Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 1 febbraio 2025

Conservare i sacramenti tradizionali

Ringrazio Res Novae – Perspectives romaines per la segnalazione
Conservare i sacramenti tradizionali

I difensori della liturgia tradizionale sono oggi nella Chiesa in posizione di minoranza. Per usare il linguaggio degli strateghi, stanno combattendo la battaglia del debole contro il forte. Ma, con l’aiuto di Dio, i «deboli» beneficiano di una forza suprema, quella della causa giusta: al metro del senso della fede, voler privare il popolo cristiano della liturgia immemoriale della Chiesa romana è gravemente iniquo, dato che la liturgia tridentina appare come un vettore privilegiato del deposito della fede.

Di conseguenza – è ciò che sosterremo in questo articolo – la trasmissione di tale tesoro dottrinale e spirituale, per la sua stessa natura di partecipazione alla traditio del Buon Deposito, deve essere integrale. Oggi, invece, con Traditiones custodes assistiamo precisamente ad un’offensiva, che possiamo definire “di erosione”: la messa tridentina viene concessa, ma sotto forma di una tolleranza che va riducendosi sempre più (vedi i divieti e le voci di divieto che colpiscono le messe dei pellegrinaggi); ed i sacramenti tradizionali vengono rigorosamente banditi.

La relatività delle nuove leggi liturgiche nell’attuale situazione della Chiesa
Stiamo vivendo una crisi della Chiesa eccezionale, totalmente atipica ed è importante non normalizzare ciò che è anomalo. L’atto di non accogliere la messa e la liturgia che l’autorità della Chiesa ci offre come cattoliche è di per sé inconcepibile, poiché, nel fare ciò, la Chiesa agisce nel suo ambito specifico di competenza, quello dell’insegnamento e della santificazione. A meno che, nella situazione eccezionale in cui ci troviamo, coloro che detengono l’autorità promulghino leggi che non sono davvero leggi.

Infatti, i pastori della Chiesa, così come hanno emanato un insegnamento «semplicemente pastorale» al Concilio Vaticano II, hanno anche voluto un nuovo modo, più o meno informale, di intendere il culto divino: regola liturgica variabile con pochi vincoli, numerose opzioni costantemente proposte da nuovi libri, ampio spazio lasciato all’interpretazione – interpretazione di senso e interpretazione «teatrale» – da parte dei celebranti. E questo culto meno «rigido» permette anche di ammorbidire il messaggio che veicola: messa meno chiaramente sacrificale, adorazione dell’Eucaristia meno evidente, sacerdozio ministeriale meno marcato, ecc. Per dare un messaggio dottrinale debole, è stato composto un rito evanescente, che non impegna davvero. Questa misteriosa astensione da parte di coloro che possiedono l’autorità di “dire la fede” e che non la utilizzano, è il nucleo dell’oscura crisi della Chiesa nell’ultimo mezzo secolo. Tuttavia, sebbene la nuova liturgia non sia strutturata come una vera e propria legge, essa è comunque molto stringente. La nuova liturgia si impone come un’ideologia.

Tuttavia essa si è scontrata con il senso della fede. Come riporta ne La storia della messa proibita[1] (cioè proibita nel 1969 dalla gerarchia ecclesiastica), Jean Madiran spiega come, nonostante questo divieto formale di conservare la vecchia liturgia[2], l’istinto della fede abbia spinto un numero crescente di preti a continuare a celebrarla per un numero crescente di fedeli. Questa non-obbedienza circa la preghiera ufficiale della Chiesa romana ed il modo di celebrare la santa Eucaristia poteva esser giustificata solo per il fatto che l’obbligo non fosse legge. Forse in quanto nocivo? Questa è la domanda posta alla Chiesa docente, che un giorno prenderà una decisione in merito. Ma ad oggi, a causa dell’attuale dimissione dell’autorità e come misura cautelare, come dicono i giuristi, è necessario agire come se questo obbligo/proibizione, obbligo del nuovo/proibizione del vecchio, non abbia vigore di legge.

Alla fine, questo è ciò che ha deciso – oseremmo dire: ha confessato – l’autorità romana responsabile di questo obbligo/proibizione. Come si sa, il «gran rifiuto» della nuova liturgia da parte di un numero considerevole di preti e di fedeli è stato legittimato da due testi successivi ispirati dal cardinal Joseph Ratzinger, cui questo dossier era stato affidato da Giovanni Paolo II, la Lettera Quattuor abhinc annos del 3 ottobre 1984 ed il motu proprio Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988, ed infine da un terzo documento promulgato dallo stesso Joseph Ratzinger divenuto papa, il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007.

«Il nuovo Ordo è stato promulgato per esser sostituito a quello vecchio», aveva detto Paolo VI il 24 maggio 1976 nella costituzione Missale Romanum. Nonostante ciò, Joseph Ratzinger non ha mai smesso di sostenere e di far sostenere l’interpretazione, secondo cui una proibizione assoluta del vecchio messale «non poteva essere giustificata né dal punto di vista giuridico, né dal punto di vista teologico[3]». Di conseguenza, Summorum Pontificum all’art. 1 enunciava come evidente il fatto che il messale tridentino non fosse mai stato abrogato. Tuttavia non forniva alcuna spiegazione a riguardo.

Questa legittimazione giuridica da parte di Benedetto XVI del non-utilizzo della riforma da parte di un certo numero di cattolici non poteva che basarsi su di una legittimazione di fondo delle ragioni del loro rifiuto. Joseph Ratzinger aveva, in effetti, sempre ammesso, anche se in minima parte, ma molto chiaramente, che la riforma liturgica non era una buona riforma. Nel 1966, in una conferenza a Münster, ove all’epoca era professore, seguita da un’altra a Bamberga, in occasione del Katholikentag (il raduno dei cattolici tedeschi organizzato ogni due anni), aveva attaccato il «nuovo ritualismo» degli esperti di liturgia, che rimpiazzavano gli antichi usi con la fabbricazione di «forme» e di «strutture» sospette, la messa rivolta al popolo per esempio. Lo spiegò ulteriormente in La mia vita[4], sottolineando la radicalità della decostruzione/ricostruzione: «Si è demolito il vecchio edificio per costruirne un altro».

In questo si è ricongiunto al sentimento generale dei cattolici che constatavano come tutto fosse stato stravolto, sia che fossero favorevoli sia che fossero contrari alla riforma. E, se erano contrari, lo facevano parlando di protestantizzazione: mons. Marcel Lefebvre aveva sferrato l’attacco in La messa di Lutero[5]; Julien Gracq, che proveniva da un ambiente laico, era andato in qualche modo persino oltre, constatando come il protestantesimo «sembrasse improvvisamente – accanto a questa agape spoglia e intimistica – pastoso, orchestrato, ricco[6]».

Poi giunse il ribaltamento di linea giurisprudenziale ad opera di papa Francesco: a suo avviso, Paolo VI aveva voluto espressamente obbligare/proibire. Ci si trova ormai di fronte a due interpretazioni opposte circa la forza vincolante della nuova liturgia da parte dei papi preposti alla sua applicazione: quella di Francesco nella Traditionis custodes, art. 1: «I nuovi libri liturgici sono l’unica espressione della lex orandi del Rito romano» contro quella di Benedetto in Summorum Pontificum, art. 1: il messale tridentino «dev’essere considerato come espressione straordinaria della stessa lex orandi». Un cardinale, di cui non faremo il nome, si è cimentato in una sintesi 50/50: «Benedetto ha permesso troppo; Francesco ha troppo proibito».

L’oscurità giuridica aumenta:
  • Traditionis custodes fa ai vescovi una concessione eventuale e alquanto circoscritta di utilizzo del messale romano del 1962 e lascia intendere che vi sia l’obbligo di ricorrere ai sacramenti nuovi ed alle altre cerimonie del rito e del pontificale. 
  • I Responsa del Culto divino del 4 dicembre 2021 precisano che, di fatto, non è più possibile celebrare col rito romano e col pontificale romano anteriori alla riforma del Vaticano II (cioè l’edizione tipica del rito del 1952 e l’edizione tipica del pontificale del 1961 e 1962[7]). Non è dunque permesso conferire battesimi, cresime, ordinazioni, i sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, benedire matrimoni, recitare l’Ufficio divino, almeno in pubblico, celebrare funerali, preparare l’acqua benedetta, benedire le case, le medaglie, ecc. secondo la forma antica. Anche se, curiosamente, il vescovo può accordare la licenza di utilizzare il rito proibito alle parrocchie personali erette per celebrare la liturgia tradizionale, ma non il pontificale[8].
  • Inoltre, un decreto pubblicato l’11 febbraio 2022 consente ai membri della Fraternità di San Pietro «di amministrare i sacramenti e gli altri riti sacri e di compiere l’Ufficio Divino, secondo le edizioni tipiche dei libri liturgici in vigore nell’anno 1962, vale a dire il Messale, il Rito, il Pontificale ed il Breviario Romano». Il decreto precisa che essi possono avvalersi di questa facoltà «nelle chiese e negli oratori propri; al di fuori, vi ricorreranno solo previo consenso dell’Ordinario del luogo».
Finché non arriverà un altro ribaltone giurisprudenziale a spiegarci che il rito romano ed il pontificale romano tradizionali non sono mai stati abrogati.

Ragioni per le quali bisogna attenerci ai sacramenti tradizionali
1 – La nuova liturgia non è divisibile: o la si prende o la si rifiuta nella sua interezza
La riforma liturgica è un blocco, per usare le parole di Clémenceau a proposito di un’altra rivoluzione, e si concepisce come tale. Dal loro stesso punto di vista, quel che propongono le disposizioni attuali, che distinguono messa e sacramenti, è inconcepibile. È certo che la riforma del messale rappresenta l’atto più importante della riforma liturgica, ma l’intento di quest’ultima è globale. Tutti i libri sono stati modificati, e sempre in profondità. Il carattere totalizzante della riforma liturgica postconciliare è chiaro nella volontà di mostrare attraverso di essa un nuovo volto della Chiesa, trasformando l’intero culto romano per offrire una lex orandi più accessibile agli uomini del nostro tempo (specialmente smussando l’espressione dei dogmi duri, tanto nella messa come sacrificio propiziatorio quanto nel battesimo come lotta contro il demonio ed il peccato originale, ecc.).

Poiché le celebrazioni degli altri sacramenti sono atti meno importanti della celebrazione dell’Eucaristia, non vi si fa caso nella stessa misura. Resta il fatto che è l’insieme del mondo della liturgia tridentina ad esser stato liquidato. In realtà, la nuova liturgia costituisce un mondo altro. Anche se il Summorum Pontificum parla di «forme» diverse del rito romano, si tratta in effetti di due riti distinti, ma non nel modo in cui i riti orientali sono distinti dal rito romano: il nuovo rito intende sostituire il vecchio come un tutto soppianta un altro tutto. Infatti, nella liturgia tutte le parti si tengono insieme e si rispondono a vicenda attorno al centro, l’Eucaristia, e tutti gli altri sacramenti vi sono ordinati. Il messale antico o il messale riformato sono così i rispettivi cuori dell’antica e della nuova liturgia. Chi si rifiuta di celebrare la nuova Eucaristia sarebbe incoerente se accettasse i nuovi sacramenti.

È proprio questa unità intrinseca ad esser evidenziata dal primo testo che riconosce la legittimità delle antiche celebrazioni, la Lettera Quattuor abhinc annos, la quale vietava di mescolare le due liturgie: «Che non vi sia alcuna mescolanza tra i riti ed i testi dell’uno e dell’altro messale». Certo, nel 2007, nella Lettera ai vescovi, che accompagnava Summorum Pontificum, Benedetto XVI diceva, al contrario, che le due «forme d’uso» del rito romano «possono arricchirsi reciprocamente». Ma questo «arricchimento», questa mescolanza, che si riduceva, per il vecchio messale, all’eventuale inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi, presentava un carattere sovversivo per il nuovo. Per il messale di Paolo VI, le possibilità di arricchimento erano tanto ampie quanto vaghe e «potrà esser manifestata in modo più forte di quanto non sia stato spesso fatto finora, quella sacralità che attira molte persone verso il rito antico».

2 – La liturgia antica forma un insieme coerente: se si usa il messale antico, bisogna utilizzare anche gli altri libri
Se la nuova liturgia rappresenta un blocco, la liturgia antica è un insieme coerente che a sua volta non patisce alcuna dissociazione.

Storicamente, mons. Marcel Lefebvre, dopo qualche esitazione, aveva scelto per il suo seminario di Écône di adottare le ultime edizioni tipiche del messale tridentino, del breviario tridentino e del pontificale tridentino, del 1961 e 1962, sia per ragioni di convenienza (si potevano trovare numerosi libri invenduti) che di logica: questi libri contenevano la liturgia romana nello stato immediatamente precedente la riforma, iniziata nel 1964.

A questo proposito, si parla a torto del «messale del 1962». È più corretto parlare dell’ultima edizione tipica del messale tridentino. Inoltre, il messale successivo, il primo della riforma, quello pubblicato dalla Congregazione dei Riti il 27 gennaio 1965, pur contenendo ancora l’offertorio ed il canone romano e molti altri testi antichi, cessa di contenere nelle sue prime pagine la bolla Quo primum di promulgazione del messale tridentino.

Va notato in merito un dettaglio curioso: alle edizioni tipiche seguono le edizioni juxta typicam. L’ultima juxta typicam dell’edizione del 1962 (che comprende l’aggiunta della menzione di san Giuseppe al canone della messa) è del primo gennaio 1964, tre settimane prima del motu proprio Sacram liturgiam del 25 gennaio 1964 con cui Paolo VI avviò la riforma, istituendo una Commissione ad hoc. Il primo messale di Paolo VI è quindi un messale tridentino…

In linea con questa decisione di Lefebvre, la liturgia celebrata dai sacerdoti tradizionali si basava generalmente sulle principali edizioni tipiche in vigore nel 1962 ossia:
  • Quella del messale romano del 23 giugno 1962;
  • Quella del pontificale romano del 13 aprile 1961 per la seconda parte e del 28 febbraio 1962 per la prima parte, la terza parte e l’appendice;
  • Quella del breviario romano del 4 febbraio 1961;
  • Quella del rituale romano del 25 gennaio 1952;
  • Quella del martirologio romano del 1914 (con le ultime variationes del 26 luglio 1960);
  • Quella del cerimoniale dei vescovi del 1886.
Naturalmente, a partire dal 1984, le decisioni ispirate dal card. Ratzinger avallarono tale regola informale, che era la più diffusa tra coloro che utilizzavano la liturgia antica: la Lettera Quattuor abhinc annos dava ai vescovi la facoltà di permettere di «celebrare la messa utilizzando il Messale romano secondo l’edizione tipica del 1962». Per gli altri libri, ci si attenne a questa regola dello «stato 1962», antecedente la riforma, che venne definitivamente ratificata dal motu proprio Summorum Pontificum (art. 9) e dall’istruzione applicativa Universæ Ecclesiæ (art. 28).

3 – In situazione di minoranza, coloro che ricorrono al vecchio rito non possono permettersi di scendere a compromessi
Abbiamo accennato all’inizio a questa situazione di minoranza, che riesce a far valere le sue ragioni tanto più in quanto la sua causa fa il paio con l’essenza della trasmissione del deposito della fede, riassunta nel concetto di tradizione. Infatti, in questa battaglia teoricamente impari, gli «antichi» beneficiano della cattiva coscienza dei «moderni» e del loro diffuso sentimento d’illegittimità.

Ma gli «antichi» non detengono in alcun modo le redini del potere. E tale stato di cose comporta degli oneri: qualsiasi negoziazione delle loro posizioni, qualsiasi concessione è per loro, nelle attuali condizioni, estremamente pericoloso. E pericoloso per tutti coloro che utilizzano la liturgia tradizionale, come sottolineeremo a proposito delle esigenze del bene comune.

D’altra parte, quando questa liturgia avrà riconquistato il suo posto, sia nella Chiesa intera sia in alcune delle sue parti, sarà certamente opportuna una certa tolleranza che disponga coloro che utilizzano la nuova liturgia ad un processo di transizione perché essi possano far propria più facilmente, per gradi, la liturgia antica – processo che viene definito come «riforma della riforma».

4 – La proposta di celebrare i nuovi riti in latino è un depistaggio
Ai preti ed ai fedeli legati al vecchio rito vengono spesso proposti i nuovi sacramenti, ma celebrati in latino, a mo’ di consolazione.

Certo, la lingua latina, alquanto insolita nella nuova liturgia, garantisce di per sé una certa dignità nello svolgimento del rito. Senza avere l’intensità propria del rovesciamento dell’altare verso il Signore, possiamo ammettere che essa comporti una certa tradizionalizzazione del nuovo rito sacramentale.

Tuttavia, questo uso del latino resta un depistaggio, poiché è evidentemente il nuovo contenuto a fare difficoltà. Rappresenta addirittura un tranello nella misura in cui accredita il fatto che la richiesta di una liturgia antica sia prima di tutto una questione di sensibilità estetica, in cui il latino gioca un ruolo importante.

Padre Jean-Paul Maisonneuve in un articolo di Catholica intitolato «La messe de l’avenir[9]» riporta una proposta spesso avanzata, ai tempi dell’imposizione del Novus Ordo, dai difensori del Vetus, Jean Madiran, Louis Salleron e lo stesso Marcel Lefebvre: «Preferiremmo la messa tradizionale in francese piuttosto di quella nuova in latino». Padre Maisonneuve commenta: «Ci viene proposta, in effetti, oggi come allora, le celebrazione del NOM in latino, ma questo non ci interessa, poiché è il contenuto del NOM che rifiutiamo; d’altro canto, accetteremmo che ci venisse permesso il VOM con ampie parti in vernacolo, a condizione che questo non fosse un pretesto per sradicare in definitiva il latino, come il canto gregoriano». Del resto, osserva Jean-Paul Maisonneuve, «il latino non è mai stato una lingua morta, oggi meno che mai, e spesso non lo è in seno a spazi culturali indipendenti della Chiesa».

Ciò è tanto più vero per i sacramenti in quanto la lingua volgare è stata introdotta da molto tempo nella loro celebrazione tradizionale. Così testimonia il Rituale latino-francese autorizzato dalla Congregazione dei Riti il 28 novembre 1947.

5 – Il servizio al bene comune della Chiesa esige che ciascuno compia il proprio dovere liturgico, che attiene in ultima analisi alla professione della fede
La Chiesa è un Corpo, il Corpo mistico, all’interno del quale, in più, si trova quel corpo clericale e sacerdotale, che partecipa delle sacre funzioni del Sommo Sacerdote. Affermazione che non basta professare, ma che bisogna vivere.

In questo Corpo mistico, ma anche e soprattutto nei membri che afferiscono al Capo del Corpo per la loro condizione sacerdotale, l’agire virtuoso di ciascun componente e di ciascun chierico va a beneficio di tutti gli altri. E, inversamente, ogni debolezza individuale indebolisce il Corpo tutto intero. Se è dunque vero che la liturgia tradizionale nel suo insieme ed in ogni sua parte apporta in maniera eminente frutti di salvezza per le anime, è un grave dovere morale, che attiene in ultima analisi alla professione della fede, farla vivere nella sua totalità, sia per i fedeli mediante la sua richiesta, sia per i sacerdoti ed i vescovi mediante la sua celebrazione.

Questo dovere grava in modo particolare sui sacerdoti che, per la loro storia personale o per la loro appartenenza a comunità, sono «specializzati» nella liturgia tradizionale. Essi devono opporsi a qualsiasi ingerenza su ciò che è tradizionale. Così facendo, aiutano con vigore i preti di parrocchia, che celebrano, talvolta con grandi difficoltà, messa e sacramenti tradizionali.
Don Claude Barthe
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[1] Jean Madiran, Histoire de la messe interdite, Via Romana, 2 fascicoli, 2007, 2009.
[2] La costituzione Missale romanum prevedeva che il nuovo messale divenisse obbligatorio a partire dal 30 novembre 1969 dopo l’approvazione delle traduzioni. Una nota del 14 giugno 1971 della Congregazione per il culto divino lo confermava e specificava che solo i sacerdoti anziani o malati potevano ottenere dal loro Ordinario il permesso di utilizzare il vecchio messale.
[3] Lettera del Segretario di Stato, cardinale Casaroli, del 18 marzo 1984. Si veda Claude Barthe, «Le moment Ratzinger et l’officialisation de la contestation» [Il momento Ratzinger e la formalizzazione del dissenso-NdT] in La Messe de Vatican II. Dossier historique [La Messa del Vaticano II. Dossier storico-NdT], Via Romana, 2018, pp. 269-272.
[4] Edizioni San Paolo, 1997.
[5] ACCR, 2019.
[6] Proseguiva: «Per scoprire l’attuale mutazione patita dal cattolicesimo, Huysmans rappresenta un buon banco di prova. Ciò a cui lui si è convertito è tutto ciò che la Chiesa ha appena scartato e nient’altro che questo. Si può del resto pensare che le conversioni di scrittori ed artisti stiano per farsi molto rare» (Julien Gracq, «Œuvres complètes» [«Opere complete»-NdT], Gallimard, Pléiade, II, p. 290-92).
[7] Si definiscono edizioni tipiche quelle di riferimento edite dalla Congregazione romana per la Liturgia (già Congregazione dei Riti, oggi Congregazione per il Culto divino) e pubblicate come tali per decreto. Dopo le prime edizioni dei libri liturgici tridentini, sono state pubblicate anche successive edizioni tipiche, che tenevano conto di chiarimenti e modifiche (in particolare a causa dell’aggiunta di feste di nuovi santi nel breviario e nel messale).
[8] I sacramenti, di cui tratta il rituale romano tradizionale, sono, oltre alla comunione eucaristica, il battesimo, la cresima quando amministrata da un sacerdote, la confessione, l’estrema unzione ed il matrimonio. I sacramenti di cui tratta il pontificale romano sono (oltre al battesimo ed al matrimonio conferiti da un vescovo) le cresime e le ordinazioni.
[9] Catholica, estate-autunno 2023, pp. 81-84.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"Perché vogliamo la messa tradizionale in latino?
Perché nella Messa Tradizionale latina Dio è venerato come dovrebbe essere venerato. Il punto principale è il culto di Dio. Purtroppo, il Novus Ordo, attraverso la riforma liturgica, è cambiato da liturgia incentrata su Dio a liturgia centrata sull'uomo. Tutto nel Novus Ordo è per piacere all'uomo. Ecco perché inventano sempre un nuovo tipo di messa per compiacere un tipo di persone, come il Misa ng Bayang Pilippino qui nelle Filippine."

— Rev. Padre Yvon Fillebeen

Anonimo ha detto...

« Voler privare il popolo cristiano della liturgia immemoriale della Chiesa romana è gravemente iniquo. » Oui, c'est même — parlons clairement — un crime. C'est d'ailleurs la raison pour laquelle les ennemis de l'Église ont toujours commencé par abolir la messe traditionnelle, sous mille et un prétextes, en attendant de raser les églises devenues vides et inutiles.

Anonimo ha detto...

Bisognerebbe mettere insieme un gruppo di sacerdoti cattolici tradizionali e studiosi della liturgia ai quali assegnare un decennio di studio, di confronto per ritrovare il rito romano al suo apice, purgato da tutti i tentativi subdoli di aggiornamenti.

Oggi comprare anche la Bibbia è  un azzardo, parole cambiate qua e là  per essere linea di sfondamenti vari non mancano, a prescindere da tutte le lingue antiche o moderne che siano.

Oltre a questo lavoro immenso di pulitura e restauro del vero, dell'autentico, occorrerebbe  su ogni Sacramento tornare al rito originario. Leggendo delle poesie teologiche di John Donne, scoprii che nel rito funebre 12 benedizioni venivano, tra l'altro, date sul corpo del defunto. Buona grazia oggi se viene data una benedizione sulla bara. Il defunto è in uno stato pericolosissimo perché l'anima e lo spirito pur essendo fuori del corpo non lo sono ancora del tutto attorniato certamente da Angeli ma, anche da demoni... in breve i Sacramenti di sacro oggi hanno solo una banale parvenza. Bisognerebbe comprenderli a nuovo essendo il veicolo verso il divino, verso l'Eterno. Oggi la comunità festeggia o versa qualche lacrimuccia verosimilmente per la superficialità,  per la banalità in cui sono caduti tutti i Sacramenti.

Per non parlare della banalità dei disegni che dovrebbero illustrare ai  bambini la Confessione, la Prima Comunione, la Cresima. Pupazzi da cartoni animati. Molto è  il lavoro che i Cattolici, consacrati e non, devono fare  per ridare senso alla Chiesa di Gesù  Cristo ed ai Sacramenti.
m.a.