si trovavano nell'Europa centrale. A questo punto non erano più organizzati in modo così molle come prima: la loro società era diventata più gerarchica e al vertice di tale gerarchia c'era un Unno di nome Attila. È difficile sapere cosa pensare di lui. Attila non era il proverbiale "bravo ragazzo" così spesso menzionato con approvazione nei discorsi moderni: ruppe trattati, devastò città e regioni, assassinò il fratello maggiore e così via. Ma anche i re e i guerrieri della cristianità medievale non erano bravi ragazzi, e Attila deve essere stato un leader straordinariamente abile per realizzare tutto ciò che ha fatto. Oggigiorno, la leadership abile scarseggia. Inoltre, è difficile non ammirare l'audacia autocelebrativa di un uomo che rivendica come moglie la sorella di un imperatore romano e poi propone di darle in dote metà dell'impero.
Perfino nella mente dei cristiani medievali, molto più vicini nel tempo e nello spazio di me alle gesta devastanti di Attila, aleggia un'interessante ambivalenza attorno a questo famosissimo re degli Unni: il generale barbaro che minacciò la città di Roma è anche "il Terrore del Mondo" e "il Flagello di Dio". Questi appellativi si ritrovano nel Chronicon Pictum, un importante codice del XIV secolo noto anche come Chronica de Gestis Hungarorum : "Cronaca delle gesta degli Ungari". Ecco il brano in questione:
“ metus orbis terrae et flagellum dei ” Il termine latino metus non ha un significato puramente negativo: è “paura, ansia”, ma con un tocco di “timore reverenziale”. E cosa dobbiamo pensare del flagellum Dei? Attila era un flagello, certo, ma il flagello di Dio? I cristiani medievali, abituati a vedere la realtà attraverso la lente della Sacra Scrittura, capivano che l'Onnipotente poteva in qualche modo usare un signore della guerra pagano come strumento per affrontare i peccati del Suo popolo. Capivano, inoltre, che il vero flagello, sempre e ovunque, è il peccato. Anche quando il problema sembra essere Attila, i Vichinghi, la peste bubbonica (o il cambiamento climatico), la vera causa – la causa fondamentale – dei nostri mali e delle nostre miserie è sempre il peccato.
Per farla breve, Attila invase la Gallia nel 451 e fu sconfitto. Come premio di consolazione, si recò nell'Italia settentrionale e scatenò la devastazione, bruciando, uccidendo e distruggendo tutto ciò che incontrava lungo la strada verso Roma. Ma prima del suo arrivo, un uomo gli andò incontro. Quest'uomo non aveva armi né esercito, ma il suo nome era Leone e credeva in Dio.
Non si saprà mai esattamente cosa Papa Leone Magno abbia detto ad Attila. Il seguente resoconto contemporaneo, di un teologo e santo di nome Prospero d'Aquitania, non fornisce dettagli:
All'imperatore, al senato e al popolo romano, nessuno dei piani proposti per contrastare il nemico sembrava così praticabile quanto inviare legati al re più selvaggio [cioè, Attila] e implorare la pace. Il nostro beatissimo papa Leone, confidando nell'aiuto di Dio, che non abbandona mai i giusti nelle loro prove, intraprese l'impresa... L'esito fu quello che la sua fede aveva previsto, poiché, quando il re ebbe ricevuto l'ambasciata, fu così colpito dalla presenza del sommo sacerdote che ordinò al suo esercito di desistere dalla guerra e, dopo aver promesso la pace, partì oltre il Danubio.
Mi piace come Leone sia identificato come "il sommo sacerdote". Forse se questo titolo venisse applicato di tanto in tanto ai papi moderni, l'ufficio sembrerebbe un po' più sacerdotale e un po' meno politico.
Questo racconto fu successivamente ampliato e drammatizzato da un autore anonimo. Nella seconda versione, Leone – un "vecchio di innocua semplicità, venerabile nei suoi capelli grigi e nel suo abito maestoso" – si rivolge ad Attila chiamandolo "re dei re", gli parla della gloria già raggiunta sottomettendo i Romani e poi chiede clemenza: "Il popolo di Roma, un tempo conquistatore del mondo, ora davvero vinto, viene davanti a te come supplice... Preghiamo che tu, che hai conquistato gli altri, vinca te stesso. Il popolo ha sperimentato il tuo flagello; ora, in veste di supplice, sperimenterebbe la tua misericordia". Le parole mi suonano come il tentativo retoricamente abbellito dell'autore di trasmettere il contenuto presunto del messaggio di Leone. Le trovo piuttosto sgradevoli, e neppure mi attrae l'assenza, dalla descrizione dell'incontro fatta da San Prospero, dell'intervento miracoloso:
Mentre Leone pronunciava queste parole, Attila rimase a contemplare il suo venerabile aspetto e la sua veste, in silenzio, come se stesse riflettendo profondamente. Ed ecco, improvvisamente apparvero gli apostoli Pietro e Paolo, vestiti da vescovi, in piedi accanto a Leone, uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra. Tenevano spade tese sopra la sua testa e minacciavano di morte Attila se non avesse obbedito all'ordine del papa. Di conseguenza, Attila... promise una pace duratura e si ritirò oltre il Danubio.
Sono molto più propenso a credere che la "vittoria" di Papa Leone su Attila l'Unno sia stata opera di un uomo saggio e santo, assistito da un miracolo più sottile: "Quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di cosa direte perché, in quell'ora, vi sarà suggerito ciò che dovrete dire. Perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi".
Tuttavia, dovremmo tenere presente che gli scrittori medievali non intendevano necessariamente che tali prodigi fossero interpretati come fatti storici. Anzi, credo che in questo caso un'interpretazione allegorica sia ragionevole: Pietro rappresenta il potere dell'ufficio papale di Leone, e Paolo rappresenta il potere delle sue parole. Entrambi sono "vestiti come vescovi" e "in piedi accanto a Leone", perché trasmettono due aspetti complementari di ciò che il vescovo di Roma sta facendo. Attila, sebbene pagano, non era un uomo moderno, e quindi non gli ssrebbe estraneo il timore degli dei. Le spade tese rappresentano quindi la consapevolezza di Attila che c'è qualcosa di divino, e quindi pericoloso, nell'atteggiamento sacerdotale di Leone e nella gravità delle sue parole – forse la reazione del re fu simile a quella delle guardie mandate ad arrestare Cristo: "Mai uomo parlò come quest'uomo".
Nell'immagine: San Leone Magno e San Prospero d'Aquitania. Fonte: Bibliothèque nationale de France
Non credo che Leone abbia descritto Roma come sconfitta e poi abbia implorato pietà da Attila. Nella mia versione immaginaria dell'incontro, Leone sa che in realtà si tratta di Attila, un capo terreno e un uomo sanguinario, la cui caduta è assicurata, mentre Roma sta ascendendo verso una nuova gloria costruita non sulla forza delle sue legioni, ma sulla verità della sua dottrina, sulla bellezza della sua liturgia e sulla santità dei suoi eroi cristiani – e notate come Leone incarna tutte e tre queste cose: era il papa, cioè il difensore della Verità e il custode della Tradizione; era un sacerdote, cioè un ministro sacro che celebrava il sacrificio rituale della Chiesa romana; ed era un santo.
Attila guardò negli occhi Leone e vide qualcosa che lo spaventò. Non era rabbia, astuzia, odio, sfida: era abituato a tutto questo. Ciò che vide, semplicemente, era pace. Non la "pace" di cui parlano spesso gli ecclesiastici moderni, e che è più un suono che una parola, perché non significa quasi nulla. Questa era la pace di un uomo uscito dalla città dei martiri, che non portava armi, non aveva scorta militare, non comandava soldati e sarebbe morto lì e in quel momento per difendere la Fede ricevuta dai suoi padri. Era la pace, in altre parole, di qualcuno che, avendo accumulato il suo tesoro in cielo, vede i falsi piaceri, i volubili applausi e i fugaci domini della terra per quello che sono realmente: vanità.
Attila era il tipo che poteva fissare un'enorme orda guerriera di nemici insanguinati, agguerriti e urlanti, e sorridere. Ma ricordate cosa scrisse San Prospero: "fu così impressionato dalla presenza del sommo sacerdote...". L'unica cosa a cui Attila non era preparato, l'unico avversario che metteva profondamente a disagio "il Terrore del Mondo", era un uomo il cui aspetto, le cui parole e le cui azioni si combinavano per formulare un'unica affermazione fondamentale: Tu, Attila, non sei nulla; Dio e la Sua Verità sono tutto.
Risponde, sconcertato ma fingendo sicurezza: "Non tremi per i miei eserciti? Non brami le mie ricchezze? Non conosci le mie conquiste?". L'occhio leonino, impassibile come le colline eterne, ricambia lo sguardo. "Che giova infatti all'uomo, se conquista il mondo intero, se poi perde la propria anima?".
Non c'è bisogno di essere cristiani per temere la morte, l'oblio, l'impotenza assoluta, l'eterna irrilevanza. E persino un barbaro può sentire il peso della nube oscura del castigo divino – che incombe sempre più in basso, sempre più vicino – quando chi lo avverte non è un opportunista, un politico indifferente o un "bravo ragazzo" riconosciuto a livello internazionale, ma un santo, che cerca prima di tutto il regno di Dio e dice la verità, a tempo debito.
Immagine a lato: Leo incontra Attila.
Mentre i negoziati volgevano al termine, l'Unno sembrava in qualche modo più piccolo di prima, il papa in qualche modo più grande. Ma il barbaro aveva ancora il suo esercito, le sue armi, la sua salute: perché non uccidere il sommo sacerdote, e poi i suoi attendenti, e poi marciare su Roma, e mostrare a tutti che era ancora un potente conquistatore, ancora insuperabile nella distruzione della civiltà, nel saccheggio della cultura, nello spargimento di sangue innocente?
Il sacerdote, però, aveva di nuovo quello sguardo esasperante negli occhi. Perché non ha paura? I pensieri dell'Unno lo stavano tormentando, turbandogli la mente, indebolendogli il corpo, soffocando la sua ambizione, minandolo a tal punto che credeva di conoscere la sua povera vita terrena. Cos'è questo vescovo di Roma, e perché non indietreggia mai, non ripensa mai, non ritratta mai? Il guerriero era in uno stato psicologico fragile quando venne sferrato il colpo finale: "Roma non può sconfiggerti, Attila, è vero. Ma chi ferisce di spada morirà di spada, e quando la battaglia sarà finita, Dio conoscerà i suoi".
E quella fu la fine di Attila l'Unno. Non attaccò Roma, né rimase in Italia. L'anno seguente, morì.
Robert Keim. 11 maggio 2025
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
9 commenti:
Spero indira' l'anno della discussione della Corredenzione.
Duns Scoto e S.M.M.Kolbe orate pro eo!
I barbari li abbiamo tra noi e da parecchio anche. Barbare sono le varie ideologie che, come il comunismo o il nazionalsocialismo, disprezzano la religione, la proprietà privata e i diritti umani più elementari. Hanno in odio particolarmente la fede cristiana, come la storia ha ampiamente dimostrato. Sono ideologie ancora diffuse, covano sotto la cenere, anzi il comunismo è ben vivo e vegeto in molte aree del mondo e anche in Europa, dove viene trascurato colpevolmente il suo radicamento.
Articolo piuttosto agiografico. Leone Magno fu mandato da Ezio, comandante romano, a parlamentare con Attila, assieme a due altri rappresentanti romani, di alto rango. Siamo nell'estate del 452. L'anno prima, Attila ha subito una dura sconfitta da Romani e Goti alleati in Gallia sotto il comando di Ezio, vicino a Chalons (battaglia dei campi catalaunici). Le cifre ricavate da storia e cronaca sono come spesso non attendibili ma concorde risulta l'opinione che si sia trattato di una battaglia molto sanguinosa.
Nel 452 Attila invase da Oriente l'Italia, con un nuovo esercito, un'accozzaglia di Unni, Germani e altri popoli, come il precedente. Dopo tre mesi di assedio rase al suolo Aquileia. Poi si spostò verso la Lombardia, saccheggiando e devastando. Ma le sue truppe cominciavano ad esser devastate dalla carestia e dalla peste, flagelli provocati forse da loro stesse. Ezio teneva l'esercito romano, questa volta senza alleati germanici e quindi meno forte, in posizione difensiva dietro il Po. Non aveva le forze per attaccare gli Unni in campo aperto, come l'anno prima. Ma nemmeno Attila, evidentemente, se la sentiva di affrontare il passaggio del Po, ben difeso dai romani, dopo la batosta subita l'anno precedente.
In questa situazione Ezio ebbe appunto l'idea di trovare un accordo, cioè di convincere Attila a ritirarsi. Non sappiamo se sia stata pagata una somma di denaro. È possibile.
È probabile che il barbaro Attila, morto l'anno dopo dopo o durante un'orgia, come sembra, o durante l'amplesso con una troppo giovane sposa, sia rimasto colpito dall'austera e nobile figura di Leone Magno.
Ma che il santo Pontefice sia andato da solo ad affrontare Attila e lo abbia dominato con la sua personalità, inducendolo a ritirarsi, questo non è credibile e in ogni caso non risulta dalle fonti. Si tratta di abbellimenti posteriori, lo dice anche l'articolo, pie leggende, che fioriscono in modo spontaneo attorno a personaggi rappresentativi, in occasione di fatti storici importanti o che colpiscono le menti.
Perciò, calma e sangue freddo. Anche in relazione al presente, dove, peraltro, i barbari sono soprattutto dentro la Chiesa visibile, come ben sappiamo. Sono da tempo accampati dentro la Città.
H.
Gentile Mic il Santo Padre ha fatto un discorso molto bello e profondo ai rappresentanti delle Chiese Orientali cattoliche, vale la pena di pubblicarne ampi stralci. Personalmente sono stato molto colpito ed edificato per le indicazioni e le valutazioni fatte dal Pontefice.
Areky.
Il mondo ruba spazio a Dio, entra a piedi uniti nello scrigno del Mistero, portando falsi sorrisi e cicaleccio.
https://www.marcotosatti.com/2025/05/15/59008/
Ma lasciatelo in pace, non ha sufficienti problemi/ nodi da risolvere nella Chiesa che devono fargli pure sprecare il tempo? Rivedremo l'incontro con i divi del cinema ecc.ecc?
"Lo stesso Giovanni Paolo II, con parole limpide, invitava tutti i fedeli a non abbandonarla. E papa Francesco ha proposto nel 2018 la sua recita quotidiana, legandola alla richiesta di protezione per la Chiesa intera."
https://blog.messainlatino.it/2025/05/il-nuovo-leone-xiv-per-scacciare-i.html#more
Visti i tanti motu proprii e non proprii perche' non hanno rimesso l'obbligo per tutta la cristianita' di recitarla alla fine di ogni S.Messa !?!
Leone XIV alle Chiese Orientali: difendere la propria Tradizione
https://www.youtube.com/watch?v=7iR05A9sa3s
https://gloria.tv/post/4uRFtuCxJ3KVCtYmsexwHTWmG
A stretto giro di posta :
Confermato Parolin, Hollerich e Grech i nuovi bracci destri,
verso la conferma suora Petrini.
In questi primi, intensi giorni del pontificato di Leone XIV, un gesto tanto semplice quanto eloquente ha destato attenzione tra il clero e i fedeli: il nuovo Papa ha declinato, con il garbo e la delicatezza che lo contraddistinguono, la richiesta di scattare selfie. È accaduto con i giornalisti ed anche con i rappresentanti delle Chiese Orientali e in un’epoca in cui tutto sembra ridursi a immagine, immediatezza e visibilità, questo rifiuto suona come un invito potente alla riflessione. In alcune occasioni, il Pontefice ha fatto notare con semplicità che le telecamere già presenti sono più che sufficienti; in altre, ha preferito che fosse una terza persona a scattare la foto, evitando così la dinamica autoreferenziale del selfie.
Non si tratta del selfie in sé, ma di un invito alla riaffermazione del senso del sacro. Il Papa, nella tradizione cattolica, non è un personaggio pubblico come gli altri. È il Vicario di Cristo in terra, come insegna il Concilio Vaticano I (1870), che nella Pastor Aeternus afferma l’autorità spirituale unica del Papa quale successore di San Pietro. [...]
https://gloria.tv/post/NMqP7Z6fbQz76cckXmXHr12uG
Siamo arrivati (alcuni di noi umani) da non rendersi piu' conto della propria ridicolaggine...i selfie, 2 papaline (hai visto mai che le scambia con la sua..)
Non ci resta che piangere!
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