Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 6 luglio 2013

Mattia Rossi. Eusebio di Vercelli nella storia: il defensor fidei.

Sono trascorsi millesettecento dall’anno 313 d.C., anno dell’Editto di Milano. Il IV secolo non è stato solamente il secolo della libertà di culto o delle grandi eresie: è stato anche il secolo di un copioso fiorire liturgico-musicale. Come esempio di questo sviluppo musicografico si è soliti citare l’imponente figura del vescovo di Milano Ambrogio. Ma, in realtà non è stato l’unico, e forse nemmeno il primo…
Per questo, vorrei dedicare questo modestissimo contributo (e ringrazio Mic che, more solito, mi ospita!) ad un grande vescovo del IV secolo nella cui diocesi è testimoniato un impulso musicografico straordinario: Eusebio di Vercelli.

Eusebio di Vercelli nella storia: il defensor fidei.

Breve biografia eusebiana - Eusebio, che Girolamo, nel suo De viris illustribus, ci dice essere «natione sardus», ma formatosi tra il clero di Roma, è a Vercelli dal 345. Imperatore, a quest’altezza cronologica, è Costanzo II (figlio di Costantino), di simpatie ariane, il quale vorrebbe, “sbarazzandosi” di Atanasio, difensore del credo di Nicea, risolvere, in un Concilio a Milano, le dispute tra ariani e cattolici. Il papa, allora, scrive ad Eusebio, raffinato e stimato teologo nonché strenuo battagliero «contro quelle belve feroci degli ariani», invitandolo a recarsi a Milano, al Concilio, per far sottoscrivere ai presenti la fede di Nicea. Questo, nel racconto che ne fa Ilario di Poitiers, a dimostrazione dell’evidente protagonismo di Eusebio: Atanasio, in definitiva, garantiva l’ortodossia in oriente ed Eusebio in occidente. 

Per questo, dal 355 al 362, Eusebio, è condannato all’esilio a Scitopoli, in Palestina e, successivamente, in Tebaide. In una sua lettera inviata ai vercellesi, novaresi, eporediesi e tortonesi («plebibus Vercellensibus, Novariensibus, Eporediensibus, Derthonensibus»), Eusebio narra di subire violenze dal vescovo ariano locale; violenze che lo assimileranno ad un martire. Di ritorno dall’esilio, nel 363, Eusebio porta con sé alcune tradizioni proprie dell’oriente: crea una comunità di tipo monastico attorno al vescovo di Vercelli e, soprattutto, gli si ascrive la redazione del cosiddetto “Evangeliario Eusebiano”, la prima redazione in latino dei quattro vangeli – nell’ordine Matteo-Giovanni-Luca-Marco – precedente, dunque, la Vulgata di Girolamo.

Sulla scia dell’operato di Eusebio, nella Vita antiqua si stabilisce il ruolo fondamentale dei vescovi vercellesi a difesa dell’ortodossia cattolica: fino all’avvento di Ambrogio vescovo a Milano, la supremazia episcopale della diocesi di Vercelli, grazie alla figura di Eusebio, su quella ambrosiana fu indiscutibile. Vercelli era custode dell’ortodossia cattolica in tutto l’occidente.

Anche sul piano architettonico questa rilevanza di Eusebio venne risaltata: in seguito alla sua morte venne sepolto nella basilica da lui fondata in onore di san Teonesto (l’attuale cattedrale), ma da quel momento in poi la basilica sarebbe stata dedicata ad Eusebio. Questa basilica, detta ‘di S. Eusebio antica’ per differenziarla da quella attuale, viene descritta dal vescovo Giovanni Stefano II Ferrero, nel 1609, come fatta sull’esempio di S. Pietro antica in Roma, le proporzioni, cioè, tra S. Eusebio antica e S. Pietro antica erano perfettamente rispettate: questo a significare che Eusebio, defensor fidei, era assimilabile in tutto, anche nel modello architettonico della propria chiesa cattedrale, a san Pietro apostolo.

Eusebio nella storia della musica liturgica.
Ambrogio, nella Epistola LXIII indirizzata alla chiesa vercellese, oltre, da un lato, a sollecitare la nomina del nuovo vescovo, ci offre, dall’altro, un’autorevole testimonianza della radicata, nonché antichissima, tradizione liturgico-musicale vercellese: nel passo, il padre dell’innodia liturgica occidentale Ambrogio definisce la chiesa vercellese dedita a «hymnis dies ac nocte». La testimonianza mi pare di portata notevole: ad un’altezza cronologica anteriore a quella che vide il fiorire della copiosa innodia ambrosiana, la comunità vercellese – il cenobio – riunita attorno a Eusebio già conservava una tradizione liturgico-musicale sistematizzata, tanto che l’espressione “dies ac nocte” farebbe addirittura pensare ad una ufficiatura diurna e notturna. In ogni caso, dato che il modello innodico metrico codificato da Ambrogio dovesse ancora venire, la presenza di “hymnis” a Vercelli, in un’epoca coeva a Ilario di Poitiers, l’antesignano della poesia liturgica, non può passare inosservata. 

Occorre considerare anche un altro dato che, quantunque in assenza in prove documentarie, si rivela alquanto interessante. L’origine della forma innodica è orientale: l’inno, come forma musicale laudativa (ancora piuttosto generica), nasce proprio nei territori tra la Siria e la Palestina, territori nei quali Eusebio trascorse il proprio esilio. Verrebbe, dunque, naturale supporre che fu proprio Eusebio ad importare in Occidente, al suo rientro dall’esilio, questa nuova forma musicale e a trapiantarla nel cenobio vercellese. In seguito Ambrogio, il quale fu di certo in possesso anche di nozioni musicali e che verso la tradizione storico-liturgica formatasi attorno all’episcopio di Vercelli rivolse parole di autentica ammirazione, sviluppò l’inno fino a portarlo al massimo splendore e, in definitiva, alla forma metrico-ritmica da noi, ancora oggi, conosciuta. 

Appendice. Omaggio a sant’Eusebio nell’anno eusebiano: la sequenza “Omnis orbis Eusebii”.
Quest’anno, per i fedeli del Piemonte, ricorre un anno eusebiano: ricorre, infatti, il 1650° anno di fondazione, da parte del vescovo vercellese, del Santuario di Crea, in provincia di Alessandria. Per questo, segue a queste righe un commento all’antica sequenza in onore di sant’Eusebio (già trascritta dall’amico Giovanni Parissone, che ringrazio).

Nei codici CXLVI (c. 108r), CLXI (c. 128v) e CLXII (c. 190r) della Biblioteca Capitolare di Vercelli, sono contenute tre versioni della sequenza “Omnis orbis Eusebii”: 

Omnis orbis Eusebii preclara festa celebrent
atque laudes illius voce personet
quem visione angelica baptizat papa
quique damnavit hipocritam hunque mox sanat
hic angelorum concetu peragit missas
huic Dei nutu panduntur ianue clause
hic portum absentem sibi adesse precipit
hic tractus per scalas dira tormenta pertulit
sed et cavea carcereque pressus fidem defendit
hunc iam cerebro arriani fracto celos miserant
unde nos protegat semper.

Analisi testuale – Il testo elogia con grande forza, nel giorno della festa liturgica, Eusebio come l’“athleta Dei”, il “defensor fidei” dell’Occidente oppresso dalla ferocia ariana, e autore di una serie di miracoli. Come risulta da una comparazione da me eseguita, la fonte di tale sequenza è la Vita antiqua, l’antica biografia eusebiana.

Laddove, invece, le occorrenze testuali non sono esplicitamente identiche, l’autore attinge e riscrive l’episodio. E’ il caso, ad esempio, del quarto verso nel quale si fa riferimento ad un particolare miracolo di Eusebio (accadde che un ingannatore, fingendosi anacoreta, promise a Eusebio di diventare suo discepolo, ma il santo vescovo, smascherando l’inganno, lo rimproverò severamente. Quegli, allora, venne posseduto dal demonio, ma Eusebio lo liberò ammonendolo di non ingannare più nessuno); o il sesto verso nel quale il riferimento è al cosiddetto “miracolo delle porte chiuse” (si narra che gli ariani presenti a Vercelli, sostenitori del vescovo ariano di Milano Aussenzio, dopo la consacrazione episcopale di Eusebio, e in seguito al suo arrivo a Vercelli, sbarrarono tutte le porte delle chiese di Vercelli affinché nessuno potesse entrarvi. Eusebio, allora, si inginocchiò davanti al portale di S. Maria Maggiore e pregò per la cecità degli ariani. Le porte si aprirono miracolosamente ed egli, entrato in chiesa, offrì il sacrificio per la salvezza di quel popolo); o il nono verso nel quale si fa implicitamente riferimento alla reclusione di Eusebio, da parte degli ariani, in una cella angusta dalla quale egli scrisse una lettera al custode Patrofilo in difesa della propria fede cattolica.

La Vita antiqua, del resto, servì da modello anche per altri componimenti poetici come l’inno per le lodi Hic natus de Sardinia e l’antifona, musicalmente più originale, del I notturno Nobili ortus.

Analisi musicale – Cosa sono le sequenze? La loro origine è narrata da Notker Balbulus, un monaco del monastero di San Gallo nato nell’840 nell’odierna Zurigo. Egli, che deriso dagli amici per un difetto di pronuncia, dovuto alla mancanza di un dente, si affibbiò il soprannome di “balbulus” (balbuziente), fu l’autore del Liber Hymnorum, la prima raccolta di sequenze, dedicata – guarda caso – all’allora vescovo di Vercelli Liutwardo. Notker, nella prefazione del suo Liber, dichiara che ebbe, fin da giovinetto, grandi difficoltà a ricordare le lunghissime catene di note, le longissimae melodiae che caratterizzavano lo jubilus dell’alleluia: viste, allora, tali difficoltà salutò con gioia le novità apportate da un monaco francese in fuga dopo la distruzione dell’abbazia di Jumièges, ad opera dei Normanni, nell’anno 851: quel monaco aveva con sé un Antifonario in cui vi si potevano leggere «aliqui versus» in corrispondenza delle sequenze: il melisma della sillaba finale –ia dell’alleluia, cioè, era suddiviso in sillabe. L’espediente è chiaro: per facilitare la memorizzazione degli jubilus alleluiatici, vennero inseriti dei testi che, poco a poco, divennero autonomi nella loro composizione testuale e musicale. A partire dal XII secolo, si tentò di avvicinare la sequenza alla forma dell’inno (facilmente memorizzabile e dallo scopo catechetico) introducendo la composizione in versi e la rima. A questo stadio avanzato appartengono le cinque sequenze che il Concilio di Trento mantenne (è stato calcolato che, nelle varie tradizioni manoscritte tardomedievali, si è arrivati a raccogliere circa cinquemila sequenze), e che ancora oggi la liturgia tradizionale conosce: Victimae paschali, Veni Sancte Spiritus, Stabat Mater, Lauda Sion e Dies Irae.

La musica della sequenza eusebiana, deriva la propria intonazione dall’Alleluia “Eripe me” (IX domenica dopo Pentecoste). Da esso prendono l’intonazione anche l’antifona “Stans a longe” (X domenica dopo Pentecoste ispirato alla parabola del fariseo e del pubblicano) e un’omonima sequenza.

Vorrei sottolineare, in conclusione, un’altra interessante particolarità, che potremmo definire “locale”. Mi riferisco all’analogia musicale che sussiste tra Omnis orbis Eusebii e un’altra sequenza vercellese, Laude sanctum Aemilianum in onore di sant’Emiliano, decimo successore di Eusebio alla cattedra episcopale di Vercelli e patrono di Villanova Monferrato (a pochi chilometri da Vercelli e, un tempo, in diocesi eusebiana): entrambe riportano la stessa musica. Si viene, così, a stabilire un ponte, non tanto tra due feste liturgiche, ma tra due importanti vescovi di Vercelli, Eusebio ed Emiliano. È come se l’autore gregoriano avesse voluto richiamare l’importanza del successore Emiliano (altro “defensor fidei” nelle sinodi romane del 501, 502 e 504 e notevole “defensor civitatis”) dedicandogli una sequenza propria, con un testo derivato dalla sequenza per sant’Otmaro, con la medesima melodia. E sulla melodia utilizzata per queste due sequenze in onore dei due vescovi vercellesi fu composta anche un’altra sequenza, Pater summe, in onore di sant’Andrea che, come noto, insieme ai santi vescovi, gode di particolare devozione nella antica diocesi di Vercelli.
@mattiarossi_cg

5 commenti:

Anonimo ha detto...

La nostra Chiesa e la sua storia millenaria è disseminata di persone in profonda unione col Signore e di eventi che l'hanno resa quella che è e che vogliamo e dobbiamo custodire e trasmettere.

Riscoprirli e 'rileggerne' fatti e significati significa, ogni volta, disseppellire una tessera luminosa di un mosaico intessuto dalle mani di Dio con la collaborazione di credenti autentici e coraggiosi, che può aiutarci a illuminare anche i nostri tempi bui.

Jacobus ha detto...

E' di certo un discorso specialistico, ma ci introduce ancora di più nel fascino e nella ricchezza del gregoriano, ma anche nella storia della Chiesa e di tanti defensores fidei non conosciuti da tutti.

Anonimo ha detto...

Ovviamente la Chiesa si ferma al Vaticano II per voi scommetto?

Bisogna cambiare le strutture caduche,suerate come ha detto Papa Francesco.

Anonimo ha detto...

La Chiesa procede, non si ferma, nella storia. Ma dovrebbe essere la Chiesa a cambiare la storia, non la storia a cambiare la Chiesa!

Dante Pastorelli ha detto...

Le strutture caduche via via si eliminano da sé nel corso della storia.
La struttura gerarchica della Chiesa, però, è di istituzione divina e non può esser modificata. Il numero delle congregazioni o dei consigli e commissioni sì.
Insomma si può andare avanti cum juicio, con discernimento. Il vertice della struttura, il Papato non è nelle mani di nessuno se non di Cristo. Nessuno, neppure il Papa può intaccarne natura e funzioni. Sulle modalità d'esercizio del Primato Pontificio sappiamo che può esser esercitato dal Papa da solo o dal Papa insieme al collegio dei vescovi ove il Vicario di Cristo ritenga opportuno convocarlo.
Si faccia attenzione a non gettar il bambino con l'acqua sporca o semplicemente già usata.