L'ultimo articolo di Alessandro Gnocchi, che ringrazio di cuore per la pronta condivisione, apparso su Il Foglio di oggi, propone una interessante riflessione su alcune forme di ghigliottina operate dalla riforma liturgica che, insieme a formule e simboli, ha tagliato con selvaggia iconoclastia alcuni significati profondi che corrono il rischio di cadere nell'oblio insieme alla fede che veicolano. Per questo noi, nel parlarne, li recuperiamo e li viviamo nella nostra resistenza.
(Nell'immagine a lato, il manipolo è ben visibile al braccio di Padre Pio)
Nessun grande uomo, diceva Hegel, sfugge al biasimo del cameriere che ne governa le stanze nascoste. Ugualmente, le rivoluzioni e i loro traumi riformatori non si sottraggono al giudizio del robivecchi che ne frequenta il retrobottega in cui giacciono le vestigia del tempo andato e dell’ordine travolto. Per quanto sia nascosto, c’è sempre un luogo in cui l’individuo d’eccezione e l’evento epocale sono costretti a mostrare la propria natura più intima, fosse solo in un dettaglio.
La riforma liturgica operata nella Chiesa cattolica alla fine degli anni Sessanta non sfugge alla ghigliottina hegeliana. Anche quel grande balzo verso il mondo, che si può chiamare rivoluzione considerando l’orientamento del pregare invertito rispetto al passato, ha il suo retrobottega rivelatore. Basta andare per canoniche, conventi e sacrestie in cerca di antichi paramenti rituali per averne la prova. Con un po’ di pazienza e tanta disposizione all’umiltà, in questo tour della memoria liturgica si trovano sempre un sacerdote, una suora, più di frequente un vecchio sacrestano, che scovano pianete, dalmatiche, tunicelle, cotte e berrette, sospirando sui tempi in cui la messa era davvero la messa. Ma anche loro, salvo rare eccezioni, non sono in grado di recuperare il manipolo, quell’esile drappo simile a una piccola stola che il celebrante porta sul braccio sinistro.[1]
Per disegni oscuri, pare quasi si sia voluta cancellare la memoria di questo paramento originato dalla mappula, il fazzoletto di lino che la nobiltà romana portava al braccio sinistro, usato per detergere lacrime e sudore e per dare il segno dell’inizio dei combattimenti nel Circo. “Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris; ut cum exsultatione recipiam mercedem laboris” recita il sacerdote mentre lo indossa durante la vestizione, “O Signore, che io meriti di portare il manipolo del pianto e del dolore, affinché riceva con gioia la mercede del mio lavoro”: e, ancora una volta, ha principio il combattimento contro il mondo e il suo principe, in cui misticamente il sacerdote suda, piange, sanguina e lotta fin sulla croce come alter Christus. Ma serve la dolorosa e virile compenetrazione nel sacrificio, di cui l’esile manipolo è segno e strumento. Là dove, invece, se ne è persa volentieri la memoria per dedicarsi al banchetto festante di una salvezza priva di fatiche non vi è luogo per i segni della battaglia a cui si deve consegnare il proprio corpo.
Lo strazio di padre Pio e della sua carne stigmatizzata, le estasi di San Filippo Neri che affondava i denti nel calice per bere avidamente tutto il suo Signore, le visioni di San Giovanni Crisostomo che assisteva al discendere della folgore sull’altare, e poi tutte le messe fino a quelle del più indegno dei sacerdoti che avesse anche solo un po’ fede nel miracolo della transustanziazione sono sempre state, allo stesso tempo, il cuore e il frutto della battaglia contro il principe di questo mondo.
“Impone, Dómine, cápiti meo gáleam salútis, ad expúgnandos diabolicós in cursus”, “Metti, o Signore, sulla mia testa l’elmo della salvezza per vincere gli assalti del demonio” prega il sacerdote quando, preparandosi alla celebrazione, indossa l’amitto, altro indumento che richiama la battaglia e il sacrificio caduto in disuso nella messa riformata. Oggi, nella Chiesa postconciliare, si preferisce parlare per parlare, dialogare per dialogare, conversare amabilmente con il mondo inebriati di un illusorio potere seduttivo della chiacchiera. Non serve più un indumento come l’amitto che, oltre all’elmo del guerriero, simboleggia anche la “castigatio vocis” e bandisce dall’atto di religione ogni parola che non sia rituale e, quindi, inesorabilmente di troppo. Si è persa l’attitudine al rito e, dunque, si è persa l’attitudine al comando, e perciò i sacerdoti hanno rinunciato alla veste talare. "Quando gli uomini vogliono apparire senza fallo solenni” scrive Gilbert Keith Chetserton in “ciò che non va nel mondo” commentando la stupidità delle donne che preferiscono i pantaloni “come nel caso di giudici, sacerdoti e re, allora indossano la gonna, il lungo frusciante abito della dignità femminile. Il mondo intero è retto dalle sottane, poiché persino gli uomini le indossano, quando desiderano governare”.
L’idea del comando e della battaglia, delle armi e dell’armatura dello spirito, sono state dismesse da cristiani che amano farsi cullare dall’accidia, il più perverso dei vizi capitali. Quella trappola mortale che gli antichi padri chiamavano akedia o acedia, si è trasmesso di credente in credente fino a infettare il corpo ecclesiale. Ne è sortito un mal d’essere, un’eresia della forma che prelude agli errori più diversi e persino contrari tra di loro, in estremo sberleffo al virile e guerreggiante principio di non contraddizione. Malata di acedia, la Chiesa ha finito per concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione dell’intimo male dell’uomo. Anche quando parla del mondo lascia trasparire la consapevolezza della propria inefficacia a indicare una via di salvezza, quasi a scusarsi di averci provato per tanti secoli. Dubita per prima dei propri fondamenti intellettuali e ascetici e, proprio mentre proclama di aprisi al secolo, si dichiara incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, di educarlo e convertirlo. Al più, si rende disponibile a interpretarlo.
“L’acedia” scrive San Giovanni Climaco nella “Scala del Paradiso”, e sembra descrivere la Chiesa di questi decenni invece che il singolo monaco prostrato davanti alla fatica della religione, “è abbattimento dell’anima, indebolimento della mente, negligenza dell’ascesi, odio della professione, è ritenere beati coloro che vivono nel mondo, è calunniatrice di Dio, come privo di compassione e di amore per gli uomini. È atonia nella salmodia, debolezza nella preghiera”. Poi, da vero uomo di Dio, e quindi conoscitore dell’essere umano, l’antico padre mostra quali effetti effimeri e traditori produce l’acedia, malattia talmente subdola da presentarsi come illusorio rimedio a se stessa. È “ferrea nel servizio, attiva nel lavoro, manuale, pronta all’obbedienza. (…) L’accoglienza degli ospiti è un suggerimento dell’acedia, ed essa esorta a compiere lavori manuali per fare elemosine, invita calorosamente a far visita ai malati, ricordando colui che dice: Ero malato e siete venuti da me; esorta ad andare da coloro che sono scoraggiati e d’animo debole dicendo di confortare coloro che sono d’animo debole, proprio come lei è d’animo debole. Mentre ce ne stiamo in preghiera ci fa venire in mente incarichi urgenti e attua ogni stratagemma per trascinarci via di lì con un motivo ragionevole, come con una cavezza, proprio lei che è irragionevole”.
Ciò che, nel VII secolo era ammonimento per le singole membra, oggi vale per l’intero corpo ecclesiale, preda di quella malattia del fare, un po’ tango y corazón, ispirata al movimentismo mediatico e al minimalismo intimista dell’attuale pontificato. Ma non è con il farsi simile al mondo e impalmandone il linguaggio che lo si seduce, non è esaltando il gesto e la parola di cui il rito è “castigatio” che si conquista il secolo: perché il mondo ha innanzi tutto orrore di se stesso e non è secolarizzandosi che il cristiano lo conquista. “Va” dice Mosè il forte, un altro padre del deserto, al monaco accidioso “entra nella tua cella e siediti, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa”. E nel saggio sui “Sensi soprannaturali” Cristina Campo scrive: “Non impunemente si pratica la torva omeopatia che consiglia di curare un mondo perdutamente ammalato di squallore, anonimato, profanità e licenza per mezzo di squallore, anonimato, profanità e licenza”. E ancora: “attendersi che la rigenerazione del profano, la ‘consacrazione del mondo’ possa compiersi altrove che nelle regioni vertiginose, sulle vette del Sinai, è puerile. Mangiare tra amici un pasto simbolico, dove e come fantasia lo detti, in memoria di un filantropo dei tempi antichi è insieme la putrefazione del sacro e la perdita del profano (…). Heschel ricorda che se noi cessiamo di chiamare Dio sui nostri altari li occuperanno ineluttabilmente i demoni”.
Ma l’altare, la grande prova davanti alla quale è chiamato l’uomo nell’atto di religione, è intimamente legato al dogma, la grande prova a cui l’uomo è chiamato nell’atto di intelligenza. Se fallisce una, cade anche l’altra innescando un circolo che si autoalimenta perversamente. Il benedettino dom Prosper Guéranger, scriveva nelle sue “Institutions liturgiques”: “Venne infine Lutero, il quale non disse nulla che i suoi precursori non avessero detto prima di lui, ma pretese di liberare l’uomo nello stesso tempo dalla schiavitù del pensiero rispetto al potere docente e dalla schiavitù del corpo rispetto al potere liturgico”.
Il vizio dell’acedia che ammalia il popolo di Dio facendogli perdere il confine tra ortodossia ed eresia ha le sue radici nel dramma religioso dell’agostiniano tedesco, tradotto in aggressione alla liturgia e alla ragione, all’altare e al dogma, alla lex orandi e alla lex credendi. Nulla di strano, se si tiene conto che l’uomo è un essere razionale perché è un essere liturgico e ha come fine ultimo l’adorazione: come non può eliminare il rito dal proprio orizzonte e dunque deve limitarsi a distrarlo dal legittimo oggetto e pervertirlo, allo stesso modo si rapporta con la ragione e, quando non la santifica, la prostituisce. Gli attacchi al Corpo mistico di Cristo passano sempre attraverso la demolizione della liturgia: il genio eretico di Ario si diffuse grazie a inni religiosi, e quello ortodosso di Sant’Ambrogio lo vinse grazie ad altri inni religiosi.
Connaturali all’essenza liturgica e razionale dell’uomo, l’altare e il dogma sono la prova su cui misurare la salvezza che una creatura non può darsi da sola: chiedono un atto supremo di fiducia poiché velano ciò che ogni essere umano vorrebbe evidente. Questa velatura, considerata odiosa dall’uomo moderno, è frutto dell’incapacità di cogliere naturalmente l’essenziale da parte di chi ha perduto lo stato di Grazia. Da solo, l’uomo non è più in grado di percepire il senso ultimo delle cose e per questo la liturgia, fino a quando non si è arresa al fascino dei lumi, lo ha sempre aiutato rivestendo la materia di significati ulteriori. Attraverso i drappeggi posti sul limitare tra finito e infinito, l’atto di adorazione conduce l’intelligenza a intuire, quanto meno, la bella ragionevolezza del dogma. E il velo diventa il segno visibile della Grazia e di una santità invisibili agli occhi dell’uomo, mostra l’essenza intima delle cose.
Ma serve fede, come dice San Tommaso nel suo sublime inno eucaristico “Adóro te devóte”: Visus, tactus, gustus, in te fállitur,/ Sed audítu solo tuto créditur:/ Credo quidquid díxit Dei Fílius;/ Nil hoc verbo veritátis vérius”, “La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano/ Ma solo con l'udito si crede con sicurezza:/ Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio,/ Nulla è più vero di questa parola di verità”. Solo in queste regioni così rarefatte, eppure così concrete da poter essere toccate, mangiate, bevute, è possibile trovare il punto archimedico in cui dimora la salvezza, la Croce: follia per il mondo, che considera il cristiano un pazzo destinato a vivere a testa in giù. Eppure, è proprio così, come San Pietro nell’istante supremo della sua crocifissione con la testa rivolta verso il basso, che il seguace della Croce ha in ricompensa la visione meravigliosa e infantile in cui il mondo appare veramente come è: con le stelle simili a fiori e le nubi come colline e tutti gli uomini sospesi nel vuoto alla mercé di Dio.
Una tale visione produce uno sguardo che sgomenta il mondo, tanto da conquistarlo, senza una parola e un gesto mondani. È il balenìo dipinto con devozione perfetta nel San Francesco di Francisco de Zubarán, su cui dominano due occhi spiritualizzati, uno penetrato dalla luce e l’altro immerso nell’ombra, che appartengono a un altro mondo e non vedono altro. E quando si posano sulle cose materiali lo fanno solo per dirne la bellezza velata e inattingibile a occhi profani. L’immagine dell’uomo in piedi, con la testa coperta dal cappuccio, le mani nascoste nelle maniche dell’abito e lo sguardo al cielo dipinta dal pittore spagnolo non rappresenta il santo da vivo, ma il suo corpo incorrotto dopo la morte, come fu trovato nella cripta di Assisi. Abitualmente, il ritrovamento di Francesco viene dipinto come un episodio narrativo. Zubarán, invece, mostra il santo eretto in un eterno istante liturgico, modellato dalla luce e dall’ombra, dalla Grazia e dal velo. Solo il viso, la cui metà è immersa nell’ombra, appare di carne, ma concorre a testimoniare la manifestazione corporea di qualcuno che torna dal mondo dei morti in una epifania priva di note terrifiche, poiché l’anima è colma di serenità soprannaturale e beatitudine.
Anche nell’ultima cappella di campagna, dove il profumo di povero incenso si confonde a quello della cera stantìa, l’ingresso del sacerdote pronto alla celebrazione del sacrificio ha la stessa radice sacra intuita dal visionario spagnolo, fatta di divino che irrompe nel tempo. “Introibo ad altáre Dei. Ad Deum qui laetificat juventútem meam”, e mentre si accosta all’altare di Dio, al Dio che letifica la sua giovinezza, il sacerdote, se anche non può rivestirsi della gloria dipinta da Zubarán, parla a ogni a creatura dell’universo velandosi con i segni che portano le vestigia della gloria. E diventa davvero lietamente giovane, che sia indegno peccatore, come racconta Graham Greene nel “Potere e la gloria”, o che sia martire, come racconta Robert Hugh Benson, in “Con quale autorità”.
“Uno dei servi, accortosi, accortosi che non aveva la forza di indossare da solo le vesti sacerdotali” narra Benson descrivendo la messa di un sacerdote torturato dai carnefici anglicani “gli pose intorno al collo l’amitto; poi gli mise il camice raccogliendolo intorno ai fianchi col cingolo; gli dette la stola da baciare, gli adattò il manipolo al braccio sinistro e per ultimo lo coprì con la rossa pianeta e il prete fu di nuovo, come la domenica precedente, in rosi paramenti; ma ahimè, quanto cambiato! Quindi il servo gli si inginocchiò accanto e il sacerdote incominciò a recitare le preghiere che servono di preparazione all’atto più grande della religione; accostatosi poi all’altare, si inchinò lentamente, lo baciò e la messa ebbe principio”.
Alessandro Gnocchi
[Fonte il Foglio, 10 aprile 2014]_________________________________
Nota Chiesa e post-concilio
1. Il manipolo è un paramento liturgico ormai adoperato soltanto nelle celebrazioni della Santa Messa secondo la forma straordinaria del Rito Romano. Si dice derivi da un fazzoletto (mappula) portato dai romani annodato al braccio sinistro. Poiché la mappula si utilizzava per detergere il viso da lacrime e sudore, gli scrittori ecclesiastici medievali hanno assegnato al manipolo il simbolismo delle fatiche del sacerdozio. Esso tuttavia ricorda anche l'asciugamano che cingeva il braccio del sacerdote ebreo durante il sacrificio.
Si ricorda anche il doppio senso della parola manipulum (che indica i fasci di grano di chi miete). Così infatti la Vulgata rende il Salmo 125,5-6: «Qui seminant in lacrimis in exultatione metent; euntes ibant et flebant portantes semina sua, venientes autem venient in exultatione portantes manipulos suos» (corsivo nostro).
Era consegnato nel conferimento del suddiaconato con l'eloquente formula, recitata dal sacerdote durante la vestizione: « Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris: ut cum exultatione recipiam mercedem laboris.» « Che io sia degno, o Signore, di portare il manipolo di pianto e dolore: così con orgoglio raccoglierò la mercede del lavoro. » e mantenuto in tutti gli altri gradi del Sacramento dell'Ordine (diaconato, presbiterato, episcopato).
L'abolizione degli Ordini Minori (trasformati in ministeri laicali) dalla Ministeria Quaedam di Paolo II non lo nomina. Tuttavia il suo uso è stato reso facoltativo dal 1967 dall'Istruzione Tres abhinc annos. Anche il Novus Ordo non ne fa cenno e il suo uso può essere considerato facoltativo ma di fatto, nella liturgia riformata, è stato abbandonato. [Maria Guarini, “La questione Liturgica. Il Rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Concilio Vaticano II”, in corso di riedizione]
Da notare che nella liturgia riformata il servizio all'Altare sostituito dalla tavola non è più previsto. Chi volesse approfondire cosa ho scritto su questo e sue implicazioni può farlo [qui]. Riporto solo un punto essenziale, per sapere cosa si perde. Secondo la Tradizione della Chiesa:
Era consegnato nel conferimento del suddiaconato con l'eloquente formula, recitata dal sacerdote durante la vestizione: « Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris: ut cum exultatione recipiam mercedem laboris.» « Che io sia degno, o Signore, di portare il manipolo di pianto e dolore: così con orgoglio raccoglierò la mercede del lavoro. » e mantenuto in tutti gli altri gradi del Sacramento dell'Ordine (diaconato, presbiterato, episcopato).
L'abolizione degli Ordini Minori (trasformati in ministeri laicali) dalla Ministeria Quaedam di Paolo II non lo nomina. Tuttavia il suo uso è stato reso facoltativo dal 1967 dall'Istruzione Tres abhinc annos. Anche il Novus Ordo non ne fa cenno e il suo uso può essere considerato facoltativo ma di fatto, nella liturgia riformata, è stato abbandonato. [Maria Guarini, “La questione Liturgica. Il Rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Concilio Vaticano II”, in corso di riedizione]
Da notare che nella liturgia riformata il servizio all'Altare sostituito dalla tavola non è più previsto. Chi volesse approfondire cosa ho scritto su questo e sue implicazioni può farlo [qui]. Riporto solo un punto essenziale, per sapere cosa si perde. Secondo la Tradizione della Chiesa:
- l'episcopato si identifica nel sacerdozio di Melchisedech (Sommo ed eterno Sacerdozio di Cristo) e ricorda quello di Aronne
- i sacerdoti - presbiteri (anziani) (come i 72 mandati da Gesù) sono come i 70 anziani (i cohanim ebraico=cohen è "colui che sta in piedi" davanti e alla guida dell'Assemblea); gli ordini maggiori o sacri sono: suddiacono, diacono, sacerdote
- tutti gli altri ordini minori (accolito, esorcista, lettore, portiere) si identificano con i leviti, e cioè gli aggiunti gli aiutanti
36 commenti:
E' un articolo bellissimo, anche perché mi riporta alla mia primissima infanzia quando in sacrestia assistevo alle vestizioni di sacerdote e chierichetti....l'amitto me l'ero dimenticato fino a quando non l'ho visto indossato dall'allora card. Ratzinger , lui aveva sempre il fazzoletto bianco infilato nella manica sinistra e ogni tanto lo estraeva per detergersi, pensare che un commentatore l'aveva definito ' usanza da vecchio prete di campagna'.....la pianto qui perché se penso alle celebrazioni della settimana santa di prima e di adesso mi cresce l'acidità. Grazie per averlo postato e per lo spazio che mi è sempre concesso. Lupus et Agnus.
nella foto Benedetto XVI non indossa alcun amitto. Pertanto o è sbagliata la foto oppure è sbagliato il termine. Anntonio
http://www.cantualeantonianum.com/2008/05/genova-gesto-simbolico-un-paramento.html
La foto è tratta dal link di cui sopra.
Intuitivamente, se il paramento che si nota appoggiato sulle sue spalle non è il retro di una stola, potrebbe ben essere l'amitto di cui si parla gli sia stato dato in dono...
Mi perdonerete l’OT, anche se parziale, ma ho pensato che PROPRIO in questo thread che riporta l’articolo di Alessandro Gnocchi fosse giusto ricordare che è stata appena costituita la Associazione San Giuseppe PER AIUTARE LA FAMIGLIA DEL CARO PROF MARIO PALMARO, recentemente tornato alla Casa del Padre. Diamoci da fare dunque per quel che ognuno potrà in modo continuativo per la moglie e i quattro figli che dovrà crescere.
“L'Associazione San Giuseppe ha come scopo di provvedere al sostentamento economico con un vitalizio mensile alla famiglia dell'amico Mario Palmaro che ci ha lasciati il 9 marzo 2014. L'Associazione è composta da tre amici di Mario: Alessandro Gnocchi, Fabio Trevisan, Giovanni Zenone. […]”
Il resto qua insieme alle modalità per aiutare la famiglia Palmaro
http://sangiuseppeassociazione.blogspot.it/
no mic nella foto postata Benedetto XVI non ha alcun amitto. ha indubbiamente la stola, ma amitto e stola sono due cose totalmente diverse. l'amitto è un quadrato di tela bianca con legacci che ogni sacerdote mette intorno al collo prima di indossare tutti gli altri paramenti per la messa. nella foto invece Benedetto XVI è in abito corale, con la stola sopra la mozzetta. di amitti neppure l'ombra.
un amitto rosso? mai visto
luca
il papa non incontra i frati ma saluta Frei Betto esponente della teologia della liberazione:
http://ilsismografo.blogspot.it/2014/04/vaticano-il-papa-tentato-dal-teologo.html
oggi il papa ai teologi:
Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lerins descrive così:«annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate»(Commonitorium primum, 23: PL 50, 668): si consolida con gli anni, si dilata col tempo, si approfondisce con l’età
Sull'amitto avete ragione.
Scusate il rimbambimento.
Non vi focalizzate su questo e guardate il resto, che è molto importante.
l'amitto me l'ero dimenticato fino a quando non l'ho visto indossato dall'allora card. Ratzinger , lui aveva sempre il fazzoletto bianco infilato nella manica sinistra e ogni tanto lo estraeva per detergersi, pensare che un commentatore l'aveva definito ' usanza da vecchio prete di campagna'
Non confondiamo l'amitto con il manipolo.
E comunque Benedetto XVI in quel caso non usava un manipolo, ma un semplice fazzoletto.
L'amitto, invece è un altro paramento : è un panno di lino rettangolare munito di due fettucce che si appoggia prima un attimo sul capo in quanto rappresenta «l’elmo della salvezza», poi vien posto sulle spalle, si fa aderire al collo e infine si lega attorno alla vita. Deriva dal fazzoletto che la nobiltà romana teneva per riparare la gola. Indica anche la castigatio vocis, cioè la mortificazione della parola, che deve proteggere colui che lo porta dalle tentazioni del demonio.
anonimo 10 aprile 2014 18:39
letto il pezzo...ma era Frei Betto o Capanna-Bertinotti?
Un fatto molto significativo: quando si nomina il manipolo tutti i preti moderni (anche molto giovani e molto ignoranti della tradizione) sanno benissimo di cosa si parla e reagiscono con disprezzo.
mic ma le citazioni non richiedono la fonte?
http://www.scuolaecclesiamater.org/2010/11/la-vestizione-dei-paramenti-liturgici-e.html
Esiste un liguaggio degli elementi vestimentari che è stato analizzato anche da illustri pensatori. L'abito maschile per le riunioni nell'alta società fino alla Rivoluzione Francese era ricco di sovrabbondanti dorature e galloni ( elemento sacrale ); con l'avvento al potere della borghesia "operosa nella concretezza" si passa al frak, che uniforma i signori convenuti nel colore nero ma non rinuncia alle "inutili" code ( precluse al popolo ); meno impegnativo lo smoking, che però comporta l'uso della cravatta a farfallino ( portata oggi anche dagli accademici che vogliono sembrare membri di un "giro" di eletti, risultando spesso fastidiosamente snob - non riesco a immaginarmi Augiusto Del Noce e Romano Amerio col papillon, figuriamoci Alessandro Gnocchi ). Invece mi risulta che il distintissimo postcomunista Napolitano vi si pieghi in determinate occasioni, come le "prime" della Scala, non so se "obtorto collo". Di Dario Fo alla cerimonia del Nobel non saprei; mi aiuti qualcun altro.
In ogni caso, se il mondo laico ( e anche massonico ) mantiene questi segni, perché la cura di questi particolari sembra eccessiva a parecchi ecclesiastici?
PS Qualche anzianotto si ricorderò dello scalpore suscitato qualche decina di anni fa dall'illustrazione di "Gesù con la cravatta ( e una giacca svasata e aderente di ottimo taglio, proprio mda "yuppie" in carriera, apparsa non mi sovviene se su "Jesus" o su "Famiglia Cristiana" o su tutt'e due. In ogni caso l'immagine è reperibile su Internet.
Aveva simpatia per Roncalli?
MONTANELLI: Provavo grande simpatia per Roncalli, questo sì. Perché Roncalli veramente aveva una capacità di comunicazione straordinaria, un calore umano che ti avvolgeva. E poi fu in grado di farmi capire certe cose, perché ad un certo momento mi raccontò un po’ la sua vita: mi diceva che lui con Roma aveva poca dimestichezza. La prima volta che c’era venuto era stato per portare a papa Sarto il prodotto di una sottoscrizione indetta dal vescovo di Bergamo, Radini Tedeschi, per non so quale opera caritativa. Allora, quando lui mi disse «in quell’occasione venni a Roma e fui ricevuto da papa Sarto», io feci quasi automaticamente: «È un santo…», e lui, mi ricordo, replicò e di scatto dette un colpo sul bracciolo della sua sedia: «Ma quale santo!». Però si riprese subito, e disse: «No, no, naturalmente era un santo, ma un santo anomalo». «Perché anomalo?» incalzai io. «Perché era un uomo triste, malinconico. I santi non possono essere tristi e malinconici: hanno Dio». Poi seppi perché lui ce l’aveva tanto con papa Sarto. Perché papa Sarto a sua volta ce l’aveva tanto con Radini Tedeschi di cui Roncalli era stato segretario, e ce l’aveva con lui per via della protezione concessa ai modernisti: Ernesto Buonaiuti e gli altri. Ma questo lo sapevo e lì trovai conferma. E per farmelo confermare dissi: «Santità, non si viene da lei, da un papa, per fare raccomandazioni, ma io ho trovato a Bologna un mio vecchio professore di filosofia, che ora è stato restituito al suo abito talare, che è un santo, un santo per quello che fa, per una comunità di ragazzi che lui ha organizzato…». Dice: «E chi è?». «Don Marella». «Eh, come no?! Il caro don Marella…». Marella era stato privato dell’abito talare per l’aiuto dato a Buonaiuti. Allora io cominciai a capire questo ingranaggio che prima ignoravo, capii perché papa Sarto non gli andava giù. Ma sono cose a cui bisognerebbe dedicare la vita, mentre questi sono solo piccoli lampi che ho potuto percepire e che poi mi spiegò lo stesso Negro, quando mi disse: «Hai visto giusto». Ovviamente di questo non c’è traccia nella mia intervista.
http://www.30giorni.it/articoli_id_12748_l1.htm
Beh, dopo aver letto queste parole di Montanelli, ammesso siano vere (i "grandi" giornalisti a volte s'inventano le cose), ho pensato: "ci avevo visto giusto" (anche perché, conoscendo un po' i bergamaschi…)
Rosa
Gesù pianse alla notizia che Lazzaro era morto, nell'Orto degli Ulivi fu triste fino alla morte. La Madonna in diverse apparizioni riconosciute appare triste e addirittura piangente ( La Salette, Madonna delle Lacrime di Siracusa ). Su Civitavecchia non possiamo dire molto, tranne il fatto che secondo la sua dichiarazione il vescovo mons.Grillo, prima contrario, la vide piangere sangue mentre teneva fra le mani la statuetta. "Una spada ti trafiggerà l'anima" è una frase del Vangelo. Nella "Salve Regina" il mondo è definito "questa valle di lacrime". La fede, che non sempre riesce ad essere granitica, data la condizione umana, non garantisce una trasformazione già su questa terra nel senso del "cheese" permanente e imperturbabile ( che tra l'altro non si trova nei Vangeli e nella Scrittura in generale, del tutto priva di amenità e umorismo ).
Nietzsche potè dire che i Cristiani non lo convincevano perché non avevano abbastanza l'apparenza dei "salvati". Si vede che non aveva capito il Cristianesimo: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo..."
Può darsi che papa Sarto fosse triste perché si rendeva conto della "rivoluzione antropologica" che stava minando il popolo cristiano. Ultimamente la trasformazione è ancora più veloce: sul "Corriere della Sera" di oggi l'articolo di fondo è intitolato:"Fecondazione, leggi e costumi. DIECI ANNI DOPO COME UN SECOLO".
Questo ha detto Benedetto XVI nella sua omelia della Messa crismale del 2007:
"Questo evento, il "rivestirsi di Cristo", viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici. Indossarli deve essere per noi più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel "sì" del nostro incarico – in quel "non più io" del battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede.
Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lì "in persona di un Altro". Gli indumenti sacerdotali, così come nel corso del tempo si sono sviluppati, sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa.
Vorrei pertanto, cari confratelli, spiegare in questo Giovedì Santo l'essenza del ministero sacerdotale interpretando i paramenti liturgici che, appunto, da parte loro vogliono illustrare che cosa significhi "rivestirsi di Cristo", parlare ed agire in persona Christi."
Continua qui:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2007/documents/hf_ben-xvi_hom_20070405_messa-crismale_it.html
Montanelli, che ebbe don Marella come professore di filosofia, ricordava come il docente-sacerdote lasciasse intendere che la filosofia non conduceva a nessuna verità assoluta; alla fin fine, si trattava di "ginnastica mentale" e non molto di più: quindi altro che "Stat veritas!". Il che collima con le istanze ateoretiche o almeno antimetafisiche del Modernismo. Questo senza togliere a don Marella le sue nobili istanze sociali ( non si vergognava di chiedere l'elemosina per i poveri da lui assistiti ).
Ormai la Chiesa è duventata il vessillo delle ustanze sociali, cin iscuramento della sua vera funzione.
La messa all'angolo della metafisica è il deficit del nostro tempo.
I percorsi umani spirituali ed esistenziali segnalati ne mettono in luce i limiti...
Apostasia totale!
L'abdicazione dalla Fede Cattolica programmata con consenso di Bergoglio...
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/lutheran-fed-docs/rc_pc_chrstuni_doc_2013_dal-conflitto-alla-comunione_it.html
Romano
Fenomenologia dello Spirito magico Ecco l'altro Hegel
Occultismo, astrologia, esoterismo. Persino una Chiesa Invisibile. Il volto irrazionale del filosofo più razionale
..Hegel è un pensatore ermetico: egli avrebbe sostituito il filosofo col sapiente e la filosofia con la teosofia, facendo tesoro della Kabala, dell'Alchimia, dei Rosacroce, della Gnosi e del filone ermetico, da Ermete Trismegisto in poi, in una linea ampia che va da Meister Eckhart a Böhme, da Agrippa a Lullo e a Paracelso, da Pico della Mirandola a Giordano Bruno, fino all'occultismo e allo spiritismo, all'astrologia e all'esoterismo della Massoneria. Hegel si riferisce a una Chiesa Invisibile nei suoi carteggi con Schelling e con Hölderlin. Non dimentichiamo che l'epoca di Hegel è romantica, l'età di Novalis ma anche di Mesmer; filosofia e magia s'intrecciano...
il riferimento più pertinente è a Gioacchino da Fiore e alla sua teoria delle Tre Età, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Alla logica trinitaria è improntata tutta la filosofia hegeliana e all'avvento dell'età dello Spirito Santo è rivolta la tensione escatologica del suo storicismo. Nel suo itinerario verso l'Età dello Spirito, Hegel convoglia saperi vari e
tradizioni diverse...
Il compito che Hegel si assegna è riunire la filosofia e il sentire comune in una nuova religione fondata sulla storicizzazione e l'umanizzazione del Divino. L'eresia di Hegel secolarizza il Cristianesimo.
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/fenomenologia-dello-spirito-magico-ecco-laltro-hegel-972599.html
..gioacchino, fratelli libero spirito, eckhart..
http://www.eresie.it/it/Gioacchino_Fiore.htm
http://www.eresie.it/it/Fratelli_Libero_Spirito.htm
condanna eckhart (alcuni punti ricordano zevi e franck)
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticacristiana/inagro.htm
http://www.30giorni.it/articoli_id_4170_l1.htm
ps la "religiosità" delle > sette
http://www.exterius.eu/filosofia-e-religiosita-di-scientology-seconda-parte
Solo per tentare di individuare il nemico. m
Ho letto "Dal conflitto alla comunuione" sul sito del Vaticano.
Sono triste e perplesso, confuso e disorientato. Non ho parole.
Emanuele
Ne parleremo, Emanuele.
Il 2017 si avvivina. Mala tempora, davvero...
Caro Emanuele, ormai la chiesa modernista (minuscolo voluto) è passata allo scoperto, così che la sua capitolazione di fronte allo spirito del mondo (cioè a satana) è evidente a tutti ed innegabile. Notizie freschissime, dell’ultima ora:: 1) a Grosseto il tribunale impone al Comune di trascrivere un matrimonio gay celebrato negli Stati Uniti d’America; 2) la Chiesa inglese si sta spaccando sul riconoscimento dei matrimoni gay (con celebrazione religiosa, credo), l’arcivescovo di Canterbury le ammette: è mai possibile? 3) lo stato americano delle Haway riconosce anch’esso i matrimoni gay (è il 15° stato USA a farlo). Nella cattedrale di Cordoba, in argentina, una prete battezza una bambina con due madri, concepita con sperma di ignoto donatore, e per il suddetto prete ciò non fa una piega; anzi, leggo da Corrispondenza Romana che " Padre Spadaro, direttore de “La Civiltà cattolica, si è spinto a dire che: «se non ci fosse stato papa Francesco non sarebbe stato facile battezzare una bambina nata da una coppia lesbica»; la vicenda di Cordoba, quindi, sarebbe frutto del pontificato di Bergoglio. Fa rabbrividire notare come per così autorevole gesuita la vicenda di Umma non sollevi alcuna problematicità ed anzi si possa presentare il tutto tra i meriti di papa Francesco. Che poi per padre Spadaro Umma sia “nata da una coppia lesbica” e non, come invece è, da un uomo (irresponsabile) e una donna (“sposata” con un’altra donna) dice quanto l’ideologia omosessualista sia penetrata nel clero".
Altro che “Motus in fine velocior”, qui stiamo andando a razzo ! il demonio impazza su tutta la terra. Ma il Figlio dell’Uomo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra? di questo passo c’è seriamente da dubitarne.
Il problema, caro cattolico, misconosciuto persino da chi siede sul soglio di Pietro, è che questa degenerazione della morsle nasce dall'oscuramento della verità e da deviazioni nella fede.
Oltre a giustamente stracciarci le vesti per queste nefaste conseguenze, dovremmo far d tutto per rimuovere le cause.
Il problema è che hanno detronizzato il Signore!
Riporto papalepapale le parole di un teologo (ma sono tutti teologi, c'è più un prete normale?) che gira in regione per spiegare (sic!) la EG :'Con il papato di F. emerge la sua centralità come vescovo di Roma prima che come papa universale, infatti parla italiano perché vescovo di Roma in quanto tale, per lui i contenuti vengono filtrati dall'esperienza con il popolo di Dio......PF sta smantellando una simbologia che ancora persiste all'interno della chiesa, tutto ciò che si può considerare orpello inutile, il suo obiettivo è quello di fare una chiesa essenziale'. Il tipo è un classe'60, quindi prodotto DOP, ciliegina sulla torta sostegno indiscriminato alla battaglia del vdr contro chiacchiere e maldicenze che sono il veleno della comunità. A 'sto punto si getta la spugna, transeant, sed non praevalebunt....le conferenze sono affollatissime ed estasiati i partecipanti......non so più cosa pensare. Lupus et Agnus.
socialismo chiliastico e l'ideologia dei movimenti ereticali (lutero: stessi errori delle sette antiche)Igor Safarevic
http://giumai.tripod.com/safare08.html
m__
http://giumai.tripod.com/safare00.html (intro Solženicyn)
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Papa Francesco: «Aborto delitto abominevole. È un diritto dei bambini crescere con un padre e una madre»
Il Pontefice ringrazia i pro life «per la difesa della vita umana fin dal suo concepimento». E sull’educazione dei minori: «Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature del secolo XX non sono spariti»
http://www.tempi.it/papa-francesco-vita-aborto-infanticidio-delitti-abominevoli#.U0gYM7mKDyc
sì, purtroppo questo papa continua a smantellare la Chiesa pezzo a pezzo nella sua venerabile Tradizione e Dottrina perenne....
preghiamo per lui perchè desista dal suo proposito di far deragliare completamente la Chiesa e sbandare noi pecore che vi resistiamo pregando dentro, (nonostante i tanti motivi di fuggirne via, per non farci confondere e spegnere del tutto la Fede).
Segnalo che sul blog mi-chael, molto attento ai segni dei tempi, che a tanti sensibili cattolici procurano giusta trepidazione, è stato pubblicato un art. molto interessante che fa un confronto tra 2 miracoli eucaristici:
quello di Lanciano, famoso nel mondo, e quello avvenuto a B. Aires, al tempo del card. Bergoglio, e che fu da lui occultato -direi minimizzato con indifferenza- anzichè divulgarlo come l'evento mirabile meritava, a edificazione dei fedeli.
Confronto tra due Miracoli Eucaristici (Lanciano e Buenos Aires)
http://mi-chael.blogspot.com.br/2014/04/confronto-tra-due-miracoli-eucaristici.html
quella dei paramenti liturgici è una tradizione che ha una bellezza difficile da comprendere. mi spiego: a volte per uno strano o semplicemente errato concetto di semplicita' si liquida la questione con parole tipo retaggio barocco, oppure che Dio non guarda a queste cose ma alla sostanza, per un errato concetto di forma e sostanza. e' una bellezza oggi ancora piu difficile da comprendere, ma penso che essere nascosta sia addirittura un attributo della bellezza che non passa , perche' non solo esteriore, perche piu profonda. cio che e' in profondita' e' nascosto agli occhi , ma i forzieri coi dobloni stanno in fondo al mare o ben sepolti nella sabbia. quando non si comprende tale bellezza penso che ci si debba chiedere delle cose per indagare, se si vuole capire e non dare un giudizio non approfondito:
da dove derivano certi paramenti, qual'e' il loro significato teologico, e poi altre domande di attualita' : perche' per alcuni è cosi' importante, perche' , ove accade , altri vi si accaniscono contro.
un sacerdote potrebbe chiedersi ad esempio : di cosa sto privando i fedeli, nego loro qualcosa di cui hanno bisogno o che li possa aiutare?
cercare di porsi, come dice Anonymous commentando un altro articolo , con umilta'.
una cosa che mi ha colpito e' che alcuni derivano dagli indumenti della roma antica. ma tutti hanno un senso specifico. avevo trovato un sito internet che parlava in particolare di abiti liturgici, appena lo ritrovo lo mando, cosi mic mi dici che ne pensi, non essendo io un esperto.
mentre cercavo ho trovato questa letturina
http://www.sancarlo.pcn.net/argomenti_nuovo/pagina25.html
purtroppo il sito o blog sui paramenti non lo ritrovo , anzi se qualcuno lo conoscesse e potrebbe postare il link
mic "Oltre a giustamente stracciarci le vesti per queste nefaste conseguenze"
e infatti guarda che leggevo:
"Soltanto colui che si arrabbia senza motivo è colpevole;
chi si adira per un motivo giusto non incorre in nessuna colpa.
Poiché, se mancasse la collera, non progredirebbe la conoscenza di Dio,
i giudizi non avrebbero consistenza ed i crimini non sarebbero repressi.
Ed ancor più: chi non si incollerisce quando lo esige la ragione,
commette un peccato grave,
poiché la pazienza non regolata dalla ragione
propaga i vizi,
favorisce le negligenze
e porta al male,
non soltanto i cattivi ma,
soprattutto, i buoni.
(San Giovanni Crisostomo - Hom. XI in nath, 344-407)"
http://ungranellodisale.blogspot.it/
e' un blog che ho appena trovato. non so come sia ma la pagina mi e' piaciuta
Si è passati dal virile "sacrificio" al patetico "banchetto festante".
«Malata di accidia, la Chiesa ha finito per concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione dell’intimo male dell’uomo»
Si è passati dal virile "sacrificio" al patetico "banchetto festante".
«Malata di accidia, la Chiesa ha finito per concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione dell’intimo male dell’uomo»
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