Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 14 febbraio 2025

Presentazione libro di Paolo Pasqualucci: "È la dignità dell'uomo «infinita»? Riflessioni sull'origine di una nuova dottrina"

Paolo Pasqualucci si era già occupato della "falsa dignità", mettendo in risalto come, pur derivando dalla filosofia classica e dalla teologia cristiana, il concetto di "dignità dell'uomo" sia ormai divenuto un pilastro del politicamente corretto e usato a sproposito e per cose tra loro opposte e inconciliabili. Precedenti qui - qui. Ora esce il suo nuovo libro sulle controverse implicazioni del recente documento Vaticano Dignitas infinita (qui). Chi fosse interessato ai testi dell'Autore, può consultarli attraverso i link inseriti nella nota pubblicata in calce.

Presentazione libro di Paolo Pasqualucci sulla “dignità infinita”.

L’8 aprile del 2024 il Dicastero per la Dottrina della Fede ha pubblicato un documento sulla dignità dell’uomo messa in pericolo dalle deviazioni morali oggi dilaganti e dalle troppe cattive leggi che le favoriscono. Il documento, approvato in udienza dal papa, si intitola : Dignitas infinita circa la dignità umana [qui].

Fa specie la dizione “dignitas infinita” applicata all’uomo. Dobbiamo ritenere “infinita” la dignità dell’uomo? Dal punto di vista del senso comune dire che la nostra “dignità” di essere umani è infinita appare come minimo problematico. Che significa? Non solo, sembra assurdo concepire la “dignità” come una caratteristica ontologica dell’uomo, pertinente cioè intrinsecamente alla sua natura, all’umanità di ciascuno di noi in quanto tale, a prescindere del tutto dal suo comportamento. Ne conseguirebbe che il peggior delinquente conserverebbe intatta la sua dignità di uomo allo stesso modo della persona per bene che non ha fatto niente di male !! Una simile conclusione, inevitabile rispetto alle premesse, non fa a pugni con il senso comune e la recta ratio?

Il pensiero classico ha notoriamente concepito la nostra dignitas come una qualità del nostro comportamento, che viene appunto lodato come dignitoso quando mostra di esserlo. All’opposto, quando si mostra degno di biasimo, il nostro comportamento può esser qualificato di indegno. Per i Romani, che pur vi attribuivano gran valore sul piano sociale, la dignità si acquistava o si perdeva, a seconda del nostro modo di vivere in società: alla dignitas si contrapponeva la indignitas.

Idem per i Padri della Chiesa. Cosa disse infatti san Leone Magno Romano Pontefice, nel V secolo, nel suo famoso elogio della dignità del cristiano? Disse: “Riconosci, o cristiano, la tua dignità e, reso consorte della natura divina, non voler tornare all’antica bassezza con una vita indegna. Ricorda a quale Capo appartieni e di quale Corpo sei membro. Ripensa che, liberato dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel Regno di Dio” (Sermones, 21, 2-3, PL 54, 192A). Alla vita degna, quella del cristiano che lo sia nei fatti e non a parole solamente, il Papa contrappone la vita indegna, quella “tornata all’antica bassezza” ossia alla vita peccaminosa dalla quale ci ha salvato la conversione a Cristo; di fatto al peggior paganesimo, quello intriso di superstizioni, magia, senza freni, lussurioso. Col peccare, perdiamo la nostra dignità di cristiani.

Anche per la tradizione cristiana, pertanto, la “dignità dell’uomo” era solo una qualità del suo comportamento, rilevata dal giudizio dei suoi consociati. Essa diventava senza problemi una qualità negativa, una volta che il comportamento del soggetto si rivelasse per l’appunto “indegno”.

La “dignità”, come caratteristica ontologica dell’uomo, trova i suoi presupposti nel giusnaturalismo razionalistico del Settecento, con le Carte dei diritti, con le Rivoluzioni borghesi. In verità, la famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, parla solo di diritti, senza nominare la dignità: “art. 1: Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits. Les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l’utilité commune”. I diritti, “naturali ed imprescrittibili” dell’uomo, sono: “la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione” (art. 2).

La dignità quale caratteristica ontologica dell’uomo comincia ad apparire nella Carta delle Nazione Unite, del 1948: “Tous les hommes naissent égaux en dignité et en droits”. Ma è a partire dal Concilio Vaticano II che la dignità viene a costituire, in modo del tutto nuovo per la dottrina della Chiesa, la caratteristica ontologica fondamentale dell’essere umano: una caratteristica che non si muterebbe mai in indegnità, qualsiasi cosa noi si faccia, anche le peggiori nequizie! Immutabile, quindi, e adesso anche “infinita”. Ma se si chiedesse “mostrateci la vostra definizione di questa infinita dignità”, si scoprirebbe che tale definizione non esiste, nessuno l’ha mai data. Che cosa sia la tanto vantata “dignità dell’uomo”, il discorso clericale attuale lo dà per presupposto. Dal Concilio in poi, questa nozione ontologica di “dignità dell’uomo” è inaspettatamente diventata il vero e proprio cavallo di battaglia della Gerarchia cattolica. La sua difesa e restaurazione, ove la si ritenga offesa, viene proclamata quale vero e proprio cardine della missione della Chiesa. In pratica, ha sostituito la salvezza delle anime quale compito istituzionale della Chiesa, prescritto dal suo divino fondatore.

La dichiarazione “Dignitas infinita” è stata apprezzata anche da esponenti cattolici fedeli alla Tradizione, criticata da altri, pur fedeli alla Tradizione. Apprezzata soprattutto perché, dopo ripetute richieste, un documento ufficiale della Chiesa finalmente ha preso posizione contro la maternità surrogata (detta popolarmente “utero in affitto”), l’eutanasia e il suicidio assistito, la teoria del gender, il transgenderismo, tutti mali gravi che negli ultimi anni si sono diffusi a macchia d’olio.

La critica, all’opposto, sottolinea il silenzio della Dichiarazione sulla questione omosessuale, diventata grave in Occidente e sulla generale superficialità delle argomentazioni usate, che sembrano riflettere “l’umanesimo” a sfondo eudemonistico, edonistico e materialistico permeante la cultura secolare dominante più che i solidi argomenti teologici e filosofici che dovrebbero esser tipici di un documento pontificio ufficiale.

Il documento sembra anche privo di afflato sovrannaturale, della presenza cioè della prospettiva drammatica della salvezza delle anime, della vita eterna dopo il Giudizio che ci attende subito dopo la morte, quale obbiettivo esclusivo e dominante della concezione cattolica dell’esistenza. Si criticano errori ed orrori del Secolo in nome di una concezione della vita più umana, più giusta, gioiosa, felice – in nome cioè di una visione che resta anch’essa terrena e mediocre, quanto all’ampiezza dei suoi obbiettivi e fini.

Ma questo è appunto lo “stile” minimalista e terra terra prevalso nella pastorale della Chiesa a partire dal Vaticano II, un Concilio che, giusta l’impostazione espressamente datagli da Giovanni XXIII, non ha voluto condannare alcun errore e ha lasciato in eredità alla Gerarchia cattolica questa inaudita desistenza dall’uso della sua legittima autorità, che è pur sempre di origine divina.

Pertanto, parlare di “condanne” in questa Dichiarazione sulla “dignità infinita”, non sembra appropriato: si tratta solo di condanne sul piano morale perché le espressioni in genere usate nel testo sono del tipo: “la Chiesa prende posizione contro…”; “fa valere le criticità…”. La Chiesa attuale non condanna nessuno né vuole condannarlo. Manifesta la sua opposizione a determinate situazioni ingiuste, anche aberranti, e implicitamente le condanna come moralmente inaccettabili. Altrimenti, la Dichiarazione avrebbe dovuto ribadire, per esempio, che la donna che abortisca volontariamente (aborto procurato) e tutti coloro che cooperano al misfatto incorrono tutti in un peccato grave, mortale, per il quale è prevista, se cattolici, la scomunica automatica o latae sententiae – un peccato che comporta la dannazione eterna, se non ci si pente sinceramente, se non ci si confessa, se non si cambia vita.

Ci si oppone finalmente alla teoria del gender e al transgenderismo senza tuttavia collegare questi fenomeni aberranti alle loro autentiche radici, che sono il femminismo e l’omosessualità, a loro volta strettamente intrecciati. Manca, in definitiva, una visione d’insieme, organica dei gravi fenomeni di decadenza che ci affliggono, una visione capace di esprimersi in un’analisi dottrinale come si deve, secondo i princìpi cattolici tradizionali, con le relative condanne degli errori ed i necessari ammonimenti ai fedeli.

La Dichiarazione conferma l’uso di una nozione della “dignità umana” non conforme all’insegnamento tradizionale della Chiesa – derivata, invece, dalla eterodossa “cristologia antropocentrica” desunta dai teologumeni di Henri de Lubac SI e sodali, inaugurata dal Vaticano II nella costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, in particolare nel suo famoso art. 22, successivamente mantenuta e diffusa dall’insegnamento di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

L’art. 22.2 di GS recita infatti che “con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Pertanto, la natura umana è stata “per ciò stesso anche in noi innalzata a una dignità sublime”. Questa idea della natura divina della dignità dell’uomo proveniva da de Lubac il quale sosteneva che Cristo, nuovo Adamo, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione”. Questa frase è di GS 22.1 ma è in pratica un calco da Catholicisme, opera del 1936 del gesuita fedifrago, a suo tempo censurata dall’autorità vaticana. La “vocazione” sarebbe per l’appunto quella di attuare l’umanità con tutte le sue belle qualità, riassunte nel concetto della “sublime dignità” che la caratterizzerebbe ex Incarnatione Christi.

È stato notato che l’idea dello “svelamento” di questa supposta sublime “dignità” dell’uomo si potrebbe ancora ritenere conforme al dogma se, sia pure forzando il testo, la si interpretasse in senso puramente simbolico, spirituale, morale. Come se il testo dicesse: sì, il Cristo ha svelato all’uomo la sua natura di peccatore bisognoso di redenzione (per questo è venuto al mondo) ma nello stesso tempo, nella sua Misericordia che vuole tutti salvi (anche se molti non si salveranno perché si rifiuteranno a Lui), ha anche svelato all’uomo la sua altissima vocazione soprannaturale, quella dell’esser cristiano, del volgersi a Cristo per acquisire la vita eterna.

Ma così non è stato. Tutto il passo è stato inteso nel senso di un’unione ontologica del Cristo incarnato con ogni uomo, anteriore all’opera stessa della redenzione storicamente posta in essere da Gesù di Nazareth. Ma un’unione ontologica del Cristo incarnato con la natura umana di ogni uomo è concetto persino bizzarro e comunque contraddice i dogmi cristologici fondamentali, a cominciare da quello dell’unione ipostatica (unione della natura divina e umana nel Cristo non tra di loro ma nella persona del Cristo stesso).

L’interpretazione ontologica di GS 22.2 è dovuta soprattutto a Giovanni Paolo II, nel par. 13 della sua prima enciclica, Redemptor hominis, del 1979. A lui si deve il radicarsi di questo tremendo errore nella fede.

Il presente saggio vuol far per l’appunto vedere come le origini della presente singolare dottrina della “dignità infinita” propalata ai quattro venti da Papa Francesco, siano nelle teologie personali di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

È la dignità dell'uomo «infinita»? Riflessioni sull'origine di una nuova dottrina
di Paolo Pasqualucci
Editore: Solfanelli
Data di Pubblicazione:
15 gennaio 2025
EAN: 9788833055985
ISBN: 883305598
1 Pagine: 160
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L’Autore*
Paolo Pasqualucci, filosofo cattolico, accanto ai suoi interessi filosofici specifici persegue da anni studi teologici e di filosofia della religione, con particolare attenzione all’analisi critica del Concilio Ecumenico pastorale Vaticano II, condotta dal punto di vista della dottrina tradizionale della Chiesa. Della sua ampia produzione in quest’ambito, ricordiamo: Giovanni XXIII e il Concilio ecumenico Vaticano II (2008) [qui un testo significativo]; L’ambigua cristologia della redenzione universale. Analisi di Gaudium et spes 22 (2009)[qui]; Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo (2013) [qui]; Il Concilio parallelo: l’inizio anomalo del Vaticano II (2014) [quiqui]; La persecuzione dei ‘Lefebvriani’ ovvero l’illegale soppressione della Fraternità Sacerdotale San Pio X (2014) [un testo interessante qui]; Una scomunica invalida - Uno scisma inesistente: Due Studi sulle consacrazioni episcopali di Écône del 1988 (2017) [qui]; Instrumentum Diaboli. Le eresie della “teologia india” nello ‘Instrumentum laboris’ per l’Amazzonia, gradito da Papa Francesco, Chieti, 2021, pp. 170 [qui - qui].
Del libro Il Concilio parallelo etc., esiste una traduzione inglese, reperibile soprattutto come e-book: The Parallel Council. The Anomalous Beginning of the Second Vatican Council, Gondolin Press, 2018, pp. 95. I suoi interessi filosofici specifici vertono soprattutto sulla ricerca volta a fondare una teoria realistica della conoscenza, in antitesi al relativismo gnoseologico predominante, dovuto anche al prevalere dell’immagine del mondo elaborata dalla fisica moderna. Ha finora pubblicato due volumi: 1. Metafisica del soggetto. Vol. I: Cinque tesi preliminari, Roma, 2010, pp. 188 [qui]; 2. Metafisica del soggetto. Vol. II: Il concetto dello spazio, Milano, 2015, pp. 648 [qui].
Precedentemente aveva affrontato il problema dell’Uno, con riferimento alla nozione filosofica di Dio, implicata da questo concetto, in radicale polemica con lo spinozismo e le concezioni deistiche: Introduzione alla metafisica dell’Uno, con Prefazione di Antimo Negri, Roma, 1996, pp. 151 [qui]. Un titolo dal taglio kantiano ma un testo nient’affatto kantiano.
Avendo insegnato Storia delle dottrine politiche e Filosofia del diritto nell’Università di Stato in Italia, in questo campo, a prescindere dai suoi passati lavori accademici, ha pubblicato dei saggi di taglio filosofico e storico connessi a problemi di attualità: Politica e religione. Saggio di teologia della storia, Roma, 2001, pp. 94 [qui]; Unita e cattolica. L’istanza etica del Risorgimento e il Rinnovamento dell’Unità d’Italia, Roma, 2013, pp. 100, con Introduzione di Giuseppe Parlato; Per una ‘Carta’ del partito cattolico, Chieti, 2014, pp. 69; Infelix Austria. Una critica del ‘mito asburgico’, versione cattolica, Chieti, 2022, pp. 162 [qui - qui].
Quest’ultimo saggio ha provocato un saggio di replica l’anno scorso da parte del prof. Roberto de Mattei, dall’Autore individuato come uno dei corifei attuali del mito asburgico, replica alla quale l’Autore non è ancora riuscito a rispondere. Spera di poterlo fare in un futuro non lontano. Del saggio Politica e religione esiste una traduzione francese: Politique et religion. Essai de théologie de l’histoire, Courrier de Rome, 2003, pp. 108.
Vale anche la pena di ricordare, infine, per la critica del femminismo: Il ‘regno della donna’ ha distrutto i valori tradizionali, Chieti, 2020, pp. 98 [qui]. Nonché, per un’ampia confutazione della insostenibile concezione del significato “ontologico” della “dignità dell’uomo”: La falsa dignità. Una visione dell’uomo spesso fraintesa, Verona, 2021, pp. 256 [qui].

* Il presente curriculum è stato predisposto dall'Autore per questa presentazione. 

10 commenti:

Anonimo ha detto...

La dignità della persona umana non è infinita perché il suo essere non è infinito. Solo la dignità di Dio è infinita perché ente infinito. La nostra creaturalità comporta una preziosità intrinseca limitata, finita, ma nello stesso tempo incommensurabile, ossia immensa, e assoluta, cioè non sottoposta a condizioni, (nello stesso errore era caduto Giovanni Paolo II, citato nel documento).

Il documento vaticano cita nuovamente la Laudate Deum: «La vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature» (n. 67). Ora invece la dignità umana parrebbe discendere dalle altre creature: non più dignità assoluta, ma relativa, in relazione a piante e animali. Il classico obolo dovuto all’ambientalismo

Senza dignità ha detto...

Il discorso di Mattarella a Marsiglia conteneva paragoni sbagliati e per i russi inaccettabili. Una portavoce del Cremlino oggi li ha definiti “blasfemi”, causando una levata di scudi di tutti i partiti politici a partire da Fratelli d’Italia a difesa del Quirinale. Il problema è che ha ragione Mosca, non puoi assimilarla al Terzo Reich nazista e dire che un appeasement sarebbe un errore simile a quello compiuto alla Conferenza di Monaco del 1938. Anche perché se quanto detto da Mattarella fosse vero, noi a Putin dovremmo fare la guerra come la si fece a Hitler, fino alla distruzione della Germania nazista. So che è difficile dirlo, ma il discorso di Mattarella era completamente sbagliato e ha leso gli interessi del nostro Paese, primo dei quali deve essere andare il più rapidamente possibile verso la pace.

Laurentius ha detto...

I discorsi delle cariatidi del Regime!

Anonimo ha detto...

Anche se il paragone tra Putin e Hitler fatto da Mattarella è discutibile, la replica moscovita della ben nota portavoce, ha il tono della propaganda sovietica di un tempo, un tono francamente offensivo e disgustoso. Esalta la distruzione del III Reich da parte dei sovietici, dimenticando che non sarebbe stata possibile senza gli aiuti americani e senza il secondo fronte aperto in Normandia nell'estate del 1944, che tenne impegnato metà o quasi dell'esercito tedesco. Sembra appunto che per la portavoce l'URSS abbia vinto quella guerra da sola. I riferimenti offensivi al passato fascista dell'Italia, con il quale comunque Mattarella ha poco a che fare, lasciano allibiti da parte della portavoce di un governo e uno Stato che hanno alle spalle gli orrori innominabili del bolscevismo e del regime di Stalin.
Il Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato fascista, in 17 anni di attività condannò a morte circa 70 persone, eseguite solo 57 sentenze e per reati come: costituzione di banda armata, atti di terrorismo, complotto per uccidere alte personalità, spionaggio, preparazione all'insurrezione. Reati che comportavano la pena di morte anche negli Stati democratici. Nel solo 1937, anno dell'inizio in Russia del grande terrore, la polizia di Stalin fece sparire, in genere senza processo, 700.000 persone. In Russia ancora oggi trovano per sbaglio misteriose fosse comuni, non segnate da alcuna mappa.
Diciamo quindi alla ben nota portavoce di non rompere, please. Certo bisogna dirlo con modi urbani.
Si capisce che non si può vivere in un clima di continua denigrazione del passato ("che non passa"), tuttavia Putin per mantenere unita la nazione ha di fatto proceduto alla riabilitazione di Stalin, facendone menzionare solo i meriti di costruttore dello Stato socialista e vincitore nella II gm. Tra l'altro, la tradizione sovietica ma forse russa bisognerebbe dire, di far eliminare gli avversari politici, Putin sembra averla mantenuta. Governa da più di vent'anni ma un'opposizione non c'è. Se si materializza, i capi scompaiono rapidamente, in un modo o nell'altro.
Il nostro governo doveva difendere il Presidente della Repubblica, che dopotutto parlava a titolo personale. Dopo un attacco del genere, che insultava anche l'Italia, era un atto politicamente dovuto.
Putin è stato certamente provocato dall'aggressiva politica imposta dagli americani alla Nato, una politica del tutto sbagliata. Lo si è detto tante volte. Ma è lecito chiedersi se non avesse dovuto continuare a negoziare. L ' aggressione c'è stata, anche se Putin ha diritto alle attenuanti del caso. C'è stata, anche se organizzata male, visto che ha provocato tre anni di guerra sanguinosa e feroce, della quale i russi non sono ancora riusciti a venire a capo, anche se sembrano in posizione di vantaggio.

Anonimo ha detto...

"URSULA, KEIR E ALTRI PIRLA: I PETAIN DI QUESTO SECOLO
Per quattro anni avete esaltato Joe e vituperato Donald, avete non solo preso parte ad una guerra folle ma avete fatto di tutto per creare una frattura totale con la Russia che avete dipinto come il Diavolo, ne avete scacciato i cittadini ed incamerato i conti bancari e adesso volete sedervi al tavolo delle trattative?
Quando Donald faceva comprendere che era necessaria la moderazione avete rincarato la dose, avete coperto i cittadini con ogni genere di menzogne e adesso credete di avere diritto a negoziare?
In qualsiasi altra situazione simile, dopo un conflitto così malamente gestito e perduto, ci sarebbero delle elezioni per mandavi a casa, tutti.
Questo almeno sarebbe nella tradizione di quell'Europa civile che avete distrutto. Nell'Europa meno civile ma più vibrante, sareste deposti da una rivoluzione.
A casa, a processo.
Meritate il destino di Petain, ma siete peggiori di lui.
Petain fu un eroe della Prima Guerra Mondiale, voi siete giunti al potere essendo lo scarto della politica nazionale, spazzatura appioppata all'Europa per essere tolti di mezzo.
Nessuna stima, nessuna considerazione."

Laurentius ha detto...

Gli angloamericani, che hanno portato guerre in tutto il mondo al fine di esportare la loro "democrazia", i loro "valori" per lo più intrisi di calvinismo (sgomitamento per la competizione, etc.), avrebbero riportato da un pezzo una vittoria completa sull'Ucraina, magari con i metodi usati in Serbia e, a tempo suo, a Dresda, Amburgo, Tokio. Ricorreva proprio giorni orsono l'anniversario della tragedia di Dresda. Quanto alla Russia, non bisogna fare nessuna confusione con il boscevismo. Dall'anima russa noi possiamo trarre ottime lezioni di vita, così come dalle pregevoli opere letterarie e musicali russe. Piuttosto, la tragedia dell'Europa è quella di essere andata a cercare in America, a partire dal dopoguerra, una filosofia di vita, delle linee direttrici, dei lumi. Di questa ricerca ossessiva di copiare usi e costumi americani non avevamo nessun bisogno. La nostra civiltà è ben più antica e luminosa di quella americana. Agli eredi di coloro che, a tempo suo, hanno svenduto agli angloamericani la Patria e l'onore, perseverando fino ai giorni nostri nella svendita, gli italiani autentici non bruciano nemmeno un granello d'incenso. Auguriamoci che la Provvidenza Divina del Cuore di Gesù - e non la 'provvidenza americana', alla quale conviene guardare con sospetto - venga presto in nostro aiuto.

Anonimo ha detto...

Il paragone con il Maresciallo Pétain è del tutto sbagliato. Nessun politico francese voleva assumersi la responsabilità di chiedere l'armistizio alla Germania, una parte consistente dei parlamentari fuggì all'estero. Per puro patriottismo Pétain accettò, sapendo bene in quale situazione difficile si andava a mettere. Creò uno Stato francese che riuscì a salvare le colonie.
La propaganda gollista l'ha voluto dipingere come un traditore ma non fu affatto un traditore.
Svolse l'azione di chi, nel caos generale, salva il salvabile.

Laurentius ha detto...

Sul Maresciallo Philippe Pétain, Robert de Perrier, presidente dell'Association Nationale Petain-Verdun, scrisse due opere molto interessanti:

- R. de Perrier : Maréchal, nous voilà !, con la prefazione di Jacques Isorni, difensore del Maresciallo e autore di parecchi libri su di lui,

- R. de Perrier : L'exilé de l'îIe d'Yeu.

Riporto la commovente dedica che egli mi scrisse su di una copia del primo dei due libri citati:

J'ai écrit ce livre à la gloire du Maréchal Pétain et l'ai dédié à tous ceux qui sont restés fidèles à sa mémoire, dont vous faites partie, cher Monsieur Lorenzo G.
Un jour nous irons à Douaumont et nous lui dirons avec toute notre foi et de tout notre cœur
Maréchal, nous voilà !
En attendant nous combattons, vous comme nous, pour la justice et la vérité et pour que nos deux pays, dans le respect de la Tradition et des Droits de Dieu, retrouvent leur grandeur. En toute sympathie
Robert de Perrier
Nantes, le 2 octobre 1993

Presso le Éditions du Trident si trovano gli atti completi del processo intentato al Maresciallo Pétain. Purtroppo rari sono ormai coloro che non ripetono le menzogne insegnate dalla "buona scuola" e sviolinate, per compiacere i padroni del mondo, pure dalle destre conservatrici nostrane e francesi, le quali fanno il paio con i conservatori (modernisti moderati) cattolici. E invece, per rinascere, abbiamo gran bisogno di un po' d'aria pura!

da ex studente di Giurisprudenza ha detto...

@amico delle 23:20 del 14/2
Nel 2011 uscì un articolo (di cui non ricordo nè l'Autore nè la testata) in cui si spiegava, fermandosi al giugno 1940 sia per accessibilità dei dati sia perchè lo stato di guerra cambiava molti aspetti, che le esecuzioni capitali nell'Italia fascista dal 1926 al giugno 1940 furono 92 fra politiche e comuni. Tenete conto che durante il governatorato di G. W. Bush in Texas ce ne furono 136 in otto anni, per una popolazione residente di meno della metà (venti milioni contro i 45 circa dell'Italia).
Siccome poi Mussolini si era arrogato il potere di grazia ma non lo aveva tolto al Re, capitava spesso che qualcuno dei due commutasse una condanna a morte lasciata in piedi dall'altro! Dopo l'entrata in guerra, erano diventati capitali anche reati che prima non lo erano, per questo lo studio di quel giornalista si era fermato al 10 giugno 1940.
Vi sono state fughe di antifascisti, certo, ma ben pochi il regime volle colpirli una volta fuggiti (non saranno stati i soli, ma i fratelli Rosselli sono più una delle eccezioni che la regola), anche perchè, diciamolo, l'Italia mezzi per colpire all'estero non è che ne avesse poi così tanti.
Un'altra cosa, che dovrei verificare ma quantomeno è plausibile: pare che sia stata la Chiesa Cattolica a indicare a Mussolini di adottare come metodo d'esecuzione capitale la fucilazione mediante plotone, perchè è il solo che per sua natura non identifichi un singolo come boia (lo stesso motivo per cui gli antichi Ebrei usavano la lapidazione).

Anonimo ha detto...


Quanto alla Russia non possiamo fare nessuna confusione con il bolscevismo...

Come se il bolscevismo fosse stato importato da Marte, quando invece è un prodotto tipicamente russo, della parte violenta e tenebrosa dell'anima russa. Possiamo trarre "ottime lezioni di vita" dall'anima russa? Certamente, dalla sua parte buona. Ma questo non vale per tutti i popoli? Credo tutti in gioventù abbiamo letto i grande romanzieri russi. Proprio recentemente avevo preso in mano "Le memorie di un cacciatore" di Turgheniev.
Ma nei popoli, come negli individui, c'è il cattivo accanto al buono. Nella c.d. "anima russa" c'è una sgradevole tendenza al falso misticismo, intriso di sentimentalità e di impulsi irrazionali, accoppiato ad una tendenza a risolvere i problemi con la violenza.
Il bolscevismo fu la teorizzazione estrema cui giunse la mentalità rivoluzionaria russa dell'Ottocento, caratterizzata da un'estrema violenza. I partiti di sinistra (socialisti rivoluzionari e simili) praticarono per decenni il terrorismo, reclutando adepti soprattutto nelle Università e anche tra le donne. Venivano impiccati ma morivano con la convinzione di essere i martiri di una causa cui spettava il futuro. Le cifre sono imprressionanti. Sembra che i funzionari zaristi uccisi individualmente siano stati circa 15.000 e i rivoluzionari giustiziati circa 30.000, durante un secolo.
Lei l'ha letto "I demoni" di Dostojevskij? Il grande scrittore ben conosceva l'ambiente rivoluzionario giovanile essendone stato attratto anche lui in una certa misura. Quel romanzo mette bene in luce la componente demoniaca dell'anima russa. Che c'è in tutti e nelle anime di tutti i popoli, sia ben chiaro, anche se con caratteristiche diverse per ogni popolo.
Non dobbiamo guardare a modelli americani per rinascere ma nemmeno a modelli russi. Dobbiamo guardare in noi stessi, trovare nella nostra storia e cultura gli elementi per rinascere.
Non dobbiamo nemmeno confondere il corrotto americanismo woke con il modello americano autentico. L ' America comunque sta dimostrando, con la vittoria di Trump, una capacità di reazione in nome di valori tradizionali, anche cristiani. Anche dalla letteratura americana del passato possiamo trarre vantaggio per lo spirito. Lei l'ha letto "Moby Dick" di H. Melville? Un grande romanzo, che affronta il problema del Male e del destino imperscrutabile dell'uomo.

Abbiamo sempre riconosciuto i meriti di Putin. Di fatto è un dittatore ma ha salvato la nazione dal caos postcomunista. Ha fatto scrivere nella Costituzione che il matrimonio è tra uomo e donna. Ha messo il nome di Dio nella costituzione (Dio in generale, con particolare riguardo alla tutela della Chiesa Ortodossa). Ha impedito il sordido circo equestre transgender e i matrimoni gay. Ma l'omosessualità resta legale, come l'aborto di Stato (l'URSS fu il primo paese a concederlo). Sembra anche, ho letto, che "l'utero in affitto" sia tuttora legale in Russia. Insomma, ci sono luci e ombre. Tra le ombre il trattamento subito dall'opposizione.
Allo stesso modo, le legittime esigenze difensive della Russia si mescolano alle sue aspirazioni imperialistiche, che sembrano essersi rinnovate in salsa "euro-asiatica".
L'eredità comunista ancora pesa in Russia. Del resto, il paese ha sempre avuto una forma autocratica di governo. Possiamo dire che oggi la riproponga in forma moderata, con Putin.
L 'attacco all'Ucraina, per come è stato impostato, mostrava di andare al di là di una semplice azione difensiva. Proprio sullo scacchiere ucraino le esigenze difensive si mescolano all'espansionismo moscovita tradizionale, che mira a occupare tutta l'Ucraina.