A precedere la ripubblicazione, da parte del Foglio, di quel gigantesco discorso ratzingeriano al Collège des Bernardins, nel quale Benedetto XVI offriva lucenti pagine su liturgia e canto, questo giornale aveva già proposto un magistrale saggio liturgico di Alessandro Gnocchi nel quale, riguardo il canto sacro tanto caro all’attuale Papa emerito, l’autore citava l’“atonia della salmodia” di san Giovanni Climaco.
Benedetto XVI, che del lento e progressivo recupero di un orizzonte liturgico verticale e teocentrico aveva fatto cifra distintiva del suo pontificato, aveva ben chiaro – e il discorso parigino ne motiva ampiamente le ragioni – che la demolizione del canto liturgico è una delle scuri più tragiche e nefaste che si siano abbattute sulla nuova liturgia: l’oblio del canto è “zona della dissimilitudine”, è oblio di Dio stesso. L’eresia della forma liturgica (che non è mai questione solamente esteriore ma è dottrinale) e l’approdo ad una messa para-protestante di una Chiesa “esperienziale” 2.0 sono passate anche e soprattutto attraverso l’abbandono del canto codificato da quel monachesimo medievale additato come modello dallo “specialista del Logos” bavarese.
Il canto sacro, quantunque si cerchi di ricondurlo alla sola dimensione immanente, non è solamente canto. La vera natura del tesoro gregoriano fiorito all’ombra delle cattedrali è innanzitutto retorica, e solo dopo arriva la sua dimensione musicale. La fonte prima dei monaci era la Scrittura: a memoria i monaci ornavano la Parola di melodie che, come la Vergine, “serbavano nel loro cuore”. Il loro lavoro di preghiera e meditazione dei passi musicati della Scrittura era chiamato ruminatio, paragonandolo, così, al processo digestivo: la crudezza di una spoglia linea melodica doveva essere “digerita” e trasformata pienamente in evento sonoro della Rivelazione, in Parola di Dio.
E’ nel canto liturgico che, per richiamare il Cantico dei Cantici, si ode il canto di Dio che incontra l’uomo, e questo avviene nella liturgia: è il Cielo che discende sulla terra, lo specchio della Gerusalemme celeste. Il canto, per dirla “benedettianamente”, è la Parola di Dio che non può essere solamente pronunciata, ma necessita di una forma meta-fisica, è il suono dell’Invisibile, epifania udibile del Logos che è sin dal Principio.
E’ Dio, il quale, come dice il Messale, non ha “bisogno della nostra lode”, che parla a noi attraverso un canto plasmato dallo Spirito, è una musica che dal Cielo discende sulla terra ed è in grado di infondere la gioia e la speranza nel cuore come la cetra di Davide calmava lo “spirito cattivo” di Saul e lo trasformava in un altro uomo.
Ed è con i numerosi artifizi retorici, dei quali i monaci medievali si servivano a piene mani, che il gregoriano propone la sua precisa interpretazione scritturale. Il gregoriano può essere, allora, definito come una lectio divina in musica, è lex orandi: è per questo che la Chiesa l’ha sempre considerato “proprio”, perché è Lei che detiene l’esegesi delle Scritture.
E una Chiesa che fa quotidianamente un’ufficiale muta apostasia della “sua” musica e della sua Tradizione, è una Chiesa che abbandona la sua dottrina. Una Chiesa che abdica il canto di Agostino e Ambrogio, di Gregorio e Benedetto, in luogo di un orizzontale liberi-tutti di oscenità musicali, rispondenti a mediocri criteri di “esperienza” liturgica da ospedale da campo, è una Chiesa che abbandona il suo “munus docendi, regendi et sanctificandi”. E una Chiesa che rigetta la docenza rituale, sia pur veicolata dalla musica, non può che portare al dissolvimento della dottrina.
Mattia Rossi @mattiaross1
[Fonte: il Foglio 15 aprile 1014]
5 commenti:
Quanti concetti, che un tempo erano considerati ovvietà, dati per scontati ed ora debbono essere ribaditi e forse anche contestati perché considerati opinabili dal solito pauperista ecumenico di turno.
Purtroppo le liturgie che vanno per la maggiore, quelle che fanno "scuola" e "tendenza", a prescindere dalla "lettera" conciliare, molto, ma molto diversa dalla prassi odierna, diventano "ortoprassi".
Solo quando riscopriremo che Il Santo Sacrificio Eucaristico è offerto dal Sacerdote, guida e pastore del popolo cristiano, al suo e nostro Dio, allora la Santa messa tornerà ad essere teocentrica. Solo allora il canto gregoriano potrà ritornare a buon diritto a "casa sua".
Oggi, invece, la messa ha solo l'uomo sacerdote che si pone davanti agli altri uomini e, quando va bene, celebra la Cena del Signore, altrimenti, come recita il versetto alleluiatico dell'alleluia "delle lampadine" che si canta in qualsiasi tempo dell'anno, matrimoni e funerali compresi, si celebra sempre e solo la "nostra festa perché la festa siamo noi".
http://magisterobenedettoxvi.blogspot.it/2012/03/ciclo-di-catechesi-sulla-preghiera.html
Vito Mancuso è un collezionista di eresie o di affermazioni ereticheggianti, ma almeno una cosa giusta l'ha detta ( nelle prime pagine del volume "L'handicap, la natura e Dio" ): da alcuni secoli la teologia cristiana ( anche nei suoi pià grandi esponenti ) ha perso il contatto con la cosmologia, e questo ha portato danni gravissimi. La "svolta antropologica" affermatasi con Rahner e simili in realtà è iniziata con il crollo del sistema cosmologico aristotelico-tolemaico, per il quale l'universo era costituito da sfere concentriche rotanti attorno alla Terra, sede della creatura più nobile e privilegiata, l'Uomo. Senza quel sistema non sarebbero state concepite le cattedrali di pietra e la grandiosa cattedrale in versi che è la Divina Commedia.
A partire dal '600 gli spiriti più pensosi ( in modo evidentissimo lo scienziato e cristiano appassionato Blaise Pascal ) hanno cominciato a vedere la Terra come un granello di sabbia gettato a caso nello spazio fra miliardi di altri granelli, sullo sfondo di in cielo scuro: è già il concetto dell'uomo come "lo zingaro dell'universo" coniato dal biologo Jacques Monod, autore della formula darwinista "Il caso e la necessità" che va per la maggiore quale "spiegazione" ( ??? ) ateistica della Vita, del tutto inadeguata, ma oggi difesa a spada tratta come un superdogma del laicismo ateistico dilagante.
Secondo la visione tradizionale le sfere rotanti producevano una musica meravigliosa, avvertibile solo dagli angeli e dai mistici: la "MUSICA MUNDANA", cioè la "musica delle sfere",prodotta dal mondo in movimento ed espressione della sua creaturalità, che rimandava all'altezza e alla profondità di Dio "intimior intimo meo" ( più intimo dell'intimità del mio anomo ). Questo appunto esprimeva il canto mistico medievale. Al proposito invito ad ascoltare su Youtube i componimenti ( veri canti angelici ) di Hildegard Von Bingen , santa badessa tedesca del XII secolo, dalle straordinarie attitudini profetiche, mistiche ed enciclopediche ed insieme donna energica ed estremamente pratica, proclamata di recente Dottore della Chiesa da benedetto XVI.
A noi ricuperare attraverso gli studi di microfisica e cosmologia le tracce della creaturalità nell'infinitamente grande e nell'infinitamente piccolo.
Altrimenti i vari tentativi di ritorno al Gregoriamo rischiano di rimanere estetismo arcaicizzante e non molto di più.
A esplicazione di quanto sopra, invito a vedere su Youtube "Vision" ( 2009 )il film biografico su Hildegard Von Bingen girato da Margarethe Von Trotta, grande e nota regista tedesca, in versione spagnola con sottotitoli in Italiano.
Interprete la sua attrice preferita, Barbara Sukova.
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