Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 17 febbraio 2024

Liberaldemocrazie e cristianesimo, una risposta al senatore Marcello Pera

Ricevo e volentieri condivido la risposta di don Samuele Cecotti al senatore Marcello Pera. vedi precedenti qui - qui.

Liberaldemocrazie e cristianesimo, una risposta al senatore Marcello Pera

Il convegno svoltosi al Senato il 31 gennaio scorso su “Il suicidio dell’Occidente” ha certamente avuto il merito di affrontare di petto una verità quasi sempre taciuta alle nostre latitudini quando non negata con stolta autosufficienza: la civiltà occidentale vive una crisi senza precedenti e sembra avviata al suicidio.

Come Osservatorio abbiamo scelto di pubblicare i testi delle relazioni svolte al convegno dal senatore Marcello Pera [qui] e dal sottosegretario Alfredo Mantovano [qui], entrambi testi di notevole interesse. 

In particolare, la relazione del Presidente emerito del Senato – intitolata “L’arma del suicidio. La laicità” – si evidenzia come testo capace di riassumere in poche pagine il pensiero che Pera è andato sviluppando negli ultimi vent’anni, sull’Occidente e la sua crisi, sul rapporto tra liberalismo e cristianesimo, sulla Chiesa e il baratro in cui sembra precipitata.   

In quanto scrive Pera vi è molto, moltissimo di condivisibile: nella diagnosi del male che corrode l’Europa, nella denuncia della autodemolizione della Chiesa in un processo che ha i tratti dell’apostasia, nel rilevare l’insostenibilità della pretesa occidentale odierna di stare in piedi e prosperare tagliando le proprie radici, nel riconoscere l’incapacità della liberaldemocrazia ad autofondarsi.  

Pera è un laico liberale – è il gran liberale dell’Italia odierna – e il suo pensiero delinea un percorso intellettuale affascinante e degno di grande attenzione che da Popper lo avvicina sempre più al cattolicesimo (importante in questo il suo rapporto umano e filosofico con Ratzinger) pur non cessando di essere un liberale. E questo è, a mio modesto avviso, il cuore del problema: il liberalismo è compatibile con il cristianesimo? 

Ho il piacere di conoscere il presidente Pera da più di dieci anni e l’onore di potermi considerare suo amico (Pera ed io ci consideriamo amici non ignorando la distanza che separa i nostri orizzonti concettuali, lui laico liberale, io cattolico intransigente; siamo due amici di cui uno liberale l’altro anti-liberale), proprio per questo sono certo apprezzerà la schiettezza con cui intendo affrontare la questione che è cuore di tutto il suo argomentare. 

Per Pera – e non solo per lui, in questo la tesi di Pera è largamente condivisa al giorno d’oggi tra i conservatori e sostenuta da autorevolissimi nomi, basti tra tutti quello di J. Ratzinger – la liberaldemocrazia è figlia legittima del cristianesimo e dunque, non solo liberalismo e cristianesimo sono compatibili, ma il liberalismo sarebbe espressione del cristianesimo. La liberaldemocrazia sarebbe dunque in continuità con la civiltà cristiana e l’errore sarebbe quello, commesso da certo liberalismo, di aver disconosciuto questo legame e aver così separato la liberaldemocrazia dal suo terreno vitale dato dal cristianesimo. Da qui l’impazzimento della liberaldemocrazia nelle forme patologiche che oggi vediamo: “Poi è successo il cataclisma. È successo che, prima i principi sono stati staccati dal cristianesimo su cui Locke li aveva fondati, e si è cercato di goderne i frutti senza più curarsi della pianta. Poi, questi frutti sono stati coltivati separatamente, facendo esplodere una miriade incontrollata e incontrollabile di diritti. Infine, proprio questi diritti sono stati usati contro il cristianesimo. Si è passati dalla privatizzazione della fede, alla sua emarginazione, alla sua espulsione” (Pera). 

In ciò che afferma Pera il novanta per cento e più è condivisibile, non solo condivisibile ma apprezzabile per lucidità e abilità diagnostica, è però inficiato, a mio avviso, dall’opzione previa che Pera compie a favore del liberalismo (e della modernità filosofica) e che colloca dunque le lucide analisi e i validi argomenti entro un sistema che è esso stesso il problema. 

Pera vede con grande lucidità la decadenza dell’Occidente, il suicidio di Europa e Chiesa, il cataclisma (come lo chiama lui) che conduce al liberal-radicalismo dei nostri giorni, la follia d’un ordinamento giuridico che si afferma negando il diritto naturale, l’insostenibilità di una ragione laica assoluta e autofondantesi e molto altro ancora … ma non prende mai in considerazione che sia proprio il liberalismo (in se stesso) ad essere causa di tutto ciò, che tutto ciò non sia una patologia della modernità (filosofico-politica) ma che sia piuttosto l’esito coerente della modernità (filosofico-politica) e dunque che la modernità (filosofico-politica) in se stessa sia la patologia. 

Pera riconosce che il liberalismo fu condannato, ad esempio dal beato Pio IX, ma non sviluppa le ragioni di tale condanna. La condanna del liberalismo – e di tutta la modernità filosofico-politica – non è episodica nella Chiesa, non è l’atto isolato di un Papa, è la risposta costante del Magistero innanzi alla modernità assiologica, innanzi all’idea moderna di Stato, di diritti, di libertà, etc. A questo riguardo, ad esempio, il noto saggio di Félix Sardá y Salvany El liberalismo es pecado può ben rappresentare la posizione antimoderna-antiliberale del cattolicesimo intransigente. 

La Chiesa ha chiarissimamente giudicato come nemica di Cristo la modernità politica (e con essa il liberalismo in primis) e ha altrettanto chiarissimamente riproposto la res publica christiana come orizzonte socio-politico da restaurare. Basterà scorrere i pronunciamenti in merito di papi come Pio VI, Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI e sino a Pio XII. 

Si dirà che poi è venuto il Concilio Vaticano II e la dottrina è mutata, la Chiesa si è riconciliata con la modernità e si è fatta liberale (ad esempio con la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa) e democratica … Ora, senza addentrarci nell’intricata disputa sul Vaticano II e la sua interpretazione, di certo non è negabile l’identità storica del cattolicesimo conciliato con la modernità con il cristianesimo che Pera dice avviato al suicidio.  

Il cattolicesimo immune da tendenze suicide è il cattolicesimo pre-conciliare, antimodernista, diciamo pure antimoderno, che inequivocabilmente considera il liberalismo una peste di satanica origine (ad es. Leone XIII nella Libertas praestantissimum definisce i liberali emuli di Lucifero) e si batte per instaurare omnia in Christo, ovvero per il Regno sociale di Cristo. 

Dunque, la questione che si pone è la seguente: il cattolicesimo che fa da supporto religioso al liberalismo è il cattolicesimo che si suicida, il cattolicesimo che non si suicida affatto non può essere di supporto al liberalismo perché condanna senza appello il liberalismo e lo considera satanico. 

Pera parte, invece, dalla liberaldemocrazia (che non mette in discussione) e ricerca nel cristianesimo la forza spirituale-morale-religiosa in grado di sostenere quell’opzione liberale, democratica, moderna. Ma è proprio questa opzione che, invece, andrebbe “laicamente” messa in discussione, essendone oggi evidente il fallimento-impazzimento. Fallimento-impazzimento che i vecchi reazionari cattolici (e il vecchio Magistero antimoderno dei Papi) avevano previsto già secoli fa! 

Pera si prefigge lo scopo di salvare la liberaldemocrazia (la società aperta) dal suicidio e per fare ciò riconosce nel cristianesimo il fondamento pre-liberale e pre-razionale necessario alla vita della liberaldemocrazia e del razionalismo critico della società aperta. 

In ciò Pera ha perfettamente ragione: la liberaldemocrazia, il razionalismo critico, la modernità filosofico-politica hanno prosperato per secoli in Europa presupponendo il terreno dato da una società cristiana, da una cultura cristiana, da una morale cristiana. La civiltà cristiana ha rappresentato il supporto vitale su cui ha potuto svilupparsi la modernità filosofico-politica. Ciò è storicamente indubitabile! 

Ma ciò non dimostra affatto che liberaldemocrazia, razionalismo critico, società aperta, modernità filosofico-politica siano figli legittimi del cristianesimo, dimostra solo che per vivere e prosperare hanno presupposto il cristianesimo. Ritengo che il rapporto non sia fisiologico ma patologico e possa essere ben rappresentato da due analogie complementari: la modernità filosofico-politica sta al cristianesimo come una neoplasia maligna sta all’organismo in cui si sviluppa oppure un parassita sta al corpo che lo ospita.  

Quando si afferma l’origine cristiana della liberaldemocrazia si dovrebbe precisare che non è di origine cattolica, ovvero che l’ideologia liberale non nasce dalla Verità Cattolica ma dall’eresia protestante e ne sviluppa l’indole rivoluzionaria, delineando una storia della modernità che da Lutero e Calvino conduce ai giorni nostri.  

Se il cristianesimo avesse veramente figliato la modernità (liberalismo, razionalismo critico, laicità, etc.) non sarebbe un suo merito ma la sua imperdonabile colpa. In verità non la Verità di Cristo ma l’eresia di Lutero può essere detta madre di cotal figlia. E ciò salva l’onore del cristianesimo e rivela ancor meglio la natura diabolica della modernità filosofico-politica. 

Pera chiama “cataclisma” la rottura che la modernità filosofico-politica (liberaldemocrazia, razionalismo critico, etc.) ad un certo punto compie con il cristianesimo, separando nettamente se stessa dal proprio supporto vitale (la civiltà cristiana) e anzi facendo della civiltà cristiana il nemico da eliminare. Nella prospettiva liberale di Pera ciò è il suicidio dell’Europa, dell’Occidente. Ma in una prospettiva sanamente cattolica la separazione della modernità filosofico-politica dal cristianesimo perché mai dovrebbe essere biasimata? Si lamenterebbe forse quel malato dal cui corpo venisse separato il tumore che da lungo tempo lo opprime? Il suicidio della modernità filosofico-politica e della liberaldemocrazia, in una prospettiva sanamente cattolica, non è affatto il suicidio dell’Europa e dell’Occidente ma il suicidio di quel monstrum che da secoli parassita e intossica Europa e Occidente. 

Certo ci si aspetterebbe che sia il malato a volersi separare dal tumore e non il tumore a volersi separare dal malato. Ma nel nostro caso il malato è così mal messo che non riesce neppure a pensare di doversi sbarazzare del tumore, anzi si identifica sempre più col tumore stesso. E il tumore è così stupidamente arrogante da non accorgersi di avere una mera vita parassitaria e si vuole ora separato e contro l’organismo che da secoli lo nutre … e così si suicida. Il tumore si suicida separandosi dall’organismo di cui è parte malata e parassita. 

Viene dunque da dire che è provvidenziale che il tumore, non accorgendosi di non avere vita propria e ignorando di non essere autosufficiente, compia il gesto estremo di recidersi dal corpo che da secoli lo ospita. Sarà suicidio … ma non dell’Occidente, dell’Europa, della Chiesa, bensì di “questo” Occidente, di “questa” Europa, di “questo” cristianesimo modernista ovvero dell’Occidente liberale, dell’Europa laico-illuminista, del protestantesimo che ha figliato la modernità e del cattolicesimo modernista che ha sposato la modernità quando questa era già vecchia. 

Immaginiamo la forza che potrebbe avere oggi, innanzi alla crisi storica dell’Occidente liberaldemocratico, una voce cattolica senza complessi d’inferiorità e senza compromessi con la modernità filosofico-politica. Se solo la Chiesa parlasse con le parole di sant’Agostino e san Giovanni Crisostomo, di san Pier Damiani e dei Dottori medievali, del Sillabo di Pio IX, dell’Immortale Dei di Leone XIII, della Pascendi di san Pio X, della Quas Primas di Pio XI, con la dottrina di san Tommaso d’Aquino … il mondo risuonerebbe di quella voce e nessuno potrebbe ignorarla.  

Il più grande errore che la Chiesa e i cattolici possono fare oggi è quello di scoprirsi crocerossine solerti a soccorrere l’Occidente (liberale) moribondo (perché suicida), correre in aiuto alla liberaldemocrazia, fornire puntelli religiosi a un mondo (dopo pochi secoli già vecchio decrepito) che crolla per la propria colpevole putrescenza. Sarebbe un errore imperdonabile tanto più che il liberalismo classico che oggi si presenta come un vecchietto di buone maniere intimorito dalle follie dei suoi degenerati nipotini radical, non lo si dimentichi, altri non è che l’arrogante e baldanzoso rivoluzionario di ieri che sfasciava, sicuro di sé, il millenario equilibrio della societas christiana

La prospettiva cattolica non può che essere anti-liberale e per la res publica christiana. Pera presuppone una opzione a favore della modernità filosofica-politica, della liberaldemocrazia, della società aperta e, partendo da tale opzione previa, struttura il suo ragionamento cercando la via per salvare dal suicidio ciò che ritiene meritevole di esistenza. Salvare la liberaldemocrazia è per Pera il fine, il cristianesimo è mezzo per il fine.  

Ma se invece si riconosce nella societas christiana la fisiologia e nella modernità filosofico-politica (liberalismo in primis) la patologia … le analisi lucidissime di Pera si capovolgono e il suicidio della modernità filosofico-politica diviene una liberazione, dolorosa, traumatica, forse tragica, ma pur sempre una liberazione.

Il cattolico, memore della lezione antimoderna del Magistero papale, non verserà una lacrima per il suicidio di “questo” Occidente (liberale) ben sapendo che non è il vero Occidente (la civiltà classico-cristiana) anzi ne è il mortifero parassita, si dispiacerà solo che il Magistero di quei Papi sia rimasto inascoltato e così l’Europa cristiana abbia dovuto essere sfigurata per accorgersi, solo innanzi alle macerie, che se è follia suicida quella dei nipotini radical lo era già quella dei nonni laico liberali in redingote.
Don Samuele Cecotti*, 16 febbraio 2024 - Fonte
*Vice-presidente dell'Osservatorio Card. Văn Thuận

10 commenti:

Anonimo ha detto...

OT
La quercia chiese al mandorlo: "parlami di Dio" e il mandorlo fiorì...

Anonimo ha detto...

Ottima analisi, peccato che ci si accorga del tumore, e ben venga la sua morte, quando le metastasi si sono ormai diffuse nel corpo già cristiano e tali da ridurre a cadavere il gran corpo . Veramente la nostra fede è vera, come pre-detto resta soltanto un miserrimo resto pluridiviso senza capo, e quindi? .. dovrebbe clonarsi dal defunto ? deve farlo anzi morte totale. Oppure un miracolo Divino. Nelle tenebre del venerdì santo,con il lungo sabato e l'avvio della domenica, solo la fede di Maria resiste e regge letteralmente il mondo. Tanto da anticipare la Risurrezione. E il Corpo non divenne cadavere per Lei sola. Ma risorse rinnovato. Oggi come allora, la fede ci meriterà la risurrezione del Corpo rinnovato, ma come?

Andrea M. ha detto...

Scrive Pera nel suo saggio: "Questa dottrina, di cui possiamo trovare un analogo in quello che Cavour nel 1861 chiamò “il gran principio del libero Stato in libera Chiesa”, è considerata una conquista della modernità e certamente lo è. Senza il muro, pensava Jefferson, – e noi oggi continuiamo a pensare – lo Stato tornerebbe ad essere teocratico, rinascerebbe l’assolutismo, riesploderebbero le guerre di religione, si perderebbe la libertà individuale, perché questa verrebbe sacrificata a verità superiori e indiscutibili, amministrata e somministrata da autorità assolute incontrollabili".

Questa la diretta risposta di Louis Veuillot:
"Il libero pensiero grida alla teocrazia, come griderebbe all’assassino. Denuncia derive spaventose che ci impauriscono molto più di quanto esso stesso ne sia impaurito. Attraverso questo mezzo esso esalta la prudenza fino al delirio, fino al tradimento della verità; impedisce la rivendicazione e persino le espressioni più legittime e più necessarie del diritto cristiano. Sicuramente la prudenza non è troppo motivata. Quando i liberi pensatori fingono di tremare, si ritengono dispensati dall’uso della ragione e dall’agire secondo giustizia, e la Chiesa può attendersi la persecuzione. Il cattolico liberale non disprezza di toccare questa corda sensibile: “State predicando la teocrazia? Volete farci lapidare?” Ciò nonostante, dal momento che i nostri avversari sono irrimediabilmente ingiusti, è necessario che noi diventiamo codardi, e la prima condizione della libertà che desideriamo è non vedere, non sapere, non parlare, non pensare? Sfidiamo l’inganno delle parole, e che i servi e le cameriere del pretorio dove il libero pensiero pretende di giudicare il Cristo non ci facciano mai dire: “Io non conosco affatto quest’uomo”. Noi dobbiamo obbedienza alla Chiesa nei limiti che essa stessa ha posto, e che sono del resto abbastanza ampi da permettere allo spirito di ribellione ed all’orgoglio di avere abbastanza spazio. Se questa obbedienza è la teocrazia, coloro che ne hanno timore, sia detto tra noi, non hanno abbastanza paura di ben altre cose. Nella vita pubblica come nella vita privata, non c’è che un mezzo per sfuggire al regno del demonio, è sottomettersi al regno di Dio. Abbiamo dietro di noi , nella storia, fino alle porte del presente, e nel presente stesso, abbastanza esempi dell’utilizzo che l’autocrazia umana sa fare delle due spade. Non bisognerebbe cercare a lungo sulla faccia della Terra per trovare il popolo che guadagnerebbe tutto, ed in primo luogo la vita, se il Vicario di Gesù Cristo, il Re spirituale, potesse dire al re temporale: rimetti la tua spada nel fodero".
Tratto da "L'illusione liberale" ed. Radio Spada 2024.

Anonimo ha detto...


Fare di Lutero in un certo senso il padre del liberalismo, come sembra fare Padre Cecotti, è piuttosto forte.

Lutero non fu l'autore del "De servo arbitrio" contro Erasmo da Rotterdam? Propugna il libero esame individuale delle Scritture sul presupposto che tale "libera" lettura sia guidata dallo Spirito Santo.
Tale libertà è limitata alla lettura delle Scritture. Quando si cominciò a parlare dell'ipotesi copernicana, dell'eliocentrismo, Lutero esclamò che Copernico era un "imbecille" (Narr). Le Scritture erano così chiare e semplici, disse, nel far capire che il sole girava intorno alla terra.
Il determinismo luterano nega i presupposti stessi del liberalismo. La "libertà del cristiano" invocata da Lutero fu poi reinterpretata in senso razionalista dalla filosofia tedesca, dall'idealismo. Hegel si proclamava luterano ma il suo era evidentemente un luteranesimo solo di facciata, filosoficamente ristrutturato.
Il liberalismo è in crisi da tanto tempo, noi oggi abbiamo a che fare con gli epigoni di Nietzsche, di Heidegger, con il nichilismo penetrato nella cultura occidentale a partire da Nietzsche ma prima di lui anche da Marx, da tutto il filone socialista e specialmente social-marxista. Con l'irrazionalismo diramato ai 4 venti dalla cultura francese (Sartre, Derrida etc) e da altre fonti.

Giusto contrapporre l'insegnamento tradizionale dei papi al liberalismo. La formula "che Cristo regni nella società" resta tuttavia generica, non dal punto di vista morale ma da quello politico. Regni, come? Con quale forma di governo? E il problema dell'unità d'Italia? Deve esser mantenuta o dobbiamo tornare all'Italia preunitaria, con lo Stato della Chiesa etc? Su questo punto concettualmente secondario ma politicamente vitale per noi l'Osservatorio non mantiene forse una posizione ambigua?
Politicus

Anonimo ha detto...

Il ventesimo secolo dovrebbe aver dimostrato chiaramente come la negazione di Dio porti smarrimento, morte, distruzione sulla terra.
L'alternativa laica al liberalismo è il socialismo/comunismo, la più criminale ideologia che sia sorta nel mondo, macchiandosi di crimini contro l'umanità e decine di milioni di morti, vera e propria macelleria umana, terrore legalizzato che continua attualmente in alcuni paesi, come la Cina e il Nicaragua. L'altra ideologia totalitaria, il nazismo, è durata pochi anni fortunatamente. Il fascismo, pur non presentando i tratti della perfida e disumana macelleria comunista, non innalza Dio ma divinizza lo stato, anche se vi sono stati esempi di discreta convivenza dello stesso con la religione cattolica (Portogallo e Spagna).
In sostanza, se si toglie Dio si distrugge l'uomo, innalzando l'idolo statale o sovranazionale che taglia le radici del nostro essere.

Anonimo ha detto...


"Il fascismo non innalza Dio ma divinizza lo Stato, anche se vi sono stati discreti esempi di convivenza dello stesso con la religione cattolica (Portogallo e Spagna)".

Esempi più che discreti di "convivenza" tra Stato e religione cattolica si sono avuti nella stessa Italia fascista, basterebbe documentarsi. Il fascismo italiano ha certamente innalzato lo Stato ma non lo ha messo al posto di Dio. Gli avanguardisti (la gioventù inquadrata dal regime nelle sue associazioni) giurava fedeltà "a Dio e al Duce".
Mussolini ha sempre proclamato che lo Stato fascista era cattolico e avrrebbe difeso sino in fondo i valori del cattolicesimo. Cosa che ha fatto attuando tale difesa anche nel massiccio intervento nella Guerra civile di Spagna (1936-1939) in difesa della Spagna cattolica minacciata di annientamento dalla Rivoluzione anarco-marxista.
Intervento, essenziale per la vittoria finale di Franco, in cambio del quale non ha praticamente chiesto nulla.
Tra l'altro i regimi di Salazar e Franco sono da considerarsi fascisti per modo di dire. Più che altro dittature conservatrici di tipo abbastanza tradizionale, verniciati di apparati "totalitari" sul modello fascista, per quanto riguara la mobilitazione delle masse.

Anonimo ha detto...


Si cita Louis Veuillot, la sua coerente difesa della "teocrazia" quale forma sociale di essere del cristianesimo.

Ma "teocrazia" come si deve intendere?
Questi termini non vengono mai precisati, nemmeno in generale.

La teocrazia fu applicata in varie forme dai Papi nel loro secolare governo dell'Italia, sia spirituale che temporale.
Nel temporale -il papa capo religioso che aveva diritto di esserlo anche nel temporale in Italia, guidando gli Stati italiani alla lotta contro lo straniero invasore (quasi fosse spiritualmente il re d'Italia), guidandoli quindi non solo come principe italiano ma anche come Pontefice che aveva diritto ad un vasto dominio temporale in Italia per preservare la "libertas Ecclesiae" e quella degli Stati italiani - nel temporale, sottolineo, quella lotta, non avara di successi nell'Alto Medioevo, è finita poi nel disastro spaventoso sigillato dal Sacco di Roma (1527), in conseguenza del quale si parlò di "finis Italiae", ridotta da allora a provincia di imperi stranieri per tre secoli e mezzo, se non oltre.
Come sovrano temporale impossibilitato a disinteressarsi dell'Italia, essendo la libertà della Chiesa connessa a quella dell'Italia, ed anzi anche troppo immerso per secoli nelle vicende politiche italiane alla stregua di un qualsiasi principe italiano, il papato alla fine si è rivelato un completo fallimento.
Teocrazia come, allora?
H.

Andrea M. ha detto...

Il grido di Veuillot sulla teocrazia è una presa in giro del mondo liberale, che sventola il nome "teocrazia" per farci paura.
La sottomissione della politica a Cristo re non implica il governo temporale del Papa, né lo vieta. Qualsiasi forma di governo va bene purché si riconosca la Signoria di Cristo, ossia che qualsiasi autorità viene da Dio e non dal popolo. Pertanto, per esempio, non si possono mettere al voto i principi non negoziabili in quanto la legge naturale è dipendente dalla legge Eterna, che è Dio stesso. Si legga o rilegga la Quas primas di Pio XI.
Il liberalismo, comunque, distrugge la vera religione che è la religione cattolica. Scrive Newman nel celeberrimo discorso del biglietto: "Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni".
Di conseguenza, il liberalismo demolisce anche la società umana. Leone XIII, nell’enciclica Au milieu des sollicitudes, insegna:
"Prendiamo anzitutto come punto di partenza una verità ben nota, accettata da ogni persona sensata e solennemente proclamata dalla storia di tutti i popoli: la religione, e solamente essa, è capace di creare il vincolo sociale; solo la religione può tenere ancorata la pace di una nazione a solide fondamenta. Quando diverse famiglie, senza rinunciare ai diritti e ai doveri della società domestica, e seguendo l’ispirazione della natura, si uniscono per diventare parte di una famiglia più vasta chiamata società civile, non si ripromettono solo di trovarvi i mezzi per provvedere al proprio benessere materiale, ma di trarne in primo luogo un beneficio per il loro perfezionamento morale. In caso contrario la società sopravanzerebbe di poco l’aggregazione di esseri senza ragione, la vita dei quali è tutta rivolta alla soddisfazione degli istinti sensuali. Ma c’è di più. Senza questo perfezionamento morale, sarebbe difficile dimostrare che la società civile, lungi dal costituire un vantaggio, non tornerebbe a danno dell’uomo in quanto tale".

Anonimo ha detto...

Michel Onfray nella sua "Teoria della dittatura" contenuta in "1984" di Orwell coglie "sette fasi principali":

-distruggere la libertà;
-impoverire la lingua;
-abolire la verità;
-sopprimere la storia;
-negare la natura;
-propagare l'odio;
-aspirare all'Impero

Anonimo ha detto...


La teocrazia è quel governo nel quale il Sovrano è nello stesso tempo re e sacerdote. Il potere temporale dei Papi è teocratico perché è una monarchia elettiva di diritto divino, il cui attore, il papa, assomma in se stesso tutti i poteri, religiosi e civili.
Qui la natura teocratica del potere è chiara e senza discussione.

Più complicata la questione quando il papa sembrava voler estendere il suo potere politico sui sovrani temporali, per esempio deponendoli, nonostante il loro potere fosse anche'esso considerato di origine divina. Come capo religioso e spirituale della Cristianità, che poteva decidere della salvezza delle anime, il papa era superiore all'imperatore. Ma come capo semplicemente politico, lo era? La pretesa del papa, che divenne piuttosto evidente con Bonifazio VIII, di concepire in senso teocratico il rapporto tra Stato e Chiesa diede luogo, come sappiamo, alle gravi dispute e crisi medievali, iniziando una crisi tra Stato e Chiesa che, a ben vedere, non si sarebbe mai effettivamente ricomposta.
Un conto è la pretesa legittima della Chiesa di essere indipendente dal potere civile nella sua struttura ed azione di governo; un conto, sviluppatasi da questa (da Gregorio VII in poi), la sua pretesa di essere superiore allo Stato (ai re di diritto divino) anche nel temporale.
Quest'ultima pretesa non appare legittima.
La teocrazia porta dunque a confondere il civile e il religioso, se applicata al di fuori del ristetto ambito del potere temporale diretto del papa.
Ora, il P. Cecotti, quando parla di teocrazia, come l'intende? Ne parla anche lui, mi sembra. O no?