Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 26 agosto 2022

Oscuramento della centralità della Passione redentrice. 2/5

Riprendiamo la seconda parte di cinque [qui la Prima: Il primato dell'adorazione] della critica di José A. Ureta a Desiderio Desideravi. Qui l'indice degli articoli correlati. Anch'io avevo annotato a suo tempo [vedi] l'enfasi postconciliare posta sul una nuova concezione del 'Mistero pasquale' centrata sulla Resurrezione, collegata anche alla trasformazione dell'Offertorio.

Il mistero pasquale come centro della celebrazione 

Nell'enciclica Mediator Dei, Pio XII sottolinea la centralità della Passione nella vita di Nostro Signore Gesù Cristo e nella nostra redenzione (i grassetti di seguito sono tutti nostri): 
«La sacra Liturgia, poi, ci propone tutto Cristo, nei vari aspetti della sua vita: il Cristo, cioè, che è Verbo dell'Eterno Padre, che nasce dalla Vergine Madre di Dio, che ci insegna la verità, che sana gli infermi, che consola gli afflitti, che soffre, che muore; che, infine, risorge trionfando sulla morte, che, regnando nella gloria del cielo, ci invia lo Spirito Paraclito, che vive sempre nella sua Chiesa: «Gesù Cristo ieri ed oggi: Egli è anche nei secoli». E inoltre non ce lo presenta soltanto come un esempio da imitare, ma anche come un maestro da ascoltare, un pastore da seguire, come mediatore della nostra salvezza, principio della nostra santità, e Mistico Capo di cui siamo membra, viventi della sua stessa vita.
«E siccome i suoi acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui proviene la nostra salvezza, è secondo le esigenze della fede cattolica porre ciò nella sua massima luce, poiché esso è come il centro del culto divino, essendone il Sacrificio Eucaristico la quotidiana rappresentazione e rinnovazione, ed essendo tutti i Sacramenti congiunti con strettissimo vincolo alla Croce» (203-204).

Più avanti, Pio XII fa riferimento alle finalità del sacrificio eucaristico (adorazione, ringraziamento, propiziazione e impetrazione). Nel descrivere il terzo scopo, Papa Pacelli sottolinea ancora una volta il ruolo della Passione e della Morte del divino Redentore, riassumendo in poche righe la dottrina di Sant'Anselmo sull'espiazione vicaria di Gesù Cristo sulla croce: «Il terzo fine è l'espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce in “espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Gv 2, 2)».

E ribadisce questo insegnamento tradizionale nel descrivere il frutto del sacrificio divino, citando Sant'Agostino: «I meriti infiniti e immensi di questo sacrificio non hanno limiti, e si estendono a tutti gli uomini in ogni luogo e in ogni tempo, perché in esso il sacerdote e la vittima è Dio Uomo; perché la sua immolazione, come la sua obbedienza alla volontà dell'Eterno Padre, è stata perfettissima, e perché ha voluto morire come capo del genere umano: "Vedete come è stato trattato il nostro Salvatore: Cristo pende sulla croce; vedete a quale prezzo ha comprato.... Il suo sangue è stato versato. Egli ha comprato con il suo sangue, con il sangue dell'Agnello immacolato, con il sangue dell'unico Figlio di Dio.... È Cristo che compra; il prezzo è il sangue; l'acquisto, il mondo intero" (S. Agostino, In psalm. 147; P.L. 37, 1925)» (n° 95).

Reinterpretare la Redenzione attraverso la Resurrezione
Questa insistenza sulla centralità del sacrificio della croce per la redenzione del genere umano era una risposta alle elucubrazioni dei teologi più radicali del movimento liturgico che, già all'epoca, lo mettevano in ombra, enfatizzando il trionfo e la risurrezione di Cristo e il suo attuale stato glorioso. Il gesuita Juan Manuel Martín-Moreno servirà ancora una volta da guida per chiarire il cambiamento di enfasi introdotto dagli innovatori:
"La teologia occidentale si sta liberando da questo modello anselmiano di redenzione, che ha influenzato così negativamente la liturgia. Infatti, la salvezza è stata un'iniziativa del Padre che ci ha amati mentre eravamo ancora peccatori (Rm 5, 10). È stata l'iniziativa del Padre a mandarci il suo Figlio, il Salvatore, come capo di una nuova umanità. Gesù non è morto perché ha cercato la morte, né perché il Padre l'ha richiesta. Il Padre non lo ha mandato a morire, ma a vivere. L'azione del Padre non consiste nell'uccidere il Figlio, ma nel farlo risorgere, accogliendo la sua offerta d'amore. (...)
"Il modo crudele in cui Gesù ha subito la sua morte non è la conseguenza di un destino ineluttabile fissato da Dio Padre, ma è la conseguenza della crudeltà degli uomini che non potevano tollerare la presenza di un giusto in mezzo a loro.
"Quando diciamo che Gesù è morto 'per i nostri peccati', intendiamo dire che è morto perché l'umanità peccatrice non poteva che ucciderlo. È morto perché eravamo peccatori. Se fossimo stati giusti, non lo avremmo mai ucciso e Gesù non avrebbe subito quella morte. Non è il Padre a volere la morte di Gesù sulla croce, ma l'umanità peccatrice.
"Gesù muore perché è stato fedele alla linea di condotta che gli era stata tracciata, mostrandoci il vero volto del Padre. In questo senso possiamo dire che è morto per il compimento della volontà di Dio. (...)”
"Poiché è morto nel compimento della sua missione e ha assunto la nostra natura umana fino alle sue ultime conseguenze, morendo di una morte simile alla nostra, l'umanità di Gesù è stata risuscitata dal Padre. (...) La nostra salvezza è l'effetto della sua incarnazione, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e del dono del suo Spirito" [1].
Non potrebbe essere più chiaro: la porta della risurrezione e della vita eterna ci è stata aperta non tanto per il sangue versato sulla croce, ma perché l'umanità di Gesù è stata risuscitata dal Padre. Questo cambiamento di paradigma, descritto pedagogicamente da P. Martín-Moreno, cessò di essere una mera speculazione dei teologi e cominciò a passare nelle cattedre ecclesiastiche già nel periodo dell'elaborazione dello schema preliminare della Costituzione sulla liturgia, ancor prima dell'inizio della prima sessione conciliare. Il titolo originario del capitolo sull'Eucaristia, approvato il 10 agosto 1961, era De sacro sancto Missae sacrificio; ma nella sessione del 15 novembre dello stesso anno divenne De sacro sancto Eucharistiae misterio [2].

Come questo punto di vista è entrato nella Costituzione conciliare della Liturgia
All'inizio delle discussioni su questo schema preliminare - l'unico che, a causa del suo carattere novatore volontariamente moderato [3], non fu respinto a priori ma emendato - Mons. Henri Jenny, allora vescovo ausiliare di Cambrai e membro della commissione preparatoria sulla liturgia (e in seguito membro del Consilium che elaborò la nuova Messa), osservò che lo schema mancava dell'essenziale: una dottrina sul mistero della liturgia. Fu quindi istituita una sottocommissione che redasse il primo capitolo della Sacrosanctum Concilium [4], il cui contenuto divenne il nucleo dottrinale non solo di quella costituzione conciliare, ma anche della riforma liturgica di Papa Paolo VI e di tutto il magistero postconciliare sulla liturgia.

Quel primo capitolo della Sacrosanctum Concilium diluisce la centralità della morte in croce nell'insieme del "mistero pasquale": «Quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita”. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito “il mirabile sacramento di tutta la Chiesa”» (n° 5).

Non c'è dubbio che l'espressione paschale sacramentum (cioè "mistero pasquale") sia frequente nei testi dei Padri della Chiesa e nelle preghiere del messale tradizionale. Ma in essi tutti, l'espressione è stata compresa all'interno della concezione tradizionale della Redenzione come riscatto operato principalmente dal Sangue versato nella Passione e Morte del Salvatore (si veda, ad esempio, la preghiera del Venerdì Santo: «Ricordati, o Signore, delle tue misericordie e santifica con costante protezione i tuoi servi, per i quali il tuo Figlio Gesù Cristo ha istituito il mistero pasquale con la sua passione» - per suum cruorem, instituit paschale mysterium).

Mentre, nel suo significato moderno, il mistero pasquale è stato inteso principalmente come la piena rivelazione dell'amore del Padre, che si esprime soprattutto nella risurrezione di Gesù: «Quando si passa dalla redenzione al mistero pasquale, l'accento cambia completamente. Chi parla di redenzione pensa prima alla Passione e poi alla resurrezione come complemento. Chi parla di Pasqua pensa prima a Cristo risorto» [5], scriveva il domenicano Aimon-Marie Roguet in un articolo pubblicato sulla rivista Maison-Dieu, baluardo parigino del movimento liturgico.

Papa Francesco minimizza la morte redentrice di Cristo
È proprio questa accentuazione unilaterale a favore della Pasqua e a scapito della Passione - contrariamente all'equilibrio tradizionale - che traspare da ogni poro di Desiderio Desideravi. Neanche una volta il documento usa le parole "redenzione", "redentore", "riscattare", che evocano la liberazione dal peccato attraverso il pagamento di un debito. Utilizza sempre "salvezza", che non ha questa connotazione, e lo associa preferibilmente alla Pasqua ebraica, che viene menzionata ben 29 volte nel corso del testo. Mentre la risurrezione è menzionata 14 volte, la morte del Signore è menzionata solo 6 volte.

La stessa definizione che egli offre della Liturgia soffre di questa parzialità. Per Francesco «la Liturgia è il sacerdozio di Cristo a noi rivelato e donato nella sua Pasqua, reso oggi presente e attivo attraverso segni sensibili (acqua, olio, pane, vino, gesti, parole) perché lo Spirito, immergendoci nel mistero pasquale, trasformi tutta la nostra vita conformandoci sempre più a Cristo» (n. 21). E a proposito del rispetto delle rubriche, afferma che è necessario non privare l'assemblea di ciò che le appartiene, «vale à dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce» (n. 23), che deve risvegliare la meraviglia dei partecipanti, descritta come «meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù (cfr. Ef 1,3-14) la cui efficacia continua a raggiungerci nella celebrazione dei “misteri”, ovvero dei sacramenti» (n. 25). Inoltre, afferma che l’«azione celebrativa è il luogo nel quale attraverso il memoriale si fa presente il mistero pasquale perché i battezzati, in forza della loro partecipazione, possano farne esperienza nella loro vita» (n. 49).

Il rischio di un tale cambiamento di enfasi è che (ciò che resta della) fede dei fedeli possa essere distorto in due dimensioni. Da un lato, possono essere portati a pensare che l'opera di salvezza sia da attribuire più al Padre e allo Spirito Santo che a Gesù, il Verbo incarnato, figlio di Maria, che ha versato il suo sangue per i nostri peccati. D'altra parte, potrebbero essere portati a pensare che Gesù Cristo non sia propriamente il Redentore, ma il "luogo" in cui Dio ci salva, poiché è nella Pasqua di Cristo che l'amore del Padre si rivela a noi. La pietà dei fedeli può anche essere portata a svalutare tutte le devozioni tradizionali che li incitano a espiare i loro peccati e quelli dell'umanità e portarli a sostenere di essere salvati solo per fede nel piano salvifico di Dio, senza completare nella loro carne «ciò che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24); o, peggio ancora, a credere in una salvezza universale a causa dell'indefettibile alleanza di Dio con il genere umano.
José Antonio Ureta
_____________________________ 
[1] Apuntes de Liturgia, p. 43-44.
[2] https://www.cairn.info/revue-recherches-de-science-religieuse-2013-1-page-13.htm
[3] https://www.crisismagazine.com/2021/sacrosanctum-concilium-the-ultimate-trojan-horse
[4] http://www.fraternites-jerusalem.ca/wordpress_sdssm/wp-content/uploads/2013/04/Présentation-Sacrosanctum-Concilium.pdf
[5] https://www.la-croix.com/Culture/revue-Maison-Dieu-liturgie-coeur-2020-11-29-1201127197

Fonte: Onepeterfive, 9 agosto 2022. Traduzione a cura di TFP – Italia

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Cosa s’intende oggi per pastorale?
Nell’attuale linguaggio ecclesiale, la parola pastorale tende ad
assumere gradualmente un significato diverso e una portata molto
più vasta, che ne svelano la possibile funzione “talismanica”.
In una prima fase, la pastorale viene intesa non più come arte
dell’evangelizzazione e del governo ecclesiale, ma come regola
suprema dell’intero Cristianesimo in tutte le sue dimensioni:
dogmatica, morale, liturgica e canonica. Ogni verità e legge
viene quindi ammessa solo nella misura in cui è compatibile con
le supreme esigenze della pastorale.
Nasce così una nuova pastorale intesa non più come arte di
convertire l’uomo a Dio accogliendolo nella Chiesa, ma come
“pedagogia del dialogo e dell’incontro paritario” tra la Chiesa e
l’umanità nella sua concreta situazione storico-sociale, al fine di
realizzare insieme la pace universale. Ciò viene fatto in nome di
un “realismo cristiano”, che imporrebbe un compromesso tra il
subire supinamente il “mondo” e il rifiutarlo irresponsabilmente.
In una seconda fase, questa pastorale fa un passo avanti e
diventa l’arte di adeguare la Chiesa alle esigenze della “modernità” inserendola nel divenire storico e nella evoluzione cosmica.
Ad esempio, la pastorale avrebbe l’incarico di svolgere una missione “profetica” al fine di adeguare le realtà sociali e familiari
all’attuale mutazione antropologica.
Alla fine del processo che descriviamo, si compie un rovesciamento: invece di adeguare la vita alla verità, all’inverso si
adegua la verità alla vita; dunque la pastorale non è più via ma
meta, non più mezzo ma fine. Ma allora, l’evoluzione talismanica della parola pastorale rischia di trasbordare il fedele dal
Cristianesimo a un umanesimo secolarizzato: non più “Dio
primo servito”, ma “l’Uomo primo servito”. Guido Vignelli

Anonimo ha detto...

Ardui sono i tempi in cui viviamo; dure le fatiche che essi esigono da noi. La sposa di Cristo, affidata già alle tue cure, si trova di nuovo in gravi angustie. I suoi figli sono minacciati da innumerevoli pericoli nell’anima e nel corpo. Lo spirito del mondo, come leone ruggente, va attorno cercando chi possa divorare. Non pochi cadono sue vittime.
(Pio XII)

Anonimo ha detto...

...Vuoi dire messa sul materassino, mentre balli, avere figli e moglie, adorare pachamama, bestemmiare, vietare l'accesso in chiesa ai non vaccinati, trasformare il tempio di Dio in trattoria, essere favorevole alle teorie gender, benedire "matrimoni" omosessuali, chiudere gli occhi sugli scandali della pedofilia, partecipare a riti idolatrici, flertare con i protestanti, adorare madre terra, e altre amenitá dottrinali? No problem!
Ma se ami la Messa dei secoli e la Tradizione devi essere "rieducato"....

Anonimo ha detto...

La causa dell'oscuramento della centralità della Passione redentrice dipende dal fatto che l'essere umano è stato abbandonato dalla chiesa, non più docente, alla materia, alla materialità di quello che gli mostrano i suoi sensi. Così NSGC viene ritenuto forse un profeta, morto di morte violenta, buon predicatore, un po' guaritore, ma non sfonda il recinto materiale dove l'essere umano è stato rinchiuso e si è rinchiuso.
Ricordo che da ragazzina a volte si andava in un certo cinema e all'intervallo e/o d'estate il soffitto di questa sala cinematografica si apriva per far rinfrescare l'aria e si vedevano le stelle, a volte anche la luna. Ecco la Chiesa dovrebbe essere quel soffitto aperto che mostra un altro mondo, più vasto, più ampio, più profondo, più vero della finzione cinematografica; io non ricordo nulla dei film che posso aver visto in quella sala cinematografica, ma ricordo quel cielo, quelle stelle e quell'aria fresca. La chiesa ha chiuso quel soffitto e si concentra sulla trama del film, neanche più sugli esseri umani che pur di tanto in tanto alzano gli occhi al soffitto ormai murato.

Anonimo ha detto...

ERA PROPRIO NECESSARIO UN NUOVO MESSALE?

Nel 2013, mi sono recato in Romania per visitare i monasteri ortodossi della Bucovina e della Moldavia rumena. Per la prima volta ho assistito alla celebrazione della Divina liturgia della Chiesa Ortodossa, tramandata pressocché inalterata da molti secoli. La percezione del Sacro è stata fortissima, e mi ha colpito la profonda capacità di raccoglimento dei fedeli, persino dei bambini. Una dimensione spirituale ormai irripetibile nelle nostre chiese cattoliche. Quella esperienza ha segnato profondamente la mia fede. In seguito, ho maturato la convinzione che la riforma liturgica postconciliare attuata dalla Chiesa cattolica, per “adeguare la liturgia ai tempi”, abbia finito per impoverire il nostro Rito. La liturgia ortodossa non ha mai preteso di rincorrere il tempo, semplicemente perché si colloca al di fuori di esso: è una finestra aperta sull’Eterno, che consente ai fedeli di contemplare e pregustare la loro destinazione finale. E se lo svuotamento delle nostre chiese dipendesse “anche” da questo? Difficile rispondere al bisogno di “eternità” se si continua a rincorrere il mondo, rimanendo così imbrigliati nella “trappola del tempo”. E oggi, dopo appena 36 anni, è stato presentato il nuovo Messale della CEI, che "oltre alle variazioni e agli arricchimenti della terza edizione tipica latina, propone altri testi facoltativi di nuova composizione, maggiormente rispondenti al linguaggio e alle situazioni pastorali delle comunità”. Era proprio necessario?