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venerdì 5 giugno 2015

Isis a Palmira, la scrittrice siriana Randa Kassis all'Huffpost: "Il mondo ci aiuti: fermiamo i criminali jihadisti"

"Oggi più che mai la priorità assoluta è combattere lo Stato islamico. Il mondo inorridisce di fronte alla possibile distruzione di Palmira, ma accanto a quelle rovine millenarie, patrimonio culturale dell'umanità, che quei terroristi criminali potrebbero far scomparire, ci sono allineati i corpi massacrati di quattrocento esseri umani, molti dei quali donne e bambini, trucidati dai miliziani di al-Baghdadi. Non basta versare lacrime per quei morti innocenti, il mondo libero ha il dovere di agire, non solo intensificando i raid aerei contro l'Isis ma anche riarmando le milizie curde, le uniche oggi in grado, in Siria come in Iraq, di contrastare e sconfiggere lo Stato islamico". A sostenerlo, in un'intervista esclusiva concessa all'Huffington Post, è una delle oppositrici storiche al regime di Bashar al-Assad, paladina dei diritti umani, antropologa, scrittrice e presidente-fondatrice del Movimento per una società pluralista. Il suo nome è Randa Kassis, 46 anni, di origine cristiana, simbolo della Siria laica, e il suo ultimo libro, già edito in Francia, racchiude nel suo titolo il dramma che investe il suo Paese: "Il caos siriano".

Il mondo è sotto choc per le notizie che ogni giorno giungono dalla martoriata Siria: su Palmira sventola la bandiera nera dello Stato islamico, le esecuzioni di massa della popolazione civile si susseguono senza soluzione di continuità, ma una parte dell'opposizione non jihadista pone come pregiudiziale per avviare un negoziato l'uscita di scena del presidente Assad. Qual è in merito la sua posizione?
Ciò che conta oggi più di ogni altra cosa è individuare la minaccia più grave per la Siria e il suo popolo. Ciò che conta di più è indicare la priorità assoluta su cui investire ogni energia: per quanto mi riguarda, ma non sono certo la sola a pensarla così, oggi la priorità assoluta è combattere lo Stato islamico: ciò che questi criminali stanno consumando nel mio Paese è qualcosa che va oltre ogni immaginazione: non è solo pulizia etnica, è anche un "genocidio culturale", è ridurre le donne in schiave sessuali, in merce di scambio".

E Assad?
Non sarò certo io a sminuire le sue responsabilità, l'ho fatto in tempi non sospetti mentre altri preferivano il silenzio. Ma occorre prendere atto che Assad non è disposto a prendere la via dell'esilio, e dunque solo coinvolgendo la Russia sarà possibile uscire dallo stallo e provare a vedere una luce in fondo al tunnel. Si tratta di individuare un compromesso condivisibile e portare ad un tavolo internazionale tutti gli attori che possono contribuire a dare un futuro normale al mio Paese. Ma questa prospettiva è tutta da costruire, oggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, l'obiettivo fondamentale è combattere lo Stato islamico.

Combatterlo ma in che modo. Nel suo libro, lei avanza anche delle proposte
La Coalizione internazionale messa assieme dagli Stati Uniti deve intensificare i raid aerei contro le milizie e le postazioni dell'Isis e, al tempo stesso, sostenere massicciamente i combattenti curdi. Si tratta di agire su due piani: nell'immediato, come ho detto, si tratta di rafforzare le capacità militari dei resistenti curdi, dotandoli di armamenti pesanti, coordinando la loro azione da terra con i raid aerei della Coalizione. In un secondo tempo, occorrerà avviare dei negoziati globali tra le forze di opposizione e il regime di Assad. E perché questo possa determinarsi, è fondamentale la mediazione di Mosca. Mi auguro che l'Occidente sostenga questa linea.

Una linea, quella da lei auspicata, che si scontra con quella propugnata da uno di Paesi-chiave oggi sullo scacchiere mediorientale, e in particolare su quello siriano: la Turchia. Come valuta l'atteggiamento fin qui tenuto da Ankara?
Il mio giudizio è assolutamente negativo. La Turchia di Erdogan ha mostrato la sua ostilità verso tutti i piani di pace per la Siria. Non solo. In tutti questi anni, la Turchia ha facilitato il passaggio di centinaia di jihadisti. L'immagine più vergognosa, quella che sintetizza al meglio, il ruolo della Turchia, è quella dei carri armati fermi alla frontiera con la Turchia, mentre nella vicina Kobane, i guerriglieri curdi combattevano da soli contro i miliziani dello Stato islamico. Per Erdogan la priorità non è sconfiggere al-Baghdadi e porre fine all'avanzata dell'Isis, con tutto ciò che essa comporta in termini di distruzione e morte. Per Erdogan il fine da perseguire è quello di eliminare il suo nemico principale, e un tempo sodale, Bashar al-Assad, e se per raggiungere questo fine occorre rafforzare al-Qaeda o l'Isis, nessun problema! E questo calcolo scellerato viene fatto da un Paese che fa ancora parte della Nato. 

Lei ha lanciato una pesante accusa nei confronti della Turchia e del suo presidente. Ma sullo scenario siriano si muovono anche altri soggetti esterni.
Purtroppo è la verità. Penso alle petromonarchie del Golfo, in particolare il Qatar e il Kuwait, ma anche i principi sauditi, che hanno finanziato molti gruppi radicali in Siria. Questi Paesi hanno squalificato l'opposizione armata siriana e hanno reso le innumerevoli fazioni armate del tutto dipendenti da monarchie corrotte che armano anche i gruppi jihadisti. Il risultato è che i ribelli armati sono diventati ostili al principio stesso di Stato-nazione, adottando l'ideologia salafita che aspira a edificare l'"Umma Islamiya" (la nazione islamica) senza frontiere. Questa visione del mondo è fortemente influenzata dal wahabismo saudita che cerca di imporre la sua visione iper tradizionalista, e oscurantista dell'Islam al mondo. Il futuro della Siria deve essere nelle mani dei siriani, e questo discorso, per intenderci, vale anche per l'Iran (sostenitore di Assad, ndr).

Lei è stata per diverso tempo una delle figure di primo piano della Coalizione nazionale siriana, salvo poi uscirne per dare vita al Movimento per una società pluralista. Cosa l'ha spinta a questa scelta?
La constatazione, amara, che la Coalizione era sempre più influenzata da componenti islamiste e, per altri versi, ciò che non mi trovava d'accordo era che le linee di azione, oltre che la leadership, fossero decise dall'esterno. Un movimento che vuole salvaguardare la sovranità nazionale non può accettare di essere eterodiretto, non importa da chi. Credo sempre nella necessità di trovare un punto d'incontro, una piattaforma comune tra le forze di opposizione, ma al tempo stesso continuo a credere, e battermi, perché la "nuova Siria" sia davvero un Paese aperto, uno Stato rispettoso dei diritti di ogni sua comunità. Lo dico da siriana e da cristiana".

Intanto, la Siria muore. Il bilancio di oltre quattro anni di guerra si fa di giorno in giorno sempre più tragico, devastante. 
E' una situazione drammatica, sconvolgente, la più grande tragedia umanitaria dal dopoguerra ad oggi. Oltre 4 milioni di siriani sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, a fuggire da villaggi e città ridotti a un cumulo di macerie. E' da tempo che la comunità internazionale avrebbe dovuto assumere la sua parte di responsabilità, determinando, ad esempio, l'apertura di corridoi umanitari, cosa che non è avvenuta, e così la mia gente continua a morire o a fuggire.

Cosa intende per una Siria pluralista, soprattutto in termini statuali, guardando anche a ciò che avviene in altri Paesi arabi del Medio Oriente?
Penso ad una netta separazione tra Stato e Religione: quello che dovrebbe unirci è anzitutto sentirsi "siriani", prima ancora che musulmani, cristiani, arabi e curdi. A unirci non dovrebbe essere un'appartenenza etnico-religiosa ma la condivisione di valori universali come la secolarizzazione e la democrazia. Dobbiamo essere contro tutti i totalitarismi sotto qualsiasi forma o ideologia essi si manifestino, compresa quella islamista. So bene che far vivere questa idea di Siria sarà un lavoro difficile e di lunga durata. La guerra ha creato fratture all'interno della società che per essere ricomposte ci vorranno generazioni. Oggi, chiunque è portatore di una visione, di una proposta diversa da quella di altri, viene subito considerato un nemico o un agente al servizio di questo o quello. Ecco perché ritengo di fondamentale importanza un lavoro culturale che vada nella direzione di affermare una cultura della solidarietà e dell'accettazione dell'altro da sé, considerando le differenze non come una minaccia bensì come un arricchimento per tutto il popolo.

La forza di Assad sta anche nel suo stretto legame di appartenenza con gli alawiti, che non solo i miliziani sunniti dello Stato islamico ma anche parti importanti dell'opposizione ad Assad considerano complici del regime. Lei invece è per il dialogo.
Lo sono per una duplice ragione, una di natura tattica e l'altra legata a quella visione della "nuova Siria" a cui ho fatto in precedenza riferimento. Quanto alla tattica, è fuori dubbio che se si vuole davvero isolare e indebolire il "clan Assad" occorre essere consapevoli che senza una defezione degli alawiti dal "clan Assad", la guerra civile nel mio Paese non avrà mai fine.

In ultimo vorrei tornare sullo scenario diplomatico. A differenza della Cns, lei sostiene la necessità di coinvolgere la Russia in un'opera di mediazione. Ma Mosca ha fin qui sostenuto il regime di Assad.
Così come altri Paesi hanno fomentato i gruppi islamisti più radicali. Nessuno, certamente non io, sottovaluta le responsabilità di Assad, ma nessuno, se non al-Baghdadi, può coltivare l'illusione di poter risolvere militarmente la situazione. Occorre ricercare un compromesso che porti alla liberazione dei prigionieri politici e ad altri gesti concreti che vadano nella direzione di una vera riconciliazione nazionale. In questo, il ruolo della Russia è innegabile, come quello dell'Europa, degli Stati Uniti e dei Paesi della regione. Mi lasci aggiungere un'ultima cosa: ormai in Siria non c'è famiglia che non abbia un lutto al proprio interno. Ma se vogliamo dare un futuro a questo straordinario popolo, se intendiamo mantenere ancora unita la Siria, dobbiamo chiedere giustizia e non praticare la vendetta, imparando anche la lezione irachena: abbattere un tiranno non deve portare alla distruzione degli apparati dello Stato o dell'esercito. Ciò che è avvenuto in Iraq ci deve essere d'insegnamento: fare tabula rasa apre solo la strada alla disgregazione e all'affermarsi di milizie e tribù.

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