(Se ne celebra l'Ufficio solo se cade il 29, 30 o il 31 dicembre)
Intróitus Sap. 18, 14-15 - Dum médium siléntium tenérent ómnia et nox in suo cursu médium iter habéret, omnípotens sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit. Ps. 92, 1 - Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et praecínxit se. Glória Patri… Sap. 18, 14-15 - Dum médium siléntium... |
Introito Sap. 18, 14-15 - Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale. Sal. 92, 1 - Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza. Gloria al Padre… Sap. 18, 14-15 - Mentre tutto era immerso in profondo silenzio… |
Di tutti i giorni dell'Ottava di Natale, questo è il solo che non sia regolarmente occupato da una festa. Nelle Ottave dell'Epifania, di Pasqua e della Pentecoste, la Chiesa è talmente assorta nella grandezza del mistero, che evita tutti i ricordi che potrebbero distrarla da esso; in quella di Natale al contrario, le feste abbondano, e l'Emmanuele ci è mostrato circondato dal corteo dei suoi servi. Così la Chiesa, o piuttosto Dio stesso, il primo autore del Ciclo, ci ha voluto far vedere come, nella Nascita, il divino Bambino, Verbo incarnato, si mostra accessibile all'umanità che viene a salvare.
Messa
Fu nel cuore della notte che il Signore liberò il suo popolo dalla cattività, con il Passaggio del suo Angelo, armato di spada, sulla terra degli Egiziani; così pure nel profondo silenzio notturno l'Angelo del gran Consiglio è disceso dal suo trono regale, per recare la misericordia sulla terra. È giusto che la Chiesa, celebrando quest'ultimo Passaggio, canti l'Emmanuele, rivestito di forza e di bellezza, che viene a prendere possesso del suo Impero.
"Mentre il mondo intero era immerso nel silenzio, e la notte era a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è disceso dal suo trono regale del cielo".
EPISTOLA (Gal 4,1-7). - Fratelli: Fino a tanto che l'erede è fanciullo in nulla differisce dal servo, sebbene sia padrone di tutto, ma rimane sotto i tutori e i procuratori fino al tempo prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo tutti in schiavitù sotto gli elementi del mondo; ma giunta la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figliolo, fatto di Donna, sottomesso alla legge, per redimere quelli che eran sotto la legge per farci ricevere l'adozione di figlioli. E siccome siete figlioli, Dio ha infuso lo Spirito del Suo Figliolo nei vostri cuori che grida: Abba, Padre. Dunque non sei più servo ma figlio; e se figlio anche erede, per grazia di Dio.
Il Bambino, nato da Maria, posto nella mangiatoia di Betlemme, eleva la sua debole voce verso il Padre dei secoli, e lo chiama Padre mio! Si volge verso di noi, e ci chiama Fratelli miei! Anche noi dunque possiamo, rivolgendoci al suo eterno Padre, chiamarlo Padre nostro. Questo è il mistero dell'adozione divina affermata in questi giorni. Tutte le cose sono cambiate in cielo e in terra: Dio non ha più soltanto un Figlio, ma parecchi figli; noi non siamo più ormai, al suo cospetto, creature ch'egli ha tratte dal nulla, ma figli della sua tenerezza. Il cielo non è più soltanto il trono della sua gloria; è diventato la nostra eredità: e vi è assicurata una parte per noi accanto a quella del nostro fratello Gesù, figlio di Maria, figlio di Eva, figlio di Adamo secondo l'umanità, come è, nell'unità di persona, Figlio di Dio secondo la divinità. Consideriamo insieme il Santo Bambino che ci è valso tali beni, e l'eredità alla quale abbiamo diritto per lui. Che la nostra mente resti attonita davanti a così alto destino riservato alle creature; e il nostro cuore renda grazie per un beneficio così incomprensibile.
VANGELO (Lc 2,33-40). - In quel tempo: Giuseppe e Maria, madre di Gesù, restavano meravigliati di quanto si diceva di lui. Simeone li benedisse dicendo però a Maria sua madre: Ecco, egli è posto a rovina e a risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; anche a te una spada trapasserà l'anima, affinché restino svelati i pensieri di molti cuori. Vi era una profetessa, Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Aser: questa era molto avanzata in età, e vissuta col marito sette anni dalla sua verginità, e rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, non usciva mai dal tempio; ma serviva a Dio notte e giorno in digiuni e preghiere. E anche lei, capitata proprio in quella medesima ora, dava gloria al Signore, parlando del bambino a quanti aspettavano la redenzione d'Israele. E come ebbero adempito ogni cosa prescritta dalla legge del Signore, tornarono in Galilea, alla loro città di Nazaret. E il fanciullo cresceva e s'irrobustiva, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in lui.
Il progredire dei racconti del santo Vangelo costringe la Chiesa a presentarci già il divino Bambino fra le braccia di Simeone, che profetizza a Maria il destino dell'uomo che ha dato alla luce. Quel cuore di madre, tutto inondato dal gaudio di un parto così meraviglioso, sente già la spada annunciata dal vegliardo del tempio. Il figlio del suo seno non sarà dunque sulla terra che un segno di contraddizione; e il mistero dell'adozione del genere umano sarà compiuto solo coll'immolazione di questo Bambino divenuto uomo. Da parte nostra, riscattati da quel sangue, non facciamo troppe anticipazioni sul futuro. Avremo il tempo di considerarlo, questo Emmanuele, nei suoi travagli e nelle sue sofferenze; oggi, ci è consentito di vedere ancora solo il Bambino che ci è nato, e godere della sua venuta. Ascoltiamo Anna, che ci parlerà della redenzione d'Israele. Osserviamo la terra rigenerata dall'apparizione del suo Salvatore; ammiriamo e studiamo, in un amore semplice e umile, quel Gesù pieno di sapienza e di grazia che è nato sotto i nostri occhi.
* * *
Consideriamo in questo sesto giorno dalla Nascita del nostro Emmanuele, il divino Bambino posto nella mangiatoia d'una stalla, e riscaldato dal fiato di due animali. Isaia l'aveva annunciato: Il bue - disse - conoscerà il suo padrone e l'asino, la mangiatoia del suo signore; ma Israele non mi conoscerà (Is 1,3). Ecco l'ingresso in questo mondo del grande Dio che l'ha creato. L'abitazione degli uomini gli è chiusa dalla durezza e dal disprezzo: solo una stalla gli offre un ospitale rifugio, e viene alla luce in compagnia degli esseri sprovvisti di ragione.
Ma quegli animali sono opera sua. Egli li aveva assoggettati all'uomo innocente. La creazione inferiore doveva essere vivificata e nobilitata dall'uomo; e il peccato è venuto a spezzare tale armonia. Tuttavia - come ci insegna l'Apostolo - essa non è rimasta insensibile alla forzata degradazione che il peccato le fa subire. Vi si sottomette solo recalcitrando (Rm 8,20); lo castiga spesso con giustizia; e nel giorno del giudizio, si unirà a Dio per far vendetta della iniquità alla quale troppo a lungo è rimasta asservita (Sap 5,21).
Oggi, il Figlio di Dio visita quella parte dell'opera sua; non avendolo ricevuto gli uomini, si affida agli esseri senza ragione; dalla loro dimora partirà per iniziare la sua carriera; e i primi uomini che chiama a riconoscerlo e ad adorarlo, sono i pastori di greggi, cuori semplici che non si sono contaminati respirando l'aria delle città.
Il bue, simbolo profetico che figura presso il trono di Dio in cielo, come ci dicono insieme Ezechiele e san Giovanni, è qui l'emblema dei sacrifici della Legge. Sull'altare del Tempio, è scorso a torrenti il sangue dei tori: ostia incompleta e vile, che il mondo offriva nell'attesa della vera vittima. Nella mangiatoia, Gesù si rivolge al Padre e dice: Gli olocausti dei tori e degli agnelli non ti hanno appagato; eccomi (Ebr 10,6).
Un altro profeta, annunciando il pacifico trionfo del Re pieno di dolcezza, lo mostrava mentre entrava in Sion sull'asina e il figlio dell'asina (Zc 9,9). Un giorno questo oracolo si compirà come gli altri; nell'attesa, il Padre celeste pone il suo Figliuolo fra lo strumento del suo pacifico trionfo e il simbolo del suo cruento sacrificio.
Questo è dunque, o Gesù, Creatore del cielo e della terra, il tuo ingresso in quel mondo che tu stesso hai formato. L'intera creazione, che avrebbe dovuto venirti incontro, non si è neppure mossa; nessuna porta ti è stata aperta; gli uomini sono andati a dormire indifferenti, e quando Maria ti ebbe deposto in una mangiatoia, i tuoi primi sguardi vi incontrarono gli animali, schiavi dell'uomo. Tuttavia, quella vista non ferì affatto il tuo cuore; ma ciò che lo affligge è la presenza del peccato nelle anime nostre, è la vista del tuo nemico che tante volte è venuto a turbare il tuo riposo. Noi saremo fedeli, o Emmanuele, nel seguire l'esempio di quegli esseri irragionevoli che ci ha presentati il tuo Profeta: vogliamo riconoscerti sempre come il nostro Padrone e il nostro Signore. Spetta a noi dare una voce a tutta la natura, animarla, santificarla, dirigerla verso di te: non lasceremo più il concerto delle tue creature salire verso di te, senza unirvi d'ora in poi l'omaggio della nostra adorazione e del nostro ringraziamento.
Preghiamo
O Dio onnipotente ed eterno, dirigi le nostre azioni secondo il tuo volere affinché nel nome del tuo diletto Figlio meritiamo di abbondare in opere buone.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 160-163
9 commenti:
NESSUNO SI AVVICINA TANTO ALL'INCARNAZIONE QUANTO CHI E' CONVINTO DI AVER SEMPRE QUALCOSA DA CAPIRE NEL MISTERO DELLE COSE DIVINE ( S. LEONE MAGNO)
La grandezza dell’opera divina, dilettissimi, supera e di molto avanza la capacità del discorso umano. Tuttavia la difficoltà di parlare nasce proprio dal fatto che vi sono motivi per non tacere. Infatti, quello che il profeta ha detto “Chi potrà narrare la tua generazione”(Is. 53,8) riguarda Gesù Cristo, Figlio di Dio, non solo per la sua essenza divina, ma anche per la sua natura umana. Senza che la fede presti il suo assenso, la parola non potrà spiegare come due nature si siano unite in una sola persona. Ma proprio per questo non mancheranno i motivi di lode, perché mai è sufficiente la facondia di chi loda.
Rallegriamoci, dunque, per la nostra incapacità di parlare degnamente di questo grande mistero di misericordia. Giacché non sappiamo spiegarne la profondità, nutriamo l’intima consapevolezza che per noi è bene l’essere superati dal mistero. Infatti, nessuno si avvicina tanto alla conoscenza della verità quanto colui che è coinvolto di avere sempre qualcosa da comprendere nelle cose divine, anche se fa dei grandi progressi. Chi invece presume di aver raggiunto la conoscenza di ciò che cercava, non ha portato a buon esito il suo studio, ma piuttosto ha fallito.
Ora, le pagine del Vangelo e dei profeti ci aiutano, sicché non ci dobbiamo inquietare per la nostra insufficienza; anzi talmente ci infervorano e ci ammaestrano che il Natale del Signore, quando “il Verbo si è fatto carne” (Gv.1,14), non ci appare come un ricordo passato, ma quasi lo vediamo presente. L’annuncio che l’angelo del Signore diede ai pastori, mentre vegliavano alla custodia del gregge, ha risuonato anche ai nostri orecchi. E ora noi governiamo le pecorelle del Signore, perché conserviamo nell’attenzione del cuore le parole divinamente pronunciate. Quasi ci vien ripetuto nella festività di oggi: “ Ecco, vi porto una lieta novella, che sarà di grande gioia per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di David il Salvatore, che è Cristo Signore”(Lc. 2,10).
DOMENICA FRA L'OTTAVA DEL NATALE
S.LEONE MAGNO
Sermo 9 de Nativitate Domini [Il mistero dell’unione ipostatica]
Breviario Romano, Mattutino, Lezioni del II Notturno
Anche se satana conducesse un’anima ad una caduta molto profonda, se non riesce
ad estirpare da essa la devozione all’Immacolata, la sua preda
non è ancora del tutto certa.
Ma se un’anima si dimentica
della propria madre celeste
e cessa di renderle omaggio,
anche se riuscirà a circondarsi
di tutte le più diverse devozioni
e a praticare tutte le virtù possibili, tuttavia, dopo l’interruzione
di questo canale di grazia, rotolerà inevitabilmente nell’abisso. SK1293
San Massimiliano Maria Kolbe
Santa e serena Domenica
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Dal Prologo di San Giovanni
Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il cuore e l'anima mia.
[405] καταλαμβάνω: il verbo καταλαμβάνω /katalambànō/ è formato da κατά /katà/ = giù da, sotto - e λαμβάνω /lambànō/ = prendo. I significati indicati dai vari dizionari sono: "prendere, afferrare, sorprendere, cogliere, ricevere..." (il Gemoll aggiunge: "arrestare, fermare"), anche in senso metaforico: afferro con la mente, comprendo, capisco ... (Rocci).
Da questo verbo deriva la parola moderna CATALESSI (dal lat. t. catalepsis < κατάληψις, propr. “cattura”, der. di καταλαμβάνω, “prendere, afferrare”: morte apparente, per estensione anche sospensione di quasi tutte le funzioni organiche in fachiri, yoghi... Un omonimo di CATALESSI, dal lat. tardo catalexis, gr. κατάληξις, der. di καταλήγω «finire, far cessare», è invece un concetto della metrica poetica classica: indica la perdita di una sillaba alla fine di un verso).
Sono davvero tanti i modi (anche in traduzioni ufficiali e molto qualificate) con cui questo verbo è stato reso nel versetto 5 del prologo di Giovanni, presente nelle letture di oggi.
Gv 1,5: ("καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν")
Cei 1974: “La Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno ACCOLTA”
Cei 2008: “La Luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno VINTA”
“Vincere”, “accogliere”, “comprendere” non sono la stessa cosa... Qual è, dunque, quella preferibile? Diciamo subito che il verbo greco presente nel testo originario è di sua natura ambiguo perché può ospitare al suo interno tutta la gamma dei significati indicati, sia pure con accenti diversi.
Ma il verbo greco usato dall’evangelista indica piuttosto un’opposizione, espressa dalla preposizione katà;
(per avere: «le tenebre non l’hanno accolta»)... sarebbe stato più logico usare il verbo parélaben, come appunto si ha nel versetto 11: «Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto (παρέλαβον/parélabon/)»
Rimane, dunque: «le tenebre non l’hanno vinta» (o “sopraffatta”).
Questo senso affiora anche nell’unico altro passo del quarto Vangelo in cui appare lo stesso verbo greco: Gv 12,35: «Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano (καταλάβῃ /katalábê/)» (ἵνα μὴ σκοτία ὑμᾶς καταλάβῃ)
(in realtà anche in Gv 8,3-4, a proposito della donna "sorpresa" in flagrante adulterio, compare due volte il verbo καταλαμβάνω?)
Ancora una considerazione: nell'ultima versione della CEI, "vinta", sembra però che la Luce faccia tutto da sola “non lasciandosi vincere”, non abbia cioè bisogno della collaborazione dell’uomo, collaborazione che veniva più evidenziata nella traduzione del 1974, "accogliere".
Nota: perdonate, forse sto esagerando, ma vorrei aggiungere ancora una nota a proposito delle "tenebre" (σκότος/skòtos/), tratta da un libro meraviglioso che ho scoperto da poco: "Da Adamo ad Abramo o l'errare dell'uomo", di A.Wénin (p. 24-25): "in questo dispiegamento di potenza... (Dio sta creando il mondo) non distrugge niente, neppure gli elementi del caos iniziale... non caccia via le tenebre: le iscrive in un'alternanza con la luce per ritmare i tempi della sua azione e del mondo... le componenti del caos, di per sè ostili alla vita, ricevono un limite e trovano il proprio posto nel quadro armonico del mondo creato (ricordo che COSMO, parente di cosmesi, significa ordine)".
"Speciósus forma præ fíliis hóminum: diffúsa est grátia in lábiis tuis"
- Graduale della Messa -
L'altro ieri ho assistito ad un funerale cattolico vatican / secondista. Molte persone, poche cattoliche praticanti, rito misero. Morte improvvisa del defunto. Oggi si muore improvvisamente. La bara da sola davanti alla tavola, mentre i più erano fuori parlando tra loro in attesa che iniziasse il rito. All'uscita si son ripresi i dialoghi interrotti mentre il defunto nella bara era stato messo in macchina. A quel punto mi è venuto spontaneo di pensare ai bambini, a quelli mai nati, a quelli persi, a quelli ammazzati e come la loro sorte somigliasse al trattamento con il quale questo serio professionista veniva accompagnato nel suo ultimo viaggio.Il rito moderno certamente non aiuta né il defunto, né i suoi parenti ed amici ad entrare nella situazione reale che è davanti ai loro occhi. Ma c'è un qualcosa di più, una sorta di noncuranza davanti al dramma, come se gli adulti, consolandosi tra loro, volessero magicamente cancellare la sorte dell'inerme. Non mi ci far pensare, si è soliti dire... ma a forza di non pensare, di stare a vedere, di togliersi un peso, siamo diventati scemi, violenti, miscredenti.
m.a.
La generazione ipopensante è fatta di recettori passivi il cui motto è credere,obbedire, consumare. Esente da dubbi, poiché solo chi riflette mette in discussione l’esistente.
https://www.maurizioblondet.it/gli-ipopensanti/
Questa mattina nostro figlio ci ha telefonato per sapere come stavamo e ci ha annunciato la morte improvvisa del papa' di una sua amica; morte avvenuta mentre il papa' era seduto alla scrivanìa nell'intento di risolvere parole crociate. Direi che i malvagi il loro scopo lo hanno ottenuto : aborti,infanticidi,sterilita' imposta, vaccini inutili,guerre,eutanasìa stanno riducendo drasticamente il numero delle anime.
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