Leggiamo su La Verità di oggi: "Sapete chi finanzia l’associazione che ha denunciato Giorgia Meloni e i suoi ministri alla Corte penale dell’Aia per il caso Almasri? George Soros, accolto col tappeto rosso da Gentiloni e dai sinistri, da sempre anti-italiani. Sì, è proprio lui, o meglio la sua fondazione, a staccare gli assegni che servono a sostenere Front-Lex, il gruppo di legali che si occupa di difendere i migranti e di accusare i politici che si oppongono all’invasione." Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica.
Fine del globalismo?
Rispetto a quanto sta accadendo in seguito all’elezione di Trump molti non riescono a fare a meno di esprimere un atteggiamento da stadio, pro o contro che sia, non riuscendo quindi a centrare la questione di fondo, che non è se Trump sia migliore di Biden o viceversa. Quella in corso è una feroce lotta tra due fazioni di potere, comunque interne al mondo del capitale, ma il cui esito non è ininfluente per i destini dei popoli.
Con Trump si è avviato un corso nuovo, quella disarticolazione del campo occidentale per come finora lo abbiamo conosciuto. Fintanto che comandavano i dem alla casa bianca c’era un blocco atlantista che vedeva convergere in pieno eurocrati di Bruxelles e americani, su tutte le questioni, a partire dalla guerra per finire alla transizione verde, passando per le follie woke. Con i “progressisti” a gongolare. Poi arriva Trump, con tutte le sue stramperie, ma con l’intenzione seria di smantellare gli apparati “globalisti”, e finisce la luna di miele con i vertici Ue.
Adesso, non deve interessarci se questo accade per mire che non sono umanitarie o sociali, il fatto è che questo nuovo scenario apre una serie di contraddizioni che, oggettivamente, favoriscono nuovi orizzonti. Liberano cioè il cielo da quella cappa oppressiva e irrespirabile sotto la quale non si poteva che respirare affannosamente.
I dem nostrani, tutti in coro, a partire dal presidente Mattarella, sembra abbiano scoperto ora i pericoli della tecnocrazia incarnata da Musk. Ma finora dov’erano? Sta di fatto che la nuova amministrazione sta smantellando l’enorme apparato di potere dell’USAID (Agenzia degli Usa per lo Sviluppo internazionale), e vengono chiaramente resi pubblici rapporti interni di questo potente organismo che prima erano secretati. Per esempio (dati ripresi dal post di oggi di Andrea Zhok), nel 2023 erano in busta paga USAID 6.200 giornalisti in varie parti del mondo (naturalmente a sostegno della libertà di stampa), 702 testate appartenenti a NGO (ong), 279 “organizzazioni della società civile operanti nel settore dei media”. Ancora, USAID è direttamente coinvolta nel finanziamento di NGO e media che hanno aizzato la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia (2003), la “Rivoluzione arancione” in Ucraina (2004), la “Rivoluzione dei tulipani” in Kyrghizistan (2005)…
Non è da poco che Trump terremoti quel covo di interessi subordinato alle multinazionali del farmaco come l’OMS (per questo Biden poche ore prima della consegna dei poteri concedeva all’immunologo Anthony Fauci la “grazia preventiva”?). E non è un caso che nasca una rivista scientifica internazionale (“The Journal of The Accademy of Pubblic Heart”), un consesso di scienziati che hanno sfidato i governi facendo sentire la voce della scienza non al guinzaglio di Big Pharma durante la pandemia, dimostrando la base non scientifica di molte misure adottate.
Questa lunga premessa per dire che la Storia riprende la sua marcia, che non è finita (vero, Fukuyama?), che tutto si rimette in moto. Finisce il globalismo? Ci rifletto su e scrivo quanto segue.
Non bisogna essere marxiani (non marziani) per sostenere che l’ideologia non è semplicemente un semplice sistema di idee ma un apparato di idee, oggi molto più complesso che nel passato, che una classe dominante utilizza per puntellare il suo dominio nella società. Marx usò la parola ideologia in senso negativo (falsa coscienza). Le idee in generale, sosteneva Marx, non sono figlie del vento, non nascono spontaneamente nella testa degli uomini, ma sono determinate, in ultima istanza, dalle condizioni sociali, dai rapporti sociali nei quali gli uomini sono inseriti. Rapporti sociali, non semplicemente dalla base economica. L’ideologia, come apparato, come qualsiasi apparato, funziona fintantoché il sistema di cui è espressione è vivo e trae la sua ragion d’essere, la sua forza, dalla capacità di rinnovarsi senza particolari difficoltà.
Spesso si confonde globalismo con globalizzazione, con i fautori di questa “confusione” (ideologicamente connotata) a sostenere (giustamente) che la tendenza a stabilire rapporti commerciali, tecnologici, culturali, politici a livello globale è una costante della Storia, con periodi in cui essa ha avuto accelerazioni altri invece in cui ha registrato rallentamenti. Ma il globalismo è qualcos’altro, va oltre il dato economico della proiezione dei commerci su scala globale, è l’ideologia della globalizzazione nello stadio avanzato della supremazia assoluta del capitale finanziario su quello industriale.
Il globalismo è il figlio del capitale finanziario allo stadio più avanzato, stadio in cui il valore della produzione di beni immateriali prevale su quella di beni materiali, ed è proprio questa sua natura, l’essere non vincolato a un luogo fisico, a fargli vivere la territorialità come camicia di forza: i limiti posti dai confini, dagli stati-nazione, dalle identità culturali, sociali, religiose, sessuali infatti delimitano e costringono ad ambiti predefiniti, rappresentano ostacoli al suo pieno dispiegamento.
Il liberismo capitalistico delle grandi potenze ha sempre teso a imporre con il ricatto economico, e se non bastava con la guerra, la libera circolazione delle sue merci nella nazione nella quale intendeva aprirsi un mercato. Facciamo un esempio storico, emblematico, che ci dice dell’infamia con la quale la democrazia liberale britannica ha trattato i popoli colonizzati. Il Regno Unito scatenò due guerre contro l’Impero cinese (sottoposto al controllo militare e commerciale della Compagnia britannica delle Indie orientali) nell’800: la prima dal 1839 al 1842, la seconda dal 1856 al 1860. Motivo? L’impero cinese si rifiutava di accettare la libera circolazione dell’oppio fortemente voluta dalla Compagnia britannica. Vinse la democrazia della libera circolazione. Oppio alé!
Ma il globalismo va oltre l’imposizione di merci e capitali, il suo chiodo fisso è entrare nella mente, pervadere gli spazi interiori dell’individuo, imporgli il suo immaginario, i suoi dis/valori, stravolgergli l’eterna percezione del mondo trasmessa attraverso la tradizione, renderlo insicuro di qualsiasi appartenenza, sottrarlo a qualsiasi riferimento identitario, tutto ciò per rendergli superflua la stessa idea di esistenza. Un’esistenza da vivere solo fin quando produce desideri alterati, oppiati, magicamente considerati diritti, poi quando la fase desiderante smette, non produce più consumo allucinato e allucinante, ricorrere all’ultimo sacro diritto, eutanasizzarsi.
L’ideologia globalista lavora alacremente per destrutturare, cancellare, azzerare ogni tipo di vincolo non condizionato dall’intervento della macchina desiderante, al fine di rendere l’individuo incapace di cogliere il nesso tra cose e concetti, incapace di discernere il bene dal male, il vero dal falso. L’ideologia globalista impone il rispetto delle diversità, apparentemente cosa buona e giusta, ma che tradotto nella lingua di sempre significa negazione del rapporto di realtà. Per cui diventa irreale accettare il fatto che un ginecologo francese si rifiuti di visitare un trans, con tanto di attributi maschili, solo perché questo si percepisce donna. Vale a nulla che lo stesso medico ricordi che la ginecologia è una specialità medica dedicata allo studio dell’organismo femminile. In ossequio alla religione trans deve essere punito, sospeso.
L’ideologia globalista interviene ovunque si presenti l’occasione di stravolgere, a favore delle sue multinazionali di riferimento, costumi e tradizioni, compresa l’arroganza di imporre la sua alimentazione, naturalmente sostenibile. E quindi “farina” di grilli, carne sintetica e altre prelibatezze, offerte sul mercato dagli epigoni della vecchia compagnia delle indie orientali.
Il globalismo produce un apparato ideologico a sostengo della necessità di scavalcare qualsiasi confine: il confine, sia esso geografico, morale, biologico, naturale è di ostacolo alla sua espansione. Il globalismo, per definizione, è “no borders”. Con i fessi che amano sentirsi fighi e solidali, a scimmiottare. L’ideologia globalista è quindi cosmopolita. Altra cosa dall’internazionalismo, almeno se s’intende con questo termine la propensione dei popoli a stabilire rapporti solidali e fraterni, quindi di pace. È per la società calderone (melting pot) in cui le singolarità razziali, nazionali, culturali, religiose, sessuali vanno a sfumarsi fino a cancellarsi del tutto e diventare un tutto indistinto, appunto il calderone. È per lo sradicamento. Per la fluidità. Come fluida deve essere la circolazione di merci, capitali e persone.
Ecco perché l’ideologia globalista ha martellato, attraverso i suoi cantori arcobalenici, affinché si riducessero, fino alla cancellazione, le differenze, le identità. Si cancellasse la Storia (cancel culture), nell’elogio di un eterno presente purificato dalle ingiustizie/discriminazioni del passato. Si producesse l’idea del superamento della distinzione (binaria!) tra maschio e femmina per cui la normale e naturale eterosessualità diventa colpa di cui vergognarsi e pentirsi. Si concepisse l’idea del superamento di ogni limite che pone argini a superbia e tracotanza umane (transumanesimo), nell’orgiastica pretesa di modificare la naturale riproduzione umana con l’utero in affitto, in attesa dell’ectogenesi (sviluppo dell’embrione all’interno di un utero artificiale), realizzando così il sogno nichilistico della “buona nascita” (eugenetica).
L’ideologia globalista mira quindi a sovvertire l’ordine naturale delle cose, a demonizzare la normalità, a sostituire il mondo della vita con quello virtuale, a scambiare la realtà delle cose con il miraggio che abbacìna, a imporre la sua cupa, dissoluta (nel senso di sciolta, libera da ogni freno, da ogni remora morale), necrofora distopia del diritto eutanasico, addirittura da iscrivere nelle costituzioni insieme al diritto all’interruzione della gravidanza.
L’ideologia globalista persegue l’obiettivo della liquefazione, della fluidificazione, della transficazione dei rapporti umani. È l’ideologia che, in piena euforia superomistica, ardisce pensarsi come motore, creatore del mondo, regolatore delle leggi dell’universo al punto da ritenersi responsabile di ciò che in esso accade, dimenticandosi dell’imperscrutabilità. E in eccesso di tracotanza (hybris) addirittura a convincersi della responsabilità umana nei cambiamenti climatici (altra cosa da inquinamento e deterioramento ambientale), colpevolmente ignorando che questi hanno costantemente denotato il succedersi di ere e periodi (era glaciale, periodo caldo romano…), senza incomodare eoni e super eoni, nei soli quattro miliardi e mezzo di vita del nostro beneamato pianeta.
Il globalismo è un’ideologia che pialla le differenze e le identità anche sul piano linguistico, perciò quell’ossessione maniacale sulla modificazione della morfologia delle parole, dei pronomi, delle espressioni verbali. Un viaggio tutto compreso, un pacchetto, con quel suo Politicamente Corretto che non riguarda solo le espressioni verbali ma è il viatico per il paradiso dei giusti.
Ma scorrono le ere, i periodi e le epoche, scorrono pure le ideologie. Perché esse, non dimentichiamolo, non vivono di vita propria, ma succhiano il latte alle condizioni storico-sociali nelle quali si riproducono. Ed ora, in cui sembra che si stia producendo un sommovimento generale per cui ci troviamo nel bel mezzo di un gran casino, in cui vengono al pettine le mille contraddizioni della libertà totale, assoluta, per cui sembra che la libera circolazione non è un bene in sé, che addirittura si ripresenta l’antica parola dazio, ecco che tutto questo sembra poter aprire la via anche all’esaurimento della spinta “propulsiva” del globalismo, con tutte le sue distopiche verità.
Ci troviamo a vivere questa fase. Caotica, contradditoria, per certi versi allarmante. Ma almeno sembra che ritorni la realtà. Quella per cui possiamo dire pane per intendere pane, vino per intendere vino e possiamo affermare tranquillamente che l’erba è verde senza sguainare nessuna spada, eppure che maschio è maschio e femmina è femmina.
Non è tutto, ma è la precondizione perché si possa tornare alla concretezza, a pensare a come definire percorsi di giustizia sociale e di pace tra i popoli.
Antonio Catalano, 7 febbraio 2025
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