Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement la dimostrazione di svariati elementi del culto ebraico puro della Torah portata a compimento da Cristo Signore presenti soprattutto nel Rito antico. Del resto la Santa Messa eredita il proseguimento del culto sinagogale (Salmi, la stessa cantillazione del gregoriano e Letture) con l'aggiunta della Consacrazione e del banchetto escatologico rappresentato dalla Santa Comunione... Vedi qui - qui miei vecchi lavori, interessante per conoscere le feste ebraiche e il loro significato e simbolismi Buona lettura della Seconda Parte. Pubblicheremo anche le parti successive.
La Torah e la haftarah nella liturgia romana (parte 2):
il sabato delle Quattro Tempora di settembre
Gregory Dipippo
Gregory Dipippo
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
Parte quinta
Nella prima parte di questa serie (qui) ho descritto l’usanza liturgica ebraica di abbinare tematicamente le letture della Legge di Mosè (la Torah, come viene chiamata in ebraico) con le letture — tratte dai Profeti — chiamate haftarot. Ho anche descritto come questa antichissima consuetudine sembra aver influito su alcune parti molto antiche del lezionario romano, come testimonia la scelta delle letture per i mercoledì delle quattro tempora di Quaresima e di settembre. Le Tempora di settembre coincidono con il periodo in cui possono cadere alcune importanti feste ebraiche, e nelle Messe del venerdì e del sabato il loro influsso è ancor più notevole.
Le prime due delle cinque letture scritturali del sabato sono tratte dal capitolo ventitreesimo del Levitico. La prima, versetti 26-32, parla dello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione. “Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell’espiazione, […] un giorno di propiziazione, affinché il Signore tuo Dio possa essere misericordioso verso di te”. La seconda, versetti 39-43, descrive la festa dei Tabernacoli (“capanne”1. nella traduzione di Re Giacomo, sukkot in ebraico, che i parlanti yiddish pronunciano “sukkus”)
Le prime due delle cinque letture scritturali del sabato sono tratte dal capitolo ventitreesimo del Levitico. La prima, versetti 26-32, parla dello Yom Kippur, il Giorno dell’Espiazione. “Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell’espiazione, […] un giorno di propiziazione, affinché il Signore tuo Dio possa essere misericordioso verso di te”. La seconda, versetti 39-43, descrive la festa dei Tabernacoli (“capanne”1. nella traduzione di Re Giacomo, sukkot in ebraico, che i parlanti yiddish pronunciano “sukkus”)
La celebrazione della festa dei Tabernacoli: illustrazione da una Bibbia stampata nella città olandese di Dordrecht nel 1682. (Immagine di pubblico dominio tratta da Wikimedia Commons.) |
“… quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni … e dimorerete … in capanne, affinché i vostri discendenti sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dal paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio”. In adempimento a questo passaggio, gli ebrei osservanti celebrano ancora questa festa “dimorando” in una struttura temporanea ricoperta di rami di palma fuori dalle loro case, cioè consumandovi almeno i pasti, e talvolta anche dormendovi.
Il sabato prima dello Yom Kippur, la lettura della haftarah è Osea 14, 2-10, con un passo aggiunto alla fine, Gioele 2 (11-27 o 15-27), o Michea 7, 18-20. (Ora è un’usanza comune aggiungerli entrambi, con Michea per primo.) Durante la funzione pomeridiana dello stesso Yom Kippur, la haftarah è l’intero libro di Giona, con gli stessi tre versetti di Michea aggiunti, una scelta particolarmente appropriata per il Giorno dell’Espiazione: “Egli Si volgerà di nuovo a noi e avrà pietà di noi: perdonerà le nostre iniquità e getterà nel fondo del mare tutti i nostri peccati”.
Nel lezionario romano, lo stesso passo di Osea funge da epistola della Messa del venerdì sera di settembre. La terza lettura del sabato delle Quattro Tempora è costituita dai versetti 14, 16 e 18-20 di Michea 7, una versione leggermente più lunga della fine della haftarah dello Yom Kippur. È ovvio che ciò non può essere un caso, bensì va inteso come una cristianizzazione dell’antica festa ebraica.
Seguendo lo schema secondo cui la terza lettura funge in qualche modo da haftarah per la prima, la quarta ha la stessa funzione per la seconda, ma in questo caso il lezionario romano si discosta dalla tradizione ebraica. La haftarah del primo giorno di Sukkot è tutto l’ultimo capitolo di Zaccaria (14, 1-21); la quarta lettura del sabato delle Quattro Tempora, invece, è il capitolo 8, 14-19 dello stesso libro. Questa scelta sembrerebbe motivata dal fatto che le Quattro Tempora sono un periodo di digiuno piuttosto che una festa come Sukkot, che qui viene ridisegnata, per così dire. In effetti, la prima parte di questo passo è più consona allo spirito penitenziale dello Yom Kippur.
“Come decisi di affliggervi quando i vostri padri Mi provocarono all’ira — dice il Signore degli eserciti — e non Mi lasciai commuovere, così, al contrario, in questi giorni Mi premurerò di fare del bene a Gerusalemme e alla casa di Giuda; non temete”.
L’ultimo versetto di Zaccaria è particolarmente interessante per il suo vincolo con le Quattro Tempora.
“Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del [primo,] quarto, quinto, settimo e decimo mese si trasformerà per la casa di Giuda in gioia, giubilo e giorni di festa, purché amiate la verità e la pace”.
Nei libri liturgici romani più antichi, le Quattro Tempora non sono chiamate “Quatuor Temporum — dei quattro tempi”, come nei libri tridentini. Quelle di Pentecoste sono chiamate “il digiuno del quarto mese”, e quelle di settembre e dicembre, rispettivamente “del settimo” e “del decimo mese”, seguendo l’antico calendario romano in cui marzo era originariamente il primo mese dell’anno. Per questo motivo, molti dei primi lezionari epistolari aggiungono le parole “il digiuno del primo mese” (tra parentesi quadre qui sopra) al testo biblico, per includere le Quattro Tempora di Quaresima.
È proprio la parte finale della lettura a fungere da capitolo feriale di Quaresima nel Breviario Romano, un promemoria per coltivare continuamente le virtù che la Chiesa cerca di instillare in noi mediante periodi di digiuno nel corso di tutto l’anno.
Nei lezionari più antichi del rito romano, la quinta lettura del sabato delle Quattro Tempora non è quella di Daniele 3 come adesso, ma quella di Esodo 32, 11-14.
“Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: ‘Perché, Signore, divamperà la Tua ira contro il Tuo popolo, che Tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della Tua ira e abbandona il proposito di fare del male al Tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, Tuoi servi, ai quali hai giurato per Te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre’. Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al Suo popolo”.
La Tenda dell’Alleanza, rappresentata in un cartiglio su una mappa della Terra Santa fatta in Germania nel 1720. (Immagine di pubblico dominio tratta da Wikimedia Commons.) |
Questa lettura si riferisce ovviamente al carattere penitenziale delle Quattro Tempora, ma anche alla festa dei Tabernacoli, che Dio istituì affinché la “posterità” del popolo ebraico, cioè la discendenza di Abramo, Isacco e Israele che Egli giurò di moltiplicare, "sappia che (Egli) ha fatto dimorare i figli d’Israele in tabernacoli, quando li ha fatti uscire dal paese d’Egitto”.
La lettura della Lettera agli Ebrei che segue, capitolo 9, 2-12, funge da haftarah per questa lettura. Spiega che la Tenda dell’Alleanza era divisa in due parti: la prima era quella in cui “entrano sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda invece solamente il sommo sacerdote, una volta all'anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo”. L’ultima parte di questo rito è lo Yom Kippur, descritto in dettaglio in Levitico 16.
In Esodo 25-30, Mosè riceve una descrizione dettagliata della Tenda, con i suoi numerosi arredi e riti, durante i quaranta giorni e quaranta notti sul Monte Sinai. Ma mentre egli è lì, gli Israeliti si ribellano e cominciano ad adorare il vitello d’oro; Dio perciò gli dice: “Lasciami fare, affinché la Mia ira si accenda contro di loro e li distrugga, e farò di te una grande nazione”. La lettura riportata sopra da Esodo 32 è la risposta di Mosè a queste parole, che frena l’ira di Dio.
(L’offertorio della dodicesima domenica dopo Pentecoste, che deriva da questa stessa lettura: “Precátus est Moyses in conspectu Dómini, Dei sui, et dixit: ‘Quare, Dómine, irásceris in pópulo tuo? Parce irae ánimae tuae: memento Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurasti dare terram fluentem lac et mel’. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo”. — “Mosè pregò davanti al Signore suo Dio e disse: ‘Perché, Signore, divamperà la Tua ira contro il Tuo popolo? Desisti dall’ardore della Tua ira e abbandona il proposito di fare del male al Tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, Tuoi servi, ai quali hai giurato di dare una terra dove scorre latte e miele’. Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al Suo popolo”.)
La lettera agli Ebrei prosegue dicendo che la Tenda dell’Alleanza non era altro che “una figura per il tempo attuale … Cristo invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio Sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna”.
Forse queste letture sono state abbinate per il bene di quanti, tra i primi cristiani, si sentivano ancora vicini alle loro radici ebraiche e ricordavano la metà di settembre come il periodo delle festività principali. Non avrebbero potuto essere tentati di considerare il rifiuto dei loro ex correligionari di accettare Gesù di Nazareth come Messia una ribellione contro Dio simile a quella dell’episodio del vitello d'oro? La lettura dell’Esodo sarebbe servita quindi a ricordare loro che Dio è stato misericordioso di fronte alla supplica di Mosè, e a suggerire che Egli sarebbe stato altrettanto misericordioso di fronte alla supplica di Cristo, il Sommo Sacerdote dei beni futuri, Che con il proprio Sangue ha ottenuto la redenzione eterna mediante un tabernacolo più grande e più perfetto.
Nota di Chiesa e post-concilio
SUKKOTH - La festa delle capanne
È significativo che, subito dopo Kippur, nello stesso mese di tishrì, comincia sukkot סוכות , la festa delle capanne = 7 giorni + 1. Si risiede nelle capanne costruite con elementi tutti vegetali. Delle 4 pareti la codificazione rabbinica ne prescrive due intere + una terza anche parziale. Il tetto, da cui si può vedere il cielo, rappresenta Dio, la Provvidenza e ricorda, la nube, la gloria, che precedeva il popolo nel deserto, aiuta a percepire la Presenza di Dio su di sé. La stessa forma della sukkà è un abbraccio. E allora è agevole riconoscere la relazione verticale con Dio e orizzontale con gli altri e con l'ambiente naturale. È per questo che dopo kippur si comincia a costruire la sukkà. Infatti la correlazione tra kippur e sukkòt è la ricomposizione delle relazioni frantumate. Ed è per questo che sukkòt è il tempo della nostra gioia. Il culmine della festa di Sukkot, Simchat Torah, è evidentemente collegato a questa consapevolezza.
Sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall'Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie, accompagnati però, secondo la tradizione, da "nubi di gloria".
Sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall'Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie, accompagnati però, secondo la tradizione, da "nubi di gloria".
Nella Torah (Levitico, 23, 41-43) infatti troviamo scritto: "E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all'anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d'Egitto".
La festa delle capanne è una delle tre feste di pellegrinaggio prescritte nella Torah, durante le quali gli ebrei dovevano recarsi al Santuario a Gerusalemme, fino a quando esso non fu distrutto dalle armate di Tito nel II secolo dC. Altri nomi della festa sono "Festa del raccolto" e anche "Festa della nostra gioia", poiché cade proprio in coincidenza con la fine del raccolto quando si svolgevano grandi manifestazioni di gioia. Questa festa è detta anche "festa dei tabernacoli" e il precetto che la caratterizza è proprio quello di abitare in capanne durante tutti i giorni della festa. Se a causa del clima o di altri motivi non si può dimorare nelle capanne, vi si devono almeno consumare i pasti principali.
La capanna deve avere delle dimensioni particolari e deve avere come tetto del fogliame piuttosto rado, in modo che ci sia più ombra che luce, ma dal quale si possano comunque vedere le stelle, il cielo. È uso adornare la sukkà, la capanna, con frutta, fiori, disegni e così via.
La sukkà non è valida se non è sotto il cielo: l'uomo deve avere la mente e lo spirito rivolti verso l'alto.
Un altro precetto fondamentale della festa è il lulàv: un fascio di vegetali composto da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto e da un cedro che va agitato durante le preghiere. Forte è il significato simbolico del lulàv: la palma è senza profumo, ma il suo frutto è saporito; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo, ma non sapore ed infine il cedro ha sapore e profumo. Sono simbolicamente rappresentati tutti i tipi di uomo: tutti insieme sotto la sukkà. Secondo un'altra interpretazione simbolica la palma sarebbe la colonna vertebrale dell'uomo, il salice la bocca, il mirto l'occhio ed infine il cedro il cuore. L'uomo rende grazie a Dio con tutte le parti del suo essere.
L'uomo è disposto a mettersi al servizio di Dio anche nel momento in cui sente che massima è la potenza che ha raggiunto: ha appena raccolto i frutti del suo raccolto, ma confida nella provvidenza divina e abbandona, anche se solo per pochi giorni, la sua dimora abituale per abitare in una capanna. Capanna che è insieme simbolo di protezione, ma anche di pace fra gli uomini. "E poni su di noi una sukkà di pace" riecheggiano infatti i testi di numerose preghiere; ci sono dettagliate regole che stabiliscono l'altezza massima e minima che deve avere una sukkà, ma per quanto concerne la larghezza viene stabilita solo la dimensione minima: nei tempi messianici infatti la tradizione vuole che verrà costruita una enorme unica sukkà nella quale possa risiedere tutta l'umanità intera.
Che differenza con quanto sta succedendo proprio in questi giorni... Una dimostrazione in più che per quanto l'uomo rispetti la Legge, senza Cristo non esiste la vera Pace, perché è solo accogliendo Lui che la Legge è vissuta da un cuore redento e non per senso del dovere ed è per questo che non può degenerare!
* * *
[Traduzione e note a cura di Chiesa e post-concilio]
A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
IBAN - Maria Guarini
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2 commenti:
In sintesi sono e siamo molto ignoranti della nostra religione compimento di quella ebraica, della storia del Cristianesimo, della storia dell Ebraismo, per non parlare della conoscenza della Bibbia. Strano che in un paese, l Italia, ritenuto tra i più cattolici del mondo si sia coltivata tanta ignoranza religiosa. I massoni risorgimentali prima, la sinistra egemonia culturale poi ed il liberismo cosmopolita infine hanno fatto terra bruciata del Cattolicesimo così com'era, lasciandoci in eredità un'insulsaggine dalla quale tutti stanno scappando.
Ma il marcio è sempre venuto dai chuerici, caro amico, sin dal tempo di Pio IX, il '68 è figlio del CV II, del clero ribelle e rivoluzionario che si è impadronito della guida della Chiesa ( influendo sulla società civile) con Roncslli, Montini e il liro diabolico, rivoluzionario "concilio". Si vedano, in proposito, il libro "1962 - Rivoluzione nella Chiesa" di don Andrea Mancinella, e i numerosi libri di don Luigi Villa su Montini, Roncalli e il CV II.
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