Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 26 febbraio 2019

Matrimonio: persona sì, personalismo no - don Elia

Persona est rationalis naturae individua substantia (Severino Boezio).
Chiarire il giusto significato del termine persona, nell’attuale temperie culturale ed ecclesiale, è di vitale importanza. Per sgombrare il campo dagli equivoci, occorre anzitutto rilevare che, in ambito teologico, questa parola viene usata in senso analogico; essa non può quindi essere intesa allo stesso modo per parlare della persona umana e delle Persone della Santissima Trinità. Nel secondo caso, infatti, il termine designa pure relazioni che hanno una sussistenza ontologica (le famose relazioni sussistenti della teologia scolastica): sono tre soggetti inseparabili che sussistono eternamente in virtù dell’incessante dono della natura divina, che inizia dal Padre quale principio, si compie nel Figlio quale termine che a sua volta lo rende e si realizza nello Spirito Santo quale dono in atto. È evidente che tale accezione sia ammissibile unicamente in Dio, che è puro spirito e la cui natura è assolutamente semplice, ciò che rende possibile la comunicazione totale di sé tra le Persone divine.

Nel caso dell’uomo, essere finito e circoscritto composto di anima e corpo, il termine persona ha necessariamente un senso differente, per quanto analogo. Qui – secondo la definizione di Boezio riportata in apertura – esso designa una sostanza individuale di natura razionale, cioè un singolo essere, che sussiste in sé e per sé, caratterizzato dalla razionalità. La doppia costituzione in spirito e materia non si oppone all’unità di natura, dato che l’elemento spirituale, quale principio unificante (la forma in senso metafisico), organizza la base organica in modo tale che sia il corpo umano del singolo individuo. L’essenza dell’uomo comporta quindi l’essere dotato di autocoscienza e linguaggio articolato, intelletto conoscente e raziocinante, volontà deliberante e capacità di relazione, tutte cose che, nonostante l’abissale salto ontologico, rendono l’uomo simile a Dio, del quale è così immagine nella creazione visibile. Risulta chiaro, in tale quadro, che una totale comunicazione di sé è per lui costitutivamente impossibile; il concetto di persona umana non si esaurisce nella relazione (come tende invece a pensare certa “teologia” cattolica contemporanea), ma presuppone un fondamento permanente nell’ordine dell’essere.

L’uomo è infatti un soggetto. Con il lemma latino corrispondente (subiectum) si possono intendere due realtà distinte, ma – nel caso in esame – correlate: o il sostrato ontologico stabile cui ineriscono le varie determinazioni che distinguono gli individui concreti (accidenti o attributi), o il principio personale sussistente cui va riferita la paternità di ogni attività libera dell’individuo. Nella Trinità ogni soggetto ha in comune con gli altri due la stessa sostanza e la stessa natura, motivo per cui tutte e tre le Persone divine, ogni volta che agiscono, compiono insieme un’unica e medesima operazione, anche se la Rivelazione usa attribuire le singole azioni all’una o all’altra (appropriazioni). Tra gli esseri umani, al contrario, non potrà mai esserci – neanche tra sposi – un grado di unione così piena e profonda da rendere possibile qualcosa del genere. Affermare come fine primario del matrimonio il raggiungimento di tale unità è pertanto un inganno o una favola, tanto più perniciosi quanto più nefaste ne sono, come stiamo per vedere, le conseguenze.

L’unico atto che due esseri umani (per natura, un uomo e una donna) possono compiere insieme come operazione comune effettuata da due soggetti inseparabili è l’atto coniugale; nemmeno in esso, tuttavia, si realizza una comunicazione totale di sé (cosa impossibile – come abbiamo visto – a individui finiti), sebbene la donazione reciproca tra persone che in esso avviene non possa essere più completa. Nelle condizioni che, per volere del Creatore, sono inseparabili dal suo fine intrinseco (cioè all’interno del matrimonio, comunione indissolubile di tutta la vita) tale atto è di per sé buono, in quanto è finalizzato, per sua stessa natura, alla generazione di altri esseri umani, ovvero alla moltiplicazione delle creature più nobili del mondo visibile, che vi tengono il posto di Dio e sono chiamate alla Sua eterna gloria. La visione cristiana della sessualità, esercitata tra un uomo e una donna legittimamente sposati, non ha nulla da spartire con il disprezzo gnostico per la procreazione, ma ne rivela al contrario la sublime grandezza.

Alla luce di questa visione, è naturale che, tra i due fini del matrimonio (quello unitivo e quello generativo) ci sia una gerarchia fondata sull’essere stesso dell’uomo: la procreazione risulta così il fine primario, l’unione degli sposi il fine secondario. Ciò non significa affatto che quest’ultimo sia puramente accessorio o quasi superfluo, dato che una buona e costante relazione tra i genitori è anzi indispensabile perché i figli crescano in un ambiente sereno e armonioso. Ogni essere umano ha il diritto nativo e inalienabile di venire al mondo in una vera famiglia, fondata su un vincolo stabile e coesa nell’amore; tale contesto è infatti di estrema importanza perché i bambini possano assumere la propria identità sessuata, già fissata nel concepimento, ricevere la fede nel focolare domestico, come Dio vuole che avvenga, conoscere il Suo amore infinito, essere rettamente formati sul piano morale e svilupparsi come persone.

Purtroppo, a partire dal Concilio Vaticano II, quest’ordine naturale tra i due fini del matrimonio è stato ribaltato, nonostante tutto il Magistero precedente lo avesse insegnato con estrema chiarezza, condannando esplicitamente l’errore di equipararli. Raccomando, a quanti non la conoscano ancora, la lettura della stupenda enciclica di Pio XI Casti connubii (1930), che riprende e amplifica quella di Leone XIII sullo stesso tema (Arcanum divinae, 1880) e il cui insegnamento sarà a sua volta ribadito da Pio XII in numerosi discorsi. Lo schema di costituzione dogmatica sulla famiglia e sul matrimonio che era stato redatto in vista dell’ultimo concilio, di recente ripubblicato in italiano, sintetizza mirabilmente tutta la dottrina precedente e coerentemente la aggiorna tenendo conto delle pericolose tendenze teologiche che già stavano facendosi strada; esso fu però cestinato per opera di alcuni cardinali massoni, i quali ridussero poi tutta la trattazione di questo importantissimo soggetto a sei paragrafetti dispersi in quel pantano di ambiguità e inesattezze che è la Gaudium et spes.

Nel nostro caso, l’innegabile scollamento dalla Tradizione cattolica, rimasta invariata fino a quel momento, consiste nella precaria equiparazione dei due fini, che si è ben presto risolta, di fatto, nella prevalenza di quello secondario su quello primario. Ciò li ha annullati entrambi: la natalità è crollata e il matrimonio indissolubile è sostanzialmente scomparso. È innegabile che l’uomo e la donna, nella vita coniugale, siano chiamati a realizzarsi come persone e a completarsi a vicenda; ma considerare questa l’unica via di vera umanizzazione presuppone due gravi errori di fondo, l’uno di ordine filosofico, l’altro di ordine teologico. Il primo è la convinzione che l’uomo non sia tale, in virtù della sua natura, fin dal concepimento e in ogni circostanza (anche quando non è ancora o non è più o non sarà mai in grado di esplicitare le proprie potenzialità), ma lo divenga nella misura in cui può fare determinate cose. Il secondo è il restringimento della vocazione umana all’orizzonte terreno, con l’oblio della destinazione celeste e l’abbandono dei mezzi soprannaturali necessari a raggiungerla, sostituiti da ideologie immanentistiche e da tecniche psicologiche.

Le conseguenze di tale impostazione son davvero rovinose, come ognuno può facilmente costatare. Se l’essere umano non può realizzarsi pienamente se non nell’esercizio della sessualità, non c’è più posto per il celibato sacerdotale e per la verginità consacrata; la castità che preti, frati e suore sono obbligati a osservare sotto colpa di sacrilegio, con una mentalità del genere, diventa impossibile, anche perché l’appetito sessuale, una volta ammesso in una situazione di difficile soddisfazione, si trasforma in una bestia ingestibile che travolge ogni paletto, fino ai tristemente noti abusi di minori. Quanti invece non sono in grado di fare sesso – come dicono – per difetto di natura, in questa visione sono condannati all’infelicità perpetua, motivo per cui, qualora si presuma di diagnosticare tale anomalia prima della nascita, essi sono sistematicamente soppressi per decisione altrui, oppure, qualora abbiano raggiunto un’età avanzata, in molti Paesi sono caldamente invitati a togliersi di mezzo con un civilissimo suicidio assistito.

Altrettanto gravi sono i danni che ne ha riportato l’istituto familiare. Se fine primario del matrimonio è l’unione degli sposi, è inevitabile che, qualora la relazione vada in crisi o, come suol dirsi, finisca l’amore, si voglia por termine alla comunione di vita senza alcun riguardo per il vincolo indissolubile. La Gaudium et spes ha così spianato la via all’ammissione del divorzio anche da parte dei cattolici, caduti nella trappola di una concezione irrealistica della vita a due, cioè di un impossibile sogno che, inevitabilmente frustrato, esaspera i conflitti e istiga alla separazione. L’essenza dell’amore coniugale, espressa nel consenso matrimoniale, non sta però nel sentimento o nella cosiddetta intesa sessuale, bensì nell’irrevocabile volontà di servirsi e onorarsi per tutta la vita. Nel matrimonio cristiano gli sposi si aiutano vicendevolmente a santificarsi, così da poter ottenere entrambi la salvezza eterna. Se l’obiettivo è il Paradiso, essi possono ben portare insieme, sostenuti dalla grazia permanente del sacramento, la croce di una convivenza non sempre facile: «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne» (2 Cor 4, 17-18).

Ancora: se la procreazione scivola in secondo piano a vantaggio dell’unione fisica, considerata un valore in se stessa a prescindere dalla prima, non si può fare a meno di desiderare il rapporto intimo evitandone l’effetto naturale, la gravidanza. In tal modo il Vaticano II ha sia posto le premesse allo sdoganamento dell’erotismo (che fa della sposa una prostituta e riduce a postribolo il santuario della vita), sia spalancato le porte alla contraccezione; serve a poco, poi, condannarla a posteriori senza smentirne i falsi presupposti, soprattutto se il numero di figli, in nome di una pretesa paternità responsabile, non è più lasciato al beneplacito del Creatore, ma abbandonato all’arbitrio degli sposi stessi, che di Lui sono ministri e che, di conseguenza, alle Sue disposizioni devono attenersi, pur cercando di regolare l’uso dei diritti coniugali secondo una sana prudenza cristiana. Il ricorso stesso ai metodi naturali, al di fuori di casi di grave necessità ben circoscritti, risulta peccaminoso, se mosso dall’intenzione di scongiurare a tutti i costi un concepimento.

Ma gli effetti disastrosi del rigetto della dottrina tradizionale in questa materia non si fermano qui. Se la persona umana si definisce a partire dalla relazione, ogni tipo di relazione che tenda ad unire delle persone va necessariamente ammesso senza escludere soddisfazioni erotiche, a torto considerate imprescindibili per esseri sessuati. Ecco così giustificato l’omosessualismo in tutte le salse possibili, mentre l’amicizia disinteressata, tipica manifestazione relazionale di esseri dotati di anima spirituale e fondamento ultimo dello stesso amore coniugale, è destituita di senso, specialmente in una società ossessionata dal sesso grazie alle aberranti teorie di un Freud o di un Fromm (letture praticamente obbligatorie, a partire dagli anni Sessanta, in molti seminari e conventi). La sessualità sganciata dalla procreazione, suo intrinseco fine, si apre quindi a tutte le perversioni immaginabili e diventa espressione di gravi patologie affettive, creando relazioni infernali da ogni punto di vista e ottenendo così il risultato opposto a quello che si pretendeva di raggiungere.

Oggi certi pseudoteologi, nei loro empi deliri, giungono invece a bestemmiare in modo intollerabile, quando sostengono che i rapporti sodomitici, essendo più disinteressati di quelli naturali in quanto esenti dalla volontà di procreare, rifletterebbero più da vicino lo scambio d’amore che avviene tra le Persone divine. Questa è una conseguenza estrema della confusione (che abbiamo intenzionalmente dissipato all’inizio) nell’uso del termine persona, definito esclusivamente in chiave relazionale. Ma, com’è ormai chiaro, la relazione è per gli uomini non un fatto ontologico e quindi immutabile e totale, come nella Trinità, bensì un fatto meramente morale e quindi – a meno che non sia vincolata in modo irreversibile, come nel matrimonio – accidentale, instabile e mutevole. La possibilità di partecipare alla vita trinitaria è cionondimeno aperta all’uomo nella vita di grazia, ma quest’ultima è una realtà soprannaturale cui si accede soltanto con la fede e il Battesimo, non certo con pratiche sessuali contro natura che gridano vendetta al cospetto di Dio.

Chi, con un’apparentemente innocua modifica della dottrina, ha provocato questo crollo gigantesco è passato già da decenni davanti al giusto giudizio di Dio e si trova nel luogo che ha scelto. A noi resta il compito di metterci in salvo dal naufragio rimettendo piede sulla terra ferma del Magistero perenne, che è pur sempre a nostra disposizione, e aiutando al contempo quanti il Signore ci affida a fare la stessa cosa, incoraggiati dalla nostra parola, dalla nostra testimonianza e dalla nostra gioia. L’insegnamento cattolico sul matrimonio, per quanto arduo possa apparire nell’odierno contesto socio-culturale, contiene una bellezza, una nobiltà e un potenziale di felicità insuperabili, dato che rispecchia fedelmente la volontà del Creatore. Senza nulla togliere al primato della vita consacrata, che anticipa la condizione celeste del battezzato, oggi è quanto mai urgente formare vere famiglie cristiane, numerose e ricche di vocazioni, tali cioè da dare al Signore la massima gloria possibile da parte delle creature capaci di amarlo e servirlo anche col corpo.
Vedi: Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II

8 commenti:

Anonimo ha detto...

«La morale cristiana non coincide con il volontarismo, con il senso del dovere, con il puro impegno solidale; cose spesso lodevoli ma che rimangono su un piano naturale. Per noi cristiani la morale parte da Dio, dal suo dono di santità in noi; ci vuole Santi come Lui, nostro Padre, è Santo: uno splendido e libero dono al quale il Signore ci invita a corrispondere liberamente».
Card. Robert Sarah

Anonimo ha detto...

25 febbraio 1946.
L’intenzione Nostra, in tutte le manifestazioni del Nostro pensiero e della Nostra volontà, è stata sempre quella di ricondurre i popoli dal culto della forza al rispetto del diritto, e di promuovere fra tutti la pace, una pace giusta e solida,, una pace capace di garantire a tutti una vita almeno tollerabile. Una tale pace non potrà venire conseguita in un solo giorno. Ci vorrà del tempo e ci vorranno molte fatiche... Spesso il Diplomatico si trova a contatto con il mondo della propaganda. Ma questa propaganda deve formarsi una legge santa e sacra, la legge della verità e dell’oggettività. Quale contributo si può apportare alla pacificazione universale, cooperando a un così degno oggetto, secondo sanno farlo abili e generosi diplomatici.
(Pio XII, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede)

Anonimo ha detto...

Purtroppo il personalismo cristiano, sposato anche da San Giovanni Paolo II, ha eclissato con coseguenze tragiche la missione della famiglia.

irina. ha detto...

Sulla bellezza e santità del matrimonio, i sacerdoti dovrebbero saperne parlare in lungo ed in largo, nelle omelie, nei confessionali, nelle lezioni che sono chiamati a tenere. Con Fede e personale convincimento. Così non è e così non è stato da decenni e decenni. Se i genitori non sono stati ben formati al matrimonio cattolico è difficilissimo se non impossibile che possano poi educare i figli cattolica-mente. Il compito serio, esemplare dell'allevamento e dell'educazione dei figli è, a parer mio, l'unico vero e sano e santo riequilibratore della sessualità, anche delle più esuberanti.
Quindi non si può arrivare al Matrimonio Cattolico sul 'mi piaci, non mi piaci', il Matrimonio è vocazione verticale e non orizzontale per 'entrambi'( più è verticale, e meno sarà orizzontale); i figli non sono il collante del matrimonio ma, i detonatori dell'irrisolto tra padre e madre. Infatti i figli sono 'una sorpresa'.

mic ha detto...

Molto eloquente l'immmagine dei figli che risentono e rispecchiano l'irrisolto tra padre e madre. Ma, coi problemi che manifestano, mettono anche padre e madre di fronte agli irrisolti personali... E, se se ne prende consapevolezza, è l'occasione per risolverli. La vita è tutta una prova. I figli sono un fronte particolarmente impegnativo e fecondo perché coinvolgono sentimenti profondi.

irina ha detto...

Certamente mic, sono naturalmente molto altro ancora; altro che fino in fondo non conosciamo completamente mai. Qualcuno, molto semplice, disse che ogni figlio è un mistero.Noi abbiamo solo la nostra dedizione di educatori esemplari per aiutare ogni mistero, che abbiamo intorno, a trovare la via della luce, del sole, della vita. Ma siccome esemplari non lo siamo mai compiutamente, NSGC ed i suoi emissari angelici devono, dovrebbero essere presenze reali all'interno della famiglia. Per aiutarci e sostenerci e guidarci nel nostro compito, e per aiutare loro, malgrado noi, ad amarLo e a riconoscerLo come loro Signore. Nel fermo convincimento che i figli che Lui ci ha mandato sono Suoi e noi li curiamo per un tempo determinato, pur amandoli per sempre.

mic ha detto...

anche perché quando interviene la Grazia si sciolgono nodi di generazioni....

irina ha detto...

Pur testimoniando con forza, con gratitudine infinita, in ginocchio, che, malgrado tutti i nodi in cui ero e mi sono annodata, mi è andata 'alla grande', parimenti devo dire che i nodi sono tutti lì. Anzi come sulle scale di un battello, dove la corda fa da ringhiera e di tanto in tanto è annodata per facilitare la presa della mano e l'equilibrio del corpo, così capisco che quei nodi che avrebbero potuto strangolarmi mi sono stati di aiuto, mi hanno aiutato a dare la spinta, per salire. Questo lo capisco adesso scrivendo ma, prima 'le maledizioni imbrogliate e la vera morte' (F.Fortini).