Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 22 ottobre 2024

Diebus Saltem Dominicis – 22a domenica dopo Pentecoste: la diatriba

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di padre John Zuhlsdorf ci consente di approfondire, durante l'ottava, gli spunti della domenica precedente [qui].
Diebus Saltem Dominicis – 
22a domenica dopo Pentecoste: la diatriba

Il 17 ottobre, giorno in cui scrivo, è l’anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II a Vicario di Cristo, Vescovo di Roma, Sommo Pontefice. Da giovane sacerdote e vescovo, l’allora vescovo Karol Wojtyła partecipò al Concilio Vaticano II, in particolare come parte del gruppo che compose la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno Gaudium et spes del 1965. Il suo contributo è particolarmente degno di nota in una sezione che, in effetti, salva il documento da un’attenzione eccessivamente ottimistica e forse esagerata per l’uomo, dall’antropocentrismo. Un giovane critico di Gaudium et spes, un esperto di teologia (peritus) al Concilio, disse che alcune parti della Costituzione erano “decisamente pelagiane”. Ciò che il vescovo Wojtyła introdusse fu un deciso elemento cristocentrico. Questa marcata centralità di Cristo è particolarmente presente nello straordinario paragrafo 22:

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo [hominem ipsi homini plene manifestat] e gli fa nota la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte trovino in Lui la loro sorgente e tocchino il loro vertice.

Cristo ci rivela pienamente a noi stessi.

Cristo è il Figlio, la Seconda Persona Incarnata. Come Figlio, prima dell’Incarnazione, era l’immagine perfetta del Dio invisibile (cfr. Col 1, 15). Nell’Incarnazione, assumendo la natura umana in un legame indistruttibile con la Sua divinità, Cristo divenne l’immagine visibile perfetta di Dio. Siamo creature e, di conseguenza, imperfetti. Tuttavia, siamo anche a immagine e somiglianza di Dio, sebbene procreati e creati (Gen 1, 26-27). Quindi, guardando a Cristo, vediamo chi siamo. Siamo stati creati per riflettere Dio, specialmente nel conoscere, volere e amare, nell’agire secondo ragione in linea con la bontà, la verità e la bellezza che sono, in ultima analisi, Dio. Cristo ci rivela pienamente a noi stessi.

Ma ecco che, in Matteo 22, spuntano i farisei, che vogliono trarre fatalmente in inganno Cristo.

Quando giungiamo a Matteo 22, 15-21 e alla nostra pericope evangelica per questa 22a domenica dopo Pentecoste, Gesù sta trascorrendo i suoi ultimi giorni a Gerusalemme di fronte alla crescente opposizione delle autorità. È entrato nella città trionfante, ha purificato il Tempio, ha maledetto il fico sterile e ha insegnato parabole sull’inevitabilità del giudizio eterno.

I farisei, uniti ad alcuni politici alleati con Erode, avevano un piano astuto. Si sono avvicinati al Signore con parole untuose, con complimenti dalla lingua biforcuta: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno” (v. 16).

Gli hanno fatto una domanda a cui si può rispondere solo con un “sì” o con un “no”. Entrambe le risposte sarebbero mortali. Gli hanno chiesto:
“È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”
Se Cristo rispondesse “sì”, potrebbe essere etichettato come un simpatizzante romano. All'epoca gli ebrei nutrivano un grande risentimento nei confronti della continua occupazione pagana romana, dell’imposizione di un sovrano cliente e di tasse oppressive, tra cui l’odiata “tassa pro capite” annuale. La fazione degli zeloti si rifiutava di pagarla. C’era un ex zelota di Cana tra i seguaci di Gesù, Simone, probabilmente un Suo parente stretto (cfr. Marco 6, 3).

Se Cristo rispondesse “no”, potrebbe essere accusato di sedizione dai romani e ucciso. Questo è ciò che i funzionari ebrei volevano ottenere, perché loro, sotto i romani, non potevano farlo da soli.

Cristo, invece, opera una distinzione.

La frase latina, dopotutto, è “qui bene distinguit bene docet... Insegna bene chi fa delle distinzioni corrette”. In risposta alla domanda-trappola, il Signore chiede una moneta. Non una moneta qualsiasi, ma un nómisma toû kénsou, una “moneta tributaria”. Gliene danno una, un denarion, una moneta d’argento romana comunemente usata anche come salario giornaliero per i lavoratori. Questa moneta, apprendiamo dalle domande retoriche di Cristo (“Di chi è questa immagine e l’iscrizione?” v. 20), recava l’immagine del figlio adottivo dell’imperatore Augusto, Tiberio, allora regnante (14-37 d.C.), e la scritta latina: TI[berius] CAESAR DIVI AUG[usti] F[ilius] AUGUSTUS ... Tiberio Cesare Augusto, figlio del divino Augusto”. Augusto, “deificato” per acclamazione dopo la sua morte (14 d.C.), fu intitolato anche “divi filius” in quanto figlio adottivo del divinizzato Gaio Giulio Cesare (nel 42 a.C.).

La moneta data al Figlio di Dio afferma che Tiberio è il “figlio di dio” (Augusto). Anche se la moneta fosse più antica, risalente all’epoca di Augusto, recherebbe comunque l’iscrizione DIVI F. Nonostante l’ingiunzione del Decalogo contro le immagini scolpite, cioè gli idoli di falsi dei, almeno uno tra questi ipocriti farisei ed erodiani aveva addosso una moneta con un’immagine scolpita del falso dio Tiberio all’interno del recinto del Tempio (cfr. Mt 21, 23). Veramente ipocriti.

La Sua risposta è:
Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. (v. 21)
Quindi il vero Figlio di Dio affronta gli assassini ipocriti che ostentano un’immagine idolatrica di un falso dio all’interno dei sacri recinti del Tempio, da cui Egli ha recentemente cacciato i trafficanti di denaro che scambiavano gli impuri denarii romani con la moneta del Tempio, ritualmente pura, per i sacrifici.

Tutte le cose sono di Dio (Re dell’universo, di tutta la creazione), quindi tutte le cose devono essere rese a Dio. Alcune cose sono di Cesare (il sovrano temporale preposto ad alcune cose create), quindi alcune cose devono essere rese a Cesare.

La moneta del tributo reca l’immagine stampata di Tiberio. Noi rechiamo la stampa dell’immagine di Dio.

Dobbiamo cercare di essere buoni cittadini nella sfera temporale, per il bene di un ordine pacifico, così come impegnarci con tutto il nostro cuore e tutte le nostre forze a essere buoni cittadini della Città di Dio, per il bene della pace eterna in Paradiso. Siamo, in un certo senso, cittadini di due regni, terreno e (in previsione) Paradiso. Abbiamo dei doveri verso entrambi, anche se non nella stessa misura. In tempi normali non c'è conflitto tra i nostri doveri sociali e i nostri doveri religiosi. È giusto e appropriato, in tempi normali, dare al nostro paese il nostro “tributo” sotto forma di tasse legittime e diverse forme di servizio. Tuttavia, tutti i doveri sociali devono essere subordinati a ciò che è dovuto a Dio, che è il sovrano di tutto. Questo concetto della regalità sociale di Cristo è debitamente presente nelle orazioni della Messa latina tradizionale, più esplicitamente nella festa di Cristo Re, che cade domenica prossima, l’ultima domenica di ottobre. Il Novus Ordo tende a sottolineare la regalità di Cristo dopo la Seconda Venuta.

A proposito, se non fosse per la sovrapposizione della festa di Cristo Re, anche la 23a domenica dopo Pentecoste ricorderebbe che la nostra cittadinanza è in Paradiso. Sebbene aspettiamo il ritorno del Signore nella Parusia, un tema che attraversa queste ultime settimane dell’anno liturgico, siamo già iscritti nel libro del Paradiso, per così dire. Le nostre vite qui e ora dovrebbero riflettere questa realtà.

Tornando indietro, ci sono teologi che, dopo il Concilio, hanno sottolineato probabilmente troppo il qui e ora e i diritti dell’uomo, con una forte svolta antropocentrica. Il loro punto focale sarebbe Gaudium et spes 36, che esamina la “legittima autonomia degli affari temporali”. Ut brevis, non dobbiamo opporci in modo assoluto agli affari del mondo e dobbiamo dedicarci al nostro sforzo per ciò che è in alto. Opporci in modo assoluto significherebbe creare una falsa dicotomia. Ecco perché l’intuizione offerta dal futuro Papa Giovanni Paolo II in GS 22 è così importante. Questo è anche il cuore della risposta lapidaria di Cristo ai suoi oppositori. Ciò che riguarda il Cielo e Dio deve sempre avere la priorità logica nel nostro agire terreno.

Lo stesso principio deve governare le nostre scelte liturgiche nel nostro sacro culto a Dio. Quando ciò che il mondo ha da offrire ha la priorità su ciò che la Chiesa ha da dare al mondo, il nostro sacro culto liturgico viene distorto e non diamo più ciò che è dovuto a Dio prima di tutto: il culto appropriato.
Padre John Zuhlsdorf, 20 ottobre 2024
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1 commento:

Laurentius ha detto...

E intanto, i fanatici dell'Unione Europea celebrano un'altra vittoria: con un referendum la Moldavia entra a far parte dell'Unione Europea! D'accordo, gli europeisti hanno vinto per un soffio (come al solito grazie ai voti espressi dai moldavi all'estero), la percentuale dei votanti è stata bassa (ma sufficiente per la validità del referendum), il paese è diviso (ma presto sarà per forza unito). Insomma, il miracolo invocato dagli europeisti con così tanta insistenza, alla fine è arrivato. Ed io, al riguardo, non ho mai coltivato nemmeno l'ombra di un dubbio (sic!).