Un tempo la Parola, all’aurora del pensiero occidentale evocata dal giovane Nietzsche e ripresa oggi da Heidegger, era il possesso stesso della verità come norma universale, come la presenza luminosa ed illuminante che penetra e deve penetrare ogni anfratto e nascondiglio della realtà. Così nell’aurora del pensiero occidentale la Parola dissipava l’errore dei mortali come all’avanzare dell’aurora fuggono, spazzate via dai raggi del sole nascente, tutte le brume del mattino. Ma questa Parola (o logo) per essere contenuto, per criterio e fondamento di verità dev’essere unica, perenne, immutabile… secondo quell’antica filosofia.
Oggi siamo invece malati di parole, perché siamo sommersi dalle parole in tutte le direzioni: stampa, radio, televisione… con le risorse infinite della tecnica c’investono di parole d’ogni parte, non ci lasciano neppure un cantuccio per l’intimità della gioia e del dolore, della speranza e della disperazione. Ormai non potremo difenderci più dalle parole che si sono fatte più penetranti e corrosive delle termiti, perché oggi non significano più la presenza dello spirito, ma il dominio della materia e la prepotenza delle sue energie prive di ogni pudore e rispetto.
L’uomo moderno ha perduto il senso e con esso le proporzioni della Parola. Eraclito, ch’è forse il principale ispiratore di Nietzsche ed anche di Heidegger (accanto a Parmenide), distingue un logo divino ed un logo cosmico: mediatore circola fra essi il logo umano ch’è doppiamente condizionato, dal logo divino come fonte primigenia e da quello cosmico come oggetto di ricerca e di scoperta, qual è appunto il logo del mare e della terra (fr.3l) dove tutto sorge e tutto tramonta. Ora le sorti si sono capovolte: è il mondo dei fenomeni che ci nasconde il reale dentro e fuori di noi, è l’invasione delle onde elettromagnetiche telecomandate dall’uomo, che ci sommerge da ogni parte con valanghe di parole e le parole mettono in fuga il logos.
Infatti per Eraclito il logo è anche presente in ogni singolo io umano, in ogni anima in quanto partecipe della verità, ed in questo senso i critici hanno avuto ragione nel vedere in Eraclito un precursore del logo del Vangelo di Giovanni, che sembra sia stato scritto ad Efeso ch’era stata la città di Eraclito. Due frammenti pittoreschi, che non riusciranno simpatici agli evoluzionisti, fanno il punto sulla situazione dialettica (per dir così) del logo umano o più esattamente di quel che il logo conferisce all’uomo nella sua posizione intermedia e intermediaria fra Dio e il mondo. In un primo momento infatti «… la più bella delle scimmie è turpe appena si mette a confronto con la stirpe degli uomini» (fr. 82). Ma nel secondo momento «… il più sapiente degli uomini a confronto con Dio (Eraclito scrive theos) apparirà come una scimmia (pithecos), e per sapienza e per bellezza e per ogni altra cosa» (fr. 83). Due testi che valgono un codice di mediazione sulla dignità e sul gramo destino della nostra specie. Se oggi Eraclito tornasse, probabilmente aggiornerebbe questi due assiomi con un terzo più o meno di questo tenore: «L’uomo che ha abbandonato o negato il logo divino, l’uomo che pretende di atteggiarsi a logo primario e universale, è destinato a diventare e sta diventando più brutto e più stolto della più brutta e più stolta delle scimmie».
Il passaggio dal logo divino di Eraclito al logo rivelato, che è Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, viene spontaneo al pensiero. Su questo orizzonte dell’incontro dei due Verbi si erano già portati, sembra sotto l’influsso dello stesso pensiero greco, i libri deuterocanonici del Vecchio Testamento, poi soprattutto il IV Vangelo ed a suo modo la cristologia paolina (Col 9, 13ss.).
La difficoltà e la prova della fede è quella di essere nuovi nell’antico ed originali nel permanente, poiché appartiene all’uomo di essere produttivo con la libertà nell’ambito della verità ad ogni livello, anche in quello della fede e della salvezza. Lo spirito non è un canestro che riceve passivamente, ma un principio che attua se stesso «dirimendo» con la scelta l’alternativa della sua salvezza. È questo il progresso nella continuità e fedeltà alla tradizione secondo la regola aurea di Vincenzo di Lérins, entrata nei testi autentici del magistero: «Insegna le stesse cose che hai imparato così che dicendo in modo nuovo non dica cose nuove. Ma non ci sarà allora, si chiede subito, nella Chiesa di Cristo nessun progresso? E come! risponde, e grandissimo. E chi è mai l’uomo tanto invidioso agli uomini, tanto odioso a Dio che cercherebbe d’impedire questo? Beninteso, dev’essere un progresso, non un cambiamento: un autentico aumento per ciascuno e per tutti, per ogni uomo e per tutta la Chiesa ma nel medesimo dogma, nello stesso senso e nella stessa formula».
Chi pretende avanzare tagliando i ponti col passato, non avanza ma precipita nel vuoto, non incontra l’uomo storico in cammino verso il futuro della salvezza ma viene risucchiato dai gorghi del tempo senza speranza. La teologia contemporanea sembra in crisi proprio su questo punto, cioè quello della fede come tensione aperta fra i tempi della salvezza ch’è illuminata dalla presenza dello spirito di Cristo con la guida del Magistero della Chiesa. Di frequente spiriti illuminati manifestano gravi perplessità sull’indirizzo della nuova teologia «orizzontalistica» suscitando un incendio di proteste da parte degli interessati - senza però ancora ottenere quell’incontro e confronto sulle precise contestazioni a cui invitano - confermando così la realtà e gravità della situazione. Comunque, l’invito del Lerinese è sempre aperto.
Perciò ci si può chiedere: quale messaggio di salvezza può annunziare al mondo una teologia che demitizza gli eventi di salvezza, che lascia in ombra - qualcuno li nega o li omette completamente - i misteri e dogmi fondamentali del Cristianesimo per applicarsi unicamente alle strutture socio-politico-economiche dell’uomo rifiutando il mistero della caduta e della redenzione dell’uomo ridotti a mera «metafora»? Quale principio di rinnovamento può essere una teologia che secolarizza senza scrupoli la morale e, quasi vergognosa dell’ideale di purezza e povertà cristiana, irrompe anch’essa per un’esistenza all’insegna del piacere, al rifiuto del sacrificio, per la celebrazione aperta del sesso (pornoteologia): brevemente, per allinearsi alla lotta di classe, per proclamare l’innocenza liberatrice degli istinti con la brutalità della psicanalisi più retriva? Che deve fare il mondo, o cosa può fare di una teologia senza pudore, che disarma di fronte al male? Cosa può significare per la società consumistica, che sprofonda nella noia e nella ribellione dell’atto gratuito, una teologia che per salvare il mondo si abbevera al veleno che intossica il mondo?
Certamente nuovi problemi e nuove esigenze, nuovi errori e nuove difficoltà, sollecitano la coscienza cristiana in un mondo in continuo movimento: non si devono allora cercare «nuove» soluzioni? Giusta, questa domanda, dichiara lo stesso Lerinese, una domanda a cui tocca rispondere con speciale diligenza e attenzione, ma anche con l’autorità della legge divina, coi documenti del Magistero che edifica perché unifica, perché fondata sulla maestà e immutabilità del dogma, cioè sull’autorità di Dio immutabile e non sul capriccio mutevole degli uomini. Se l’arte deve saper fermare l’incanto della forma fuggente e la filosofia oltrepassare i confini della scienza e dell’esperienza, la teologia deve portar luce dove l’arte comincia e la filosofia si arresta, per mettere in movimento le segrete risorse della fede e della grazia quando il tarlo del dubbio inaridisce lo spirito e l’affanno del dolore fa ressa al cuore.
Nella teologia si attinge il circolo supremo della vita, si deve sciogliere il nodo del dubbio, stemperare la stretta del dolore di fronte alla Verità incarnata ch’è il Cristo: non semplice uomo-divino ma Uomo-Dio, logo eterno ch’è entrato nel tempo, modello dell’uomo, al quale, per i canali misteriosi dell’amore, oltre i confini della scienza e dell’azione, della filosofia e della poesia, annuncia ormai da due millenni, ed in ogni frangente del tempo, l’aurora della eterna salvezza. (1973)
19 commenti:
una teologia che demitizza gli eventi di salvezza
Parole perfette di un grande teologo.
Grazie ,Mic
Rr
Bello anche vedere, sulla scrivania, il ritratto di santa Gemma Galgani.
Maso
Grazie e te Rosa, per tutte le tue intelligenti, informate e partecipate osservazioni.
Io sono sempre felice di condividere qualcosa che può nutrirci e corroborarci. E soprattutto quando scopro familiarità spirituale in questi autori che dovrebbero essere più universalmente conosciuti e presenti, soprattutto nella formazione dei sacerdoti.
Riporto (ringraziando per l'opportunità) tre passaggi davvero molto saporiti/sapienti che stimolano l'appetito per la Verità:
-Chi pretende avanzare tagliando i ponti col passato, non avanza ma precipita nel vuoto, non incontra l’uomo storico in cammino verso il futuro della salvezza ma viene risucchiato dai gorghi del tempo senza speranza...
-Quale messaggio di salvezza può annunziare al mondo una teologia che demitizza gli eventi di salvezza, che lascia in ombra - qualcuno li nega o li omette completamente - i misteri e dogmi fondamentali del Cristianesimo per applicarsi unicamente alle strutture socio-politico-economiche dell’uomo rifiutando il mistero della caduta e della redenzione dell’uomo ridotti a mera «metafora»?
-Cosa può significare per la società consumistica, che sprofonda nella noia e nella ribellione dell’atto gratuito, una teologia che per salvare il mondo si abbevera al veleno che intossica il mondo?
+++
Provo a servire in tavola tre modeste pietanze, cucinate dalle mie incerte abilità pur avendo a disposizione degli igredienti
così genuini:
-la differenza tra chi "torna a casa" (la casa c'è già e non l'abbiamo fatta noi) e chi va "alla conquista" radendo al suolo case per costruirvene sopra delle altre è la stessa differenza tra chi rinasce a vita nuova dopo essere naufragato e chi avanza verso le "magnifiche sorti e progressive" evitando accuratamente di morire a se stesso.
-perciò l'uomo crede di divinizzarsi ritenendosi già "divino", utilizzando cioè della cosiddetta "metafora" solo ciò che avrebbe potuto essere e non ciò che realmente è in base a ciò che è realmente accaduto e a quella che è la situazione reale. L'uomo-fattosi-dio" non sa esattamente che cosa farsene del Dio-fattosi -uomo": nella migliore delle ipotesi Lo usa e se ne accredita, ma non di rado se ne sbarazza, nascondendone il segno distintivo (la croce) che smaschera e scandalizza le peggiori pretese e superbie luciferine.
-vangelo di oggi: lo Spirito santo CONVINCERA' il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Non è che lo Spirito "dialogherà" lasciandoci ognuno nel nostro brodo: ma CONVINCERA': del peccato quanti non credono a Gesù Cristo (evidentemente in difetto con lo Spirito santo, compresi anche molti teologi "cristiani"); della giustizia col fatto che Gesù siede alle destra del Padre (ricordando Daniele, il processo religioso che costò la condanna di Gesù e riprendendo Apocalisse); del giudizio, perchè il principe di questo mondo è già stato condannato... Eh già: c'è chi è stato giudicato; è un pregiudicato... e c'è chi non se ne cura e lo adora, eleggendolo a padrone del mondo, felice di esserne schiavo!
Bello anche vedere, sulla scrivania, il ritratto di santa Gemma Galgani
E' il motivo per cui scelgo sempre questa immagine, pur avendone altre di Fabro :)
Che altro aggiungere? Da far leggere a tanti blablabla che imperversano in tv.....non faccio nomi, sarebbe troppo onore far loro pubblicità.Lupus et Agnus.
Cara Mic,
a parte la sorpresa su Eraclito- quello del divenire? Non vi bagnerete due volte nello stesso fiume ? E quindi, in un certo senso, del relativismo? devo rimettermi a studiare Filosofia-
Gia' il titolo stesso m' ha intrigato. Dovendo far uso, a volte, di tante parole per spiegare ai pazienti cos' hanno, e cosa devono fare, e quali medicine prendere, ed altri esami fare...e poi a casa con figli a e marito, ed in metropolitana o tram, con la vicina che parla ininterrottamente al telefonino, e la TV....ah, che bello il silenzio !!!
sulla riva del mare a contemplare l' infinito, in silenzio, per ore, in silenzio a parte lo sciabordio della risacca...che felicita' !
Rr
Cara Rosa,
sono convinta che ogni parola vera nasce dal silenzio dell'ascolto e dell'adorazione.
Volevo cercare qualche citazione illustre e ho trovato questi stupendi pensieri che condivido.
...
Proprio dal silenzio nasce la parola. Si avverte bene quando un discorso proviene da questa sua fonte naturale. Ciò che scaturisce dal silenzio è nitido e pieno, è fresco e pieno di forza, come i fiori che crescono sulle cime dei monti. I fiori di montagna! Quanto più precisa è la loro forma, più nitida la linea dello stelo e delle foglie, più decisi i colori densi e forti delle corolle! Così è delle vere parole: il discorso che non implica relazione col silenzio diventa un cicaleccio. Solo nel silenzio avvertiamo il palpito della vita, nel silenzio le forze si raccolgono, ci si fa più chiaro il nostro stesso intimo, i pensieri e i sentimenti assumono contorni meglio definiti. Nel silenzio i più riposti significati dei nostri pensieri assumono la loro forma più vera. La parola non è altro che lo spirito che si fa carne, il nostro profondo intendimento concretato nella sua vera essenza. Per comprendere questo, bisogna pensare al mistero della Santissima Trinità, in cui il Figlio è il “Verbo” del Padre. Ora, la processione del Verbo dal Padre si attua appunto negli abissi del divino silenzio. “Quando tutte le cose giacciono nel più profondo silenzio e la notte è giunta al mezzo del suo corso, allora, Signore, la tua parola divina è scesa dal tuo trono regale sul nostro mondo” dice la liturgia del Natale. Solo chi sa tacere, sa parlare. Piena e precisa si fa la parola, solo se viene dal silenzio. Un giorno, in riva al Meno, ho sentito profondamente dentro di me quanto possa essere pieno il silenzio. Stavo accanto al fiume e tutto taceva nella valle; non un uccello cantava, non passavano uomini né veicoli: tutto era silente anche in me!
E tutto era vivo, sostanziale, ricco di quella pienezza che sta al fondo di tutte le cose...
La difficoltà e la prova della fede è quella di essere nuovi nell’antico ed originali nel permanente, poiché appartiene all’uomo di essere produttivo con la libertà nell’ambito della verità ad ogni livello, anche in quello della fede e della salvezza.
FINALMENTE IN QUESTO CAZZO DI BLOG UNA PAROLA SAGGIA DI UN GRANDISSIMO FILOSOFO!
"Herr! gib uns blöde Augen
für Dinge, die nichts taugen,
und Augen voller Klarheit
in alle deine Wahrheit."
Para Rosa :
En una noche escura,
con ansias en amores inflamada,
¡oh dichosa ventura!,
salí sin ser notada,
estando ya mi casa sosegada.
A escuras y segura
por la secreta escala, disfrazada,
¡oh dichosa ventura!,
a escuras y en celada,
estando ya mi casa sosegada.
En la noche dichosa,
en secreto, que nadie me veía
ni yo miraba cosa,
sin otra luz y guía
sino la que en el corazón ardía.
Aquesta me guiaba
más cierto que la luz del mediodía,
adonde me esperaba
quien yo bien me sabía,
en parte donde nadie parecía.
¡Oh noche, que guiaste;
oh noche amable más que el alborada;
oh noche que juntaste
Amado con amada,
amada, con el Amado transformada!
En mi pecho florido,
que entero para él solo se guardaba,
allí quedó dormido,
y yo le regalaba
y el ventalle de cedros aire daba.
El aire del almena,
cuando yo sus cabellos esparcía,
con su mano serena
en mi cuello hería
y todos mis sentidos suspendía.
Quedéme y olvidéme,
el rostro recliné sobre el Amado;
cesó todo y dejéme,
dejando mi cuidado
entre las azucenas olvidado.
"Noche oscura del alma", San Juan de la Cruz (1542-1591).
La difficoltà e la prova della fede è quella di essere nuovi nell’antico ed originali nel permanente, poiché appartiene all’uomo di essere produttivo con la libertà nell’ambito della verità ad ogni livello, anche in quello della fede e della salvezza.
Anonimo volgare,
non pensa che il non portare il cervello (ma soprattutto il cuore) all'ammasso, non sia già l'inizio, se non un modo di essere "produttivi con la libertà nell'ambito della verità ad ogni livello"?
Le dice niente "libertà nell'ambito della verità"?
Non le pare che il grandissimo filosofo con questa parola saggia escluda quel nuovo che ci è estraneo perché arbitrario e prometeico e dunque oscura e deforma la verità e porta lontano dal progetto di Dio con l'uomo perché realizza un progetto solo umano ?
Novità non è sempre progresso. E, poi, bisogna star ben attenti all'"assedio delle parole"... Progresso, non è progressismo che assolutizza l'innovazione e diviene ideologia. Progresso di per sé significa "avanzamento verso il proprio compimento". Dunque né la Chiesa militante né il cristiano sono esclusi dal progresso, che appartiene al divenire della storia, ma loro compito è fecondare la storia e assicurarne il compimento secondo il progetto di Dio, con Lui collaboratori nella "nuova creazione" inaugurata in e da Cristo Signore e affidata alla Sua Chiesa. Ed è progresso se davvero va nella direzione del fine già rivelato dal Padre in Cristo, altrimenti diventa inesorabilmente regresso.
Per corrispondervi, non si può adottare una verità a proprio uso e consumo, ma bisogna farsi ascoltatori adoratori e custodi di ciò che il Signore, nella Rivelazione apostolica ci ha già consegnato, dal cui tesoro estraiamo nova et vetera.
Lo stesso Mons. Gherardini, quando parla di formulazione della dottrina della fede ne parla come dell' "autocoscienza ecclesiale, la continuità evolutiva ed omogenea della Tradizione, l'analogia della Fede..."
Quel che evolve è la coscienza alla luce della Verità e per effetto della grazia, non la Verità.
Interessante articolo di Messori sul Corriere della Sera relativo alla coesistenza di "due papi". Conclusione: BXVI si e' spogliato non del munus pontificale ma solo della sua esecuzione concreta. Conseguenza: abbiamo veramente "due papi" e la scelta di Bergoglio di farsi chimare piu' Vescovo di Roma che Papa ne sarebbe la logica conseguenza.
Va beh... ma Messori sproloquia..... La Chiesa non può avere due Papi. Se le cose stanno come dice Messori allora dovremmo concludere che BenedettoXVI è ancora Papa, con tutto quel che ne consegue.
Messori non può fare affermazioni del genere, senza rispondere agli interrogativi che la situazione comporta.
Ricordo - e riporto qui - di aver condensato anche recentemente riflessioni fatte fin dall'inizio sull'evidente anomalia, ma occorrono conclusioni autorevoli e motivate.
Benedetto XVI lascia « l'esercizio attivo del ministero », ma esprime la consapevolezza che la sua chiamata è « per sempre ». Del resto conserverà il nome Benedetto XVI, il titolo di Sua Santità e sarà il « Papa emerito », non torna un monaco (come Celestino V) o un vescovo o anche cardinale come accaduto nei casi precedenti che ci sono stati consegnati dalla storia, determinati da ben altre cause peraltro non riconducibili alla vecchiaia o all'efficientismo. E dunque lascia ma nello stesso tempo resta in un « servizio di preghiera e riflessione » chiedendo preghiere per il « nuovo Successore dell’Apostolo Pietro ». Non stiamo rasentando l'assurdo?
Benedetto XVI lascia intendere che c'è un esercizio non-attivo del pontificato, che non contraddice ciò che ha dichiarato in un per sempre. In questo modo lascia aperta la porta a tutto e al contrario di tutto nelle future declinazioni del primato petrino. La sottigliezza sta nel fatto che è ambiguo ma non contraddittorio (in senso stretto, naturalmente). E l'ambiguità è tale da non lasciare alcuna presa perché in nessun momento esprime esplicitamente una cosa contraria a quanto ha detto prima. E, però, nella sostanza, come può conciliarsi il suo per sempre con quello del suo successore, anche lui per sempre?
In effetti una conciliazione appare possibile solo se rimaniamo nel mondo del finito e si sottrae al ministero e alla funzione la valenza ontologica che ha nell'ordine metafisico. E come è possibile rimanere ancorati alla finitudine, se il ministero petrino e l'avvenuta rinuncia « nella metafisica sono legati al nodo dell’essere, che non permette che una cosa contemporaneamente sia e non sia »? Quella che appare come una vera e propria variazione diventa possibile unicamente se si è centrati nell'antrocentrismo conciliare e post e si riduce il Papato ad una funzione come tante senza più ricondurlo all'investitura divina.
Dobbiamo ricordare che il Santo Padre ha il potere per creare nuove forme di dignita ecclesiastica che non hanno il munus clericale...
Così il Papa emerito...
Se non distinguiamo le apparenze dall'essenze caderemmo in confusione...
Quindi, mi pare un errore di questo genere di dire che il Papa Emerito gode l'ufficio del Papato in senso ontologico o in riguardo al munus dell'ufficio...
Egli è semplice vescovo emerito romano che a cagione di aver portato il munus petrino per qualche anno, gode un stato ecclesiastico unico ma degno per tale servizio, essendo che ha decisio di non continuare nel suo incarico...
Non sono d'accordo con lui, perche il munus deve essere sempre legato con la vocazione...non è semplice munus come un incarico in una SpA....
Romano
Ottimo questo articolo, mi associo a chi ha già ringraziato Mic.
Non ho letto quello di Messori, prendo per buone le conclusioni riportate da RIC ed evidenzio che:
prima affermazione ci sono due papi.
seconda affermazione: è logico che uno dei due si faccia chiamare Vescovo di Roma.
Non possono essere vere entrambe,
infatti:
se ci sono due papi entrambi logicamente si fanno chiamare papa.
Per mandato divino, il Papa è uno solo (Tu es Petrus; pasce agnos meos...., pasce oves meas), avente egli il triplice munus, docendi, sanctificandi et regendi che poi media ai Vescovi e da loro ai sacerdoti.
Perciò riprendendo dall'articolo di P. Fabro:
Ma non ci sarà allora, si chiede subito, nella Chiesa di Cristo nessun progresso? E come! risponde, e grandissimo. E chi è mai l’uomo tanto invidioso agli uomini, tanto odioso a Dio che cercherebbe d’impedire questo? Beninteso, dev’essere un progresso, non un cambiamento: un autentico aumento per ciascuno e per tutti, per ogni uomo e per tutta la Chiesa ma nel medesimo dogma, nello stesso senso e nella stessa formula",
la domanda è:
affermare che adesso, A.D. 2014 ci sono due papi: è un progresso o un cambiamento ?
"La parola è d'argento, il silenzio è d'oro."
Di questo dovrebbe ogni tanto ricordarsi e farsene un tesoro Jorge Bergoglio che con troppe sue parole e gesti ambigui, imprecisi e pressapochisti, per i quali la scusa dell`impulsività non regge, semina sconcerto e anche sgomento in chi non ha mandato in vacanza mente e coscienza, in chi ha ricevuto una retta formazione e non per questo si identifica negli sprezzanti giudizi di Bergoglio.
Che sia il Papa ad essere fonte di confusione e divisione lascia sbigottiti, e non mi sembra normale che un cattolico debba abituarsi a sorvolare su certe cose che dice e fa colui che dovrebbe essere una guida sicura e fidata.
http://blog.messainlatino.it/2014/05/alcune-considerazioni-teologiche-sulle.html
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