Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 20 aprile 2021

Εἰς τὰ ἴδια. Nella Riparazione del discepolo amato, il compimento della Corredenzione di Maria

Torniamo su una meditazione mariana di cui fare tesoro in questa temperie oscura. Precedenti qui
Richiamo l'attenzione sulla stupenda corrispondenza di amorosi sensi tra Maria e Giovanni in questa immagine tratta dalla Crocifissione di un anonimo del XII secolo presente nella Basilica di Santa Chiara in Assisi. 
Lo sguardo sereno di Maria e la posa composta di Giovanni posti sotto il costato grondante del Crocifisso dicono il reciproco affidamento e la costituzione della prima comunità. La donna con una mano sotto il mento ad indicare la sua operosa pensosità e con l’altra rivolta al Figlio, unico riferimento per tutti. Giovanni poi sembra ricevere direttamente dalla ferita di Gesù il colore del suo mantello che cinge in segno di servizio con la mano sinistra. Anche la sua destra indica Gesù, di cui era discepolo prediletto. Essere insieme prossimi e sereni ai piedi della croce è un invito. Guardarsi sorridenti pur nella tragicità dell’evento è una proclamazione di un principio e l’indicazione di uno stile. Anche di coloro che pur “non avendo visto crederanno”. [Fonte del bellissimo commento a corredo del particolare dell'immagine del Crocifisso che parlò a San Francesco della quale nel testo che segue è riportata la parte superiore] 

Εἰς τὰ ἴδια. Nella Riparazione del discepolo amato,
il compimento della Corredenzione di Maria

In questo tempo di gioia pasquale, seppur resa meno fervida dall’amarezza che i cattolici provano per l’ora presente che la Santa Chiesa sta vivendo, risalire il Golgotha e tornare ad immedesimarci nella Passione e Morte del nostro Salvatore ci potrebbe apparire fin troppo penoso. Ma è opportuno tornarvi, anche a cagione di questa nostra perdurante mestizia, così come facciamo ogni volta che uniamo il nostro personale sacrificio a quello dell’unica Vittima necessaria durante la celebrazione del Sacro Rito della Messa. Dovendo trattare, per quanto sinteticamente, della Riparazione operata in modo singolarissimo dal discepolo che Gesù amava, è impreteribile riandare a quel che avvenne ai piedi della Croce così come ce lo riporta l’unico evangelista che ne fu testimone oculare:
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé (Gv 19,25-27).
Va innanzitutto segnalata la non perfetta aderenza di questa traduzione presentata nell’ultima edizione della Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana, là dove omette di specificare l’articolo determinativo: γύναι, ἴδε ὁ υἱός σου (gýnai, ide ho hyós su), “donna, ecco il tuo figlio”[1]; ἴδε ἡ μήτηρ σου (ide hē mḕtēr su), “ecco la tua madre”. Così commenta questo passo evangelico un acuto esegeta quale fu Origene (†254): Gesù dice a sua madre: «Ecco il tuo figlio» (e non già: «Ecco, anche questo è tuo figlio») . Sant’Agostino (†430) è in verità più prudente: il maestro dei santi … provvide lasciando il discepolo quasi come un altro figlio che prendesse il suo posto[2]. Vedremo, tuttavia, che in questo caso l’audace esegesi dello scrittore cristiano avrà tracciato un solco più profondo, e perciò più fertile, di quello del grande Padre della Chiesa.

Il dolore di Maria ai piedi della Croce

Per una questione metodologica, prenderò in considerazione un illuminante trattato del monaco e teologo benedettino Ruperto di Deutz (†1129 ca), il Commento al Vangelo di Giovanni[3], che fu in effetti uno dei primi della Chiesa latina dopo quello del Vescovo d’Ippona. Proprio nel secolo XII, “secolo mariano” per eccellenza, dietro le orme spirituali impresse dai Padri della Chiesa nei secoli precedenti, assistiamo ad un rinnovato slancio di studi mariologici che portarono ad una più piena comprensione del mistero della maternità spirituale della Vergine Maria. Questo testo è altresì interessante perché, a differenza di molti altri Commentari, espone una tesi teologica originale anche per quanto concerne l’esperienza mistica vissuta ai piedi della Croce del Signore dal discepolo da Lui amato.

Per cominciare, ritorniamo in primo luogo a quel verbo che introduce il racconto evangelico di ciò che prelude alla Morte di Cristo: εἱστήκεισαν (heistḕkeisan), piuccheperfetto di ἵστημι (hìstēmi), che la Vulgata latina traduce con stabant. Ruperto[4]  interpreta questo plurale – stabant – come se in verità fosse un singolare – stabat –; lo “stare” della Madre al cospetto del patibolo dove il Figliolo veniva suppliziato fino alla morte è già di per sé un “soffrire”. La stessa Maria veniva profondamente torturata dalla Croce di Cristo; in certo senso, Ella veniva crocifissa dalla Croce del Figlio, posta in croce al suo lato: Cruce ipsa cruciabatur[5]. Difatti lo “stare” della Madre presso la Croce è espresso dall’evangelista con una forma grammaticale inconsueta, se riferita, come in questo caso, a una cosa, qual è il legno della Croce, e cioè col dativo: παρὰ τῷ σταυρῷ (parà tô staurô)[6]. Evidentemente, con questa scelta l’evangelista voleva sottintendere la persona di Cristo.

Sulla scia di alcuni Padri orientali, Anfilochio di Iconio[7]  (†394) e Giovanni Damasceno[8]  (†749), Ruperto mette poi in relazione questo dolore con la scena della Presentazione del Bambino Gesù al Tempio di Gerusalemme, così com’è narrata dall’evangelista Luca: Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34s). Interpreta questi dolori della Vergine Maria come dolori del parto, che i due Padri orientali rendono con la parola λύπη (lýpē), termine che peraltro viene significativamente adoperato nella LXX per Gn 3,16[9]. Il teologo benedettino fa poi un collegamento tra questo brano e le parole di Gesù[10]  di Gv 16,21, pronunciate nel contesto dell’Ultima Cena: la donna, quando partorisce, è nel dolore – ὅταν τίκτῃ λύπην ἔχει (hòtan tìktē lýpēn échei) –, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. La spada che trafiggerà l’anima di Maria, predetta dal vecchio Simeone, sarebbe quindi il dolore del parto[11] : a Betlemme il parto indolore, sotto la Croce il parto doloroso: et tunc sine dolore peperit, quando Deum hominem factum de carne sua genuit; et nunc magno dolore parturiebat, quando, ut prædictum est, iuxta crucem eius stabat[12]. Tuttavia, egli poi termina la sua pur interessante trattazione declinando in una interpretazione che definirei “allegorica”, senza cogliere il legame profondissimo tra la Madre e il nuovo figlio che le fu affidato, stabilito per sua esplicita volontà dal Figlio morente: ai piedi della Croce, Maria genera nuovamente Cristo, la sua Resurrezione, partorisce l’uomo nuovo, dona la salvezza[13].

Alcune osservazioni sulla presenza di Maria sotto la Croce

Va innanzitutto evidenziato che una spada, se è certamente strumento di offesa e che arreca dolore, non può porsi sullo stesso piano, seppur semplicemente semantico, della Croce del Signore. Per indicare la spada, l’evangelista Luca adopera poi nella scena del profeta Simeone un termine molto particolare: ῥομφαία (rhomfàia)[14]. Si trattava di una spada del tutto speciale: arma da guerra, larga, lunga e a doppio taglio, in dotazione ai legionari romani, che può perciò trapassare un corpo da parte a parte. Lo stesso termine è utilizzato da Giovanni nel libro dell’Apocalisse, nella Visione introduttiva in cui è descritto il Messia: teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata – ῥομφαία –, a doppio taglio (Ap 1,16). La parola ricorre in altri passi di quello stesso libro, sempre riferita al Re dei re : dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni (Ap 19,15)[15].

La spada che trapassa l’anima della Vergine Madre è dunque una lama affilatissima che offende, che certamente è causa di immenso dolore, ma che soprattutto – essendo lunga e a doppio taglio – trapassa e divide; e quel dividere, quello smembrare, è per se stesso già causa d’indicibile sofferenza. Di cosa si tratta? Ce lo spiega l’autore della lettera agli Ebrei: la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada[16]  a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12). Interpretazione, questa – la spada è la parola di Dio –, condivisa peraltro da diversi Padri d’Occidente, ed in particolare da Sant’Ambrogio (†397)[17]. Una spada che divide e che, come un bisturi impugnato dal bravo chirurgo, quantunque apportatore di dolore perché incide nella carne, asporta la parte malata e rigenera alla vita. Così è la Parola incarnata, il Logos, che fino all’ultimo giorno spartirà in due campi l’umanità, l’uno d’amore, l’altro d’odio: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione (Lc 12,51). Simeone d’altronde lo aveva profetato chiaramente, inserendo il presagio della passione partecipativa della Madre come fatto che accade in concomitanza con il riconoscimento di quel Bimbo come segno di contraddizione.

Ciò avviene ed avverrà fino all’ultimo giorno in particolare tra le anime che Le sono più care, quelle dei consacrati, tra i quali non pochi dimostrano purtroppo di aver smarrito la santa vocazione se non di averla tradita; e per questo, secondo la ben nota immagine apocalittica, stelle precipitate in terra dalla coda del drago (Ap 12,4), venute meno alla loro missione di agire in persona Christi, per voltarGli invece le spalle e fuggire via nel cuore della notte come l’Iscariota al culmine della Cena; spinte perciò in tenebre sempre più fitte che sembrano avanzare senza incontrare ostacoli nei loro cuori, da ritenere forse come definitivamente vuoti e insinceri, destinati senza rimedio sperabile a mutarsi eternamente in putride sentine. Si spiega allora l’origine di questo misterioso dolore che la Madre della Chiesa si porta nel Cuore: è il peccato che esiste nella Chiesa, portato in particolare da coloro che alla Madre sono più preziosi.

D’altronde, in altra sua opera ancora Ruperto di Deutz aveva trovato una qual corrispondenza tra il parto doloroso di Maria ai piedi della Croce e la partoriente di cui parla Isaia[18] : prima di provare i dolori ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio (Is 66,7). È una riprova della inapplicabilità della legge biologica a questo tipo di parto, che può quindi avvenire soltanto in una dimensione altra. Egli però non sembra penetrare il contenuto più profondo di quel brano del profeta, là dove esso descrive le abominazioni, i sacrilegi del culto sincretistico che in quella confusa epoca post-esilica aveva finito per dilagare, cosa che d’altra parte sciaguratamente si replica pure nel nostro tempo nel quale l’esecrando peccato dell’idolatria si propaga in modo pervasivo e tutto corrompe, tutto deprava e rovina, in una maniera che parrebbe incontenibile: è il dolore della Madre di Dio, Madre della Chiesa, premurosissima Genitrice anche dei sacerdoti. Questo parto doloroso, che abbiamo visto può avvenire solo ai piedi della Croce, è d’altro canto riaffermato nell’Apocalisse di Giovanni: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto (Ap 12,1s). E nondimeno, come dice il Trito-Isaia, prima di provare i dolori, la donna ha partorito.

Il significato di Riparazione

Una definizione di riparazione in poche righe potrebbe essere così enunciata con buona sintesi: mettere equilibrio tra il ‘plus’ del male e il ‘plus’ del bene. […] Questa idea fondamentale si appoggia su quanto è stato fatto da Cristo. Questo, per quanto è possibile capire, è il senso del sacrificio eucaristico. Contro questo grande peso del male che esiste nel mondo e che tira giù il mondo, il Signore pone un altro peso più grande, quello dell’amore infinito che entra in questo mondo. […] Il ‘plus’ del male, che esiste sempre se vediamo solo empiricamente le proporzioni, viene superato dal ‘plus’ immenso del bene, della sofferenza del Figlio di Dio. In questo senso c’è la riparazione, che è necessaria[19]. La riparazione è peraltro al centro del Quarto canto del Servo del Deutero-Isaia, figura sacerdotale, sapienziale e profetica che appartiene agli ʿănāwîm, della quale si è quasi sempre data una lettura cristologica: era come agnello condotto al macello. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo (Is 53,7.10). Particolare tipologia di sacrificio, questa, caso unico nell’Antico Testamento nel quale è data in riparazione una vittima umana, che la legge ebraica definiva ’āšām, volendo con questo termine indicare sia l’offesa sia il sacrificio stesso. E proprio offrendo se stesso, la sua vita – napšō –, il Servo porta il šālōm, la guarigione, la riconciliazione tra Dio e il popolo[20].

Il libro del Levitico va nel dettaglio e specifica in quali occasioni era necessaria la riparazione: se qualcuno commetterà un’infedeltà e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal gregge (Lv 5,15). Nei casi d’infedeltà ci si regolava in questo modo: dare in sacrificio riparatorio una vittima senza difetti presa dal gregge. Su un piano più generale, che definirei ecclesiale, non mi pare che ci si possa discostare da questa norma sempre vigente perché stabilita da Dio: al peccato che esiste nella Chiesa, conseguente primariamente all’infedeltà dei suoi pastori, alla loro apostasia, al loro culto semplicemente esteriore quando non addirittura idolatrico, occorre riparare. E l’unica riparazione davvero efficace ed insostituibile non può che venire da Maria[21], che è Madre della Chiesa, La quale per il singolare privilegio della sua Immacolata Concezione, in quanto redenta in maniera preservativa, la soddisfa donando, in questo caso deponendo sull’altare come offerta “fatta col Cuore”, nuovi pastori, perché il vero culto procede unicamente dal cuore umile e contrito.

Il Cuore Immacolato di Maria: Cuore Addolorato

All’arcangelo Gabriele che alla Piena di grazia portava il lieto messaggio, Ella dovette dare due consensi: uno alla vita, l’altro alla morte, che infine si fusero in unico fiat: quando amorevolmente la Madre sosteneva il Figlio sul suo petto, vedeva il Bambino e vedeva anche la Passione che Egli avrebbe sofferto. Lo stesso petto che lo nutriva o lo riscaldava sarebbe stato perforato dalla spada predettagli dal vecchio Simeone. Ancora Ruperto di Deutz, in un commento al Cantico dei Cantici (Ct 1,13), espone questa doppia maternità dolce e dolorosa: fasciculus myrrhæ dilectus meus mihi, inter ubera mea commorabitur. O commoratio, dulcis quidem, sed plena gemitibus inenarrabilibus![22]. L’evangelista Luca ci riporta che, ai primi misteri e dolori legati al Figlio, questa Augusta Madre li custodiva e li meditava nel suo Cuore (Lc 2,19.51); un Cuore che presentiva le cose future, nel quale era già prefigurato di quale morte quel Figlio doveva morire. Maria per molti anni rimase in intimità col mistero del suo Figlio, sempre più profondamente compreso mediante la sua fede. Dovette trattarsi di una lunga passione, una sua prolungata sofferenza, caricata di tutti gli elementi morali e spirituali, ma certamente anche fisici, che un tale plurimo dolore poteva comportare, che avrebbe trovato il suo culmine nella Passione e Morte del Figlio.

L’evangelista Luca adopera nel primo versetto citato (2,19) il verbo συμβάλλω (symbàllō) al participio – συμβάλλουσα (symbàllusa) –, che ha un’accezione del tutto particolare, potendo esser tradotto anche con “scambio”, “metto insieme” “compongo”, “converso”. Negli Atti degli Apostoli egli in effetti l’adopera in uno di questi significati[23]. Si capisce dunque in cosa consistesse quella “meditazione nel proprio cuore” da parte di Maria: un “comporle” nel proprio Cuore di Madre, in interiore unione con quello del Figlio. A questa riposta condivisione di sentimenti e di dolore si associava come nessun altro il discepolo amato, al quale la Madonna ebbe modo con tutta evidenza di comunicare tutto ciò che aveva compreso del mistero dell’Incarnazione del Verbo. Cuore di Mamma, Cuore Immacolato di Maria che custodisce e compone i misteri del Figlio, nucleo interiore del suo essere che conserva le verità della fede e si scambia col Cuore di Dio. Esso è in definitiva il lato interiore della preghiera del Rosario, poiché questo a sua volta altro non è che la storia della salvezza considerata dal punto di vista di Maria. Madonna del Rosario e Cuore Immacolato si riferiscono alla stessa realtà e in certo modo coincidono[24].

In una sua meditazione tenuta a Fatima durante un corso di esercizi spirituali, padre Serafino Lanzetta ricorda che la Madonna, conservando le parole di Simeone, poi le parole stesse di Gesù … preparava nel Suo Cuore un altare di offerta e di immolazione alla Volontà di Dio. E quest’offerta, dovendo riparare, infine si fa carne: noi possiamo essere “corredentori” con la Madonna, con il Suo Cuore Immacolato, offrendo noi stessi. Nella misura in cui avremo partecipato alle sofferenze di Cristo e di Maria, così parteciperemo anche alla loro glorificazione (cfr 1Pt 4,13)[25]. Quest’offerta della Madre deve necessariamente portare con sé, indelebile, un ricordo, poiché il suo Cuore Immacolato – abbiamo visto – serba i misteri e i dolori del Figlio suo Gesù, compresi in ordine alla Croce, lì dove il suo dolore e la sua fede si erano fusi nell’anima sua. Per questa ragione l’offerta riparatrice di Maria deve conseguentemente riproporre e interamente rivivere, benché in una prospettiva ecclesiale che riguarda tutti, quei misteri e quei dolori del Figlio suo, dalla greppia di Betlemme alla Croce del Luogo del cranio nella Città santa.

Questo Cuore dunque ha una memoria; esso ricorda. E cosa in particolare ricorda? Modellata sulla Via Crucis, la tradizione e la pietà popolare hanno definito il cammino di prova vissuto da Maria col nome di Via Matris[26]. In questa ascesa salvifica, in cui Ella è sempre unita al Figlio, sette sono i dolori che si sono cristallizzati nella pratica cristiana. Ridiciamoli brevemente: la rivelazione di Simeone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù nel Tempio, l’incontro con Lui sulla via del Calvario, la presenza sotto la Croce del Figlio, la deposizione tra le sue braccia di quel Corpo martoriato, la sepoltura. L’offerta riparatrice della Madre non può perciò non rinnovare questi momenti significativi del suo cammino dolente, unito a quello del Figliolo, che dal suo Cuore Immacolato si espandono all’intero Corpo mistico. Questo è, a parer mio, il vero significato di Corredenzione, che va sempre unito a quello di Riparazione.

Ancora padre Lanzetta aggiunge: se la Madonna prepara questo Sacrificio con la Sua Maternità sacrificale, la Madonna preparerà tutti noi ad essere “sacrificio”, ci trasforma in Eucaristia. Diventiamo in Lei e per mezzo di Lei anche noi Eucaristia, sacrificio gradito a Dio. La vita cristiana è proprio questo: diventare Eucaristia[27]. E perciò farci anche noi ἀγὰπη (agàpē). Certamente questo eccelso destino coinvolge in maniera più che unica il discepolo che Gesù amava, ὁ μαθητὴς (ἐκεῖνος) ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς (ho mathētès ekêinos hon ēgápa ho Iēsûs), poiché la perifrasi che lo qualifica contiene in forma verbale il sigillo che gl’imprime il suo destino e ne determina il cammino futuro: ἀγαπᾶν (agapân), cioè “amare”, così come Cristo fece con i suoi che erano nel mondo, amandoli sino alla fine – ἐις τέλος ἠγάπησεν αὐτούς – (Gv 13,1).

È necessario d’altra parte sgomberare il campo da un possibile equivoco: secondo la dottrina paolina sui corpi risuscitati, anche alla Madonna vanno necessariamente applicate le quattro caratteristiche positive (cfr 1Cor 15,42-44): incorruttibilità, ἀφθαρσία (aftharsìa); gloria, δόξα (dòxa); potenza, δύναμις (dýnamis); spiritualità, σῶμα πνευματικός (sôma pneumatikòs). Il problema di Maria, donna del Paradiso per antonomasia, che si mostra sofferente è stato comunque affrontato dal papa Pio XII in questi termini: senza dubbio Maria è in cielo eternamente felice e non soffre né dolore né mestizia; ma Ella non vi rimane insensibile, ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della Croce, ove era affisso il Figliuolo[29]. Mi sembra di poter ravvisare nelle parole del Pontefice, proprio nel suo porre l’accento sulla maternità di Maria, un seppur velato riferimento a quello che è l’argomento di questo scritto: l’offerta riparatrice della Madre della Chiesa, nella persona del suo figlio spirituale generato nelle doglie ai piedi della Croce.
Monsignor Brunero Gherardini [qui] amava sintetizzare il suo pensiero su Maria Corredentrice con queste poche parole: la Corredenzione è la singolare unione di Maria con Cristo sulla terra e termina con la missione terrena di Maria: indica consociazione, unione sponsale[30]. Faccio in ogni caso osservare, alla luce di quanto da me espresso finora, che l’affermazione dell’illustre teologo può essere meglio compresa, a mio modo di vedere, se inquadrata nella più appropriata prospettiva: la missione corredentiva della Vergine Maria, intesa in senso proprio, non può oltrepassare il limite temporale nel quale Ella era visceralmente unita al suo Figlio e Creatore. Tutto ciò che Ella rimeditò nel suo Cuore che tutto serbava del Figlio suo, a principiare dai suoi acerbissimi dolori che Le preannunciò l’arcangelo Gabriele nella dimora di Nazareth, e fino all’ultimo atto del Calvario, trova un limite temporale nel Consummatum est che Cristo pronunciò prima di rimettere il suo spirito. La più piena comprensione dei suoi personalissimi mysteria doloris, che certamente Ella elaborò e intensamente meditò anche nel periodo, non sappiamo quanto lungo, susseguente alla Morte di Cristo e fino alla sua Dormitio, è pur sempre un approfondimento della sua vita terrena unita a quella del Figlio da Lei generato nella carne. Certamente questa consecutiva, più intensa e piena valutazione non poteva non tener conto della sua rinnovata maternità spirituale: Ella era ora la Madre di quel nuovo figlio, il discepolo amato che sarebbe rimasto fino alla fine (cfr Gv 21,22s). La Corredenzione operata dalla Vergine Maria nel corso della sua vita terrena, soddisfatta come abbiamo detto dal privilegio della sua Immacolata Concezione, a mio modo di vedere va sempre unita alla Riparazione che Lei opera dando in oblazione quel suo nuovo figlio: per mezzo di Maria incominciò la salvezza del mondo e per mezzo di Maria deve essere compiuta[31].

Il dolore del Discepolo amato

A differenza di altri esegeti che hanno spiegato il contenuto dell’ultimo, più elevato Evangelo, Ruperto di Deutz nel suo Commentario avanza una tesi molto originale circa il ruolo del discepolo amato nell’economia della scena della Morte di Cristo. Se per Maria quel suo “stare” ai piedi della Croce Le rendeva palese il senso delle parole di Simeone ascoltate tanti anni prima, in occasione della Presentazione del suo Bambino al Tempio, per il discepolo, nuovo figlio della Vergine, l’abate teologo, appoggiandosi su alcune interpretazioni espresse da Sant’Agostino[32]  e da San Beda il Venerabile[33] (†735) , in ordine alle enigmatiche parole pronunciate dal Risorto nel corso dell’apparizione sulle rive del lago di Tiberiade – Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? (Gv 21,22) –, propone la seguente tesi teologica: il discepolo amato vive il suo martirio partecipando al calice della Passione di Cristo, così come gli era stato da Lui preannunciato, unitamente al fratello Giacomo, lungo la strada che saliva a Gerusalemme: il calice che io bevo anche voi lo berrete (Mc 10,39; cfr Mt 20,23).

Ruperto così giustifica la sua argomentazione: ubi beatæ Virginis et genitricis animam gladius pertransivit, ibi et anima vulnerata est huic dilecti[34]. Ma mentre l’anima della Madre è trapassata, quella del discepolo è solo ferita; altrove parlerà di una ferita nella sua mente[35]. Il calice che beve Gesù, per divina volontà del Padre e del Figlio[36]  lo beve anche il discepolo amato, ferito dal dolore originato dal contemplare coi suoi propri occhi il Crocifisso: immenso onore concesso al discepolo vergine, che durante l’Ultima Cena riposò sopra il petto del Signore e lì penetrò nel mistero dell’Incarnazione, che avrebbe poi esposto in maniera eccelsa nel suo Vangelo.

Il discepolo amato da Gesù è unito non solo a Lui, fino al punto di bere il suo stesso calice, ma è anche fisicamente e misticamente unito alla sua Madre, con la quale s’incontra sul Calvario e con la quale condivide la profezia di Simeone ad Ella diretta: un vero martirio spirituale per ambedue; anche se va detto che, secondo Ruperto, Maria lo visse in una maniera unica ed ineguagliabile. Ma, d’altra parte – egli dice – il discepolo vergine prolungò questo dolore della Madre a un livello inferiore: beve il calice ed è ferito dalla spada; come Cristo, come Maria[37]: si non matris Domini animam iuxta prophetiam Simeonis gladius pertransivit, nec iste dilectus discipulus amarum calicem eius bibit. Igitur et si non materiali cruce vel gladio discipulus iste martyrium duxit, tamen dominici calicis expers non fuit[38]. Figura sacerdotale, dunque; uomo sofferente, la cui “ora” si fonde infine con quella di Cristo e di Maria nel climax del Golgotha.

Osservazioni aggiuntive sul ruolo del Discepolo amato

Nella pur elevatissima esegesi di Ruperto di Deutz, mi pare di poter riconoscere che il legame tra Maria, rinnovata nella sua maternità, e il figlio novello, divenuti tali per le ultime volontà del Cristo morente, non appaia definito nel modo più completo che esso meriterebbe: Maria e il discepolo sono entrambi accomunati dal dolore – è vero –, ma da quel che deduco non viene inteso il senso più pieno di quelle parole che l’evangelista pone a sigillo di quella pericope: e da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Nel rapporto tra Madre e il figlio spirituale, così come esso ci viene presentato in questo suo scritto, non c’è alcun dinamismo, alcun tentativo di proiezione oltre il tempo e lo spazio. Egli soprattutto non chiarisce, né tantomeno sembra intuire, che l’esperienza mistica vissuta dal discepolo vergine individua un principio perenne che sarà sempre presente nel seno della Chiesa, fino all’ultimo giorno (cfr Gv 21,22s), e non già la semplice, individuale esperienza umana, seppur eccezionale, di Giovanni il pescatore, figlio di Zebedeo: lungo tutto il vangelo, il discepolo rimane nell’anonimato; non nominato, egli incarna la schiera senza nome di coloro che “conoscono Gesù come lo conosce l’amore”, e così sono la forza permanente della Chiesa[39]. Anche il suo “bere il calice” va collocato in un giusto scenario soteriologico, poiché un sacerdote che offre tutto se stesso durante la celebrazione del Sacrificio dell'altare berrà egli stesso quel calice, allo stesso modo del discepolo amato, in unione singolarissima con Cristo unico Sacerdote. Pensiamo ad esempio a quel che avveniva per il Frate di Pietrelcina, il quale soffriva la sua Messa.

Per quello che si è detto, il dolore del discepolo amato è soprattutto il dolore del tempo della Chiesa; è infine specialmente il dolore di questo nostro tempo. È in certo senso il dolore di ogni singolo membro del Corpo mistico di Cristo che nel discepolo amato, e solo in lui, diviene figlio spirituale di Maria, Madre della Chiesa[40]: Homo et homo natus est in ea (Sal 87,5)[41]. Esso però assume una pienezza tutta peculiare in chi si associa a questo dolore in modo interamente inedito, accogliendo quella nuova Madre εἰς τὰ ἴδια (eis tà ìdia). Egli l’accoglie e non la sceglie di sua iniziativa, e nemmeno, in un’accezione tutta passiva, la prende come pure vorrebbe qualche traduzione, perché il verbo adoperato – λαμβάνω (lambànō), all’aoristo ἔλαβεν (èlaben) – presuppone il dono, il beneficio ricevuto[42]. E soltanto dopo quell’atto solenne, dopo aver concluso il reciproco affidamento tra Madre e discepolo, l’Uomo-Dio morente sulla Croce fu consapevole che ormai tutto era compiuto (Gv 19,28) e consegnò lo spirito al Padre.

Per Sant’Ambrogio è attraverso un testamento dettato dalla Croce, che Gesù stabilisce la relazione di madre e figlio tra Maria e Giovanni . Illustri teologi ed esegeti hanno già trattato l’argomento dell’affidamento del discepolo, e pertanto rimando ai loro contributi[44]. Τὰ ἴδια (tà ìdia), plurale neutro, è adoperato diverse altre volte dall’autore del quarto Evangelo, volendo esprimere con esso l’idea di “appartenenza”, di “proprietà”, ma pur sempre di ordine spirituale[45]. L’Ipponate commentava difatti: egli se la prese con sé, non nei suoi poderi, perché non possedeva nulla di proprio, ma tra i suoi impegni, ai quali attendeva con dedizione[46]. I Padri greci ritenevano che con queste parole si volesse alludere alla “cura” che il discepolo vergine si sarebbe preso della sua nuova Madre, accolta nella sua casa[47]. In Occidente si delinearono invece due linee di pensiero: coloro i quali interpretavano in sua – Ambrogio e Agostino in particolare, ma anche il nostro Ruperto[48]  –, chi invece preferiva leggere in suamin suam matrem principalmente[49]. Altri Santi, a noi più prossimi, preferiscono vedervi tra i suoi beni[50]. Quel che è certo è che da quell’ora tra Maria e il discepolo ci fu, come dice il Crisostomo, un reciproco amore che li teneva indissolubilmente uniti[51].

Una buona sintesi di tutte queste diversificate letture, credo ce l’abbia fornita il papa Benedetto XVI nel corso di una sua catechesi: il testo greco è molto più profondo, molto più ricco. Potremmo tradurlo: prese Maria nell’intimo della sua vita, del suo essere, “eis tà ìdia”, nella profondità del suo essere. Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell’intera propria esistenza – non è una cosa esteriore – e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato[52].

Per quello che mi è dato di comprendere, e in considerazione di ciò che ho già proposto in questo mio scritto, sarei propenso a spingermi ancora più oltre affermando che il discepolo amato porta nella sua stessa carne il dolore della Madre, da Lei riversatogli fin da quando lo ha generato spiritualmente sotto la Croce. Lo porta nella sua condizione umana che è debole, nella sua carne esposta alla mancanza perché passibile, ed anzi proprio per questo – carne imperfetta – che abbisogna di purificazione, affinché la sua totale offerta di sé sia gradita al Padre. D’altra parte, nemmeno rigetterei l’interpretazione che talvolta ricorre – l’accolse “nella sua casa” –, perché per ciò che ho già illustrato la sua corporeità dev’essere pur sempre generata all’interno di una famiglia, ospitata nella dimensione privata del chiuso delle pareti domestiche. Direi pertanto che egli ha fisicamente e moralmente impresso nel suo corpo, come cicatrici che da un momento all’altro potrebbero riaprirsi e buttare sangue copioso, ciò che è il portato di quel peccato che esiste nella Chiesa di cui si è già parlato, per il quale la Madre si mostra Addolorata, che si sforza di vincere e pacificare agendo sul quel medesimo corpo: uomo sofferente, tormentato dal maligno e dai suoi accoliti, ma pur sempre in cerca di ascesi e di perfezione lungo il cammino segnato dalle indelebili impronte spirituali tracciate dal suo Signore e Maestro. Figlio della Chiesa, discepolo amato di un perfetto amore da Cristo, che alla sua sequela si obbliga a perfezionarsi per divenire ipse Christus: Deus homo factus est, ut homo Deus fieret[53]. E questo traguardo si rende possibile ancora e sempre mediante la Beata Vergine Maria: essendo la via per la quale Gesù Cristo venne a noi per la prima volta, essa lo sarà quando verrà la seconda volta, sebbene non nello stesso modo[54].

L’innovativa esegesi di Origene, che ha dato avvio a questa mia riflessione, lo aveva in certo modo fatto intendere: Sebbene non ci sia alcun figlio di Maria, se non Gesù, ciò nonostante Gesù dice a sua madre: «Ecco il tuo figlio» (e non già: «Ecco, anche questo è tuo figlio»); ciò equivale a dire: «Questi è Gesù che tu hai partorito». Infatti, chi è giunto alla piena maturità «non vive più», ma in lui «vive Cristo»; e poiché in lui vive Cristo, quando si parla di lui a Maria si dice: «Ecco il tuo figlio, Cristo»[55].

Il discepolo amato beve il calice di Cristo, “vive” la Messa – Ruperto ce ne dà una convincente spiegazione teologica –, ma la profezia ricevuta sulla strada che saliva al monte del Tempio è duplice: nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi – i figli di Zebedeo – sarete battezzati (Mc 10,39). A questa seconda parte dell’annuncio, nella quale il Signore allude al suo palingenetico battesimo di sangue (cfr Lc 12,50) va data una giusta collocazione. Per quello che mi è dato di capire, a questa seconda parte dell’oracolo di Gesù si riferisce ciò che è contenuto nella Visione che la Signora vestita di bianco consegnò ai tre Pastorelli di Fatima il 13 luglio 1917.

Riparazione e Corredenzione nel messaggio di Fatima

Apparendo ai tre Bambini per la terza volta nell’autunno del 1916, l’Angelo del Portogallo, reggendo nelle mani un calice, lasciò loro questa preghiera: «Santissima Trinità, Padre, Figlio, Spirito Santo, Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze con cui Egli stesso è offeso. E per i meriti infiniti del Suo Santissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo la conversione dei poveri peccatori. Prendete e bevete il Corpo e Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio»[56].

Nella prima mariofania del 13 maggio 1917, la Madonna chiese loro se desiderassero offrirsi a Dio «per sopportare tutte le sofferenze – che Egli avrebbe mandato – in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori»[57]. Nella terza apparizione di luglio, la Vergine annunciava che per impedire la guerra, sarebbe venuta a chiedere la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati[58]. Nella quinta del 19 agosto domandava la riparazione orante: «Pregate, pregate molto; e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all’inferno, perché non c’è chi si sacrifichi e interceda per loro»[59].

Nelle successive apparizioni del ciclo cordi-mariano avvenute quando suor Lucia si trovava nei conventi galiziani di Tuy e Pontevedra, la bianca Signora richiedeva la diffusione di alcune pie pratiche, come la devozione dei primi cinque sabati e la recita del Rosario: «Guarda, figlia mia, il Mio Cuore coronato di spine che gli uomini ingrati a ogni momento Mi conficcano, con bestemmie e ingratitudini. Tu, almeno, cerca di consolarMi, e di’ che tutti quelli che per cinque mesi, nel primo sabato, si confesseranno ricevendo poi la santa Comunione, diranno un rosario, e Mi faranno 15 minuti di compagnia meditando sui 15 misteri del rosario, coll’intenzione di darMi sollievo, Io prometto di assisterli, nell’ora della morte, con tutte le grazie necessarie alla salvezza di queste anime»[60]. Queste pratiche devozionali vennero riaffermate nelle due apparizioni del Bambino Gesù del 15 febbraio 1926 e del 17 dicembre 1927[61]. Il 13 giugno 1929, la Madonna si mostrò ancora a Tuy, di nuovo nell’atto di presentare il suo Cuore Immacolato circondato di spine, ma stavolta nella cornice gloriosa della SS.ma Trinità: «Sono tante le anime che la giustizia di Dio condanna per i peccati commessi contro di Me, che vengo a chiedere riparazione: sacrificati per questa intenzione e prega»[62]. 

Vediamo dunque che Maria domanda ripetutamente riparazione come resistenza insuperabile all’azione del maligno nelle anime e come via di consolazione. D’altra parte, senza voler entrare nel merito di alcune tematiche più specifiche come la Consacrazione della Russia, nel messaggio di Fatima la riparazione non si limita ad essere un fatto privato della relazione personale in cui vivere la fede, ma possiede necessariamente una valenza pubblica e sociale. Non è giammai possibile separare la riparazione dal mondo, perché è per il mondo che essa esiste ed è diretta[63].

In sintesi, osserviamo che nel messaggio di Fatima riparazione eucaristica e devozione al Cuore Immacolato di Maria rappresentano il meridiano e il parallelo spirituali che determinano le coordinate soteriologiche di questo nostro tempo. Da quel che si può comprendere, esse s’intersecano nella figura del Pastore rivestito di candide vesti, mostrato ai tre Pastorinhos mentre va ad immolarsi ai piedi della grande Croce. Per monsignor Gherardini Maria è una dilatazione del Figlio, un prolungamento del Figlio[64]; conseguentemente, per quel che si è detto, il figlio spirituale che si associa al dolore della Madre e che rivive quello del Figlio crocifisso, nel quale s’incarna la sofferenza riparatrice non può che essere, in certo senso, un “prolungamento della Madre”; prolungamento nella storia, nel tempo della Chiesa, e in particolare in questo nostro tempo finale. Ciò d’altronde è ben chiaro se si interpreta la Visione fatimita secondo quella che a me pare la più corretta prospettiva. Fatima – scriveva uno dei più grandi mariologi dello scorso secolo – evoca i nostri ultimi fini personali e attraverso essi il ritorno di Cristo[65].

Conclusione

Dalla pur elevata esegesi del monaco Ruperto di Deutz siamo partiti per analizzare il rapporto tra la Madonna, Colei che ha generato il Corpo mistico di Cristo, e il discepolo amato, che di quel Corpo è pur sempre membro. Di quest’ultimo si è cercato di individuare la missione sua più propria, unica e irripetibile, in questo nostro tempo di estremo abbandono e di turbinosa, dilagante confusione, anche dottrinale.

Mi auguro che possa essere apprezzato questo mio semplice ma onesto contributo, espresso in un modo che ho cercato di rendere sufficientemente chiaro, presentato alla pubblica attenzione da parte di chi, come me, è portatore di quella che mi è necessario definire “teologia di carne”; elaborato pertanto non solamente alla luce di quel che hanno detto i teologi e i Padri, ma meditato e reso pensiero intelligibile come frutto della mia esperienza umana oramai non più breve.

Scritto certamente troppo esteso, ma credo da parte mia doveroso, proposto in quest’ora buia che viene, che anzi è già venuta, nella quale stiamo prendendo coscienza che satana ha elaborato un piano mai così grande, pervasivo e universalmente menzognero, perché le cose malvagie gli appartengono, ek tôn idìōn lalêi (Gv 8,44): a ciascuno il suo. Mentre ad ognuno di noi, membro del Corpo mistico di Cristo, generato nel travaglio ai piedi del legno della Croce da Colei che schiaccia la testa del serpente, è richiesto di offrire ciò che di più prezioso possediamo, ed in particolar modo le nostre personali sofferenze, conseguenza della fede di ognuno in questa temperie tormentata nella quale essa è sempre più motivo di scandalo e segno di contraddizione; e così caricandoci ogni giorno della nostra croce, e allo stesso tempo fortificandoci in virtù e santità, completare nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1,24). Ciò vale in ispecie per l’uomo sofferente – chiunque egli sia – offerto in riparazione dalla Vergine Immacolata, che ascende alla mistica montagna della Passione per tornare da dove siamo partiti, e come pecora muta davanti ai suoi tosatori muore trafitto ai piedi della Croce del suo Signore, come esito del suo fiat pronunciato per aver accolto quella sua nuova Mamma eis tà ìdia.
Pino Miscione
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1. Origene, In Evang. Joann. 1,6 : PG 14, 32.
2. S. Agostino, In Evang. Johann. tract. 119,2 : PL 35, 1951.
3. Ruperto di Deutz, Commentaria in Evangelium sancti Iohannis : PL 169, 210-826.
4. D. Flores, La Virgen María al pie de la cruz (Jn. 19,25-27) en Ruperto de Deutz, Roma, Centro de cultura mariana, 1993, pp. 52-56. Sono debitore a questa autrice di diverse annotazioni sull’opera di Ruperto di Deutz, della quale espone questo mio scritto.
5. In Johann. XIII : PL 169, 789.
6. “παρά con il dativo”, in F. Blass-A. Debrunner, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia, 19972, p. 307. Gli autori fanno notare che questo uso si riscontra solo in Gv 19,25.
7. S. Anfilochio di Iconio, Hor. II di Hypapante 8 : PG 39, 57.
8. S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa IV,14 : PG 94, 1161.
9. «Moltiplicherò I tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore – λύπας – partorirai figli».
10. In Johann. XIII : PL 169, 789.
11. In Johann. XIII : PL 169, 790.
12. In Johann. XIII : PL 169, 789.
13. Cum autem hæc hora præterierit, cum totus iste gladius parturientem eius animam pertransierit, iam non erit memor pressuræ propter gaudium, quia natus erit novus homo, qui totum renovet genus humanum, totiusque mundi sempiternum obtineat imperium; in passione unigeniti omnium nostrum salutem beata Virgo peperit (In Johann. XIII : PL 169, 790).
14. Significativamente, quando è riferita ad altro, Giovanni adopera μάχαιρα (vd. nota 16; cfr Ap 13,10.14). 
15. Vd. anche Ap 2,12.16; 6,8; 19,21. Il secondo Canto del Servo sofferente presenta un’analoga immagine: «Ha reso la mia bocca come spada affilata» (Is 49,2).
16. Qui tuttavia viene adoperato termine diverso, μάχαιρα, assimilabile piuttosto a un corto pugnale o un coltello, adoperato per scannare le vittime nei sacrifici.
17. S. Ambrogio, In Lucam 2,61-62 : CSEL 32/4, 74; Explan. Psalm. 37,22 : CSEL 64, 153; Explan. Psalm. 43,12 : CSEL 64, 270; Expos. Psalm. CXVIII, 19,38-39 : CSEL 62, 441-442; De interpel. Job et David 2,16 : CSEL 32/2, 278.
18. Ruperto di Deutz, De Trin., In Isaiam II,31 : PL 167, 1361.
19. Benedetto XVI, Incontro con i parroci e il clero della Diocesi di Roma (22 febbraio 2007) : AAS 99 (2007), p. 264-283, qui p. 279.
20. A. Bonora, Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato, Brescia, Queriniana, 19992, p. 118. 21. Pio X, lett. enc. Ad diem illum lætissimum (2 febbraio 1904) : ASS 36 (1903-1904), pp. 449-462, qui p. 453-454: Quum vero extremum Filii tempus advenit, stabat iuxta crucem Iesu Mater eius, non in immani tantum occupata spectaculo, sed plane gaudens quod Unigenitus suus pro salute generis humani offerretur, et tantum etiam compassa est, ut, si fieri potuisset, omnia tormenta quæ Filius pertulit, ipsa multo libentius sustineret. Ex hac autem Mariam inter et Christum communione dolorum ac voluntatis, promeruit illa ut reparatrix perditi orbis dignissime fieret, atque ideo universorum munerum dispensatrix quæ nobis Iesus nece et sanguine comparavit.
22. Ruperto di Deutz, In Cantica Cantic. I,1,13 : PL 168, 856.
23. «Li fecero uscire (Pietro e Giovanni) dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro – συνέβαλλον – » (At 4,15).
24. S. De Fiores, Il segreto di Fatima. Una luce sul futuro del mondo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008, p. 58. 25. S.M. Lanzetta, Il Cuore Immacolato di Maria: segreto dei segreti di Fatima; qui:
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2014/08/il-cuore-immacolato-di-maria-segreto.html 26. La Via Matris dolorosæ venne approvata dal papa Leone XIII nel 1884 (lett. ap. Deiparæ perdolentis, in Leonis XIII Pontificis Maximi Acta, III, Romæ, Typographia Vaticana, 1884, pp. 220-222). 27. Vd. nota 25. 28. Gv 21,7; si parla di lui anche in Gv 13,23; 19,26s; 21,20. 29. Pio XII, Radiomessaggio al Congresso Mariano Regionale della Sicilia (17 ottobre 1954) : AAS 46 (1954), pp. 658-661, qui p. 660.
30. B. Gherardini, Assunta in cielo perché corredentrice sulla terra; qui:

https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2019/08/assunta-in-cielo-perche-corredentrice.html 31. S. Luigi M. Grignion da Montfort, Trattato della vera devozione alla santa Vergine e Il segreto di Maria, ed. S. De Fiores, Cinisello Balsamo, San Paolo, 200815, p. 44.
32. S. Agostino, In Evang. Johann. tract. 124,1-4 : PL 35, 1969-1972.
33. S. Beda, Homiliæ genuinæ I,8 : PL 94, 44-49.
34. Ruperto di Deutz, De Trin., De Oper. Spir. San. VI,12 : PL 167, 1744.
35. Stabat autem, ut iam dictum est, cum ea iuxta crucem iste quoque dilectus, et siquidem credis, ipse quoque mente vulnerabatur (Ruperto di Deutz, De Trin., De Oper. Spir. San. VI,12 : PL 167, 1745).
36. Quod si complacuit Patri, qui Filio suo calicem illud dedit, si ita visum est Filio, qui calicem illum bibit, ut censeret illum in hoc ipso bibisse calicem suum, quod in illa tali hora proximus astitit, quis est, qui reprehendere possit? (Ruperto di Deutz, De Trin., De Oper. Spir. San. VI,12 : PL 167, 1744).
37. D. Flores, op. cit., pp. 238-239.
38. In Johann. XIV : PL 169, 824.
39. J. Ratzinger, “La gara di corsa verso il Risorto”, in Speranza del grano di senape. Meditazioni per ogni mese dell’anno, Brescia, Queriniana, 2005², p. 30.
40. Leone XIII, lett. enc. Quamquam pluries (15 agosto 1889) : ASS 22 (1889-90), pp. 65-69, qui p. 67: Virgo santissima quemadmodum Iesu Christi genitrix, ita omnium est christianorum mater, quippe quos ad Calvariæ montem inter supremos Redemptoris cruciatus generavit. 41. Citando la Vulgata, il Montfort chiosa: «il primo uomo nato da Maria è l’Uomo-Dio, Gesù Cristo; il secondo è un uomo puro, figlio per adozione di Dio e di Maria. Se Gesù Cristo, capo degli uomini, è nato da lei, i predestinati, che sono i membri di questo capo, debbono pure, necessariamente, nascere da lei. Una medesima madre non dà alla luce la testa o il capo senza le membra, né le membra senza la testa» (S. Luigi M. Grignion da Montfort, op. cit., p. 35).
42. A.M. Serra, Maria a Cana e presso la Croce. Saggio di mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e Gv 19.25-27), Roma, Centro di Cultura Mariana “Madre della Chiesa”, 19913, pp. 112-113.
43. S. Ambrogio, Epist. 63,109 : CSEL 82/3, 294.
44. I. de la Potterie, La parole de Jésus «Voici ta Mère» et l’acceuil du Disciple (Jn 19,27b), in «Marianum» 36 (1974), pp. 1-39; vd. anche A.M. Serra, op. cit., pp. 107 ss. La Bibliografia sul punto in ispecie è riportata in D. Flores, op. cit., p. 109, nota 74.
45. Il testo di nota 42 riporta tutta la casistica (pp. 107-108).
46. S. Agostino, In Johann. Evang. tract. 119,3 : PL 35, 1951-1952.
47. S. Giovanni Crisostomo, In Joann. Evang. 85,2 : PG 59, 462; S. Cirillo di Alessandria, De adorat. in Spir. et verit. VII : PG 68, 513.
48. S. Ambrogio, Exhort. virginit. 33 : PL 16, 360-361; S. Agostino (vd. nota 46); Ruperto di Deutz, In Johann. XIII : PL 169, 790.
49. Altri significati: in sua officia, in suum ius, in suam potestatem, inter spiritualia bona, inter ea quae ipsius erant (I. de la Potterie, op. cit., pp. 3-12).
50. S. Luigi M. Grignion da Montfort, op. cit., p. 104. Nel suo commento in nota, padre De Fiores ricorda di quali beni si tratta: l’Eucaristia, la Parola, la fede, lo Spirito (ivi, pp. 104-105, nota 13).
51. S. Giovanni Crisostomo, In Joann. Evang. 85,2 : PG 59, 462.
52. Benedetto XVI, Maria Madre di tutti i Sacerdoti, Udienza generale (mercoledì, 12 agosto 2009).
53. S. Agostino, Sermo 371,1, De Nativitate Domini : PL 39, 1659.
54. S. Luigi M. Grignion da Montfort, op. cit., p. 46.
55. Origene, In Evang. Joann. 1,6 : PG 14, 32.
56. Lucia dos Santos, Memorie di suor Lucia, I, Fatima, Secretariado dos Pastorinhos, 20058 (IV Memoria, 1941), p. 167.
57. Ivi, p. 170.
58. Ivi, p. 173.
59. Ivi, p. 175.
60. Ivi (Appendice I), p. 188.
61. Ivi (Appendice I), pp. 187, 188-189.
62. Ivi (Appendice II), p. 192.
63. Cfr. J.C. Carvalho, A reparação como via de consolação a Deus, in VAZ, ed. C. Abreu, Envolvidos no amor de Deus pelo mundo: Itinerário Temático do Centenário das Aparições de Fátima, 4° ciclo, Fátima, Santuário de Fátima, 2013, pp. 93-107.
64. Vd. nota 30.
65. R. Laurentin, Realtà di Lourdes, Torino, Marietti, 1957, p. 70.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

La parola “Corredentrice” - recepita pure dal Sant’Uffizio, sotto Pio X, e usata più volte da Pio XI e Giovanni Paolo II - non equivale a un’equiparazione di Maria a Gesù, ma indica la cooperazione singolare (non solo “soggettiva” ma anche “oggettiva”) della Madre all’opera redentrice del Figlio. La verità che Cristo sia l’unico Redentore e che la Madonna sia stata redenta non contraddice la corredenzione, che dipende dalla grazia ricevuta in previsione dei meriti di Gesù e dalla funzione materna di Maria. Tale dottrina è insegnata dal Vaticano II e dal Catechismo e per essa «potremmo parlare di una sententia theologice certa o ad fidem pertinens». La Bussola intervista don Manfred Hauke, mariologo e ordinario di Dogmatica.
https://www.lanuovabq.it/it/perche-maria-e-corredentrice-risposte-a-dubbi-e-obiezioni

Anonimo ha detto...

Grazie all’amico Pino Miscione per questo lucidissimo e commovente scritto in cui si avverte, quasi come grido, l’urgenza della riparazione al male, sempre più profondo, che ha colpito ogni aspetto della vita umana e perfino la Chiesa che, giammai, avrebbe dovuto abdicare dalla vocazione divina di Mater et Magistra. Grazie anche a Lei, Maria Guarini, per aver pubblicato questo scritto, dettagliato e profondo nelle innumerevoli citazioni.
Enza Scrivo

Anonimo ha detto...

Certe verità faticano a farsi strada. Tutti presi dalle parole al vento dei "pezzi grossi", dei "monsignor ICS" e di qualche altro prelato molto prolifico...

Pino Miscione ha detto...

@ Enza Scrivo

ringrazio ancora per aver apprezzzato la mia "meditazione", che dice una parola chiara riguardo al dogma della Corredenzione mariana (mi è stato chiesto per questa ragione, infatti). Mi accorgo ora che, rispetto a quanto da me inviato, in questo testo pubblicato è completamente assente la numerazione progressiva delle note a piè di pagina. Spero si possa rimediare; altrimenti fa nulla. Largo agli "specialisti" ...

mic ha detto...

Mi scuso per le note e mi spiego meglio. È un problema di redazione. Nell'editor non faccio il copia-incolla del file originale, ma del file di testo per avere un'html pulito, senza i kilometrici tag generati dagli automatismi del sistema (che mi renderebbero più difficoltosa la redazione secondo i miei parametri) e cosi poi devo inserire la formattazione, corsivo, grassetti e note quando sono a pié di pagina da inserire una per una raffrontandomi col testo originale. Beh, stavolta mi sono sfuggite le note e ora ho provveduto...

mic ha detto...

Nessuno si chiede, dopo il nefando omaggio alla pachamama sull'altare di Pietro mai più usato da allora (http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/12/il-segno-inquietante-di-un-vuoto.html), come mai non si sia abbastanza parlato di riparazione, anche se alcuni prelati (tra cui Burke) hanno parlato di riconsacrazione di San Pietro.... ma oltre alla riconsacrazione del luogo (e dell'altare) occorre pensare alla riparazione da parte delle anime credenti, ma soprattutto dei sacerdoti...

tralcio ha detto...

Ogni Santa Messa che abbiamo la grazia di poter partecipare è un atto di riparazione.
Possiamo viverla con questa intenzione, offrendoci in comunione al sacrificio di Gesù.

Non lasciamoci ingannare da qualche cattivo pensiero nel "limitarci" a questo:
-non giustifica il male né chi lo compie, iniziando da me
-non tace la verità su ciò che è male, anzi...
-non annacqua il giudizio di Dio sulla volontà cattiva e sulla mancanza di fede

Farsi vittima (ostia), comunione con l'Agnello immolato, non è affatto un atto remissivo.
E' il solo atto capace di fede nella Provvidenza, restando dove ci chiede di stare.
Se siamo Suoi, di Gesù, il mondo ci tratta come trattò Lui.

Pensiamo davvero al Padre Nostro, come ce l'ha insegnato Gesù disceso dal cielo.
E' il Figlio di Dio (è Dio): non viene dalla terra, né Lui, né la sua volontà.
Lui chiama Abbà il Padre proprio nel momento più angoscioso, al Getsemani.
Per compiere la volontà del Padre nella carità che tutto crede, spera e sopporta.

Nella preghiera in cui si prega perché sia fatta la volontà del Padre, Gesù parla anche della tentazione che i figli devono fronteggiare: anche Gesù, che fu condotto dallo Spirito Santo nel deserto per essere tentato dal diavolo. La dinamica è chiara: Gesù è condotto dallo Spirito Santo là dove il diavolo lo tenta. Ecco perché la recente traduzione di questo movimento nasconde la verità e la realtà: a tentare è il diavolo, ma in quel luogo dove c'è la sfida ci conduce lo Spirito di Dio. Figuriamoci se ci abbandona! Siamo noi a doverci fidare e a dover rispondere come seppe rispondere Gesù, prima là e poi nel Getsemani e sulla croce. Così in ogni Santa Messa e poi -per grazia- nel resto della vita.

La disgrazia è di non chiederlo o di non viverlo, persuasi dalle frottole del falsario.

Anonimo ha detto...

"ma in quel luogo dove c'è la sfida ci conduce lo Spirito di Dio."
Sì , e' come se fossimo incoraggiati ad imparare a camminare , come fossimo invogliati a muovere i primi passi nella stazione eretta , con la rassicurazione che se cadremo , cadremo sempre nelle Sue Amorevoli mani.