Nell'indice degli articoli dedicati alla Musica sacra potete trovare sia la trattazione degli argomenti generali, che analisi sapienti e affascinanti come quella che segue, nella nostra traduzione da Tradition and Sanity. Con estrema finezza e sensibilità spirituali vengono messe in risalto assonanze e connessioni che accentuano e aiutano a riconoscere e interiorizzare significati e sfumature più profondi della Parola fatta preghiera, rendendola così più incisiva, sciorinando la ricchezza di tutta la sua efficacia generativa. Questo è ciò che abbiamo perso per effetto della riforma di Paolo VI e successivi. Ho inserito, per l'ascolto, testi ripresi da un repertorio a noi accessibile, data la difficoltà di riprodurre qui gli originali proposti dall'autore.
Canto Gregoriano: Musica dello Spirito Santo (Parte 1)
Solo il Dio eterno e infinito avrebbe potuto generare una musica di tale perfezione
Cantare la vita mistica di Cristo
In uno straordinario passaggio scritto nel 1947, Dom Ludovic Baron descrive l'assistenza speciale che Dio Onnipotente deve aver dato alla Chiesa latina nel suo compito secolare di dare vita alla musica che avrebbe ingioiellato il Santo Sacrificio e l'Ufficio Divino:
Se lo Spirito Santo deve aiutare nel compimento della più piccola opera buona, quanto più deve aver aiutato coloro che dovevano dare a questa musica la sua espressione definitiva nella liturgia! Perché questo era precisamente l'obiettivo dei loro sforzi: da questi testi, la maggior parte dei quali erano ispirati nel senso più alto, dovevano scoprire l'espressione sepolta dentro, posta lì dallo Spirito Santo, e dovevano specificarla con una formula melodica che unisse i fedeli nel sentimento così come le parole li univano nel pensiero. E questo, non solo per un brano, per una Messa, o per un Ufficio, ma piuttosto per l'intera liturgia dell'intero anno. In una parola, si trattava di determinare quale dovesse essere il sentimento religioso della vita mistica di Cristo, giorno per giorno, ed esprimerlo in un canto che fosse capace di consentire a chiunque lo cantasse o lo ascoltasse di entrare nella disposizione interiore di Cristo. Si ammetterà facilmente che un tale compito supera le capacità della mente umana e potrebbe essere realizzato solo con l'assistenza dello Spirito di Cristo.(1)
Nella mia esperienza col canto gregoriano quasi ogni giorno della mia vita per oltre trent'anni, e nell'esperienza dei molti cantanti che conosco e che hanno familiarità con questo repertorio ineguagliabile e davvero sorprendente, l'affermazione di Dom Ludovic è stata confermata più e più volte, poiché vediamo la "vita mistica di Cristo" riflessa e trasmessa da una raccolta di migliaia di melodie squisite.
In questa serie in due parti (oggi e tra una settimana), vorrei offrire molte illustrazioni specifiche del punto sollevato da Dom Ludovic. Esamineremo alcuni canti gregoriani e vedremo quanto siano eminentemente adatti al culto divino e alle loro particolari funzioni nella liturgia. E vedremo come i canti siano veramente una "lectio divina musicale", ovvero meditazione orante e mediazione del testo in una modalità musicale. Per ogni canto, includerò una registrazione.(2)
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“Ascolta, Signore, la mia voce”
Per la maggior parte delle domeniche e dei giorni santi della mia vita adulta, ho cantato i Propri come parte di una schola cantorum, ovvero un coro specializzato in canto gregoriano. Quasi ogni domenica, mi ritrovo a pensare: "I canti possono essere migliori di così?" E poi mi viene piacevolmente ricordato che sono, di regola, incredibilmente straordinariamente buoni, così vari nel carattere, così sottili nella descrizione vivida delle parole, così melodicamente soddisfacenti, così adatti al loro scopo; il che è come un miracolo musicale. Come dice Dom Ludovic: affinché la Chiesa fornisca musica degna del Santo Sacrificio, deve aver ricevuto una grazia speciale dallo Spirito Santo. Coloro che conoscono il canto hanno sperimentato questa grazia.
Inoltre, c'è quella che chiamo "la Provvidenza liturgica di Dio", un'espressione che ho imparato da un monaco che era immerso nella lex orandi della Chiesa. Quanto spesso accade che un'antifona, un'orazione, una lettura, siano esattamente ciò di cui avevamo bisogno di sentire, sia personalmente che in un momento particolare della vita terrena della Chiesa?
Un esempio calzante. Era la quinta domenica dopo Pentecoste. Il testo intenso dell'Introito e la melodia insolita — lugubre, sobria, quasi esausta — si adattavano alle voci scoraggianti su nuove misure repressive romane contro la Messa tradizionale che ci avevano gravati per tutta la settimana.
Ascolta, o Signore, la mia voce con cui ho gridato a Te: sii Tu il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio, mio Salvatore. Sal. Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di chi avrò paura? V. Gloria al Padre...
Questi sono i sentimenti misti dei cattolici romani che amano la propria tradizione: la paura che possa essere portata via; che possiamo essere abbandonati e disprezzati; una supplica affinché Dio ci ascolti e ci aiuti; una fede costante che, nonostante tutto, Egli è la nostra luce e la nostra salvezza, che bandisce la paura. A Lui, Padre, Figlio e Spirito Santo, sia gloria nei secoli dei secoli.
L'unico e piuttosto vulnerabile punto alto è sulla parola "esto": SII tu il mio aiutante! L'uso del 'te' (settima nota abbassata nella scala) su "adjutor" fa risaltare il 'ti' (la settima nota naturale) su "illuminatio" ancora più brillantemente, come un raggio di luce che perfora l'oscurità.
“Affinché io abiti nella casa del Signore”
Nella stessa quinta domenica dopo Pentecoste, dovremmo dare un'occhiata all'antifona della Comunione: "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita". Tra le tante caratteristiche che si potrebbero evidenziare anche in questa semplice antifona, eccone alcune che catturano la nostra attenzione.
1. La parola “Domino/Domini” è trattata molto bene in due modi molto diversi: la prima volta in modo lento e sommesso, la seconda volta in modo alto e veloce: come se l’anima avesse bisogno di iniziare umilmente, nella posizione umile di chi supplica i potenti, prima di esprimere la sua piena fiducia che la sua petizione sarà esaudita.
2. La frase in rosso, semplicemente la parola "QUESTO", è la figura melodica che spicca di più, e appropriatamente: QUESTO cercherò; QUESTO è la somma di tutti i desideri. Come dice Sant'Agostino: "Che cos'è una vita felice se non ciò che tutti gli uomini vogliono, ciò che l'uomo non può non volere?"
3. La frase in blu, la parola "cercherò", si sviluppa in una lunga discesa graduale, una somiglianza musicale con l'attività di cercare a lungo e duramente finché non si trova ciò che si sta cercando: "Quale donna, avendo dieci monete d'argento, se ne perde una, non accende una candela, non spazza la casa e non cerca diligentemente finché non la ritrova?"
4. La frase in verde, che conclude il canto, è (specialmente se cantata come frase singola, sull'unico "respiro collettivo" della schola) una meravigliosa rappresentazione della vastità della vita eterna. Non è solo il testo a dire "tutti i giorni della mia vita"; anche la melodia lo comunica. E notate il tocco sottile: la melodia di "vitae meae" è identica a quella di "requiram". È la risposta, per così dire, alla preghiera: ciò che cerco è di abitare nella casa del Signore per sempre. E lì riposerò, proprio come il canto giunge a un dolce riposo.
Pura perfezione artistica. Insuperabile, davvero. La polifonia è meravigliosa, ma il canto imposta la Parola di Dio con una finezza che nient'altro può eguagliare. Ed è per questo che (per citare il Concilio Vaticano II) "la Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana : e, pertanto, nelle azioni liturgiche, deve, a parità di altre condizioni, occupare il posto principale "(3)
Richiedere con umiltà
L'Alleluia per la sesta domenica dopo Pentecoste è una composizione meravigliosa. (A parte questo: il modo 3, forse più di altri modi, mette davvero in risalto quanto il canto sia diverso dalla musica diatonica a cui siamo abituati.)
Delle tante bellezze di questa antifona, ne indicherò solo una: la figura ripetuta, cerchiata in verde, su “In te Domine speravi” (in Te, o Signore, ho confidato) e “inclina ad me aurem tuam” (tendi a me il tuo orecchio), che raffigura musicalmente la prostrazione del supplicante, colui che si presenta al suo padrone implorando un favore o un’udienza. Osservate come l’arco della melodia inizia alto, e poi declina come un inchino:
Questo canto mi ricorda le parole di San Benedetto: “Quando vogliamo suggerire i nostri desideri a persone di alto rango, non presumiamo di farlo se non con umiltà e riverenza. Quanto più, quindi, sono necessarie completa umiltà e pura devozione nella supplica al Signore che è Dio dell'universo!” (Santa Regola, capitolo 20). Potete vedere questa umiltà nell'inchino dell'Antica Alleanza...
. . . di San Giovanni Battista . . .
... e del sacerdote al Santo Sacrificio.
Questa menzione dei sacerdoti dell'antica alleanza, di Giovanni Battista che cavalca le alleanze, e dei sacerdoti ministri della nuova alleanza riporta alla mente una delle caratteristiche più ammirevoli del rito romano classico, vale a dire, quanto strettamente esso collega l'Antica e la Nuova Alleanza, in modi sia ovvi che sottili — nella formulazione di preghiere modellate sulle preghiere dell'AT, nei gesti che hanno paralleli con l'AT, nella scelta dei testi da cantare, la maggior parte dei quali sono tratti dai salmi, ma intesi nel loro senso spirituale come allegorie di Cristo. La Messa antica sottolinea la continuità dell'Antico con il Nuovo, anche se indica il compimento sovrabbondante del primo nel secondo. Tutto questo è abbastanza attenuato nel rito moderno di Paolo VI — un fatto che ha enormi implicazioni teologiche. Ma non entrerò in queste per il momento.
La settima domenica dopo Pentecoste offre una bella giustapposizione proprio di questo tipo. L'antifona dell'Offertorio, dal libro di Daniele, allude ai giganteschi sacrifici del re Salomone, che accompagnarono sia l'inaugurazione del suo regno sia la dedicazione del Tempio.(4) La Secreta ne mostra poi il significato allegorico, indicando esplicitamente gli antichi sacrifici come il sacrificio supremo e compiuto una volta per tutte della Croce, e collegandovi elegantemente anche la menzione di Abele, che sarà presto menzionato nel Canone Romano.
Antifona all'Offertorio (Dn 3,40):
Come in olocausti di montoni e di tori, e come in migliaia di grassi agnelli, così sia offerto oggi il nostro sacrificio davanti a te, affinché ti sia gradito; perché non c'è confusione per coloro che confidano in te, o Signore.Per l'ascolto
Preghiera secreta:
O Dio che, in questo unico sacrificio, hai perfezionato l'offerta delle molte vittime prescritte sotto l'Antica Legge: ricevi questo stesso sacrificio offerto dai Tuoi devoti servi e santificalo con una benedizione, simile a quella che hai conferito alle offerte di Abele; così che ciò che ciascuno ha offerto qui a gloria del Tuo nome, possa giovare a tutti per la salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio, che vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.(5)
L'“ebraismo” della Messa antica testimonia l'unità della storia della salvezza utilizzando con sicurezza e frequenza il linguaggio e il simbolismo dell'antica alleanza, proprio perché Cristo è l'erede di tutte le promesse fatte ai patriarchi, il seme di Abramo, il figlio di Davide, il nuovo Adamo; era colui che Israele era predestinato a prefigurare e preparare. Tutto il materiale della “Grande Avventura” e del “Padre che mantiene le sue promesse” è diventato vivo per me quando ho iniziato a prestare attenzione ai testi e alle cerimonie del Rito antico. In breve: la Messa dei Secoli parla con e per conto di Israele perché è sfacciatamente supersessionista [cioè secondo il principio della sostituzione -ndT] nella sua teologia. È semplicemente il culto della religione ebraica divinamente rivelata trasposto in una chiave messianica universale e quindi opportunamente arricchito con elementi greco-romani e franco-germanici.
L'esito finale dei Romani
L'antica Roma pagana fu uno dei vari strumenti con cui la Divina Provvidenza ha effettuato la transizione dal culto del tempio dell'antica alleanza al sacrificio una volta per tutte di Cristo sulla Croce rinnovato in ogni Messa. Ciò si è svolto in molti modi e a livelli da locali a universali. In primo luogo, Ponzio Pilato doveva essere chi era e dove si trovava per adempiere le profezie sul Messia, inaugurando così il nuovo Israele. In secondo luogo, i Romani dovevano essere chi e cosa erano per sedare la rivolta ebraica nel 70 d.C. e polverizzare il Tempio di Erode, segnando la fine decisiva della religione dell'Antica Alleanza e l'inizio del suo simulacro rabbinico. In terzo luogo, i Romani costruirono il più grande impero conosciuto dall'uomo e pavimentarono strade ovunque in modo che i messaggeri della Buona Novella potessero raggiungere i confini della terra. In quarto luogo, ispirandosi ampiamente ai Greci, i Romani raggiunsero un alto livello di civiltà, che fu un prerequisito per la formazione della liturgia, delle credenze e delle forme d'arte della cristianità.
Se ci rivolgiamo ai canti propri della nona domenica dopo Pentecoste, possiamo cogliere un altro scorcio di questo collegamento tra AT e NT.
Normalmente, i canti presentano melodie di ampio respiro. Occasionalmente, ne avrete uno con un'estensione molto limitata. Ma non si ottengono quasi mai più canti di quel carattere in una singola messa. In questa particolare domenica, è diverso. L'Introito e l'Offertorio presentano entrambi melodie limitate a 6 note; l'Alleluia è limitato a sole 5 note (con una singola nota di "grazia" che si abbassa all'esterno). Il Vangelo del giorno è la profezia della distruzione di Gerusalemme. Nota cosa predice il Signore: "Perché verranno su di te giorni in cui i tuoi nemici ti scaveranno attorno una trincea, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte..." Il verbo per "stringere" è coangustare, che significa: confinare in uno spazio ristretto, soffocare, rendere più stretto, restringere o limitare l'ambito o l'uso.
Bene, che ne dite? Tre dei cinque canti veri e propri sono confinati in uno spazio ristretto, angusto, limitato — proprio come Gerusalemme sarà nelle mani dei suoi nemici nel 70 d.C.
Per l'ascolto
Per l'ascolto
Per l'ascolto
Ora, non sto dicendo che qualcuno (e tanto meno un comitato!) avesse specificamente in mente questo parallelo tra il Vangelo e i Propri. Ma l'eterno Dio lo aveva in mente, e ha disposto che questi canti riflettessero, anche letteralmente, il messaggio terribile sia dell'Epistola che del Vangelo. Se guardate i testi dell'Introito e dell'Alleluia, vedrete persone che gridano aiuto contro i loro nemici. C'è un parallelo qui: possiamo immaginare noi stessi come assediati dal mondo, dalla carne e dal diavolo, e imploriamo il Signore di liberarci dai nostri nemici, invece di consegnarci a loro a causa dei nostri peccati.
Candelora
In modo abbastanza appropriato per questo periodo dell'anno, prendiamo, come ultimo esempio, l'Alleluia per la Candelora, ovvero la Purificazione della Beata Vergine Maria o la Presentazione del Signore. Questo Alleluia presenta una delle più grandi melodie monosillabiche estese dell'intero anno gregoriano (tale melodia è tecnicamente chiamata melisma).
Il testo è sempre stato uno dei miei preferiti:
Alleluia, alleluia. V. Senex Púerum portábat: Puer autem senem regébat. Alleluia. (V. Il vecchio portò il Bambino: il Bambino, tuttavia, governava il vecchio.)Ecco come la musica sottolinea l'inaspettato colpo di scena divino:
Per l'ascolto
Tesori a perdita d'occhio
Tutti gli elementi di cui ho parlato oggi potrebbero essere moltiplicati all'infinito, per tutto l'anno liturgico, per ogni domenica, ogni festa, ogni stagione. I canti propri sono particolarmente ricchi di raffigurazioni musicali dei sensi letterali e spirituali della Scrittura, ma i canti dell'Ordinario della Messa non sono meno ingegnosi, non sono meno saturi di significato teologico. Devo ripetere questo punto nella speranza che rimanga impresso: la stessa musica tradizionale è teologicamente carica, unita in un matrimonio in una sola carne con i testi. E dico di questo matrimonio ciò che Nostro Signore ha detto del matrimonio: ciò che Dio ha unito, l'uomo non lo separi.
Riprenderemo la prossima settimana con esempi tratti dall'Avvento, dal tempo pasquale, dal Corpus Domini e dal mese di novembre.
___________________________1. L. Baron, L'expression du chant gregorien. Commentaire liturgique et musical des messes des dimanches et des principales fetes de l'année I (Plouharnel / Morbihan: Abbaye Sainte-Anne de Kergonan, 1947), xxvi, citato da Michael Fiedrowicz nella sua impareggiabile introduzione al rito romano classico.
2. Solitamente tratto dagli straordinari Propri di canto gregoriano di Saint René Goupil del bacino idrografico del Corpus Domini.
3. SC 116: «Ecclesia cantum gregorianum agnoscit ut liturgiae romanae proprium: qui ideo in actionibus liturgicis, ceteris paribus, principem locum obtineat». Ammetto che Garrett Meyer fornisce un ottimo esempio della contraddizione interna introdotta dalla frase ceteribus paribus o "a parità di altre condizioni". Tuttavia, gli autori di questa disposizione credevano di affermare il primato del canto.
4. Parte di questo versetto, naturalmente, ricorre anche in ogni Messa dell'Offertorio, nella preghiera subito dopo l'offerta del vino: «In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur a te, Domine, et sic fiat sacrificum nostrum in conspectu tuo hodie, ut placeat tibi, Domine Deus.
5. Fortunatamente, questa orazione faceva parte del 13% dell'eucologia del vecchio messale che è stato mantenuto invariato nel Messale di Paolo VI, dove appare sotto la voce "16a domenica per anno " - ma, ahimè, strappata dal suo contesto originale con il canto dell'Offertorio richiesto, le preghiere dell'Offertorio e il Canone Romano, che è l' altra famosa menzione di Abele nella Messa.
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