Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 13 febbraio 2025

Danilo Castellano e Cornelio Fabro. I frutti del loro magistero metafisico nell’ordine pratico

Su segnalazione dell'Osservatorio Card. Van Thuân qui. Nel blog, digitando Cornelio Fabro nel motore di ricerca interno (colonna di destra della versione web), chi è interessato potrà trovare le recensioni di molte sue opere e svariati articoli su di lui.

Danilo Castellano e Cornelio Fabro. I frutti del
loro magistero metafisico nell’ordine pratico

Martedì 4 febbraio 2025 il professor Danilo Castellano ha festeggiato a Udine l’ottantesimo compleanno circondato da amici e discepoli. A segnare questo importante traguardo l’omaggio di un bel volume curato dal professor Miguel Ayuso della Pontificia Università Comillas di Madrid con il contributo di tredici autorevoli pensatori cattolici europei e iberoamericani, volume edito dalla prestigiosa Marcial Pons nella collana Prudentia iuris.

Castellano – già ordinario di filosofia politica e preside della facoltà di Giurisprudenza a Udine nonché accademico di Spagna – è riconosciuto nella sua indubbia statura di filosofo realista capace di pensare la politica classicamente secondo un aristotelismo cristiano che è suprema confutazione di tutta la modernità ideologica.

Il volume analizza la vasta opera filosofica di Castellano, ne sottolinea i punti essenziali, ne individua le radici ideali e ne coglie l’originalità speculativa, sottolineando la coraggiosa postura dell’accademico friulano di fronte alla modernità. Il pensiero di Danilo Castellano si offre come pensiero perenne perché classico-cristiano e, solo in quanto tale, anti-moderno.

Anche il Vicepresidente dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, don Samuele Cecotti, ha partecipato al volume con un saggio sul rapporto intellettuale tra Castellano e padre Cornelio Fabro [M. Ayuso (a cura di), Racionalidad, orden y verdad del derecho y la politica. Estudios en honor de Danilo Castellano, Marcial Pons, Madrid 2025, pp. 308.] Pubblichiamo di seguito il testo italiano del saggio di don Cecotti.

Il nostro Osservatorio augura al professor Danilo Castellano, nel suo ottantesimo compleanno, di poter ancora per molti anni offrire il suo alto insegnamento giusfilosofico e politico. Il pensiero libero e cattolico di Castellano è lezione preziosa a cui attingere per pensare la polis nella Verità di Cristo.

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Meno di 25 chilometri separano Flumignano da Flaibano nella campagna friulana e poco più di una generazione separa la nascita di Danilo Castellano da quella di Cornelio Fabro. Figli di quel Friuli rurale che tanto ha dato alla Chiesa per secoli come vocazioni sacerdotali e religiose, come devozione e cultura vissuta, come legame d’un popolo con la Tradizione Cattolica.

Fabro e Castellano possono ancora dirsi “figli” del vecchio Friuli, quello cattolico, contadino pre-industriale, patriarcale in cui la vita si distende secondo ritmi e priorità, modi e riti che paiono perenni o, almeno, immutati da secoli. Proprio questa loro identità friulana (nati nel “vecchio” Friuli, quello ferito a morte dal boom economico degli anni ‘60 e definitivamente scomparso con il terremoto del 1976) è il primo fondamentale punto di contatto tra i due filosofi, costituisce come un terreno comune entro il quale anche le categorie del pensiero più facilmente si riconoscono. È il naturale realismo cristiano di un popolo contadino e cattolico “da sempre”, è il realismo della terra illuminato dalla Verità di Cristo.

Il professor Castellano mi ha più volte confidato di aver imparato la lezione di Aristotele, da giovinetto a Flaibano, dalle parole di suo padre e nella vita dei campi e del paese, senza peraltro che nessuno di questi “maestri di aristotelismo” avesse mai citato lo Stagirita o avesse anche solo lontanamente voluto insegnare filosofia al giovane Danilo.

L’aristotelismo di cui parla Castellano e che dice d’aver appreso a Flaibano sin da bambino è il realismo gnoseologico-metafisico della ragione naturale, è la logica naturale al pensiero, è quel senso comune patrimonio di ogni uomo, indagato e tematizzato nel ‘900 da autori come padre Reginaldo Garrigou-Lagrange e monsignor Antonio Livi, è quella filosofia naturale che è premessa necessaria alla Divina Rivelazione.

L’aristotelismo appreso da Castellano nell’infanzia a Flaibano è già un aristotelismo cristiano ovvero un realismo che vive dentro una cultura profondamente cattolica e dalle verità di fede trae conferma e luce. E questo è il secondo punto di contatto tra Fabro e Castellano, il cattolicesimo respirato come l’aria sin dalla più tenera età, in famiglia e nella vita del paese. Cattolicesimo vissuto come l’aria che si respira ovvero come cosa necessaria alla vita e penetrante ogni ambito, non dunque opzione soggettiva nel supermercato delle religioni-ideologie ma Verità che mi precede e mi avvolge, in cui mi muovo e da cui traggo vita.

La friulanità, intesa come ruralità cattolica capace di esprimere un realismo cristiano connaturale alla vita degli uomini a Flumignano, a Flaibano, nel “vecchio” Friuli, è esistenzialmente il punto di partenza per comprendere la filosofia di Fabro, come la filosofia di Castellano e il molto che le unisce.

Fabro e Castellano sono, prima di ogni altra cosa, realisti e cattolici, cattolici e realisti, realisti perché cattolici, cattolici perché realisti.

Il giovane Cornelio Fabro risponderà alla vocazione maturata in famiglia a Flumignano chiedendo di entrare nel Seminario della Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo nel 1922 a soli undici anni. Sarà ordinato Sacerdote il 20 aprile 1935 a San Giovanni in Laterano dopo aver dato prova, già da seminarista, di non comuni qualità nello studio della filosofia e della teologia. La monumentale opera intellettuale di Fabro non può dunque essere disgiunta dalla vocazione religiosa e sacerdotale. Padre Cornelio fu illustre accademico ma prima di tutto fu religioso e prete.

Tutta la filosofia di Cornelio Fabro è opera di Sacerdote e religioso stimmatino, è servizio alla Verità mosso dalle ragioni della carità intellettuale. Non la vuota erudizione e neppure il piacere sottile della libido sciendi sono il motore del Fabro filosofo, è l’amore di carità a muoverlo, amore per il Signore Verità Eterna e amore per il prossimo, amore per quell’uomo moderno che Fabro vuole strappare all’errore della modernità.

Anche per Castellano si può parlare di una vocazione che non è quella sacerdotale e religiosa ma quella del filosofo-politico ovvero del laico nella sua compiutezza umana, di animale razionale e animale politico, e cristiana nella sua chiamata teologale alla carità intellettuale e alla carità politica.

Pur Flumignano e Flaibano distanti poche decine di chilometri, i due filosofi friulani si incontreranno la prima volta solo agli inizi degli anni ’70 per iniziativa del giovane Castellano che prenderà contatto con padre Cornelio e chiederà allo stimmatino di potergli fare visita a Roma.

Il primo incontro avvenne presso la parrocchia di Santa Croce al Flaminio dove padre Fabro svolgeva il proprio ministero sacerdotale e fu subito chiaro come molto vi fosse in comune tra i due. A quel primo incontro ne seguirono molti altri sempre presso la casa canonica del Flaminio. Poi nel 1974 padre Fabro fu a Udine dove parlò, presso la Scuola cattolica di cultura, della figura di Gesù nel pensiero di Hegel e fu l’occasione per un ulteriore sviluppo del rapporto con Castellano. Nel 1975 Fabro fu ospite della famiglia Castellano a Flaibano, segno di un rapporto ormai solido e non formale, e da quel momento l’intesa filosofica e l’umana amicizia tra Cornelio Fabro e Danilo Castellano non fecero che crescere durando sino alla morte del pensatore stimmatino il 4 maggio 1995[1].

Oltre alla ruralità cattolica friulana delle origini, cosa unì i due filosofi?

Cornelio Fabro non ebbe mai grande interesse per la politica che è, invece, il principale campo di studio di Castellano. Ancor meno Fabro si interessò al diritto di cui Castellano è profondo indagatore. Fabro, è vero, incoraggiò più volte l’amico Castellano a proseguire e approfondire la sua opera di filosofo del diritto e della politica sviluppando quell’aristotelismo cristiano che qualifica, sin dalla giovinezza, l’approccio di Castellano alla polis e al ius. Eppure dei generici, se pur reiterati e convinti, incoraggiamenti sarebbero troppo poco per giustificare un legame filosofico tra i due pensatori friulani. Resta allora la domanda: cosa li unisce?

Del molto che li unisce ci sembra si possa proporre una sintesi per punti:

– il giudizio sulla modernità assiologica;

– la questione della libertà;

– la filosofia dell’essere;

– la crisi della Chiesa;

Il tema della modernità, assiologicamente intesa, e il giudizio su di essa è significativamente presente tanto in Fabro quanto in Castellano[2] come problema fondamentale e si può, con verità, affermare che Castellano faccia pienamente sua la lezione fabriana sulla modernità divenendo, in questo, discepolo del filosofo stimmatino. Discepolo in ciò che Fabro insegna ma anche capace di integrare l’analisi fabriana e di declinare filosoficamente il “problema modernità” nell’orizzonte politico-giuridico.

Castellano fu allievo di Augusto Del Noce[3] ma relativamente alla modernità, così come su altri qualificanti punti, Castellano si discosta significativamente da Del Noce trovando, invece, perfetta intesa con Fabro.

Per Del Noce il cogito cartesiano non necessariamente è padre dell’ateismo moderno, è possibile un’altra modernità rispetto a quella prevalente che da Cartesio giunge a Hegel e oltre. Per Del Noce vi è una modernità cristiana in Cartesio stesso, una modernità che passa per Malebranche e giunge a Rosmini, senza dimenticare Vico e altri pensatori divergenti dalla modernità prevalente.

Su Rosmini il giudizio di Fabro è bene espresso dal lavoro commissionatogli da papa Paolo VI e pubblicato nel 1988 con l’eloquente titolo L’enigma Rosmini in cui, alla grande stima per il religioso e il sacerdote roveretano, si accompagna la lucida confutazione del tentativo rosminiano di conciliare pensiero moderno e dottrina cattolica, operazione giudicata da Fabro fallimentare perché semplicemente impossibile. Il poderoso studio di Fabro sugli scritti di Rosmini si conclude riconfermando la natura fallace della via intrapresa dal roveretano e l’essere Rosmini stesso ancora un enigma: «Rosmini dando la priorità all’essere ideale, all’essere come Idea, cioè all’essere della copula (pensiero), già indicato da Kant con la critica all’argomento ontologico (Kr.d.r.Vern., A 599, B 627), ha perduto la possibilità di realizzare il pensiero nell’esperienza come coscienza reale, dell’io reale nel mondo reale che ci circonda. È questa la vita reale che ciascuno di noi vive, checché abbiano detto i filosofi astratti, i poeti, i matematici e i formalisti puri. E fra essi, a mio avviso, c’è anche Rosmini; se l’ho capito un poco, dopo averlo studiato molto. Allora ancora l’enigma Rosmini? Pare di sì»[4].

Castellano[5] non è distante dal giudizio fabriano su Rosmini anche se, a differenza del filosofo stimmatino, riconosce nel sentimento fondamentale tematizzato dal roveretano quella dimensione metafisica che Fabro, invece, nega. Per Castellano il grande e imperdonabile errore del Rosmini è il clericalismo (delnocianamente inteso) ovvero l’intento di “battezzare l’imbattezzabile”, di conciliare modernità filosofica e Cristianesimo.

Se nei riguardi di Rosmini e del suo pensiero il giudizio di Fabro e di Castellano è critico ma benevolo, assai meno lo è nei riguardi di Cartesio che Fabro individua senza ambiguità come all’origine di un ateismo radicale sino ad allora sconosciuto, un nuovo ateismo fondato nel principio d’immanenza. Ciò che Del Noce vede, ad esempio, in Cartesio e in Malebranche come pensiero cristiano, per Fabro è solo mancanza di coerenza: «l’esistenza di numerosi teisti nel pensiero moderno non prova nulla, se non la mancanza di coerenza, anche – e specialmente come in Cartesio, Malebranche, Leibniz, Kant, l’ultimo Schelling, Hegel … – quando Dio è veramente posto e riconosciuto come principio dell’essere e del conoscere. Un’illusione enorme di cui sono capaci, come sempre, solo i grandi ingegni»[6].

Nel cogito cartesiano, fondazione del principio d’immanenza, l’ateismo oggettivo è intrinseco e un eventuale teismo soggettivo altro non sarà, denuncia Fabro, che mancanza di coerenza.

La modernità che nasce con il cogito cartesiano[7] è intrinsecamente e irrimediabilmente atea, nessuna modernità cristiana è possibile a partire da Cartesio. Questa lezione che Fabro sviluppa con grande cura argomentativa e che costituisce la tesi della fabriana Introduzione all’ateismo moderno del 1964 è pienamente condivisa da Castellano, il quale, facendola propria, ne sviluppa le virtualità in ambito politico-giuridico.

L’interesse filosofico di Castellano è principalmente politico, la lezione di Fabro sul cogito e l’ateismo moderno – che in Fabro è squisitamente teoretica e storico-teoretica – diviene così in Castellano diagnosi acutissima della modernità ideologico-politica. La modernità politica è riconosciuta da Castellano oggettivamente atea e incompatibile con il Cristianesimo (in quanto incompatibile con la Verità) per una ragione analoga a quella per cui Fabro dice atea (e inconciliabile con il Cristianesimo) la modernità teoretica.

In Castellano la paternità del principio d’immanenza, dunque della modernità assiologica, è riconosciuta, con Fabro, a Cartesio ma anche e in egual misura a Lutero: «La Modernità è una e indivisibile. Lutero è un suo anticipatore. […] La tesi di questo lavoro è che egli è il padre della Modernità, intesa […] come Modernità assiologica»[8]. Lutero è detto annunciatore della modernità: «Lutero fu veramente colui che annunciò la Modernità fin dalle prime, tremolanti, luci della sua alba»[9] proprio perché è il principio d’immanenza a costituire l’opzione fondamentale della Riforma luterana che «ha rivoluzionato ogni settore della vita»[10] dopo aver rivoluzionato il Cristianesimo.

Lutero e Cartesio sono riconosciuti da Castellano come gli iniziatori della modernità intesa come affermazione progressivamente totalizzante del principio d’immanenza sino agli esiti attuali. Il processo rivoluzionario della modernità è inteso come il dispiegarsi storico delle virtualità pre-contenute nell’opzione fondamentale moderna (principio d’immanenza) così che in Cartesio e in Lutero[11] può dirsi teoreticamente già posto l’ateismo radicale.

Se per Fabro è Hegel colui che dà coerente compimento al cogito cartesiano[12] ed è compimento nell’ateismo radicale del panteismo idealistico, per Castellano «il disvelamento dello gnosticismo del luteranesimo sarà fatto da Hegel. Il luterano Hegel, infatti, metterà in luce le opzioni fondamentali della Riforma»[13] così che «per capire adeguatamente Lutero […] bisogna leggere Hegel. Hegel, infatti, è il san Tommaso d’Aquino del luteranesimo. […] La sua dottrina, infatti, resterà dipendente dal luteranesimo anche quando si farà secolarizzata. Del resto il luteranesimo è già gnosi»[14].

Per Castellano, dunque, Hegel è il punto di sintesi totale tra Lutero e Cartesio, colui che più coerentemente esprime la modernità assiologica.

Anche Fabro fa breve cenno a Lutero trattando del materialismo dialettico e facendo proprie le considerazioni di Marx per il quale «solo l’ateismo radicale è l’autentica soluzione della Riforma, con la dottrina che l’uomo è per l’uomo l’Essere supremo»[15] e Castellano citerà[16] nel suo lavoro su Lutero proprio queste pagine di Fabro a richiamare la lezione del maestro stimmatino.

Tuttavia è indubitabile che nell’opera di Castellano, rispetto a quella di Fabro, il peso riconosciuto a Lutero[17] rispetto alla genesi della modernità assiologica sia enormemente maggiore. In ciò Castellano, che fa interamente sua la lezione di Introduzione all’ateismo moderno, integra la riflessione fabriana con la ricca tradizione della scuola contro-rivoluzionaria cattolica[18] che in Lutero vede unanimemente il padre della Rivoluzione.

Nella vasta opera di Castellano il principio di sovranità traduce nell’orizzonte politico il principio d’immanenza[19] ovvero l’opzione radicale dell’ateismo moderno e viene a costituire la base di ogni totalitarismo: «Il totalitarismo, infatti, è una forma di governo tipicamente moderna, dipendendo dal cosiddetto principio d’immanenza»[20]. Da qui l’intransigenza di Castellano rispetto alla modernità politica e alla moderna statualità, espressione ideologica e giuspubblicistica di una opzione atea e virtualmente totalitaria.

Quella di Castellano non è una rigidità per gusto personale, è piuttosto esigenza filosofica secondo la logica della non-contraddizione. Ecco allora che l’analogia si può ampliare e quanto Fabro scrive circa i moderni oggettivamente atei ma soggettivamente teisti trova in Castellano l’analogo negli Stati sovrani confessionali ovvero nella pretesa di conciliare principio di sovranità e cattolicesimo politico. Gli Stati sovrani confessionali sono soggettivamente (come opzione soggettiva) ad es. cattolici ma restano oggettivamente atei in quanto sovrani. La sovranità è in se stessa inconciliabile con Dio per la semplice ragione che nega a Dio l’essere Dio ovvero l’Essere Supremo, l’Onnipotente Signore, affermando il sovrano (lo Stato?) superiorem non recognoscens, ovvero dio a se stesso. Nel quadro di una sovranità confessionale Dio diviene una mera opzione soggettiva del sovrano, diviene dunque il dio posto dal sovrano, dunque, nello Stato sovrano (confessionale) Dio è oggettivamente negato in quanto Dio anche se affermato/posto.

Chi poi cerchi di coniugare principio di sovranità[21] e cattolicesimo (politico) semplicemente è, sul piano politico, come chi cerchi di coniugare il principio d’immanenza con il cattolicesimo sul piano filosofico: incoerente.

Tanto per Fabro quanto per Castellano quella del cogito è opzione arbitraria, dietro al cogito si cela in verità un volo così che alla radice della modernità (filosofica e politica) vi è un cogito-volo e «l’essenza del pensiero moderno si presenta quindi anzitutto come la rivendicazione di questa libertà radicale ma che Cartesio coglie in quell’ambiguità di poter fare e disfare il primo passo della verità che si rivelerà man mano, nella risoluzione-dissoluzione del principio d’immanenza, come la responsabile di quell’ateismo positivo e costruttivo ch’è la caratteristica della filosofia moderna»[22].

La sovranità (essenza della modernità politica) è l’espressione del principio d’immanenza rispetto al potere[23], di quella libertà radicale responsabile «di quell’ateismo positivo e costruttivo ch’è la caratteristica della filosofia moderna» in quanto altro non è che il cogito-volo del sovrano come principio primo in politica. Che sovrano sia il Monarca Assoluto, lo Stato, il popolo, l’individuo[24] o una pluralità concentrica come nella teoria della sovranità delle sfere poco importa quanto all’idea stessa di sovranità. Il principio di sovranità, parafrasando Fabro, è dunque il responsabile di quell’ateismo politico positivo e costruttivo ch’è la caratteristica della filosofia politica moderna.

La modernità filosofica fondata sul cogito-volo è per Fabro (e per Castellano) innanzitutto rivendicazione della libertà radicale, ciò rende il problema della libertà IL problema dell’età moderno-contemporanea. Il problema della libertà è centrale tanto nell’opera di Cornelio Fabro quanto in quella di Danilo Castellano. Per Fabro si tratta di comprendere filosoficamente in senso forte la libertà umana, di individuarne una fondazione metafisica così da vincere teoreticamente l’opzione moderna del cogito-volo e recuperare la libertà alla filosofia dell’essere. Per Castellano, sul piano etico-giuridico-politico, si tratta di disinnescare l’inganno della libertà radicale ritrovando il senso classico della libertà.

Fabro ha dedicato molte energie allo studio della libertà umana e molti suoi scritti ne trattano; Riflessioni sulla libertà del 1983 è certamente la più nota ma non l’unica. In molti lavori del filosofo stimmatino la libertà occupa un posto centrale, si pensi solamente alla lettura fabriana di Kierkegaard e, in generale, l’attenzione di Fabro per l’esistenzialismo.

Ne ha parlato estesamente padre Gianluca Trombini IVE nel suo Sinteticità metafisico-esistenziale della libertà nel «tomismo essenziale» di Cornelio Fabro[25] del 2021 e a cui rimandiamo. Già Castellano nel 1984 aveva significativamente intitolato il suo libro sul pensiero di Fabro La libertà soggettiva. C. Fabro oltre moderno e antimoderno prevedendo un capitolo proprio dedicato a Morale e libertà radicale.

Fabro non si limita a ripetere la lezione tomista sulla liberta, anzi è proprio sulla libertà che Fabro dimostra la maggiore distanza dall’Aquinate riconoscendo la necessità di pensare l’atto libero umano in tutta la sua esigente portata metafisico-esistenziale. Ciò porta Fabro «a polemizzare più volte non solo con la Scolastica formalistica ma anche con la terminologia di S. Tommaso d’Aquino, nella quale ha rilevato un certo intellettualismo a causa del quale sembra che l’Angelico abbia lasciato del tutto scoperto il problema della scelta del fine esistenziale da parte del singolo»[26].

Fabro è così convinto della irriducibilità della libertà umana che rifiuta il principio tomistico secondo il quale totius libertatis radix est in ratione constituta proponendo «un’integrazione o rettifica di Tommaso d’Aquino con …Tommaso d’Aquino»[27] ritrovando nell’Angelico le ragioni della principialità dell’io.

«È questa la libertà soggettiva del pensiero moderno?» si domanda Castellano «Certamente no, perché per Fabro, c’è una differenza radicale tra libertà soggettiva e libertà del soggetto»[28].

Anzi per Fabro la riscoperta fondazione metafisico-esistenziale della libertà rappresenta la risposta tanto all’errore moderno quanto a quello scolastico-formalista-intellettualista.

Fabro non intende il suo rapportarsi all’esistenzialismo (a Kierkegaard in particolare) e il suo porre l’accento sulla libertà dell’uomo come una via di compromesso con la modernità, anzi percorre la via della fondazione metafisico-esistenziale della libertà proprio per colpire al cuore la modernità ovvero confutarla là dove essa si fonda, sull’idea immanentistica della libertà radicale.

Castellano condivide la lezione fabriana sulla libertà ma ne rileva anche una debolezza: «Il termine medio che Fabro pone tra intentio finis e electio mediorum, la volizione, cioè, del fine ultimo concreto, rappresenta la scelta radicale di ogni singolo uomo, che pone in questo o quell’altro bene la ragione formale dell’ultimo fine. È questa che caratterizza e specifica tutta l’attività della persona e rischiara tutte le sue scelte. Ci pare, però, che resti aperto ancora il problema del perché l’uomo opera questa o quella opzione fondamentale, che rischia di essere (o almeno di diventare) un salto fideistico ingiustificato, un volere per il volere, che fonda radicalmente la libertà del soggetto, ma, in ultima analisi, potrebbe esporre l’electio finis ultimi in concreto a una qualche forma di irrazionalità soggettiva. […] Sembra, pertanto, che […] Cornelio Fabro abbia subito il fascino di Kierkegaard»[29].

A Fabro va il grandissimo merito di aver affrontato con estrema incisività il tema della libertà senza nascondersi dietro un tomismo di scuola, Fabro prende terribilmente sul serio il problema della libertà umana ed è proprio su tal terreno che intende affrontare e vincere la modernità immanentista. Ecco allora lo sforzo fabriano per una fondazione metafisico-esistenziale della libertà umana, uno sforzo che potremmo definire tomistico-kierkegaarderiano. A Castellano va, invece, il merito, forse ancor più grande, di aver saputo leggere Fabro senza soggezione, ritenendo il molto di buono ma anche evitando di percorrere la via di una irrazionalità fideistica nella scelta dell’opzione fondamentale.

Castellano porta la riflessione sulla libertà sul terreno morale-giuridico-politico, non solo e non tanto perché è filosofo del diritto e della politica, ma perché è consapevole che la modernità assiologica è inseparabile dalla modernità politica e tutto il processo rivoluzionario della modernità è filosofico e politico all’un tempo. Il proprio della modernità è il capovolgimento dell’ordine, anche quello tra teoretico e pratico, così che è proprio sul terreno della politica che si dà la modernità assiologica, la modernità è modernità politica.

Il problema della libertà è, dunque, per Castellano il problema della modernità politica, di tutte le ideologie della modernità, dal liberalismo al nihilismo, dall’assolutismo all’anarchismo passando per l’hegelismo e il marxismo.

Quella che Castellano chiama libertà negativa, la libertà con il solo criterio della libertà ovvero senza alcun criterio, è la libertà radicale che Fabro vede all’origine della modernità come cogito-volo autofondante. Libertà che Castellano, nella sua vasta produzione intellettuale-accademica-editoriale, saprà dimostrare contraddittoria, anti-umana, dissolutrice della morale e del diritto, incompatibile con l’idea stessa di comunità politica e di ordinamento giuridico.

Opzioni politico-ideologiche apparentemente antitetiche sono riconosciute da Castellano come accomunate dalla medesima opzione fondamentale per la libertà negativa, che sia la libertà del singolo individuo o dello Stato, la libertà attuata solo nello Stato o la liberazione comunista con l’estinzione dello Stato, la modernità (tutta la modernità) ha rifiutato l’idea classico-cristiana della libertà creaturale optando per la libertà negativa, per la libertà radicale, per la libertà come cominciamento e principio dunque senza alcun criterio.

Castellano ha dedicato gran parte del suo lavoro intellettuale proprio a mostrare l’assurdo della libertà negativa, a confutarla e a riproporre, invece, la libertà creaturale, la libertà classico-cristiana, quella libertà finita (perché creata) e radicata nella natura umana (dunque non principio ma espressione di una realtà determinata quale è la persona umana). Libertà che è il presupposto per la responsabilità morale, per l’imputabilità penale e per la responsabilità civile dunque è libertà che richiama l’ordine morale e giuridico, non lo crea e non lo nega.

La libertà non è atto primo come cogito-volo ma è invece qualità della volontà umana dunque di una facoltà dell’essere umano, è una qualità che la natura umana porta con sé. La natura umana precede e fonda la libertà dell’atto umano così che sarà la natura umana ad essere criterio della libertà e mai la libertà criterio a se stessa. Ciò tanto sul piano morale quanto su quello giuridico-politico.

In Castellano il giusnaturalismo classico-cristiano e la politica come scienza e arte del bene comune sono inseparabili dalla polemica contro/confutazione de la libertà negativa, ovvero della libertà radicale della modernità. Ma ciò presuppone la fondazione metafisica della libertà umana, l’aver ricondotto il problema della libertà alla filosofia dell’essere. L’impegno di Fabro sulla libertà si rivela dunque fondamentale per l’opera di Castellano.

Riguardo alla filosofia dell’essere, si deve riconoscere che, non solo Fabro si impegna per fondare metafisicamente la libertà umana, ma si può con verità affermare che tutta la sua sterminata opera speculativo-teoretica sia un grandioso tentativo di ricostruire la filosofia dell’essere dopo le macerie della modernità.

Per Fabro ricostruire la filosofia dell’essere non significa ripetere pappagallescamente la filosofia scolastica pre-moderna e neppure semplicemente ritornare a-criticamente alla lezione di Tommaso d’Aquino. Fabro intende affrontare la modernità teoreticamente e dunque la filosofia dell’essere fabriana non potrà che portare in sé l’esito di tale battaglia, sarà cioè una filosofia che paolinamente[30] tutto ha considerato, ciò che è buono ha tenuto e ciò che buono non è ha confutato.

La filosofia di Fabro non è una filosofia senza la modernità ma una filosofia che ha lottato con la modernità e ne porta i segni, che ha fatto proprio il buono che vi ha trovato (si pensi solamente al peso che Kierkegaard ha nella riflessione di Fabro) e che ha saputo vincere il molto male in cui si è imbattuta.

Fabro non è un pensatore di Scuola, non è uno scolastico (tantomeno un neoscolastico), non lo è per metodo e per contenuto. Fabro parte dalla Realtà, dai problemi e dalle questioni che sorgono, non dai testi e dalle parole, fossero pure di san Tommaso d’Aquino. Fabro è integralmente realista (anche nel metodo) così che il suo fare filosofia non sarà mai una ermeneutica testuale e neppure una esegesi-commentario. Quando Fabro attinge a Tommaso, lo studia e lo espone è con ratio teoretica che lo fa, perché in Tommaso ha trovato convincenti risposte al problema speculativo che intende affrontare-risolvere. Per Fabro l’interesse non è mai solamente e principalmente “cosa dice san Tommaso?” ma “la verità” e san Tommaso è interessante per Fabro solo perché massimamente ha indagato e colto la verità.

Ciò dona grande libertà intellettuale a Fabro, libertà anche di dissentire da Tommaso, di correggere Tommaso, di andare oltre Tommaso. Abbiamo visto come sulla libertà umana Fabro abbia “corretto” l’Aquinate.

Fabro riserva tuttavia a Tommaso d’Aquino una attenzione e una venerazione senza pari, tutto il filosofare fabriano è, pur con le avvertenze suggerite, un filosofare con Tommaso. In questo senso Fabro può essere detto tomista, precisando però subito che si tratta d’un “tomismo essenziale” e non d’un “tomismo di scuola”.

Fabro intende il suo tomismo essenziale come un ritorno al tomismo originario, allo spirito del filosofare di Tommaso d’Aquino. Scrive Castellano al riguardo: «L’esigenza di tornare al “tomismo originario” nasce, a nostro avviso, in Fabro dal confronto costante e approfondito con la “filosofia moderna”. In altre parole, si potrebbe dire che il tomismo dei secoli passati (ma queste posizioni sono presenti anche nel nostro tempo), forse per la sua opposizione-subordinazione principalmente alla Riforma protestante, finì per essere essenzialmente formalista, preparando, così, involontariamente la strada anche a certo “naturalismo” dell’area culturale cattolica che contribuì a favorire il nascere delle stesse posizioni razionalistico-illuministiche»[31].

La filosofia teoretica di Cornelio Fabro è tutta incentrata sull’atto d’essere e ciò fa a buon diritto dello stimmatino il grande restauratore nel ‘900 della filosofia dell’essere: «Per Fabro il tomismo è la filosofia della proclamazione dell’essere: da ciò deriva la sua capacità di accogliere e di “affermare” tutto ciò che si presenta all’intelletto umano come esistente determinazione in tutta la ricchezza, inesauribile, del suo contenuto»[32]. È con il suo capolavoro La nozione metafisica di partecipazione secondo san Tommaso d’Aquino del 1939 che Cornelio Fabro «non solo recupera il significato di essere […] ma dà anche una risposta al problema dell’Uno e dei molti, dell’essere e del divenire»[33]. Fabro offre con Tommaso d’Aquino la risposta metafisico-realista al problema dell’Essere sollevato da Heidegger e, facendo ciò, rompe con il formalismo scolastico, si oppone al pensiero moderno senza cadere nell’errore che sarà di Severino[34]. Castellano può con ragione definire la metafisica fabriana un «parmenidismo tomistico»[35], in ciò originalissimo, altro dall’ontologia formalistica neoscolastica, dall’immanentismo moderno e dal “Ritorno a Parmenide” di Bontadini e Severino.

La lezione metafisica di Fabro è fondamentale per tutto il lavoro di Castellano fornendo solidissima base teoretica al realismo morale-giuridico-politico del filosofo di Flaibano. È nel primato dell’essere, nell’essere come atto, nella nozione metafisica di partecipazione che è possibile dire, con verità e senza temere le obbiezioni della filosofia moderna, l’ordine naturale di giustizia ovvero il fondamento stesso di ogni morale e di ogni ordinamento giuridico razionalmente fondati. La lex naturalis o è metafisicamente intesa – e ciò presuppone il realismo gnoseologico-metafisico – o non è. Ecco allora l’importanza della ricostruzione fabriana della filosofia dell’essere, del realismo metafisico nel suo senso originario e puro.

Castellano non ha solo riconoscenza per il metafisico Fabro come chi abbia ricevuto in dono delle conclusioni teoretiche a lui necessarie per il proprio procedere pratico ma ne condivide in toto il contenuto e il metodo. Castellano fa pienamente propria la lezione metafisica di Fabro. Ugualmente si dà perfetta intesa riguardo al metodo “non-scolastico”, al rifiuto del “sistema”[36] e alla critica verso la Seconda Scolastica (in particolare verso Suarez) e la Neoscolastica[37].

Questa intesa tra Fabro e Castellano supera la soglia della filosofia e si fa teologica. Infatti i due filosofi friulani condivisero la medesima prospettiva di fede, l’amore per la Chiesa, la fedeltà alla Dottrina Cattolica tutta intera, la preoccupazione per la crisi senza precedenti che il Cattolicesimo si trova a sperimentare nel caos postconciliare.

Non poteva che essere così date le premesse filosofiche che accomunano i due friulani. Il realismo metafisico, il primato dell’essere come atto, la denuncia del principio d’immanenza germe di un ateismo radicale totalizzante la modernità assiologica, la fondazione metafisica della libertà umana in confutazione della libertà radicale sono già l’antidoto perfetto agli sbandamenti e alle follie della nuova teologia, di ogni modernismo vecchio e nuovo. Ecco allora che nella vastissima produzione intellettuale di Cornelio Fabro trovano spazio anche scritti teologici finalizzati alla confutazione delle più pericolose “svolte” post-conciliari.

Due volumi, entrambi del 1974, restano a far storia di questo impegno anti-ereticale di padre Fabro: La svolta antropologica di Karl Rahner e L’avventura della teologia progressista. Testi in tutto condivisi da Castellano[38] che, proprio in quegli anni, rafforzava il suo impegno di militanza anti-modernista in Friuli.

Due anni prima, nel 1972 a Udine, era stato fondato il periodico cattolico Instaurare omnia in Christo per iniziativa di un gruppo di cattolici, laici e sacerdoti, costituitosi nel 1971 in risposta alla legge “del divorzio”. Castellano ne fu sin da subito l’animatore e dal 1993, dopo la morte dell’avvocato Alfonso Marchi primo direttore, ad oggi ne è il direttore editoriale.

Proprio alle attività di Instaurare diede molte volte il suo contributo padre Fabro: fu illustre membro del Comitato Scientifico sino alla morte nel 1995, scrisse diversi articoli per il periodico e sempre ne sostenne le attività.

Nel 1990 uscì il volume Eutanasia del cattolicesimo? Considerazioni sul “nuovo cristianesimo” gnostico di Rinaldo Fabris[39] con scritti dei filosofi Danilo Castellano, padre Tito S. Centi O.P., Giancarlo Giurovich e Ornella Maria Nobile Ventura. Il libro fu come l’esplodere d’un ordigno nel piccolo mondo della Chiesa friulana essendo forte e documentato atto d’accusa contro il biblista Fabris da decenni docente nel Seminario di Udine e “maestro” indiscusso di preti e vescovi. Le polemiche uscirono presto dal recinto della stampa cattolica e raggiunsero la stampa laica. L’Arcidiocesi di Udine e lo stesso Arcivescovo monsignor Alfredo Battisti presero pubblicamente le parti di don Fabris.

Nel dicembre del 1990 uscì il numero 3 del XIX anno di Instaurare e alle pagine 6 e 7 si poteva leggere l’articolo “Teologi della disfatta” e omissioni dei vescovi a firma di Cornelio Fabro dove il filosofo stimmatino ritornava sulla polemica innescata da Eutanasia del Cattolicesimo? e faceva propria la preoccupazione per l’evidente eterodossia di Rinaldo Fabris: «Insomma una teologia ridotta a sociologia, il ritorno al vecchio modernismo dell’inizio del secolo condannato dalla Pascendi di S. Pio X. Ma quel che preoccupa gli autori è il fatto che il Fabris sarebbe spalleggiato e apertamente protetto dal suo Vescovo: un fatto non nuovo nel bailamme della Chiesa contemporanea non soltanto italiana»[40]. La voce autorevolissima e ferma di padre Fabro pose fine alla campagna di stampa in difesa di Fabris e portò la Curia arcivescovile di Udine al silenzio.

È un piccolo esempio di storia locale che ha però carattere paradigmatico e dice moltissimo del comune impegno di Fabro e Castellano per l’ortodossia della fede cattolica, impegno che vide per lunghi anni Fabro collaborare con Castellano nella battaglia di Instaurare.

Anche in questo fronte anti-modernista il contributo di Fabro non fu mai meramente polemico, il suo genio speculativo lo portò sempre ad affrontare i problemi sul piano dei principi, sul fondamento. Così per Fabro è evidente che la svolta rahneriana, ovvero il ripensamento di tutta la teologia attraverso la filosofia tedesca da Hegel a Heidegger, conduce alla immanentizzazione del cristianesimo ridotto ad antropocentrismo, «si dileguano i confini stessi fra l’errore e la verità, fra la realtà e la fantasia, fra il pensare e il fare, fra il fare di Dio e quello dell’uomo. Non resta allora che l’uomo in balia delle apparenze e delle avventure della storia»[41].

Fabro, dopo aver chiamato la “nuova teologia morale” con il nome di pornoteologia, afferma il principio cardine di tutto il suo lavoro: la necessaria fondazione metafisica. Senza metafisica è impossibile la teologia, «senza metafisica non c’è morale. Rimane solo la morale della situazione, la morale dei compromessi (psicologici, sociologici, politici …) e del proprio comodo»[42]. Dirà Castellano: senza metafisica è impossibile la politica! E lo dirà con Fabro oltre la lettera di Fabro[43].

Fabro non si è mai cimentato nella ricerca filosofica politica, non ha mai elaborato una propria filosofia politica[44] eppure tutto il suo lavoro, in quanto filosofia dell’essere, si offre come mirabile fondazione metafisica della morale, del diritto, della politica[45]. Castellano ha saputo cogliere questa eccezionale opportunità offerta dalla filosofia fabriana al giusnaturalismo classico-cristiano e alla politica in senso classico di scienza e arte del bene comune.

Pur non esistendo una filosofia politica esplicita di Cornelio Fabro, si può con verità dire che vi è una filosofia politica implicita in tutta la lezione fabriana[46]ed «è filosofia politica classica»[47]: nel suo realismo, nella sua filosofia dell’essere, nella sua antropologia, nella sua fondazione della libertà creaturale, nella comprensione metafisica del soggetto[48], nella sua analisi-critica del principio d’immanenza Fabro è maestro di realismo giuridico-politico classico-cristiano e Castellano ha saputo cogliere la lezione e farla vivere nella propria.

Molto più che la sola polemica contro il compromesso storico DC-PCI, polemica peraltro sacrosanta e totalmente condivisa da Castellano[49], è decisivo il contributo fondativo di Fabro alla restaurazione della politica cattolica, partendo proprio dalla schiettezza del realismo fabriano[50]. È tutta la sua lezione metafisica a essere tesoro preziosissimo nella battaglia per la res publica christiana, battaglia in cui Castellano è sicuro maestro.
Don Samuele Cecotti, 10 febbraio 2025
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[1] Lunedì 28 novembre 1994 si tenne a Roma un incontro-convegno, promosso da Instaurare, sulla liberal-democrazia, padre Fabro partecipò, presiedette e concluse l’incontro-convegno. Nell’occasione furono presentati e discussi i volumi J. Meinvielle, Il cedimento dei cattolici al liberalismo, a cura di don Ennio Innocenti, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1991 e AA. VV., Questione cattolica e questione democristiana, Cedam, Padova 1987.
[2] cfr. D. Castellano, La modernité est-elle divisibile? in Eglise et politique, a cura di Bernard Dumont, Miguel Ayuso, Danilo Castellano, Perpignan, Artège 2012, pp. 259-290
[3] Sulla lettura che Castellano dà di Del Noce si veda ad es.: D. Castellano, La politica tra Scilla e Cariddi. Augusto Del Noce filosofo della politica attraverso la storia. Un dialogo mai interrotto, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2010 e Id, Augusto Del Noce tra platonismo e liberalismo in D. Castellano, Saggi di filosofia della politica. Temi e problemi della secolarizzazione occidentale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2021, pp. 131-163.
[4] C. Fabro, L’enigma Rosmini. Appunti d’archivio per la storia dei tre processi (1849, 1850-1854, 1876-1887) in Opere Complete vol. 37, Edivi, Segni 2019.
[5] Danilo Castellano è stato dal 1986 al 2007 direttore de l’Institut International d’Etudes Européennes “A. Rosmini” di Bolzano, Istituto di cui ora è vice-presidente, e anche in tale veste si è più volte cimentato con il pensiero filosofico-politico di Rosmini. Castellano ha curato un volume con i saggi sul Roveretano di don Giovanni Del Degan (G. Del Degan, In difesa del vero Rosmini, a cura e con introduzione di Danilo Castellano, Editrice La Nuova Base, Udine 1982) e il volume D. Castellano (a cura di), Rosmini e la problematica politico-sociale dell’Europa del 2000, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1999. Molteplici gli interventi e gli articoli nei quali Castellano tratta del pensiero politico di Rosmini.
[6] C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, Editrice Studium, Roma 1969, vol. I, p. 38.
[7] «La filosofia di Cartesio si pone come un punto di partenza: è da lui, non da Telesio o Bruno o Campanella, che si fa partire l’avventura del pensiero moderno. Prima non sono che accenni, fermenti, istanze … che restano in aria ed attendono l’interprete che ne veda il fondo» (C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. I, p. 111).
[8] D. Castellano, Martin Lutero. Il canto del gallo della Modernità, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2016, p. 137.
[9] Ivi, pp. 17-18.
[10] Ivi, p. 27.
[11] «La Riforma […] è una rivoluzione gnostica virtualmente integrale» (D. Castellano, Martin Lutero, cit., p. 19).
[12] «L’ambizione del cogito di Cartesio sembra finalmente soddisfatta: il cogitare, l’attuarsi del Geist, si attua come il manifestarsi di Dio stesso all’uomo nella natura e nella storia. Ma poiché il Geist di cui si tratta non può essere che la presenza dell’attività umana a se stessa e deve risolversi in essa, ecco che la massima affermazione teologica del pensiero moderno, come l’hegeliana, coincide nel fondo con la negazione irrimediabile della trascendenza ossia con l’ateismo radicale» (C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. I, p. 613).
[13] D. Castellano, Martin Lutero, cit., p. 23.
[14] Ivi, pp. 33-34.
[15] C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. II, pp. 734-735.
[16] Cfr. D. Castellano, Martin Lutero, cit., pp. 136-137.
[17] «emerge che “l’interpretazione prussiana” di Lutero, data nel secolo XIX, è sostenibile ancorché incompleta. Essa, infatti va integrata considerando che egli sta a monte non solo del liberalismo dello Stato (che porta all’Assolutismo, alla sovranità dello Stato e al totalitarismo), ma anche del liberalismo del popolo (che implica la moderna democrazia, vale a dire la democrazia come fondamento del governo e non come sua semplice forma, e l’accettazione di un totalitarismo “rovesciato” rispetto a quello dello Stato, magistralmente teorizzato da Rousseau). La Riforma, perciò, caratterizza tutta la Modernità politica, non solo un suo aspetto o una sola sua realizzazione. […] la dottrina luterana è il sistema di circolazione sanguigna di ogni forma politica della Modernità» (D. Castellano, Martin Lutero, cit., p. 140).
[18] Riguardo alla Controrivoluzione è necessario precisare che in Castellano è chiarissima la consapevolezza che «la Rivoluzione consiste in un atto di libertà che rompe la logica degli antecedenti […] atto di libertà luciferina o […] atto di libertà gnostico, il quale portò anche la prima coppia umana a presumere di poter ergersi a legislatrice del bene e del male. […] La Controrivoluzione, in questo caso, è l’opposto della Rivoluzione. È apertura all’ordine metafisico ed etico e, quindi, politico; un ordine “dato” e non convenzionalmente costituito. È filosofia della contemplazione contrapposta all’ideologia dell’azione. È accettazione della realtà e non inseguimento di un utopico “mondo nuovo”» (D. Castellano, L’ordine della politica. Saggi sul fondamento e sulle forme del politico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, p.88). Si veda anche D. Castellano, L’antimoderno politico di Rafael Gambra Ciudad e il problema dell’ordine sociale in D. Castellano, L’ordine della politica, cit., pp. 55-68 e D. Castellano, Le ragioni dell’antimodernità in D. Castellano, Saggi di filosofia della politica, cit., pp. 29-37.
[19] «Il principio d’immanenza moderno apre la strada a una serie indefinita di conseguenze in ogni campo del pensare e dell’agire umano. […] in quello politico-giuridico, nel quale con l’abbandono del concetto di diritto legato per sua stessa essenza alla giustizia (il diritto naturale classico-cristiano medioevale e, particolarmente, il diritto inteso in senso oggettivo come lo concepiva San Tommaso d’Aquino) e di quello di politica come scienza ed arte ad un tempo del bene comune si è arrivati al fenomeno attuale della secolarizzazione che presuppone il primato assoluto della volontà umana rispetto alla ragione e, conseguentemente, la messa tra parentesi del problema della verità» (D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., pp. 68-69).
[20] D. Castellano, La verità della politica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002, p. 169.
[21] «la sovranità […] è la rivendicazione della luciferina autonomia della volontà […] La sovranità, perciò, nulla ha a che vedere con l’autorità; essa si caratterizza piuttosto come mero potere, un potere al servizio di quell’autonomia della volontà che rifiuta la mediazione razionale classicamente intesa […] la sovranità nasce dal rifiuto della razionalità e si afferma come surrogato dell’autorità» (D. Castellano, La verità della politica, cit., pp. 178 e 182).
[22] C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. I, p. 111.
[23] «La sovranità è rivendicazione politica moderna. Essa si contrappone alla regalità classica. La sovranità può essere esercitata in forme diverse. Essa fu rivendicata dai sovrani assoluti, dai sovrani costituzionali, dai popoli sovrani. […] Ciò che caratterizza essenzialmente la sovranità è la teoria secondo la quale il potere ha un’origine e una giustificazione immanenti. La sovranità postula la secolarizzazione. Essa, in altre parole, rifiuta la derivazione del potere da Dio e, quindi, rifiuta il suo esercizio ministeriale. Non riconosce quindi superiori. Ritiene che l’autorità (intesa erroneamente come mero potere) sia subordinata alla libertà, più precisamente alla libertà negativa […] è chiaro lo stretto legame che intercorre fra sovranità e libertà negativa: il sovrano può fare quello che vuole perché ha il potere di farlo» (D. Castellano, La dialettica moderna libertà/autorità nell’orizzonte della sovranità: appunti in S. Cecotti (a cura di), Libertà e autorità. Alla ricerca di un’armonia fondata sulla verità, Fede & Cultura, Verona 2024, p. 89).
[24] Sulla sovranità dell’individuo, ad esempio, si veda D. Castellano, Autodeterminazione come autonomia assoluta, in D. Castellano, Del diritto e della legge. Oltre la legalità della Modernità e il diritto come pretesa della Postmodernità, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2019, pp. 73-85; D. Castellano, Della sovranità su se stessi in D. Castellano, Cronache biogiuridiche. Questioni etiche e giuridiche dell’emergenza pandemica e problemi giuspubblicistici della dottrina liberal-radicale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2022, pp. 165-177. Scrive Castellano avendo individuato in Lutero il padre della sovranità della soggettività: «la liberazione consiste nella sovranità della soggettività. […] La sovranità della soggettività elimina non solo il problema del male ma dovrebbe coerentemente eliminare anche quello della coscienza. Meglio: il modo di intendere la coscienza subisce necessariamente una radicale trasformazione. Essa diventa facoltà naturalisticamente simile all’istinto animalesco» (D. Castellano, Martin Lutero, cit., pp. 49-50).
[25] G. Trombini, Sinteticità metafisico-esistenziale della libertà nel «tomismo essenziale» di Cornelio Fabro, Edivi, Segni 2021; Id, Sinteticità metafisico-esistenziale della libertà nel «tomismo essenziale» di Cornelio Fabro in S. Cecotti (a cura di), Libertà e autorità. Alla ricerca di un’armonia fondata sulla verità, cit., pp. 63-84.
[26] D. Castellano, La libertà soggettiva. C. Fabro oltre moderno e antimoderno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984, p. 100.
[27] Ivi, p. 105.
[28] Ivi, p. 101.
[29] Ivi, pp. 107-108.
[30] Scrive Castellano: «Cornelio Fabro […] accolse e praticò, a questo proposito, il suggerimento paolino: omnia probate, quod bonum est tenete» (D. Castellano, Del diritto e della legge, cit., p. 153).
[31] D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., pp. 67-68.
[32] Ivi, p. 13.
[33] Ivi, p. 17.
[34] Per la critica di Fabro a Severino (e a Bontadini) si veda C. Fabro, L’alienazione dell’Occidente. Osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino, Quadrivium, Genova, 1981.
[35] D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., p. 17.
[36] «Innanzitutto Fabro ritiene che la filosofia, che è apprensione critica (qualcuno, se la si intende nel senso classico, direbbe dialettica) della realtà, non sia un sistema. La verità, infatti, non si identifica con la coerenza. […] La filosofia è sistematica ma non è un sistema» (D. Castellano, Del diritto della legge, cit., p. 154).
[37] Cfr. C. Fabro, Neotomismo e Suarezismo, Divus Thomas, Piacenza 1941; sul Fabro critico di Suarez e del Neotomismo cfr. J. Villagrasa (a cura di), Neotomismo e suarezismo. Il confronto di Cornelio Fabro, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2006. In Percezione e pensiero, Morcelliana, Brescia 1962 lo stimmatino scrive che in Suarez l’intelletto deve “creare” i propri oggetti e così «è aperto lo hyatus fra sensibilità e intelligenza, ed è piccante che questa, che è la malattia cronica del pensiero moderno, abbia delle radici scolastiche tanto palesi» (p. 240). Castellano ha più volte espresso una severa critica nei confronti del Suarez, della Seconda Scolastica e della Neoscolastica: «Gilson sosteneva (fondatamente) che a proposito di Tomismo al suo tempo regnava una gran confusione. La confusione è aumentata dopo la sua morte. Autori e Scuole, infatti, lo interpretano a modo loro, “piegandolo” alle loro esigenze (molte volte puramente operative) e utilizzandolo in funzione dei loro desideri. Insomma, il Tomismo viene spesso fatto coincidere con dottrine da esso lontane. Già la Seconda Scolastica operò una sua significativa trasformazione. La Neoscolastica proseguì lungo questa strada» (D. Castellano, Alcune domande inerenti a problemi giuridici del tomismo in A proposito di tomismo e giuridicità. Disputa tra Danilo Castellano ed Elvio Ancona, Rodeano Alto 2020, p. 51). A titolo d’esempio sul Suarez si veda D. Castellano, La verità della politica, cit., pp. 58-64; Id, Martin Lutero, cit., pp. 13-14, 94-102; Id, Saggi di filosofia della politica, cit., p. 111, nota 13 e pp. 182-184. Castellano individua in Suarez (e nella Seconda Scolastica) una delle fonti della modernità politica: «Quello che è singolare, invece, è il fatto che anche diverse dottrine politiche che (almeno nelle intenzioni) si proposero (e, talvolta, si propongono) di opporvisi, finiscono per dipendere dalle nuove teorie. Ciò vale, per esempio, per alcuni Autori della Seconda Scolastica (a cominciare dal Suarez) come per Autori contemporanei, i quali hanno ritenuto di opporsi alla sovranità popolare utilizzandola. Il tutto è stato favorito dall’insano criterio secondo il quale all’effettività è inutile opporvisi, anzi è bene adeguarvisi» (D. Castellano, Politica. Parole chiave, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2019, p. 45).
[38] Già nel 1977 Castellano raccomandava «l’attenta lettura» di La svolta antropologica di Karl Rahner e L’avventura della teologia progressista di Fabro «per la comprensione e l’approfondimento» (D. Castellano, La “contestazione” una via cattolica al radicalismo?, Editrice La Nuova Base, Udine 1977, p. 39, nota 14) dei processi in atto nel cattolicesimo e che conducono al radicalismo.
[39] D. Castellano, T.S. Centi, G. Giurovic, O.M. Nobile Ventura, Eutanasia del cattolicesimo? Considerazioni sul “nuovo cristianesimo” gnostico di Rinaldo Fabris, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1990.
[40] C. Fabro, “Teologi della disfatta” e omissioni dei vescovi in Instaurare, XIX, 3, p. 6.
[41] Id, La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano 1974, p. 247.
[42] Id, L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974, p. 50.
[43] Cfr. D. Castellano, Cornelio Fabro e la necessaria fondazione metafisica del diritto: soggetto, diritti, pretese in D. Castellano, Del diritto e della legge, cit., pp. 153-163.
[44] In Introduzione all’ateismo moderno Fabro ha analizzato teoreticamente il materialismo storico e dialettico, Marx, Engels, Lenin e compagni. Forte di questa consapevolezza circa la natura del marxismo, Fabro fu strenuo oppositore di qualunque dialogo/compromesso con il comunismo. L’unico libro di Fabro dedicato a un tema politico sarà dunque C. Fabro, La trappola del compromesso storico. Da Togliatti a Berlinguer, Edizioni Logos, Roma 1979 in cui Fabro, non solo esamina la questione del compromesso tra DC e PCI, ma analizza i danni arrecati dal dialogo tra cattolici e comunisti con i vari fenomeni di infiltrazione marxista nel cattolicesimo.
[45] «egli ritiene indispensabile l’ancoraggio della politica alla metafisica» (D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., p. 110).
[46] «Va osservato, infatti, che non solo le posizioni metafisiche di un autore contengono quasi sempre, sia pure in nuce, un pensiero politico, ma che, molte volte, la riflessione su taluni temi, come, per esempio, sulla libertà, sulla giustizia e via dicendo, “sconfina” inevitabilmente su un terreno sociale. Nel nostro caso, poi, possiamo dire che diversi argomenti esaminati da Fabro costituiscono una premessa esplicita di una filosofia politica» (D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., p. 109).
[47] D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., p. 134.
[48] «punto fermo è rappresentato dal fatto che il soggetto non è una “costruzione”, non è il “prodotto” di riconoscimenti, non è il risultato di un processo. Il soggetto è la condizione prima e fondamentale sia del pensiero […] sia dell’agire. […] il soggetto è innanzitutto un’identità ontologica dotata di libertà. […] La libertà di scelta è, innanzitutto, dimostrazione che il soggetto, che è, è libero. Pertanto solo i soggetti possono agire responsabilmente. […] Ne conseguono la responsabilità e l’imputabilità giuridiche, condiciones rispettivamente dei Codici civili e penali e, prima delle codificazioni, condiciones del diritto civile e penale» (D. Castellano, Del diritto e della legge, cit., pp. 155-156).
[49] Alla critica fabriana del dialogo e del compromesso cattolici/comunisti è in larga parte dedicato il capitolo Filosofia e politica in D. Castellano, La libertà soggettiva, cit., pp. 109-134.
[50] «Innanzitutto Fabro ritiene che la filosofia, che è apprensione critica […] della realtà, non sia un sistema. […] Cornelio Fabro sosteneva che il primo problema della filosofia è quello del suo “cominciamento”, non quello delle deduzioni. […] Il problema è rappresentato dal fatto che la chiusura alla realtà (la quale non coincide o non coincide sempre con l’effettività) porta al nichilismo. Sia al nichilismo teoretico sia al nichilismo giuridico» (D. Castellano, Del diritto e della legge, cit., pp. 154-155). Il diritto richiede, per potersi dare sensatamente, l’orizzonte del realismo gnoseologico-metafisico: «L’esperienza, pertanto dev’essere apertura alla realtà come “datità” ontica» (D. Castellano, Quale diritto?, cit., p. 76) e ciò significa che «senza filosofia non si dà esperienza; quindi, senza filosofia del diritto non si dà vera esperienza giuridica» (ivi, p. 91).

2 commenti:

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