Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 19 dicembre 2018

Spe salvi, un'enciclica deludente

Riceviamo e riportiamo di seguito un articolo, pubblicato su Sì sì no no n. 5 del 15 marzo 2008, interessante per il nostro approfondimento. Tutto quanto è basato sull'insegnamento costante della Chiesa non perde mai di attualità. 

Da fedele lettore di Sì sì no no, vorrei chiedervi di lasciarmi esprimere il mio argomentato disappunto per la recente Enciclica del Pontefice attualmente regnante, la Spe Salvi, del 30 novembre 2007.
Quest’Enciclica tratta il tema fondamentale della “speranza cristiana”, che è speranza nella vita eterna, promessa da Cristo a chi lo ama e ne segue gli insegnamenti.  L’Enciclica ricava il suo titolo da un noto passo di S. Paolo: “Spe salvi facti sumus”: “nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24).  In questo documento ha colpito molti il fatto, indubbiamente positivo, che il Papa non abbia citato una sola volta il Concilio ecumenico Vaticano II.  Inoltre, che egli abbia criticato diversi aspetti del pensiero moderno e contemporaneo.  A ciò, aggiungo il fatto che egli abbia utilizzato ampiamente le Lettere di S. Paolo ed i Padri della Chiesa nell’ambito del suo discorso: S. Paolo, in particolare, messo da parte dopo il Vaticano II perché chiaramente incompatibile con il “dialogo ecumenico”.
Dal punto di vista dell’uso delle fonti, mi sembra dunque che l’Enciclica segni un incoraggiante ritorno alla Tradizione. Tutti questi aspetti non sono tuttavia sufficienti, a mio avviso, per darne un giudizio complessivamente positivo.  Per quanto riguarda l’assenza di riferimenti al Vaticano II, dalla quale alcuni sembrano trarre ottimistici auspici per l’inizio di un “superamento” di quell’esiziale Concilio, faccio osservare che i testi di quelle Assise non danno in verità particolare spazio al tema della “speranza cristiana”, tutti presi come sono dal desiderio di “dialogare” con i valori del mondo.

Quattro osservazioni critiche
E con questo vengo alla prima osservazione critica nei confronti dell’Enciclica: mi sembra che anche in essa manchi la dimensione sovrannaturale dell’autentica speranza cristiana. Seconda osservazione:  il documento pontificio sembra accettare l’idea assurda (di de Lubac e compagni, succubi dell’errore millenarista) secondo la quale la concezione cattolica della salvezza sarebbe stata presso S. Paolo e i Padri “comunitaria” per essere poi progressivamente travisata in una concezione “individualistica”, che l’avrebbe ridotta egoisticamente a mera salvezza “individuale” (Spe Salvi, parr. 13-15. Cito dall’ediz. della LEV, 2007). Nel par. 14, l’Enciclica loda apertamente l’interpretazione di de Lubac, sforzandosi nel prosieguo di correggere questo supposto “individualismo” nel modo opportuno, cercando cioè di trovare (mi sembra) il giusto equilibrio tra concezione comunitaria ed individuale della salvezza!  Come a dire:  tra la nouvelle théologie ed il dogma della fede!
In terzo luogo, mi sembra che la speranza della salvezza sia vista dal Papa soprattutto dal lato dell’esperienza interiore del soggetto (in quanto essa corrisponda ad un bisogno esistenziale del soggetto stesso) più che dal lato della Verità rivelata, la quale ci insegna che la salvezza della nostra anima individuale è una realtà obiettiva, stabilita da Dio, che si attuerà nella Visione Beatifica, ma solo per chi avrà creduto in Nostro Signore e sarà morto in Grazia di Dio.
Il discorso sulla “speranza cristiana” comporta l’esposizione della dottrina dei Novissimi.  E siffatta esposizione – questa è la quarta osservazione – mi sembra piuttosto ambigua.  Né il Paradiso né l’Inferno vi appaiono mai come risultano dalla Scrittura, dalla Tradizione, in definitiva dalla dottrina della Chiesa, che li ha sempre rappresentati come luoghi sovrannaturali del tutto concreti, già predisposti dal Padre, dove l’anima viene mandata dopo esser stata giudicata da Nostro Signore subito dopo la morte, in attesa di riunirsi per sempre al corpo, dopo il Giudizio Universale, che confermerà il giudizio impartito individualmente a ciascuno.
Per Benedetto XVI la speranza della nostra fede è soprattutto quella di essere “attesi dall’Amore di Dio” (par. 3). Concetto sicuramente ortodosso.  Ma bisogna vedere come viene utilizzato. Questo “incontro”  con l’Amore di Dio, che ci attende, dovrebbe esser tale da “trasformare la nostra vita così da farci sentire redenti mediante la speranza che esso [incontro] esprime” (par. 4). Si nota subito che la “redenzione” è presentata in funzione di un bisogno interiore di redenzione da parte dell’individuo, più che come una realtà obiettiva, di origine sovrannaturale, perché consegue alla Croce e alla Resurrezione di Nostro Signore. In realtà, importa poco che noi ci si senta “redenti” o meno. Del resto, quale cattolico può effettivamente sentirsi “redento”? Ciò che importa non è la nostra disposizione personale verso l’idea della redenzione bensì di esser effettivamente redenti, ossia di conseguire la salvezza, alla fine della nostra vita terrena.  Ma realizzare quest’obiettivo, ci dice la Rivelazione e quindi la dottrina della Chiesa, non è possibile se noi non abbiamo la fede in Nostro Signore e non viviamo secondo i Suoi comandamenti. Insomma, la Redenzione, come salvezza effettiva della nostra anima, non è possibile al di fuori della Chiesa. Non mi sembra che la redenzione venga presentata in questo modo nell’Enciclica.

Una nozione esistenziale della “vita eterna”
E della “vita eterna”, l’Enciclica che nozione dà?
Nei parr. 10-12 il Papa pone la domanda:  “la vita eterna – che cos’è?”.  Ci si aspetterebbe invano una risposta chiara e precisa, conforme alla dottrina di sempre: è la vita nella quale gli Eletti sono come gli Angeli del Signore, immersi per sempre nella beatitudine della Visione Beatifica. Egli inizia il discorso partendo da ciò che l’individuo crede possa essere la vita eterna, se la voglia veramente, se non la voglia... Sappiamo che la vita di tutti i giorni è insufficiente e sentiamo che deve in qualche modo esistere un’altra vita, ma non sappiamo quale (parr. 10-11).  Queste riflessioni sono condotte su testi di S. Ambrogio e  S. Agostino, nei quali i due Padri della Chiesa descrivono l’incertezza con la quale i figli del Secolo si rappresentano un al di là di cui sentono confusamente l’esigenza, senza tuttavia credervi.  Ma a questa incertezza i Padri replicavano o no con la certezza della vita eterna promessa e garantita dal Risorto e raggiungibile (unicamente) mediante la fede e le opere in Lui?  Quest’ultimo aspetto non compare nella ricostruzione del Papa. Come commenta egli, infatti, la seguente frase di S. Ambrogio, nel discorso funebre per il defunto fratello Satiro:  “Non dev’essere pianta la morte, perché è causa di salvezza...” (par. 10)?  In questo singolare modo: “Qualunque cosa sant’Ambrogio intendesse dire precisamente con queste parole – è vero che l’eliminazione della morte o anche il suo rimando quasi illimitato metterebbe la terra e l’umanità in una condizione impossibile e non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio”(par. 11; corsivi miei).

Vero significato della frase di S. Ambrogio
Qualunque cosa” S. Ambrogio intendesse “precisamente” dire?  Ma ciò che egli intendeva dire era estremamente chiaro, direi:  la morte “è causa di salvezza” per noi credenti poiché tramite la morte ci togliamo finalmente dalle tribolazioni di questo mondo ed entriamo nella vita eterna, nella quale per sempre contempleremo Dio “faccia a faccia”, come dice S. Paolo. Per tal motivo i cristiani chiamavano giustamente la morte “dies natalis”, giorno della nostra (vera) nascita, perché nascita alla vita eterna, l’unica vera vita, per l’uomo.  La nostra “salvezza”, in senso concreto, materiale, cominciava dunque con la nostra morte, che ci sottraeva per sempre al Principe di questo mondo.  Per il peccatore impenitente, la morte è invece causa di perdizione, poiché egli se ne va all’eterna dannazione.  Questo significato oggettivamente salvifico della nostra morte, che ci aiuta a vincere la paura della morte (risultato dell’umana fragilità, prodotta a sua volta dal peccato originale) lo si ritrova già in S. Paolo.  Basti pensare al famoso passo della seconda lettera a Timoteo, nel quale egli preannuncia il proprio martirio e considera la morte l’agognato “discioglimento” dalle catene di questo mondo, per poter accedere finalmente al premio sempiterno.  “Quanto a me, già sono offerto in libagione, e il tempo del mio discioglimento è imminente (tempus resolutionis meae instat).  Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuto la mia carriera, ho conservato la fede; quel che resta, è pronta per me la corona della giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, il giusto giudice, e non solo a me ma a tutti quelli che amano la sua venuta” (2Tm 4, 6-7). Non solo per S. Paolo, ovviamente: per tutti i credenti, che abbiano perseverato sino alla fine nella “buona battaglia” contro se stessi e il mondo, la morte è “causa di salvezza”, “discioglimento” che li introduce alla vita eterna.  Non solo per S. Paolo, per tutti i veri credenti “la vita è Cristo, e il morire un guadagno” (Fil 2, 21), perché ci permette di congiungerci a Cristo, per sempre.  A questo “guadagno” imperituro pensava S. Ambrogio, nel passo citato dal Papa.

Una nozione più che altro filosofica della vita eterna
Concetti chiarissimi. Come appare, invece, la “vita eterna” nell’Enciclica, intesa sempre secondo le meditazioni esistenziali dell’individuo?  “La parola “vita eterna” cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta [conosciuta, nel senso che si sa dover esistere].  Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione.  “Eterno”, infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo” (par. 12).  Allora, come arrivare ad un concetto non contraddittorio?  Intendendo la vita eterna come “il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più.  Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione...” (par. 12).  Mi sembra questa una nozione filosofica di vita eterna, nella quale prevale l’idea della “gioia” che si proverà nel “sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere”: dell’essere, in generale, non di Dio. La citazione da S. Giovanni è utilizzata a sostegno di questa concezione, che mi sembra più plotiniana che cristiana.  E questo “sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere” sarà consentito a tutti, anche ai peccatori impenitenti?

“Kantismo” dell’Enciclica?
 Con quest’ultima affermazione voglio dire:  il suggerimento del Papa a pensare “in questa direzione” come si incontra con la concezione veramente cattolica della “vita eterna”? Si incontra veramente?   
La “grande speranza” dell’uomo, scrive Benedetto XVI, “può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere”.  Dio è dunque “il fondamento della speranza – non qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine:  ogni singolo e l’umanità nel suo insieme” (par. 31).  Siamo alla affermazione netta della natura soprannaturale del Regno di Dio e quindi della salvezza?  Così prosegue il Papa:  “Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge” (ivi).  Il Regno di Dio è dunque “presente”. Dove?  “Dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge”.  Nella nostra coscienza, allora?  Il Papa sembra voler rendere in tal modo il concetto espresso dalla famosa frase evangelica:  “Il Regno di Dio è dentro di voi”?  Prosegue infatti:  “Solo il suo amore ci dà la  possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto” (ivi).  Ma subito dopo soggiunge:  “E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo [la vita eterna] e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo:  la vita che è “veramente” vita” (ivi).
La “garanzia” dell’esistenza della vita eterna, al di là della vaga intuizione che la nostra mente può averne, è data, dunque, dall’Amore di Dio nei nostri confronti. Dalla Rivelazione, dunque?  Ma il Papa dice con chiarezza che questo “Amore di Dio” è certo per noi esclusivamente sulla base della Rivelazione? Secondo me, non lo dice. La speranza della salvezza, così delineata, resta allora un fatto dell’esperienza interiore dell’individuo, che postula come necessaria l’esistenza dell’Amore di Dio per credere alla realtà dell’oggetto di questa speranza.  Forse la mia conclusione è troppo “kantiana”?  Forza essa il pensiero del Papa?  Perché dico: “kantiana”?  Perché, nel discorso del Papa, l’Amore di Dio sembra esser concepito come idea necessaria al fine di credere all’esistenza della vita eterna, che quindi non risulterebbe in modo autonomo dalla Rivelazione. In modo simile, per Kant, l’esistenza di Dio è un’idea che la ragione richiede per poter legittimare l’esistenza della morale.  Il Dio di Kant non è il Dio vivente, è un’idea della ragione.  Ma nell’Enciclica, possiamo dire che l’idea di Dio in essa presente non sia quella del Dio vivente?  Nel par. 26 non dice forse il Papa che per mezzo di Cristo “siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana “causa prima” del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: - Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me – Gal 2, 20”? 
E tuttavia, accanto alla rappresentazione di Dio che appare come Dio vivente, alberga, secondo me, quella del Dio dei filosofi – non saprei come altro chiamarlo – costituita dall’idea di Dio che l’esperienza interiore dell’uomo postula come necessaria al fine di soddisfare le proprie esigenze spirituali, di amore, felicità, giustizia.

Natura incerta dei Novissimi, nell’Enciclica
Ciò, risulta, sempre a mio avviso, anche dalla parte finale del documento, nella quale il Pontefice ci spiega il significato di alcuni luoghi di “pratico apprendimento ed esercizio della speranza”.  Sorvolo sulla “preghiera” e sullo “agire e soffrire” come scuola della speranza e mi soffermo, invece, su “Il Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza”, che è la parte nella quale vengono per forza di cose trattati i Novissimi.
Il “Giudizio”, dunque. La speranza cristiana è anche “speranza nella giustizia di Dio” (par. 41).  Nel Giudizio c’è dunque lo “splendore della speranza”. Il Giudizio finale è “immagine della responsabilità per la nostra vita” (ivi).  Frase oscura, a mio avviso, anche perché il Giudizio non è una semplice “immagine della nostra responsabilità” ma la decisione infallibile del Giusto Giudice che stabilisce per sempre le nostre responsabilità, cioè le nostre colpe e i nostri meriti.  Ma, prosegue il Papa, l’iconografia ha dato, nel tempo, “sempre più risalto all’aspetto minaccioso e lugubre del Giudizio”, nascondendo quello della “speranza” (ivi). Il significato autentico del Giudizio sarebbe allora quello, a quanto sembra, della speranza, non quello “minaccioso e lugubre”.  Minaccioso e lugubre, perché?  Il Pontefice non lo dice.  Ma si capisce che si riferisce al giudizio dei dannati.
Nel Giudizio finale si attua comunque la giustizia divina. “Sì, esiste la risurrezione della carne.  Esiste una giustizia. Esiste la “revoca” della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto.  Per questo la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza [...] Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna.  Il bisogno soltanto individuale di un appagamento che in questa vita ci è negato, dell’immortalità dell’amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l’uomo sia fatto per l’eternità; ma solo in collegamento con l’impossibilità che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita” (par. 43).
La Parusia di Nostro Signore ed il Giudizio universale non sono allora da ritenersi “pienamente convincenti” sulla base della Scrittura, della dottrina della Chiesa?  Ed è in una Enciclica che dobbiamo trovare un’affermazione del genere?  E qual è l’argomento “pienamente convincente” per i figli del Secolo?  Sempre quello capace di soddisfare l’esigenza interiore dell’individuo, il quale, a dire del Papa, soffrirebbe nel vedere trionfare l’ingiustizia nella storia.  Per impedire questo trionfo, bisogna credere nella giustizia che “revocherà” la sofferenza passata e ristabilirà il diritto, alla resurrezione dei morti.  Certo, questo è un argomento a favore dell’esistenza di Dio:  vista l’ingiustizia che c’è sempre nel mondo, ci deve pur essere un Dio che un giorno rimetterà tutte le cose a posto. Che sia però l’argomento sul quale fondare, in modo “pienamente convincente”, la vera “speranza cristiana”, ciò è, a mio avviso, alquanto dubbio, dato che la “speranza cristiana” nella salvezza si fonda sui fatti testimoniati dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, e sugli insegnamenti della  Chiesa. La nostra speranza ha un fondamento oggettivo, sulla Verità rivelata, custodita nel deposito della fede. Un fondamento sovrannaturale. Non si basa sui cosiddetti bisogni spirituali dell’individuo, sulla sua soggettiva esperienza interiore, sempre alla ricerca di qualcosa che non trova.
 Se nel Giudizio si realizza la “speranza della giustizia”, sarà giusto o no che i malvagi (i peccatori impenitenti) vadano alla dannazione eterna? L’Enciclica non avrebbe dovuto, a questo punto, ribadire la dottrina tradizionale sull’Inferno, proprio per concludere in modo coerente la spiegazione dell’idea della “speranza della giustizia”?  E invece, niente. Il testo del Papa sembra proporre l’immagine del Giudizio come quella di una “speranza” possibilmente depurata dell’aspetto “minaccioso” e “lugubre”, cioè delle condanne alla dannazione eterna! Infatti, l’Enciclica interpreta la parabola del ricco epulone come se essa ci manifestasse l’esistenza del Purgatorio, non dell’Inferno (par. 44)!  Che esistano degli uomini peccatori, il documento non lo dice.  Non vi compare nemmeno il concetto del peccato, come concetto specifico.  E non vi compare nemmeno l’Inferno, che difatti non è il luogo dell’eterna dannazione (“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”, Inf., III, 8) ma il modo di essere di “persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore.  È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile:  è questo che si indica con la parola inferno” (par. 45).
Tutti salvi, allora? Leggiamo, infatti, che: “la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore [protesi, come?  Nell’intenzione?]. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male del mondo ed in noi” (par. 47).
Ringraziando per la cortese attenzione, porgo i miei più distinti saluti,
7 marzo 2008
PP

43 commenti:

Anonimo ha detto...

http://www.totustuus.it/vescovi-coraggiosi-andalusia-si-celebra-il-ribaltone-elettorale/

Anonimo ha detto...

Con tutto il rispetto, si evince dall'articolo la volontà di criticare "a prescindere". E questa inclinazione permea tutta quanta la critica.
Nel rispetto più profondo delle opinioni altrui, io credo che l'enciclica, letta senza pregiudizi - e non è certo questo, me ne scuso, non è un'offesa, il caso dell'autore dell'articolo - come quelli che risultano chiaramente dal tono di tutto scritto, vada dritta al punto.
Questo articolo, al cui autore io esprimo il mio massimo rispetto, pur non condividendo, sembra fatto sulla base di un ragionamento del tipo "vediamo come distruggere Benedetto XVI e mostrare che è un vaticansecondista tout court anche se si sa nascondere bene". E' un gioco che riesce con qualsiasi scritto: basta, come in questo caso, sovrapporre le proprie argomentazioni a quelle dell'estensore del documento e mostrare come quest'ultimo non soddisfi i preconcetti affermati.
Più che una critica ragionata, questo è un attacco di artiglieria di pregiudizi.
Absit injuria verbis
Dismas

lister ha detto...

@ Dismas
Non è che i suoi pregiudizi le impediscono di recepire serenamente i concetti espressi da PP?

mic ha detto...

Se quello di Dismas non fosse un pregiudizio, avrebbe mosso obiezioni ragionate e non un giudizio sommario.

irina ha detto...

L'altro giorno, per altri motivi, ho qui ricopiato un aspetto del modernista, il filosofo, che si trova nella Pascendi di S.S. PIO X, mentre leggevo il suo contributo, Professore, mi tornavano alla mente le caratteristiche del 'filosofo' modernista; e tra il suo contributo e le caratteristiche del 'filosofo modernista' della Pascendi si alzava un canto a più voci in canone. Ratzinger, come accade alla maggior parte degli esseri umani, è rimasto incantato davanti alla sua gioventù, alla sua primavera, ed a quella sempre ritorna, il modernismo. Radaelli spera di farlo ravvedere, adesso credo che bisognerebbe disincantarlo, tirarlo fuori dall'incantesimo, se qualcuno riuscisse a trovare la formula 'magica' del disincanto sono quasi certa che il gran castello di carte che copre lui, tantissimi altri e la stessa CHIESA, crollerebbe, dissolvendosi alla luce del sole.

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Finalmente si dicono le cose come stanno anche nei confronti di Ratzinger!
Le vedove ratzingeriane si lamenteranno, ma articoli come questo e come quelli del Radaelli sono molto utili per "smascherare" chi non ha mai abbandonato del tutto il modernismo.

Andrea M. ha detto...

La salvezza collettiva secondo Henri de Lubac

Il teologo francese apprezzato in Spes salvi ha in effetti reinterpretato il dogma «fuori dalla Chiesa non v’è salvezza», invocando una salvezza collettiva: non v’è salvezza per l’individuo senza una comunità di salvezza. Cosa che sarebbe del tutto tradizionale, se non fosse che tutto si limiterebbe a questo. Non sarebbe necessario che ciascuno degli infedeli entri un bel giorno nel seno della Chiesa, basterebbe che tutti e ciascuno facciano parte dell’umanità che è sulla strada dell’unità grazie al cristianesimo:


In che modo, dunque, vi sarebbe una salvezza per i membri se per assurdo il corpo non fosse anch’esso salvo? Ma la salvezza per questo corpo – per l’umanità – consiste nel ricevere la forma di Cristo, e questo si fa solo per mezzo della Chiesa cattolica. […] Non è essa, infine, cha ha il compito di realizzare l’unificazione spirituale di tutti gli uomini, nei termini in cui essi vi si prestano? Così, questa Chiesa, che come corpo invisibile di Cristo si identifica con la salvezza finale, in quanto istituzione visibile e storica è il mezzo provvidenziale di questa salvezza. «Solo in essa si rifà e si ricrea il genere umano» (Sant’Agostino, ep. 118, n° 33, PL 33, 448) (216).

Sant’Agostino, però, non parla di unità del genere umano, ma della sua ricreazione, il che non è una semplice sfumatura. Significa forse che il Padre de Lubac ritiene che sia più facile imprimere la forma di Cristo nell’insieme dell’umanità, piuttosto che imprimerla col battesimo in ognuna dei miliardi di anime da salvare? Sarebbe una brillante soluzione platonica. Un’altra soluzione, più elegante, è proposta dal sulfureo gesuita: ciascuno dei miliardi di esseri umani ha avuto ed ha ancora il suo ruolo nella preparazione evangelica dei secoli, malgrado il brancolare «di ricerche, di penose elaborazioni, di parziali anticipazioni, di giuste scoperte naturali e di soluzioni ancora imperfette» (p. 172). Queste pietre viventi dell’impalcatura per l’edificazione del corpo di Cristo non saranno rigettate «una volta ultimato l’edificio» (p. 172):

Provvidenzialmente indispensabili per l’edificazione del Corpo di Cristo, gli «infedeli» devono beneficiare a loro modo degli scambi vitali di questo Corpo. Per un’estensione del dogma della comunione dei santi, sembra dunque giusto pensare che, benché essi non siano di per sé posti nelle condizioni normali per la salvezza, potranno nondimeno ottenere questa salvezza in virtù dei legami misteriosi che li uniscono ai fedeli. In breve, essi potranno essere salvati perché fanno parte integrante dell’umanità che sarà salvata (217).

Questo non è più platonismo, è fantateologia: all’immaginaria preparazione evangelica nel paganesimo si attribuisce una virtù meritoria della grazia in favore degli oscuri artigiani di questa preparazione. Ma la ricompensa di un’immaginaria elaborazione potrà essere altro che una grazia altrettanto immaginaria?
La preoccupazione sentimentale di allargare la porta della salvezza, perché la Chiesa diviene piccolo gregge, fa vagabondare la ragione nell’immaginario.

216 - H. DE LUBAC, Catholicisme, les aspects sociaux du dogme, Cerf, 1938, pp. 164-165.
217 - H. DE LUBAC, Catholicisme, les aspects sociaux du dogme, Cerf, 1938, p. 173.

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV143_Tissier_La_fede_in_pericolo_0.html

Anonimo ha detto...

Sono al lavoro e non ho tempo di entrare nei particolari, Carissima Mic.
In un altro momento lo potrei fare. Conosco molto bene le critiche che si muovono a Benedetto XVI. Alcune sono giuste, altre molto meno. E questo articolo parte dando per scontate le critiche di Radaelli, che a mio avviso sono in parte condivisibili, ed in parte no.
Benedetto XVI è ancora vivo. Io sono comunque un uomo, caro Anonimo, e come tale in ogni caso non potrei essere una vedova di Ratzinger.
Al di là di tutto, penso che almeno un po' di riguardo e di affetto per la Messa Cattolica restituitaci dal Santo Padre andrebbero mantenuti.
Poi, se volete dire che il mio è un pregiudizio, fate pure. Attenzione però allo zelo amaro.
Felice Santo Natale.
Dismas

mic ha detto...

Questo articolo non dà per sontate le critiche di Radaelli. Risale al 2008, quindi le precede di molto....

Anonimo ha detto...

Tre sono le virtù teologali infuse in noi assieme alla grazia santificante: fede, speranza e carità. Tutte e tre hanno per oggetto Dio, ma di queste « la più grande è la carita' » (I Cor. 13, 13). Più grande, perchè senza carità non vi può essere vita cristiana; più grande, perchè non verrà mai meno, perchè è la forza unitiva che ci congiunge a Dio, perchè è una partecipazione di quella carità infinita che è Dio stesso. Infatti, al fariseo che l’interrogava sul massimo precetto della legge, Gesù ha risposto: « Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo comandamento » (Mt. 22, 37 e 38).
Quando la carità sarà in noi perfetta ci manterrà pienamente uniti a Dio e orienterà verso di lui tutte le nostre attività; quindi nella misura in cui un’anima è dominata dalla carità, è matura nella vita soprannaturale, è più o meno santa.
https://cordialiter.blogspot.com/2018/12/la-carita-essenza-della-santita.html

gianlub ha detto...

Molto meglio essere "vedove di Ratzinger" che "spose di Bergoglio", per lo meno ci si salva eternamente, cosa che è alquanto dubbia nel secondo caso

Catholicus.2 ha detto...

19 dicembre:

O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.

O Radice di Jesse,
che sei un segno per i popoli,
innanzi a te i re della terra non parlano,
e le nazioni ti acclamano:
vieni e liberaci,
non fare tardi.

Anonimo ha detto...


Mario Draghi si laureò nel 1970, alla Sapienza di Roma, sotto la guida del grande economista Federico Caffè, con una tesi intitolata: «Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio». In sostanza Draghi, con Caffè come relatore, sosteneva «che la moneta unica (europea) era una follia, una cosa assolutamente da non fare». La cosa deve imbarazzarlo, oggi che è presidente della Banca centrale europea, cioè “Mister Euro“, infatti quando gli viene ricordata la liquida con una battuta. Ma senza spiegare perché ha cambiato idea […]

A vent’anni dalla nascita dell’ euro è toccato proprio a Mario Draghi, l’altroieri, celebrare il funesto evento con una conferenza a Pisa. Ha affermato che «l’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista». Una perifrasi che, tradotta, significa: è stata per metà Europa una sciagura, ma non possiamo dirlo. Anche se la gente se n’è già accorta da sola, sulla propria pelle e sulle proprie tasche, come dimostra (dopo il disastro della Grecia) la sollevazione popolare in Francia e il voto del 4 marzo in Italia, dove vent’anni di moneta unica hanno prodotto milioni di poveri, ci hanno fatto perdere più del 20% di produzione industriale, hanno messo in ginocchio il ceto medio e hanno fatto sprofondare nella disoccupazione o nella sotto occupazione un’ intera generazione di giovani.

IL NUOVO MONTI – Per cascare in piedi, Draghi ha pure ammesso che il «successo» dell’euro tuttavia non ha «prodotto i risultati attesi in tutti i Paesi». L’ennesima perifrasi per dire che la Germania con l’euro ha fatto un affarone, mentre gli altri hanno preso il pacco. Peraltro proprio Draghi è tornato a parlare di uscita dall’ euro («uscire dall’ euro non garantisce più sovranità»). Ma non dicevano che era irreversibile?

Si può considerare il discorso di Draghi come sintomo della disperazione di una Ue che sta esplodendo. Ma è anche vero che il suo è stato un discorso da politico. E c’è chi, nel Palazzo, pensa a lui, presto in uscita dalla Bce, come a un nuovo Monti per “commissariare” il nostro Paese nei prossimi mesi. È più di un’ ipotesi ed è molto preoccupante.

di Antonio Socci
https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13411691/antonio-socci-mario-draghi-attacco-sovranismo-parla-da-premier-vogliono-commissariare-italia.html

ANSA ha detto...

La Commissione Ue ha deciso di non avviare la procedura per debito eccessivo nei confronti dell'Italia, dopo l'accordo raggiunto ieri con Bruxelles. Lo si è appreso da fonti Ue.

In sostanza, riferiscono le stesse fonti, la Commissione avrebbe deciso di soprassedere sull'avvio della procedura in attesa di ulteriori verifiche da compiere nelle prossime settimane per tornare poi a fare il punto della situazione a gennaio una volta che la legge di bilancio sarà stata approvata dal Parlamento.

"In queste settimane abbiamo lavorato per avvicinare le posizioni senza mai arretrare rispetto agli obiettivi che ci hanno dato gli italiani con il voto del 4 marzo". Lo ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Senato. Non abbiamo ceduto sui contenuti della manovra" ha aggiunto il premier, sottolineando che gli effetti della manovra sui conti pubblici saranno monitorati "in maniera rigorosa".

Bah ! ha detto...

Si avvicina il Natale , si puo' seguire da questo portale la S.Messa tridentina via streaming ?

Anonimo ha detto...

Cara Mic, l'articolo precede lo scritto di Radaelli, ma nella sostanza si trovano le radici di quanto viene detto. Non è una questione cronologica.
Un solo appunto e poi mi rimetto al lavoro
<>

Il bisogno interiore dell'uomo e la realtà sovrannaturale non sono affatto in contrasto. Per fortuna, anzi, vorrei dire, al bisogno interiore dell'uomo corrisponde la realtà sovrannaturale. Il resto, francamente, mi sembra tirato per i capelli.

Però esprimere un giudizio diverso su un articolo non dovrebbe essere cagione di essere tacciati di pregiudizi. Certo se il pregiudizio è l'affetto per Joseph Ratzinger, anche al di là di alcune sue espressione che possono suonare ambigue ...

Comunque, Felice Santo Natale a tutti
Dismas

Anonimo ha detto...

https://www.theologhia.com/2013/03/ratzinger-al-vaticano-ii.html
NON si vorrà accusare l'autore dell'articolo di voler criticare Ratzinger, dato che lo esalta come una mente del concilio…. Quindi le vedove ratzingeriane con i nondismas possono valutare da soli, la foto del Ratzinger al CVII con l'amico pure don, è esplicativo di suo, oltre al resto, nonché l'elenco degli amici eretici, da Congar a Frings a Rhaner e de Lubac…. Della serie se non sono apostati non li vogliamo.

Anonimo ha detto...


Quando è in ballo la salvezza bisogna metter da parte gli affetti e sentimenti, spesso
anche troppo umani

Bisogna invece concentrarsi sulla dottrina insegnata, avendo a che fare con un documento ufficiale del Magistero, non con opinioni personali di questo o quel Papa (che pure devono sempre esser dottrinalmente corrette). Se la dottrina non è buona non è buona nemmeno la pastorale e l'esperienza l'ha dimostrato a josa. Non insiste sempre san Paolo sulla correttezza assoluta della dottrina da insegnare? (2 Tm, 4; Tito, 2, 7: "mostra te stesso in tutto e per tutto come modello di opere buone: integrità nella dottrina, dignità, parola sana, irreprensibile..").
Purtroppo il nostro tempo è questo: ci impone il dovere di rilevare le ambiguità e gli errori presenti nell'insegnamento dei pastori, causa prima della spaventosa crisi della Chiesa. Chi trova che la critica a Ratzinger non è corretta, poiché essa si basa su argomenti di fatto cioè sull'analisi di alcuni suoi testi ufficiali, dovrebbe ribattere entrando nel merito delle questioni, argomentando contro quell'analisi e non ricorrendo a giudizi appunto "sommari".
PP

Anonimo ha detto...


L'approvazione CE della manovra però ancora non c'è.

Anonimo ha detto...

Fuori tema: in Oriente la spaccatura si allarga ma qui non se ne parla: https://traditioliturgica.blogspot.com/2018/12/l-ortodossia-parallela.html
Grazie per l'attenzione.

mic ha detto...

https://www.lifesitenews.com/blogs/new-pontifical-academy-for-life-member-questions-church-teaching-on-homosex

La teologa e medico Marie-Jo Thiel [ordinata nel 2017 da Bergoglio membro della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), con mandato che durerà cinque anni] ha recentemente affermato che l'insegnamento della Chiesa sulla sessualità e la famiglia dovrebbe essere completamente riconsiderato. Da indicato l'esortazione Amoris Laetitia foriera di maggiore libertà per i cattolici.

Gli insegnamenti della Chiesa sulla sessualità sono stati un "fallimento completo", ha detto. Thiel rifiuta l'insegnamento della Chiesa secondo cui gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati e non possono mai essere approvati. Rifiuta anche fermamente il divieto della Chiesa circa la contraccezione.
....

Anonimo ha detto...

Bravo PP, mi ha convinto. Per non dare "giudizi sommari" eviterò di dare ulteriori giudizi.

Resta il fatto che se io partecipo ad una Messa Tridentina lecita e valida, e non soltanto valida ma di fatto illecita, è perché c'è stato Benedetto XVI. E questo è davvero un fatto. Non la mia analisi del medesimo.

Buon Natale
Dismas

Come allora ... ha detto...

Bene , stiamo andando bene .
Il percorso della S.Chiesa e' lo stesso percorso in salita fatto da Gesu' con la pesante croce .
Come allora tutti i discepoli Lo abbandoneranno , sotto la croce a piangere l'Innocente rimarra' solo la Madre , una ex peccatrice e un discepolo , Giovanni . E noi ?

Luisa. S ha detto...

Anch'io sono riconoscente per la S. Messa tridentina, se solo l'avesse celebrata qualche volta avrebbe dimostrato il valore che ha. Cosi davvero hanno buon gioco nel dire che fu solo una concessione ai nostalgici

Anonimo ha detto...


Luisa S
Giusta osservazione. Perché non l'ha mai voluta celebrare? Paura delle reazioni della gran maggioranza dell'episcopato e dei cardinali, che non avevano e non hanno ancora digerito la concessione? Forse. Ma non è detto.
Se l'avesse celebrata, qualche volta, la cosa avrebbe avuto un enorme significato. E lui sarebbe apparso più coerente con la sua concessione a chi era rimasto fedele all'antico rito.
Bisognerebbe chiederlo a lui.
(In ogni caso, anche senza lo "sdoganamento" ratzingeriano, la celebrazione della Messa OV era legittima dal momento che non era stata espressamente abolita da Paolo VI e san Pio V aveva dichiarato valida in perpetuo (cioè non abrogabile) la costituzione apost. che stabiliva il Messale c.d. tridentino. L'illegittimità non avrebbe riguardato la Messa ma caso mai il celebrante, se appartenente alla FSSPX, concretandosi all'atto pratico unicamente nella sua sanzionabilità sul piano disciplinare da parte della S. Sede - una questione che non toccava i fedeli).

Anonimo ha detto...

@ Dismas
Anche se la Messa tridentina fosse lecita e valida, pur se celebrata in comunione di fede con un eretico, come si fa a non considerare il Summorum Pontificum come un trappolone a lungo termine, che consente all'autorità emanante di controllare e uniformare i conservatori, a partire dal divieto di ordinare sacerdoti col Vetus Ordo senza passare dall'Ecclesia Dei? Questo è un argomento concreto a cui, mi sembra, non si è data risposta convincente e che denuncia i secondi fini di questi ultimi papati.
TEOFILATTO

mic ha detto...

Se l'avesse celebrata, qualche volta, la cosa avrebbe avuto un enorme significato. E lui sarebbe apparso più coerente con la sua concessione a chi era rimasto fedele all'antico rito.

In effetti l'ha celebrata, ma quando era cardinale (1990) a Wigratzbad con la FSSP di cui aveva promosso la fondazione... forse in antitesi alla FSSPX, con la consegna di non criticare il concilio...

https://www.fssp.org/album/VS1990W/index.htm

Anonimo ha detto...

Cari amici, le vostre domande circa la celebrazione della Messa Cattolica in pubblico da parte di Benedetto sono anche le mie.
Ma mi sembra che gli avvenimenti che si sono verificati dopo, che con massima imprecisione riassumerò nell'espressione "Mafia di S. Gallo", spieghino molte cose.
Quanto al definire il Summorum Pontificum un "trappolone", qui siamo veramente di fronte ad un giudizio ingeneroso. Ripensaci "Teofilatto".
Io credo che date le condizioni in cui operava e stante la mafia precedentemente citata - che noi che applichiamo il motu proprio sperimentiamo tutti i giorni fin dall'emissione - non si potesse fare di meglio. Grandiosa l'intuizione di sottrarre almeno in teoria il controllo della celebrazione agli ordinari.
Per questo io mi sento di essere grato e nutro grandissimo affetto per Benedetto XVI, che considero colui che si accorse del grande baratro che si apriva dopo il CVII, e cercò, come poteva, di metterci una pezza. La pubblicazione di "Introduzione allo Spirito della Liturgia" fu una granata carica quinta sparata nel campo del caprone … e seguita dal fuoco di copertura, il Summorum Pontificum ...
Per parte mia non ho altro da aggiungere, se non l'augurio più sincero di un felice Santo Natale.
In Cordibus Jesu et Mariae
Dismas

Anonimo ha detto...


IL nostro culto al vero Dio deve sempre esser razionale.

La tesi del "trappolone" vuol provare troppo. Non è da credere a una "malafede" di Ratzinger.
Era certamente sincero, anche quando cercava di fare l'accordo con la FSSPX, per inquadrarla nel nuovo CIC.
Ma non si può fare a meno di rilevare che la sua impostazione presenta delle caratteristiche che, per certi aspetti, sollevano forti dubbi quanto alla sua ortodossia dottrinale, sia per ciò che riguarda la liturgia che la dottrina. Come ha detto qualcuno: "amicus Plato, sed magis amica veritas".
Si è capito che R. ha una concezione evolutiva della liturgia. L'antico rito non andava buttato alle ortiche, per ciò che ha rappresentato e per rispetto della sensibilità di molti fedeli e sacerdoti. Tuttavia esso andava recuperato nella speranza che da esso potessero uscire elementi utili per il nuovo, in modo da combatterne gli abusi. R. non vedeva nulla di male nell'instaurato biritualismo, avendo l'idea che il "rito straordinario" (l'Ordo Vetus) potesse essere di aiuto per il rito considerato oggi "ordinario", dal quale non si può evidentemente tornare indietro. Così si è introdotta l'idea che il rito cattolico possa "evolvere" verso forme migliori, dall'incontro dei due riti. Per ora questo incontro non c'è stato. E, personalmente, non vedo come ci possa essere. L'idea è assurda e rinvia appunto alla visione dottrinale dell'ex Papa, mettendone in discussione l'ortodossia per alcuni aspetti ossia, qui, il concetto che lui ha della Rivelazione e del rapporto strettissimo tra lex orandi e lex credendi.
La "mozione degli affetti" non deve prevalere sulla nostra ragione. Come di ammonisce s. Paolo, il nostro culto nei confronti del vero Dio deve essere sempre "secondo ragione": "rationabilem obsequium vestrum" (ten logikèn latreian hymòn) (Rom 12, 1). Un concetto che mons. Gherardini citava spesso.
PP

Anonimo ha detto...

Signore Gesù, scelgo Te!
Potrei andare con l’immaginazione a visitare una comoda casa di Betlemme, potrei con l’immaginazione andare ad ascoltare qualche seduta del potente Senato romano o consultare qualche prezioso libro della ricchissima biblioteca di Alessandria…
No. Io decido di venire da Te, dinanzi a questa semplice mangiatoia, dove tra poco i tuoi vagiti si mescoleranno all’odore della stalla, dove il freddo pungente ti farà tremare tutto.
Decido di venire da Te, o Signore.
Non scelgo le comodità e i fasti illusori, non scelgo il Mondo, e ciò che il Mondo mi vuol far pensare e dire.
Non scelgo gli applausi, scelgo Te che sei venuto con la tua luce a illuminare e a salvare il Mondo.
Ma Tu, Divino Bambino, donami il coraggio di esserti fedele sempre, anche quando la comodità e la viltà mi spingerebbero a fare silenzio, donami il coraggio di non cercare il plauso del Mondo, donami la forza di impegnarmi per far conoscere al Mondo la bellezza della Verità, tua e della Chiesa Cattolica, che è la tua Unica e Santa Chiesa.
1 Pater – 10 Ave – 1 Gloria

” Gesù fin dalla nascita ci addita la nostra missione, che è quella di disprezzare ciò che il mondo ama e cerca.”
(San Pio da Pietrelcina)

Nulla di rilevante ha detto...

“Non so com’è stato! Io ho visto il santo padre in una casa molto grande, inginocchiato davanti a un tavolo , con le mani sul volto, in pianto. Fuori dalla casa c’era molta gente, alcuni tiravano sassi, altri imprecavano e dicevano molte parolacce. Povero santo padre! Dobbiamo pregare molto per lui!”. Terza memoria, suor Lucia .

Mi par di ricordare che una volta al termine del Santo Rosario si pregasse:
1) Per la Santa Madre Chiesa Cattolica,
2)Per l'acquisto delle indulgenze ,
3)Per le anime del Purgatorio
(Personalmente concludo così).

Oggi sento dalle varie TV e radio cattoliche :

1)Per le intenzioni del Papa ,
2) Per l'acquisto delle indulgenze .

Anonimo ha detto...

a nulla rilevante preciso che è Caterina Emmerick a vedere il Santo Padre piangente.
http://www.jesusmariasite.org/it/index.php/anna-caterina-emmerich-ho-visto-la-chiesa-di-san-pietro/
Comunque il paragone va confrontato con il 1958 data del bivio tra Chiesa ed antichiesa, anche s e al 1° impatto rendersene conto è traumatico.
A teofilatto la sua tesi non è avventata dato che era nel programma massonico anche questo, rendere nullo e poi concedere. Mostruoso vero?
https://www.radiospada.org/2018/11/ignavia-liturgica-breve-osservazione-sulla-convivenza-del-rito-cattolico-e-del-suo-contrario-nella-setta-conciliare/
https://www.nibiru2012.it/forum/spiritualita/il-concilio-vaticano-ii-e-la-grande-apostasia-136992.0.html
https://www.radiospada.org/2018/06/eresia-al-potere-pastorale-disastrosa-logica-alle-ortiche-mons-livi-su-bergoglio-ratzinger-e-concilio/
se non basta agli idolatri ratzingeriani, un altro commento sulle sue simpatie per le eresie da mons.Livi

In questa singolar tenzone mi viene in mente Ermengarda : ha detto...

Sgombra, o gentil, dall'ansia
Mente i terrestri ardori;

Leva all'Eterno un candido
Pensier d'offerta, e muori:

Nel suol che dee la tenera
Tua spoglia ricoprir,

Altre infelici dormono,
Che il duol consunse; orbate

Spose dal brando, e vergini
Indarno fidanzate;

Madri che i nati videro
Trafitti impallidir.

Te dalla rea progenie
Degli oppressor discesa,

Cui fu prodezza il numero,
Cui fu ragion l'offesa,

E dritto il sangue, e gloria
Il non aver pietà,

Te collocò la provida
Sventura in fra gli oppressi:

Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:

Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.

Muori; e la faccia esanime
Si ricomponga in pace;

Com'era allor che improvida
D'un avvenir fallace,

Lievi pensier virginei
Solo pingea. Così

Dalle squarciate nuvole
Si svolge il sol cadente,

E, dietro il monte, imporpora
Il trepido occidente:

Al pio colono augurio
Di più sereno dì. Vv 85 -120)

Anonimo ha detto...

[L'AMORE ALLA MADONNA. L'ESEMPIO DI TRE SANTI FRANCESCANI]
Meditazione del rev. do Padre Stefano Maria Manelli, Fondatore dei Francescani dell'Immacolata
https://gloria.tv/article/FjYWji66MTKX32W2MyFhRPw6B

Anonimo ha detto...

O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi una Fede retta, Speranza certa,
Carità perfetta e umiltà profonda.
Dammi, Signore, senno e discernimento
per compiere la tua vera e santa volontà.
Amen. (S.Francesco)

Che il Signore riempia il nostro cuore di queste tre virtù per farci fare della nostra stessa vita una suprema restituzione a Dio di cio' che abbiamo ricevuto .

Anonimo ha detto...

Permettetemi un commento duro e sarcastico.
Io cambierei il titolo in:
Ratzinger, un pontificato deludente.
Se ritorniamo con il ricordo alle speranze in noi suscitate dalla sua elezione, dal suo stile non woytiliano (niente sport, meno viaggi, meno canonizzazioni, meno incontri, meno mass media, più silenzio, più preghiera, più modestia), dal Summorum pontificum (pur con troppi distinguo e limitazioni), e poi confrontiamo tutto ciò con la sua lenta eclissi a partire dal 2008, il nuovo incontro interreligioso ad Assisi, la mancata rimozione dei presuli pederasti, corrotti, antitradizionali e infine la "tegola" delle dimissioni (non immediate, tra l'altro, ma a scadenza...), il suo rimanere papa e altre ambiguità, mi sento autorizzato a dire che la spe salvi mon è stata altro che la cartina al tornasole di questo pontificato: la montagna ha partorito il topolino.
Cassiodoro

fabrizio giudici ha detto...

Io vorrei dare un mio contributo, per quello che posso, con un inquadramento a grandi linee di quanto si sta discutendo.

Però prima una premessa. Credo che in certi casi, come quello citato in cui si prende in analisi un tema ben preciso, ovvero la Spe Salvi, dovremmo sforzarci di restare in tema, e anche interpretare in modo piuttosto rigido il concetto di "restare in tema". Mi spiego: è certamente anche interessante discutere del Summorum Pontificum, dei pro e dei contro, delle intenzioni più o meno sincere, tutto ciò c'entra con Benedetto, ma non con la Spe Salvi. Già l'argomento originale è complesso, lo è pure la divagazione, si arriva velocemente ad un gran numero di commenti finché poi, come di norma, la discussione termina perché sono passati molti giorni, e non si sono fatti progressi. Dunque, il SP e altre cose si discutano, ma in post a parte.

Così come non vedo a che pro si citano cose come l'affetto verso Ratzinger, mogli e vedove... Io ero molto affezionato al tedesco, lo sono ancora, ma questo non vuol dire che non mi ponga dubbi. Ha ragione PP: l'analisi va fatta in modo oggettivo. Chiedere di analizzare le cose in modo oggettivo non vuol dire disprezzare l'aspetto umano ed affettivo, semplicemente non è questo il luogo e il momento per discuterne. Dopotutto stiamo giudicando le opere di una persona, non la persona.

Vengo dunque alla mia osservazione. Il punto che mi prae più pertinente è il primo commento di Dismas, ovvero il pregiudizio. Forse meglio dire: il contesto pre-esistente con cui si leggono le opere di Benedetto. Spiego con un esempio personale, perché mi conosco bene. Io un po' di cose di Benedetto le ho lette e, in passato, hanno confermato la mia fede. Non ci trovavo nessuna insidia: questo perché partivo da un contesto ortodosso, e soprattutto perché certe eresie non mi erano note e non le percepivo neanche. Ora però che queste eresie sono esplose in modo evidente, le conosco meglio e mi rendo conto quanto già girassero e fossero insegnate; e come quindi siano già da tempo parte velenosa della formazione di molti cattolici. Allora mi metto nei loro panni quando rileggo certe cose di Benedetto e mi rendo conto che questi le possono benissimo interpretare come un rafforzamento dei loro errori, non una correzione. Per esempio: io quando leggevo "l'essere" non avevo dubbi che era Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, e il termine "essere" non mi creava problemi. Ora, mi rendo conto che altri, invece, possono trovare quel termine come una conferma che Dio è... chissà cosa.

Ecco dunque il contesto pre-esistente che parrebbe permettere legittime interpretazioni in un senso, ma anche nell'altro. Ho usato apposta il "ma anche", espressione citata da A. M. Valli a proposito del pontificato bergogliano. Se un Papa conferma veramente nella fede il popolo, il suo insegnamento non può essere interpretato in modi opposti. Il Papa è l'interprete del Magistero, è lui che deve renderlo chiaro: non può essere necessaria un'esegesi apposita. Se questo accade, indipendentemente dalle intenzioni del Papa in questione, c'è un problema. Basta chiedersi: ma questo fenomeno esisteva in passato? Un modernista poteva cercare di interpretare pro domo usa l'insegnamento di San Pio X? Mi pare proprio di no.

(segue)

fabrizio giudici ha detto...

La questione più perniciosa, poi, mi pare sia il continuo riferimento ai "nuovi" teologi (De Lubac, De Chardin, eccetera). Ora penso a De Chardin, che è quello che da tempo conoscevo meglio degli altri. Lo leggevo e mi dicevo: ma questo è un poveretto che farnetica, non vale neanche che perda tempo a leggerlo. Poi leggevo Benedetto che lo citava e allora me ne pentivo: forse dovevo approfondire, capire meglio qualcosa che non comprendevo? Rileggendolo, mi convincevo che erano farneticazioni. Però non mi spiegavo perché Benedetto lo tenesse in considerazione... fortunatamente ho lasciato cadere la questione. E se invece avessi approfondito, e qualcuno mi avesse intortato? Ne avrei ricevuto danno, e Benedetto non l'avrebbe impedito, ma favorito. Mi pare ovvio che per molti cattolici è accaduto questo.

Mi pare che Ratzinger cerchi quasi ossessivamente di recuperare qualche parte delle idee di quei pensatori sulfurei, che magari è accettabile, specie se si piega un po' a piacimento. Ma perché lo fa? Non è davvero imprudente questo comportamento da parte di un pontefice? Non è rischioso? Non è meglio che i fedeli si tengano il più lontano possibile da pensatori perniciosi, magari lasciando certe discussioni ai circoli teologici ed intellettuali che hanno i mezzi per gestire la questione con più competenza?

Onestamente, più ci penso più mi pare che il termine "ossessivo" sia appropriato. È come se Ratzinger cerchi di redimere almeno in parte la "nouvelle théologie", e con lei i relativi teologi. Non penso sbagli chi vede in ciò una proiezione di qualche tormento interiore. Ora, il fine può essere buono, ma il criterio supremo di azione della Chiesa è la salvezza delle anime, non delle correnti di pensiero. Non vedo la necessità di salvare il salvabile (ammesso che ci sia) nella "nouvelle théologie". È giusto tentare di salvare i teologi, ma una volta che sono andati all'altro mondo i giochi son fatti. Invece, questa cosa può creare danno ai vivi.

Guardate che ci vuol poco a cadere nell'abisso a partire da una buona intenzione. Io sono convinto che il card. Schönborn, che ormai sforna sacrilegi a ripetizione, sia partito dall'ossessivo pensiero sulla salvezza dei suoi genitori, che avevano divorziato. Magari qualche storia simile c'è anche per Bergoglio.

Ultima cosa: Ratzinger è convinto che il mondo moderno, per essere evangelizzato, non possa prescindere da queste correnti culturali? Ammesso e non concesso che sia mai stato vero (e non lo penso, perché non è mai stata cultura del popolo, ma delle elite), non lo è più oggi: perché, come era ovvio, quelle idee sono già passate, tramontate, sostituite in fretta dalle loro evoluzioni. Evoluzioni che oggi ci ammorbano e chiaramente non hanno niente da salvare. Dunque, l'operazione che Ratzinger ha effettuato al massimo si potrebbe dire che è stato un tentativo che poteva aver senso in passato; ma oggi non si può più sostenere che ne abbia ancora. E invece lui, come sappiamo, la ancora del tutto attuale tutto il suo pensiero teologico.

Anonimo ha detto...


Ratzinger che tenta di salvare certe "correnti culturali" del mondo moderno...

Era l'impostazione dei modernisti, quella di reinterpretare, per quanto possibile, le verità della fede con le categorie logico-filosofiche del pensiero moderno e contemporaneo, considerando essi ormai del tutto insufficiente l'impalcatura aristotelico-tomistica. Questa impostazione, contrata da s. Pio X e da Leone XIII, che raccomandò un "ritorno a S. Tommaso" (senza peraltro imporlo, ovviamente), mantenuta dai successori, trionfò con Giovanni XXIII, quando disse, nella famosa Allocutio di apertura del Concilio, che le verità di fede dovevano essere spiegate nella forma e secondo le categorie del pensiero moderno (cito a memoria). In forma più concisa nel testo latino, più ampia in quello italiano e francese (ma citò se stesso pubblicamente nella forma più ampia). Papa Roncalli in realtà sanzionò una prassi già diffusa tra i teologi e contro la quale avevano lottato Pio XII e il Sant'Uffizio.
Ratzinger si era formato in seminario in un'atmosfera spirituale nettamente ostile al tomismo. Lo fa capire lui stesso: "L'incontro con il personalismo, che poi trovammo [noi seminaristi] esplicato con grande forza persuasiva nel grande pensatore ebreo Martin Buber, fu un evento che segnò profondamente il mio cammino spirituale, anche se il personalismo, nel mio caso, si legò quasi da sé con il pensiero di Agostino che, nelle Confessioni, mi venne incontro in tutta la sua passionalità e profondità umane. Ebbi, invece, delle difficoltà nell'accesso al pensiero di Tommaso d'Aquino, la cui logica cristallina mi pareva troppo chiusa in se stessa, troppo impersonale e preconfezionata..."(J. Ratzinger, La mia vita, S. Paolo 1997, tr. it. G. Reguzzoni, p. 44).
Buber, un pensatore tenebroso, è il padre della moderna filosofia del dialogo, dell'incontro fra "l'io e il tu", dello "esser in relazione" quale categoria fondamentale dell'essere stesso. L'Aquinate è certamente difficile, anche perché affronta i massimi problemi, impiegando sempre un metodo razionale, che non fa sconti. E' colui che ha saputo unire filosofia e teologia in una rara ed efficace sintesi. Contrapporre Buber o Agostino mediato da Buber [un connubio singolare] alla cristallina chiarezza di S. Tommaso, ciò non depone bene per la formazione filosofica e spirituale dell'ex Papa, incline evidentemente a lasciarsi affascinare dall'elemento sentimentale, soggettivo, del cuore, esistenziale. Un elemento che, diventando prevalente, mette tutto a mollo in una sorta di pappa del cuore, una sorta di "pietismo cattolico" che non è il vero cattolicesimo.
Quest'elemento "sentimentale" a mio avviso c'è nella Spe Salvi. Dovrebbe ribadire la verità di fede della speranza cristiana nella vita eterna, eppure non mi sembra che abbia mai il coraggio di dichiarare apertamente che la vita eterna promessa da N. Signore a chi lo segue è riservata agli Eletti e non ricomprende affatto tutta l'umanità, una parte della quale (sicuramente non piccola) se ne andrà in perpetua dannazione. Ma tacendo il vero proclamato da NS (vedi Giov 17) si finisce con l'ingannare i fedeli.
PP

Anonimo ha detto...


Nella Spe Salvi (30.11.2007), Benedetto XVI elogia de Lubac, censurato da Pio XII perché in odor di eresia, e mostra di ispirarsi a lui. Ne "La mia vita" (1997 la tr. ital.) aveva fatto esattamente lo stesso.

De Lubac SI non ritrattò mai nulla delle sue tesi ereticali sul sovrannaturale e la salvezza comunitaria. Ricordiamoci la critica che ne fece il card. Siri. Tacque, ristampando parte dei suoi scritti con modifiche varie, in attesa di tempi migliori che poi vennero. Fu uno dei guru del Concilio, Montini e GPII lo ammiravano, quest'ultimo lo fece addirittura cardinale. Forse era stato lui, assieme a Teilhard de Chardin, l'autore dei brevi scritti eterodossi anonimi dattiloscritti che circolavano tra preti e seminaristi, presi di punta da Garrigou Lagrange in un famoso articolo, che li battezzò come "nuova teologia"che tornava al modernismo?
Ma vediamo il passo di Ratzinger su de Lubac. Nel 1949 ne lesse il proibitissimo 'Cattolicesimo', tradotto da H. von Balthasar. "Questo libro è divenuto per me un'opera di riferimento. Esso non solo mi trasmise un nuovo e più profondo sguardo sulla teologia e sulla fede in generale. La fede era qui una visione interiore, divenuta nuovamente attuale proprio pensando insieme con i Padri. In quel libro si percepiva il tacito confronto con il liberalismo e con il marxismo, la drammatica lotta del cattolicesimo francese per aprire una nuova breccia alla fede nella vita culturale del nostro tempo. De Lubac accompagnava il suo lettore da un modo individualistico e angustamente moralistico di credere verso il largo di una fede pensata e vissuta socialmente, comunitariamente nella sua stessa essenza, ad una fede che proprio perché era per sua natura anche speranza, investiva la totalità della storia e non si limitava a promettere al singolo la sua beatitudine privata. Mi misi quindi in cerca di altre opere di de Lubac..."(JR, La mia vita, cit., p. 62)
Non occorre esser teologi per capire la gravità delle affermazioni contenute nell'ultimo periodo. La promessa al singolo della sua "beatitudine privata", di tipo egoistico - questa frase deforma il significato stesso della predicazione di Cristo e degli Apostoli, il messaggio stesso del Nuovo Testamento: come se la promessa di vita eterna fatta individualmente a ciascuno di noi, se obbedisce a Cristo in pensieri e opere sino alla fine della sua vita, fosse una angusta e moralistica "beatitudine privata", che lasciava da parte tutto il resto del genere umano, non investendo essa "la totalità della storia"! E che vorrà dire qui "la totalità della storia" da recuperare all'istanza della salvezza?
[data l'ora tarda, continuo forse domani]
PP

irina ha detto...

Mi convinco sempre più che una lunga generazione di sacerdoti per fare questa conversione non abbiano solo poggiato sulla filosofia a loro contemporanea, ma su tutta una serie di conoscenze che venivano dall'oriente, dalle religioni orientali; che abbiano conosciute e fatte loro una serie di tecniche orientali le quali, senza chiedere una particolare purificazione, li mettono/evano in grado di introdursi, consapevolmente, nel regno delle potenze dell'aria. Scambiando questo regno con l'ambito propriamente spirituale, ma evidentemente le tentazioni racchiuse in questo regno li hanno vinti. E' da un abbaglio di questo tipo che, a mio avviso, nasce e l'ecumenismo delle religioni tutte uguali e del dio di tutti e questo sentimento saturo di languore decadente.

Credo in unum Deum,
Patrem omnipotentem,
FACTOREM CAELI ET TERRAE,
VISIBILIUM OMNIUM ET INVISIBILIUM.

172 Che cos'è superstizione?
Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi NON E' DIO, o anche a Dio ma in modo NON CONVENIENTE:perciò l'idolatria o il culto di false divinità e di
creature; il ricorso al demanio, agli spiriti ed ad ogni mezzo sospetto per ottenere cose umanamente impossibili; l'uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa.

Ricopio una voce presa dal Dizionario del Bizzarro che si trova a fine del volume, L'Europa Misteriosa,p.375, Selezione del Reader's Digest, Milano 1983
ASTRALE. Tutto ciò che appartiene all'interregno cosmico, dove si situano le relazioni tra il mondo visibile e il modo delle forze invisibili (occulte)che circolano fra gli astri. Per gli occultisti l'universo, l'essere umano e l'anima esistono su tre piani distinti, un piano fisico, uno divino ed uno astrale. L'uomo con i suoi cinque sensi ha rapporti soltanto con il piano fisico. In alcune condizioni dette 'paranormali'( in particolare il sogno, l'ipnosi, lo stato di trance), l'essere umano potrebbe entrare in contatto col piano astrale. 'L'uscita in astrale' è privilegio solo di alcuni individui(maghi, veggenti,medium, iniziati,ecc.)e conferisce loro doti speciali (chiaroveggenza, telepatia, divinazione, ecc.)La teoria del corpo astrale e dell'anima astrale permette agli occultisti di studiare tutta una serie di fenomeni, che attualmente non possono essere spiegati scientificamente e quindi vengono considerati dai profani come fenomeni magici, come i casi di possessione, di bilocazione, le apparizioni o le materializzazioni. Per gli esoteristi l'astrale è solo una regione psichica da attraversare, o meglio: un ostacolo da superare per accedere alla sfera dello Spirito. La differenza è importante.

Questa voce fa intuire quanti e quali possono essere e le tentazioni e gli errori nei quali si può incorrere. D'altro lato noi vediamo che il Santo attraverso la Grazia può avere un numero infinito di doni. Credo che la grande tentazione alla quale è esposto l'uomo odierno, e l'uomo religioso in particolare, sia proprio questa, senza essere Santo, appropriarsi ed usare una tecnica che gli conferisca capacità che il Santo riceve per Grazia. E' tempo di dire RINUNCIO a tutte le strade alternative alla Via-Verità-Vita.

Anonimo ha detto...


Il nesso Ratzigner - de Lubac [fine]

Trattandosi di un intervento sul blog non posso evidentemente tirarla troppo in lungo. Chiuderò pertanto sinteticamente con le seguenti considerazioni.

--No a san Tommaso (e quindi ad Aristotele, all'impianto speculativo-discorsivo della metafisica classica)
--Sì a pensatori e teologi come Buber e de Lubac, impersonanti tratti caratterisici della modernità, tratti assolutamente eterodossi dal punto di vista cattolico, della sana dottrina. Questi due pensatori, dice Ratzinger, hanno svolto un ruolo fondamentale nella sua formazione. Sono pensatori, quando si va a stringere, piuttosto fumosi. De Lubac, a leggerlo, sembra di aver a che fare con un'anguilla, tanto si contorce, gettando fumo negli occhi con quintali di citazioni di tutti i tipi, per infilare i suoi errori nella retta dottrina.
--Lo "schema eterodosso" che compare in de Lubac, ripreso da Benedetto XVI nella Spe Salvi, è a mio avviso il seguente. MOderni non meglio specificati hanno criticato la fede nella salvezza perché solo individuale, egoistica, ignorante il resto del genere umano. Sono accuse assurde ma de Lubac le prende per buone al fine di proporre l'idea, che cerca (contorcendosi) di dimostrare risalente ai Padri o s. Paolo, di una salvezza comunitaria o collettiva. L'elemento comunitario non è però limitato al m o d o nel quale viene attuata la salvezza in questo mondo, che (poniamo) potrebbe essere più "sociale". Tale elemento si estende alla vita futura nel senso che la salvezza appare da attribuirsi all'intero genere umano, anche non convertito, con una serie di dichiarazioni ambigue che però tendono tutte in quella direzione (influenza del pancristismo di Blondel). De Lubac inclina in modo abbastanza chiaro al millenarismo, in 'Catholicisme'.
--La prova di quanto dico risulta dal fatto che il momento del Giudizio (individuale e universale) di fatto scompare, viene oscurato (e questo lo si vede nettamente, direi, nella Spe Salvi). Se infatti manteniamo la verità di fede del Giudizio non possiamo parlare di salvezza comunitaria o collettiva del genere umano, se non ipotizzando l'idea semplicemente ridicola di assoluzioni collettive da parte di Nostro Signore, sorta di "18 politici".
Ecco che allora il momento del Giudizio viene oscurato,scompaiono di fatto il Cristo Giudice e l'Inferno, resterebbe solo il Purgatorio ma ridotto ad un significato (se, come dice la SpeSalvi, il suo fuoco è in realtà Cristo stesso [?]) e la parabola del ricco Epulone mostrerebbe costui al Purgatorio e non all'Inferno (sempre la Spe Salvi)). Anche l'accenno all'Inferno nella Spe Salvi non è affatto chiaro, sembrerebbe applicarsi (come mera condizione di infelicità personale?) a poche anime di malvagi assoluti.
--Invito a riflettere sul fatto che Ratzinger, riferendosi all'umanità di Cristo nella Passione, scrive: "come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù" (Spe Salvi, par. 39, p. 76 ed. cit.). Non dice "dimostrato dalla Passione" ma dal "racconto di essa".
Grazie a Mic della cortese attenzione
PP