Le Edizioni Jeanne d’Arc di Milano, marzo 2014, pubblicano un opuscolo di don Curzio Nitoglia: ABC di Filosofia della Politica. Un breve compendio di 65 pagine accessibile a tutti, della Filosofia politica secondo il pensiero di Aristotele, S. Tommaso d’Aquino, la seconda e la terza Scolastica. (per ordini vedi a fondo pagina).
San Tommaso d’Aquino insegna che la prudenza non s’interessa soltanto del bene privato di un singolo uomo, ma anche del bene di tutta la collettività e perciò “la prudenza per rapporto al bene comune si chiama politica” (S. Th., II-II, q. 47, a. 10, in corpore). La prudenza politica è una virtù che ci aiuta a scegliere i mezzi migliori per ottenere il bene comune, ossia a vivere virtuosamente in società, subordinatamente all’ordine soprannaturale.
L’uomo non può non fare politica, poiché è un animale sociale per natura e deve occuparsi non solo del suo proprio bene individuale, ma anche di quello comune o sociale perché il bene proprio non può sussistere senza il bene comune della famiglia (chi avesse una famiglia disastrata, condurrebbe una vita disgraziata o perlomeno molto difficile), e a maggior ragione senza il benessere comune della città o dello Stato (chi dovesse vivere in una città dove regna l’anarchia o la tirannia, avrebbe una vita dura davanti a sé), poiché la famiglia (che è una Società imperfetta) non può fornire a tutti i suoi membri tutto il necessario per vivere bene naturalmente (salute, scienza, sicurezza, moralità) e ha bisogno di unirsi ad altre famiglie, che così formano una città come varie città unite formano uno Stato (Società perfetta nell’ordine temporale). Inoltre l’uomo, essendo una parte della famiglia e dello Stato, nel valutare il proprio bene grazie alla virtù di prudenza deve farlo subordinatamente al bene della comunità, perché una parte che non armonizza col tutto è deforme.
Già Aristotele diceva che chi è incapace di vivere in società o non ne ha la necessità perché basta a se stesso, deve essere “un animale o un semi-Dio”.
La famiglia, non essendo autosufficiente, tende ad integrarsi nella Società civile il cui Fine è universale, perché è il bene comune a cui tutti i singoli cittadini hanno diritto nella debita proporzione: “per la famiglia gli uomini si mettono in mutua comunicazione al fine di formare uno Stato” (Leone XIII, Enciclica Rerum Novarum, 15 maggio 1891).
Nello stabilire la gerarchia della Prudenza pubblica San Tommaso d’Aquino mette al primo posto la politica, che è la virtù di Prudenza ordinata al bene comune dello Stato; poi l’economia, Prudenza che si occupa del bene comune della casa o della famiglia; infine la monastica, Prudenza che si occupa del bene comune di una singola persona. Nel commento alla Politica di Aristotele, San Tommaso insegna che la politica è una scienza necessaria, poiché scienza della città in quanto oggetto di riflessione filosofica, finalizzata a dare un’organizzazione sociale agli uomini che sono animali naturalmente sociali o politici.
La politica è una scienza morale o pratica (conoscere per agire bene) e non una tecnica empirica; anzi essa ha un ruolo architettonico nei confronti delle altre scienze morali, poiché la città rappresenta la realtà più importante di tutte quelle che la ragione umana è in grado di produrre, perciò la politica occupa il primo posto tra tutte le scienze pratiche (come l’architetto ed il capomastro dirigono tutti gli operai). Il politico deve essere un filosofo morale/sociale e non un “praticone” o faccendiere.
Sempre l’Aquinate distingue l’economia o amministrazione della famiglia – che serve a ricavare le ricchezze necessarie per mantenere convenientemente un focolare domestico, ove i mezzi sono ordinati al fine, la ricchezza alla tranquillità temporale – dalla crematistica-pecuniativa-finanziaria, che consiste nel produrre e nell’accumulare il massimo di ricchezza possibile, senza porre limiti alla libera iniziativa. San Tommaso condanna la finanziaria, in quanto scambia i mezzi (le ricchezze) per il fine (il bene). Questo è l’errore del liberismo, che è una conclusione finanziaria del liberalismo filosofico.
La tendenza a separare l’etica dalla politica, si fonda sulla pretesa di fare della prima una scienza privata e della seconda una scienza pubblica. Invece la filosofia perenne insegna a subordinare la politica all’etica, cioè il viver bene in comune (etica sociale) deve avere quegli stessi princìpi che regolano il ben vivere del singolo (etica individuale) cioè la Legge naturale o il Decalogo applicato alla Società civile: credere in Dio, non offenderlo e onorarlo pubblicamente (i primi ‘Tre Comandamenti’); rispettare l’Autorità, non uccidere l’innocente, usare la potenza generativa secondo natura, non rubare, non nuocere con le parole al prossimo (gli ultimi ‘Sette Comandamenti’). Il Fine ultimo dell’uomo non è la polis, la civitas terrena, ma Dio e la Città celeste (S. Agostino, De civitate Dei). Con San Tommaso d’Aquino abbiamo una vera e propria filosofia politica allo stato perfetto, perché la politica ha un valore subordinato e relativo al Bene assoluto che è Dio e il Regno dei Cieli.
L’uomo è composto di anima e di corpo. Essendo la sua anima razionale, egli è fatto per vivere a contatto con gli altri, non è un animale autistico o solivago. Egli deve avere Dio ‘al di sopra’, gli uomini ‘accanto’ e la terra ‘sotto i piedi’. Ossia deve essere realista (con i piedi per terra), religioso (Dio è il Fine ultimo) e socievole (vivere assieme agli altri uomini). La famiglia, per esempio, che è una Società imperfetta, suppone il corpo dell’uomo, orientato alla generazione, fine primario del matrimonio, ma essa deve essere seguita dall’educazione che sorpassa la vita animale e corporea in quanto riguarda quella razionale e spirituale.
Lo stesso si può dire della Società civile e dello Stato. San Tommaso d’Aquino spiega che “agli animali la natura ha dato i peli, i denti, le corna, la velocità per fuggire. L’uomo, invece, dalla natura non è stato formato con nessuno di questi mezzi già pronti; ma gli è stata data la ragione, per mezzo della quale può procurarsi tutte queste difese. Ma per far ciò non basta il lavoro di un solo uomo, perché il singolo non basta a sé per vivere. Perciò è naturale per l’uomo vivere in Società […] affinché uno aiuti l’altro, e diversi uomini siano occupati nella ricerca di cognizioni diverse”.
La Società civile è l’unione morale e stabile di più famiglie e più villaggi, che tendono al benessere comune temporale subordinato a quello spirituale. Essa nasce dalla necessità per l’uomo di conseguire il Fine prossimo e ultimo, che non potrebbe conseguire se vivesse isolato. Per cogliere il fine occorre una strada che conduca ad esso: questa strada è il diritto naturale, che si può definire come il complesso di regole che si devono rispettare perché un uomo sia e resti autenticamente uomo, ossia “animale razionale” (Aristotele) e non “bestia istintiva” (Nietzsche/Scuola di Francoforte/Strutturalismo francese sessantottino).
Dunque il diritto naturale come regola suprema delle leggi civili significa il dovere di subordinare ogni attività umana alla finalità morale, ossia al Fine dell’uomo. Perciò, se una legge umana non contrasta con la legge morale o il diritto naturale, osservarla è doveroso moralmente. Mentre se la legge è contraria al diritto naturale e, dunque, ingiusta, non ha forza di legge e non deve essere obbedita (per es. aborto, divorzio, eutanasia, bruciare l’incenso agli idoli); invece, se si esige dall’individuo un sacrificio non necessario al bene comune, come quando si impongono ai sudditi leggi o imposte troppo onerose e che non giovano al bene pubblico, esse non obbligano in coscienza, ma, per evitare uno scandalo o una sedizione, si possono ottemperare.
Lo Stato non può essere fine a sé stesso o “Assoluto” ma, come ogni creatura esso è ordinato al Fine ultimo: Dio, l’Essere Stesso Sussistente, Principio e Fine di ogni cosa creata, sia individuale sia sociale o politica, l’unico vero Assoluto ossia non-dipendente da niente e nessuno. Anche lo Stato è una creatura di Dio. Esso è l’unione di più famiglie e città che si mettono assieme, avendo l’uomo una natura sociale, per conseguire un certo benessere comune temporale. Lo stato di natura pura, che esclude l’Ordine Soprannaturale, è solo un’astrazione dei teologi, in realtà non esiste. Nella realtà c’è l’uomo ferito dal peccato originale e restaurato dalla Redenzione di Cristo, che gli ha reso l’Ordine soprannaturale. Quindi, l’individuo, da solo o assieme agli altri nello Stato, è ordinato ultimamente alla Beatitudine soprannaturale. L’attività politica non è perciò indipendente dalla morale, ossia dalle regole che Dio ha dato all’uomo affinché faccia il bene, individualmente o socialmente, e fugga il male.
La ‘politica moderna’, ossia il naturalismo politico, ha un’errata concezione del Fine dell’uomo e della Società, del bene comune, che prescinde da Dio. Lo Stato è un mezzo di cui l’uomo si serve per cogliere il suo Fine tanto quanto lo aiuta in questa impresa, né più né meno. Se si possiede la giusta nozione di Sommo Bene, non è possibile mettere il mezzo (lo Stato) al posto del Fine (Dio). Ora il Bene Sommo è ciò che è infinito e appaga il desiderio di infinito che si trova nell’animo umano e nelle sue due facoltà superiori: l’intelligenza, che è fatta per conoscere la Verità Somma; e la volontà, che è fatta per ottenere il Sommo Bene infinito, il solo capace di appagare i desideri dell’uomo.
Se alla politica manca una base metafisica, una filosofia dell’essere, che ci fa risalire dal creato al Creatore, dall’ente finito a quello Infinito, essa arriverà immancabilmente a conclusioni erronee, dacché l’etica sociale o politica è la conclusione della metafisica, ossia, una volta dimostrato filosoficamente e con certezza che vi è un Ente trascendente e personale da cui noi dipendiamo quanto all’essere ed all’agire, ne segue che, anche uniti assieme, in una città o Stato, dobbiamo ordinarci a questo Principio primo e Fine ultimo dell’uomo e della Società; il non farlo è un errore filosofico e politico. Siccome Dio ha creato l’uomo e la Società o la socievolezza naturale dell’uomo, Egli deve essere onorato dal singolo e dalla Società civile.
Il principio per sé noto di finalità, che è una specificazione di quello di identità e non contraddizione, regge l’uomo (“omne agens agit propter finem”) e lo Stato, il quale è un mezzo che aiuta le famiglie e gli individui a raggiungere il bene comune, che da soli non potrebbero conseguire, dato che l’uomo è un animale sociale per sua natura intrinseca e non per un “patto” come vorrebbe Rousseau.
Perciò o si ammette il principio di non contraddizione e di finalità, e allora l’individuo potrà mettere ordine nella propria vita e lo Stato potrà dare la pace, che è la tranquillità dell’ordine, ai suoi sudditi, oppure si sceglie l’assurdo, si nega il principio di finalità ed ecco il caos, il disordine invadere l’individuo, le famiglie, la Società e lo Stato, che non avranno più pace e non potranno realizzare il bene comune, ma solo il disordine, la rivolta e l’amarezza. Questa è l’importanza del fondamento metafisico della politica, senza il quale essa è snaturata, non coglie il suo fine che è quello di dare la tranquillità dell’ordine ai suoi soggetti, così che possano trovare nello Stato un mezzo che li aiuti a cogliere la Beatitudine eterna, per la quale Dio ci ha creati ed ha voluto che vivessimo in Società onde più facilmente conseguirla.
La politica moderna è segnata da un grave errore: la separazione tra Stato e Chiesa, natura e Grazia, ragione e Fede, fine prossimo e Fine ultimo dello Stato. Il mondo moderno considera solo il piano naturale (peraltro senza rispettarne l’ordine), ignorando quello soprannaturale. La ripugnanza della natura verso la grazia è l’essenza del naturalismo politico, ossia il rifiuto di riconoscersi creature subordinate alla volontà del Creatore e la pretesa di essere perfetti con le sole forze o capacità naturali. Cercando l’origine di questo naturalismo, la si scorge nel peccato stesso di Lucifero, che fu un atto di ribellione all’ordine soprannaturale.
Dalla Società civile costituita risulta l’autorità come proprietà necessaria della civitas. Essa consiste nel potere di far leggi per conseguire il Fine, nel farle osservare e nel castigare chi le vìola. L’autorità è dunque il potere di governare la res publica, ossia di dirigerla al suo Fine. Per conseguire tal fine è necessario: 1°) che i mezzi conducenti al Fine siano proposti in modo obbligatorio (potere legislativo); 2°) che le cose proposte siano applicate convenientemente, secondo il senso in cui furono proposte (potere esecutivo); 3°) che coloro i quali non vogliono applicarli e/o si oppongono alla loro applicazione possano essere costretti con la forza (potere giudiziario o coattivo). Il potere più importante è quello legislativo, essendo gli altri due esecutivi della legge.
La società naturale si divide in Società domestica (la famiglia, che è una Società imperfetta) e Società civile (lo Stato, che è una società perfetta nell’ordine temporale). La Società domestica o famiglia nasce dall’unione coniugale (marito e moglie) e dalla Società parentale e filiale (genitori e figli); essa è ordinata alla Società civile. Quella domestica è una Società imperfetta, poiché non ha tutti i mezzi atti al raggiungimento del bene comune da parte dei suoi soggetti.
Fine della Società non è soltanto quello negativo (Stato poliziotto) di proibire ingiurie e liti fra i cittadini, come vorrebbe il liberalismo, ma di produrre positivamente, mediante le leggi, le condizioni necessarie per avere una vita buona, ossia la perfezione materiale, intellettuale e morale della persona, nelle quali consiste la felicità imperfetta della vita terrena (Stato sociale). Il Fine della società civile non è il Fine assoluto o Dio, ma è il bene o felicità o vita buona dei cittadini.
Contro la statolatria assolutistica, la sana filosofia insegna che i cittadini non sono ordinati alla Società come al loro Fine ultimo. È la società ad essere ordinata al bene comune dei cittadini considerati in quanto uomini fatti a immagine e somiglianza di Dio ed aventi un’anima razionale ed immortale e quindi ontologicamente superiori alla società (“civitas propter cives et non cives propter civitatem”).
Contro l’individualismo liberale la retta ragione insegna, invece, 1°) che l’autorità politica ha il dovere di difendere i diritti dei cittadini e di procurare anche positivamente quei beni che rendono dignitosa la vita del cittadino e che l’attività del privato non può procurare sufficientemente; 2°) che l’uomo considerato come cittadino è una parte della Società e quindi moralmente o politicamente inferiore ad essa. L’autorità politica non deve assorbire ma proteggere i diritti della persona e della famiglia; essa interviene solo ove la famiglia ed il privato non riescono ad andare avanti (principio di sussidiarietà).
Nei rapporti tra bene personale e bene comune, il primo è subordinato al secondo sul piano delle cose temporali e materiali; in questo caso, infatti, la comunità viene prima del singolo. Ma se si tratta del bene di ordine soprannaturale, che riguarda la vita eterna della singola persona, allora il primo posto spetta alla persona razionale, libera ed immortale: “il bene del tutto è maggiore del bene particolare di uno solo, se si tratta dello stesso genere di bene. Invece il bene soprannaturale di una persona supera il bene naturale di tutto l’universo”.
San Tommaso insegna che le possibili forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, politeìa (oggi ‘democrazia’ classica, essenzialmente diversa dal ‘democratismo’ moderno di Rousseau). Egli considera la monarchia come la prima forma di governo (il governo di uno solo) che, però, può degenerare in tirannia. La seconda forma di governo considerata dall’Aquinate è l’aristocrazia (governo dei migliori) che può degenerare in oligarchia, ossia tirannia di pochi. La terza forma è la politeìa (governo dei magistrati o dei cittadini/militari) o timocrazia (governo in cui le cariche sono assegnate in base all’onore e alla forza della sanior pars populi), la quale può degenerare in democratismo o democrazia moderna (tirannia del popolo). Oggi, in luogo di politeìa o di timocrazia, è prevalso l’uso della parola democrazia – che per i classici e gli scolastici aveva già di per sé una valenza negativa – la quale può degenerare in demagogia, come si dice comunemente oggi.
Secondo la tradizione scolastica, la migliore forma di governo è quella mista, data la malizia dell’uomo, ferito dal peccato originale, che facilmente è portato a degenerare. Nella Somma Teologica (I-II, q. 95, a. 4) San Tommaso scrive: “vi è un certo regime, che è un misto di queste tre forme, il quale è il migliore”. Ed ancora: “la migliore forma di potere è bene temperata dall’unione della monarchia, in cui comanda uno solo, e dall’aristocrazia, in cui comandano i migliori o i virtuosi, e dalla democrazia, che è il potere del popolo, in quanto i Principi possono essere scelti nella classe popolare e possono essere eletti dal popolo stesso” (S. Th., I-II, q. 105, a. 1, in corpore). Ogni buon regime deve, dunque, essere misto e radicato nel principio del popolo-canale, che trasmette compiti e funzioni di governo ad uomini atti, preparati ed onesti (i migliori); mentre al vertice, la suprema unità di governo appartiene ad un uomo prudente e maturo (il monarca).
San Tommaso, riprendendo l’insegnamento di Aristotele, sottolinea che la monarchia è più nobile dell’aristocrazia e che questa lo è più della democrazia. Tuttavia San Tommaso mette in guardia dai pericoli della monarchia, non in quanto pericolosa in sé bensì a causa della malizia dell’uomo. Si può dunque concludere che la più nobile forma di governo, la monarchia, è bene che sia temperata dall’aristocrazia e dalla timocrazia o democrazia (ovviamente non la democrazia moderna, secondo la quale il potere non deriva da Dio ma dall’uomo).
Nella sua opera De regimine principum San Tommaso spiega essere necessario che gli uomini, vivendo in società, siano governati da qualcuno: “se è naturale per l’uomo vivere in Società, è necessario che fra gli uomini ci sia qualcuno che governi il popolo. Infatti, quando gli uomini sono in molti, se ognuno provvedesse soltanto a ciò che gli serve, il popolo si frantumerebbe nei suoi componenti, qualora non ci fosse chi si occupasse anche del bene comune; così come l’unità dell’uomo si dissolverebbe se nel corpo non ci fosse una facoltà coordinatrice generale (il cervello) rivolta al bene comune di tutte le membra […]. Se una moltitudine di uomini è ordinata dal capo per il bene comune di tutti, il governo sarà retto e giusto. Se invece il governo è ordinato non al bene comune, ma al bene privato del capo, sarà ingiusto e perverso”.
La subordinazione dello Stato alla Chiesa è dottrina comunemente insegnata dai Padri ecclesiastici, dal Magistero ordinario pontificio costante e tradizionale (“quod ubique, semper et ab omnibus”) e quindi infallibile. Essa si trova contenuta nella S. Scrittura e in tale senso (di cooperazione nella subordinazione del temporale allo spirituale) è stata interpretata unanimemente e quindi infallibilmente dai Padri (Tradizione apostolica).
Certamente il Regno di Dio è “principalmente” spirituale ed è finalizzato alla salvezza eterna delle anime. “Tuttavia errerebbe gravemente chi volesse restringere il Regno di Dio solo al piano spirituale” (Pio XI, Enciclica Quas primas, 1925). Ma occorre dire che Gesù e la sua Chiesa non esercitano il potere nelle cose temporali e lo lasciano ai Principi, deputati a governare le cose temporali: “Non eripit mortalia, Qui Regna dat coelestia” (Inno dei Vespri dell’Epifania).
Questo è il sunto della filosofia politica tradizionale. Ora bisogna sforzarsi di metterla in pratica dopo averla studiata ed approfondita.
Attenzione! Se rifiutiamo di ritornare al reale, alla sana ragione e alla retta ‘Dottrina sociale’, continuiamo a correre verso il baratro che si è aperto sotto i nostri piedi in maniera chiara ed evidente a tutti specialmente a partire dal 1968 e che ha preso il potere globale nell’universo col ‘Nuovo Ordine Mondiale’ (1991/2001), le cui manifestazioni recenti sono la crisi economico/finanziaria (2005) e quella delle guerre in Africa mediterranea, in Medio Oriente e nel Vicino Oriente (2011) e attualmente in Ucraina e in Crimea (2014), manifestazioni che potrebbero lambire anche l’Estremo Oriente, con conseguenze inimmaginabile e umanamente irreparabili.
La modernità, che da Cartesio a Hegel, si proponeva di divinizzare l’Io e renderlo Assoluto, è poi sfociata nell’effetto opposto: la post-modernità nichilistica (Nietzsche, Marx e Freud), che si prefigge la distruzione della ragione, della morale e dell’essere stesso. Essa ha avuto il suo exploit con la ‘Scuola di Francoforte’ (Marcuse e Adorno) e lo ‘Strutturalismo francese’ (Lévi-Strauss, Sartre, Ricoeur) negli anni Sessanta ed oggi (2011/2014) sta raggiungendo il suo avveramento terminale (Bush/Obama/Natanyahu) col pericolo di una guerra nucleare dai risultati apocalittici. Ora, quando ci si accorge di aver sbagliato strada occorre, ritornare indietro per andare avanti, ma nel verso giusto. Quindi se la modernità è fallita ed è stata uccisa dalla sua figlia la post-modernità, occorre ritornare ai princìpi della metafisica dell’essere e della filosofia politica che ne consegue.
La “politica” odierna che vorrebbe uccidere Dio (marxismo, niccianesimo, psicanalisi, strutturalismo) va combattuta non con l’idealismo soggettivista (che voleva divinizzare l’uomo e metterlo al posto di Dio), ma con la metafisica e la filosofia politica perenne e tradizionale, classica, scolastica e canonica. Attenzione! “Tertium non datur”. O si ritorna al realismo aristotelico/tomistico, all’armonia e alla collaborazione nella subordinazione gerarchica dei Fini tra potere temporale e spirituale; oppure si sprofonda nel mare del nulla nichilista ove tutto affonda e niente si salva.
Buona lettura!_______________________
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2 commenti:
Il libro di Nitoglia sarebbe da regalare anche agli autori di questo squallido blog:
http://cattoliciperlalaicita.blogspot.it/?m=1
Urbex
Altro che squallido!
Un fritto misto di ipocrisia e commistioni improbabili, da massificazione che ha superato ogni livello di guardia...
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