È cominciata la settimana santa della Rai, il Giubileo annuale della Televisione pubblica. Adveniat regnum, e Sanremo è arrivato. Ed io vi parlerò di Sanremo prescindendo totalmente dal festival, dallo spettacolo televisivo che vedrete, dalla rassegna canora che vi terrà impegnati per una sfilza di serate e dalla Rai che vive ormai tutto l’anno in funzione di questa festa patronale. Nulla da dire pro o contro Sanremo, pro o contro Carlo Conti che lo conduce, pro o contro la brigata di partner, cantanti e operatori a vario tipo collegati all’avvenimento nazionale. Stanco pure di ripetere che non si può vivere per mesi nell’attesa messianica dell’Evento, come fanno tg e reti Rai, spoilerarlo goccia a goccia, giorno dopo giorno, nel tentativo di farlo pregustare tramite un’infinita rete di aperitivi, bocconcini, annunci, intervistine fatue, riti propiziatori e mitizzazioni di passaggio per tenere tenere accesa l’attenzione e viva l’attesa, suscitando appetito e curiosità. C’era un dopo Festival, ora c’è pure un prima Festival, ma noi preferiamo da anni il durante Festival, nel senso che facciamo altro mentre Sanremo appare in visione agli italiani per una lunga settimana di passione prefabbricata. Qui condurrò meta-Sanremo e ve ne dirò i motivi.
Chiamandoci fuori dalla manifestazione e dallo schermo, perché allora parlarne, cosa vorremmo notare a proposito di Sanremo e oltre? Che è un evento esattamente uguale a se stesso e al tempo stesso impermeabile al mondo, ormai autarchico. In vent’anni abbiamo avuto una decina di governi di ogni tipo e di ogni versante: berlusconiano, centrosinistrorso, centrodestrorso, napoleonico renziano, mezzo sinistro, tecnico, misto tecnico, populista grilloleghista, trasformista grillo-sinistro, infine destrorso meloniaco. Ma Sanremo è lì, chiuso in se stesso, rocca impenetrabile, inscalfibile, inevitabile, uguale a se stesso mentre il potere è di volta in volta mutante. Non poté farci nulla nemmeno Berlusconi che era nemico oggettivo di Sanremo per ragioni di ascolti e concorrenza. Il festival di Sanremo è una specie di Costituzione Super Partes che resiste a tutte le intemperie e a tutte le variazioni atmosferiche di clima. La Meloni non può nulla su Sanremo, come nulla poterono i suoi predecessori, non si percepisce la sua presenza nemmeno di striscio, nella kermesse; non può mutarne la mission, la confezione, o se preferite la confettura; perché il festival ha una logica autoreferenziale che nessuno può distogliere o deviare. E quando qualcuno ha pensato di potersi identificare con Sanremo come accadde in passato al Re Baudo e più di recente ad Amadeus, è stato smentito, disarcionato e riportato a terra. Chi esce da Sanremo va verso il nulla, esce dal suo cono di luce ed entra nell’ombra; chi reputa di essere lo spirito di Sanremo, appena è fuori da Sanremo si spegne, crede di portarsi la palla con sé uscendo dal campo e invece senza di lui la partita, palla al centro, continua con altri arbitri e giocatori.
Sanremo si autoriproduce da sé, non ha nessun deus ex machina. Direttori, sindaci, regnanti, autori e cantanti non possono far nulla su Sanremo perché Sanremo è un’Entità a sé stante e trascende i suoi provvisori locatari e i suoi dignitari pro tempore. Forse un giorno arriverà anche qui l’Intelligenza Artificiale, Chatgpt e ogni altro marchingegno tecnologico, ma Sanremo funziona già come l’Intelligenza Artificiale al suo ultimo stadio, non risponde a nessuno se non a se stesso, si autorigenera con algoritmi che si autoriproducono; la sua sovranità è tautologica, come l’Uroboro, il serpente che si morde la coda e così chiude il circuito, senza ammettere intrusioni e interruzioni. Sanremo non ha inizio né fine, è un flusso increato.
Dicono che Sanremo potrebbe passare di mano, sfuggire alla Rai e sarebbe per l’azienda (ma anche per il comune) una sciagura terribile e forse un colpo mortale perché Sanremo non è della Rai ma la Rai è ormai di Sanremo, vive dentro il suo circolo vizioso e serpentino. Ma qualunque cosa sia o accada in proposito, Sanremo è ormai andato oltre la rappresentazione che un tempo definivamo l’autobiografia della nazione. Sanremo non è più lo specchio dell’Italia ma l’Italia è lo specchio di Sanremo, la sua continuazione con altri mezzi, la sua imitazione in prosa di quel che è la sua rappresentazione in canto. Il Paese è evaporato, resta la sua rassegna musicale che ne sostituisce l’identità raccogliendone l’eredità.
L’Italia perde giorno dopo giorno la sua identità collettiva, il senso della comune appartenenza; su piazza resta solo Sanremo, anche se la sua apoteosi dura una settimana e la sua comunità è in ogni senso aleatoria.
La politica stessa adotta ormai criteri di selezione e di gradimento che sono l’emulazione di quelli canori sanremesi; il presidente della repubblica deve prendere esempio dal conduttore di Sanremo per essere davvero il garante di tutti e l’arbitro supremo; e il fatto che Conti abbia dovuto dichiararsi antifascista e cattolico, come un qualsiasi Mattarella, dimostra il suo ruolo; anche se giusta ci è parsa la sua considerazione, “è una domanda anacronistica”, ovvero una domanda fuori tempo; ma non ha detto fuori luogo: se Sanremo prende il posto dell’Italia allora è conseguente che ne erediti pure gli annessi rituali e la loro retorica. A loro volta i cantanti si presentano come leader di target musicali come i politici sono leader di partiti; ne imitano lo stile, la mimica, i messaggi, il sound.
Sanremo fa le veci della Nazione; è il surrogato della piazza, il sostituto dell’istituzione, il luogo dove si celebra l’unione di popolo ed élite, altrove fallita, nella versione di pubblico e cantanti, follower e influencer. Ci sono riti appositi, anche nelle strade adiacenti al teatro, per segnare la simbiosi tra pubblico dell’Ariston e aristoi, detti artisti; o tra popolo e pop-star. Inutile dunque parlare della rassegna musicale, meglio concentrarsi sul suo regime. Sanremo è l’Italia, una repubblica fondata sul canoro.
La Verità – 12 febbraio 2024
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