Interessante riflessione di don Davide Pagliarani su come inquadrare le nuove 'concessioni' dopo Traditionis custodes [qui]. Qui l'indice degli articoli su TC e sui Responsa.
Il grande valzer dei decreti
Dopo aver sconvolto l’ambiente noto come Ecclesia Dei col motu proprio Traditionis custodes e col suo decreto di applicazione, documenti che semplicemente abrogano i provvedimenti presi da Benedetto XVI nel Summorum pontificum, papa Francesco ha creato un improvviso allentamento con un nuovo decreto firmato il 11 febbraio 2022 [qui].
Questo testo è destinato specificamente alla Fraternità San Pietro (FSSP). Il Papa accoglie così le richieste avanzate dal superiore del distretto di Francia e dal rettore del seminario di Wigratzbad, ricevuti in udienza da Francesco il 4 febbraio.
Il comunicato ufficiale della FSSP sottolinea che, durante questa udienza, il Papa ha voluto precisare che istituti come la Fraternità San Pietro non erano interessati dalle disposizioni generali del motu proprio Traditionis Custodes, essendo l’uso dei libri liturgici antichi all’origine della loro esistenza e previsti dalle loro costituzioni.
Sebbene il decreto menzioni solo la FSSP, implica che esso riguarda tutti gli istituti che si trovano nella stessa situazione di questa Fraternità, o può riguardarli su loro richiesta.
Il decreto di Francesco
Con benevolenza, il Papa “concede” ai membri della società “la possibilità di celebrare il sacrificio della Messa, di amministrare i sacramenti e gli altri riti sacri, e di assolvere all’Ufficio divino, secondo le edizioni tipiche dei libri liturgici vigenti nell’anno 1962, cioè il Messale, il Rituale, il Pontificale e il Breviario Romano”.
Questa concessione, però, è valida solo nelle case dell’istituto, perché “in ogni altro luogo [i membri] la useranno solo con il consenso dell’Ordinario del luogo, fatta eccezione per la celebrazione della Messa privata”.
Un’ultima precisazione dà uno spunto di riflessione: “il Santo Padre suggerisce che, per quanto possibile, si tenga conto anche delle disposizioni del motu proprio Traditionis custodes“.
Interpretazioni
Le reazioni non si sono fatte attendere nella pubblicazione di questo nuovo decreto.
Di fronte alla mancanza di coerenza tra queste disposizioni pratiche e il quadro stabilito da Traditionis custodes, alcuni rinunciano a cercare di trovare una logica negli atti di governo di Francesco in questo periodo del suo pontificato.
Altri vi vedono un messaggio rivolto alla Congregazione per il Culto Divino, così come ai vescovi più rigidi, per raccomandare loro una maggiore flessibilità nell’applicazione di Traditionis custodes.
Altri ancora vedono come una misura di cautela evitare di inimicarsi alcuni dei membri degli istituti “Ecclesia Dei”, che avrebbero potuto essere pronti ad attraversare il Rubicone per opporsi con forza a Traditionis custodes e alla sua severa applicazione promossa da Mons. Arthur Roche.
Comunque sia, sarebbe sbagliato credere che con questo decreto si torni a uno stato ante quo. Non si tratta di un ritorno alla norma del Summorum pontificum, che è stata abrogata, ma solo di un’eccezione al quadro di Traditionis custodes, che resta in vigore e continua ad escludere per tutta la Chiesa la liturgia tradizionale. Questa costatazione richiede ulteriori indagini.
Una fragile concessione
La reazione generale nei circoli “Ecclesia Dei” è stata di sollievo, a prima vista del tutto comprensibile. Come recita il comunicato della FSSP, i membri dell’istituto leggono il decreto come una “conferma della loro missione”, una missione che comporta “l’uso dei libri liturgici antichi […] all’origine della loro esistenza e previsto dalle loro costituzioni”.
Ma la realtà non è più complessa?
Va notato che il decreto parla proprio di una concessione fatta da Francesco alla FSSP – e molto probabilmente ad altri che ne farebbero richiesta. Il termine “concessione” significa un’eccezione, una regola particolare, in altre parole un privilegio. Questo porta a diverse riflessioni.
In primo luogo, anche allegato alle costituzioni di un istituto, un privilegio resta revocabile in qualsiasi momento. In una situazione così fragile, è difficile non vederlo in bilico come una spada di Damocle, che il recente passato ha dimostrato di poter utilizzare.
Tuttavia, questa stessa minaccia maschera una fragilità ancora più profonda.
Un’eccezione che conferma la regola
In effetti, la situazione così creata è quella di una deroga, di un’eccezione. La legge generale non cambia. Non solo questa legge non cambia, ma l’eccezione stessa non ha il potere di modificarla: non ne pregiudica la legittimità.
Accettare di considerare la messa tradizionale come un’eccezione è quindi implicitamente ammettere la legge generale che essa presuppone: questa lex orandi definita, secondo Traditionis custodes, dalla sola nuova messa. Ed è di conseguenza rinunciare a combatterla efficacemente, e a combattere con essa la nuova dottrina che veicola: quella del Concilio Vaticano II.
Non sorprende quindi che la risposta data dagli istituti Ecclesia Dei alla pubblicazione di Traditionis custodes, il 31 agosto 2021, è stata una protesta di fedeltà al Concilio e a ciò che ne è seguito. Sfortunatamente, questa era la risposta che aspettavano i nemici della Tradizione.
Né c’è da stupirsi se, mentre “concede” la celebrazione della Messa tradizionale, il Papa ricorda il valore immutato di Traditionis custodes. L’eccezione conferma la regola.
È così che la situazione creata da questo “valzer dei decreti” pone i membri degli istituti “Ecclesia Dei”, nonostante la loro certa buona volontà, in un’impotenza sempre maggiore per combattere efficacemente la crisi che sta demolendo la Chiesa, e che giace non solo né principalmente nel disastro liturgico, ma nella propagazione degli errori moderni che hanno avvelenato le anime dal Concilio Vaticano II.
Un privilegio speciale
Certo, è importante celebrare la Messa e i sacramenti secondo la forma levigata dai secoli e dalla fede della Chiesa. La Messa tradizionale è infatti la soluzione perfetta alla crisi della Chiesa, poiché veicola in sé le verità che si oppongono agli errori moderni. È necessario che queste verità siano espresse, chiarite, insegnate e usate per la lotta della fede.
Ora, per questo, la Messa va riconosciuta per quello che è: il bene comune di tutta la Chiesa e non un semplice bene particolare.
La crisi liturgica non può mai essere risolta con una concessione fatta a coloro che vogliono rimanere legati al culto tradizionale, perché un privilegio resta un bene particolare, limitato. Concepire la messa tradizionale come un proprio privilegio significa quindi limitare l’influenza della massa stessa. Tanto più che l’autorità che accorda queste concessioni considera questa forma superata, e in qualche modo nulla, non più, secondo Traditionis custodes, la lex orandi della Chiesa.
La tragedia della situazione che si è appena creata è che, a ben guardare, coloro ai quali viene fatta questa concessione, una sorta di carcere che vieta loro di combattere gli errori del Concilio, sono essi stessi i propri custodi. Custodi, purtroppo, non della Tradizione, ma del loro privilegio. - Fonte
3 commenti:
Timeo Danaos et dona ferentes. È strategia tipica del gesuitismo gesuitogeno il dare un'ingiusta stangata da 100 per poi dare sorridenti un contentino da 5 che serve solo da usare come arma contro chi lamentasse che restano ancora intatte 95 ingiustizie.
Il gesuitismo, anche il più carnevalesco, quando si tratta di colpire i cattolici e la loro fede sa anche aspettare, sa dosare bene il colpo, conosce tutte le tattiche per darsi davanti allo specchio l'impressione di aver le mani pilatescamente pulite. Soprattutto sa applicare il rousseauiano calunniate, calunniate, qualcosa resterà, usando il potere anziché le parole. "Vietate, vietate, qualcosa sparirà". Quel che non riescono ad ottenere reclamando "ubbidienza", lo trasformano in concessione tanto generosa quanto revocabile, e costruita in modo da essere comunque un freno. La liturgia tridentina ridotta a una vergogna da celebrare in casa a porte chiuse (e solo in alcuni istituti che hanno acconsentito ad una lunghissima e fastidiosissima "trattativa") alla faccia del Summorum Pontificum e della Quo Primum.
Alla faccia del Summorum Pontificum e della Quo Primum certo, ma se scaliamo ancora un poco alla faccia del Concilio di Trento. Mi sembra che il richiamo alla fedeltà del CVII sia un'altra delle manovre gesuitiche, come dice E.P, che in realtà strumentalizzato lo stesso CVII, del quale si usa solo una parte, "stirandola" al massimo ed usando, a questo scopo, la teologia (se così si può dire) degli emuli e continuatori di Theilard de Chardin. Mentre molti si prodigano a spiegare il CVII secondo la teoria della continuità le picconate alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana continuano imperterrite. L'obiettivo non è di applicare il CVII, cosa che mi sembra evidente,come puo essere nel pensiero di Papa Benedetto XVI, ma di usarne le parti che più si prestano per transitare la parte più consistente verso una struttura veicolante un paganesimo buono per tutti. La diffusione del termine di spiritualità al posto di quello di fede, proprio del cristianesimo, è sintomatico. I due termini non sono, infatti, intercambiabili. Fede non sto qui a spiegarlo, presumo non sia necessario, spiritualità come articolata oggi non rimanda alla presenza dello Spirito del Signore, bensì ad una propria sensibilità, al proprio "sentire" nei riguardi di una generica divinità che, se va bene, può essere fatta risalire non a Dio che si rivela in Gesù Cristo, bensì ad un dio panteista. L'esigenza di Dio, come espressa da Maria già da alcuni secoli ed in molti posti, non è questa. Non è questa la conversione richiesta, ma questo è il momento storico in cui Dio sembra abbia iniziato a ricordare che Egli richiede fedeltà, e perciò fede non sentimentalismo.
Segnalo questo commento in francese sulla questione del "privileggio":
https://www.catholica.presse.fr/2022/03/02/le-motu-proprio-traditionis-custodes-et-ses-suites-occasion-providentielle-ou-victoire-a-la-pyrrhus/
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