Grata ad Andrea Sandri per aver ripreso questo articolo, che non conoscevo, su Vigiliae Alexandrinae. Un ulteriore rafforzamento della consapevolezza sulla nostra "Lingua sacra da preservare" [qui - qui].
The Voice of the Church at Prayer (San Francisco 2012, Ignatius Press, pp. 206) è verosimilmente l'ultimo libro di Padre Uwe Michael Lang del Brompton Oratory di Londra, già consultore liturgico di Benedetto XVI. Quest'opera ripercorre lo sviluppo della lingua liturgica dall'antichità cristiana, attraverso il Medioevo (ritorneremo sul capitolo dedicato a "St Thomas Aquinas on Liturgy and Language"), fino all'Età moderna e sostiene la tesi dell'iniziale differenziarsi e della successiva costanza di una lingua (liturgica) con la quale i cristiani si rivolgono al Signore. Così Padre Lang completa e integra il suo precedente studio sull'orientamento (versus orientem) della liturgia [qui], e in particolare della Santa Messa (nella edizione italiana: U.M. Lang, Rivolti al Signore, Siena 2006, Cantagalli, pp. 149): si tratta di pregare rivolti al Signore e proprio per questo di utilizzare una lingua gradita al Signore, un "Sacred Language" (tale è il titolo del II capitolo del libro in esame), una lingua sottratta al comune commercio quotidiano.
Tra l'altro Padre Lang dimostra che la fondamentale importanza di pregare secondo la lingua della Chiesa fu avvertita da Sant'Agostino che definì l'insieme delle peculiari forme linguistiche del cristiano e della comunità cristiana in preghiera "ecclesiastica loquendi consuetudo". Questa sacra consuetudine, senza la quale ogni rivolgersi al Signore appare imperfetto, diventa il tramite autentico della preghiera che, se pronunciata con la Chiesa, è sempre anche un "dire preghiere". Riportiamo qui di seguito, nella nostra traduzione, le riflessioni di Padre Lang su Sant'Agostino:
Fonte: U.M. Lang, The Voice of the Church at Prayer, pp. 23-25Agostino era del tutto consapevole di questo fatto [che senza una lingua peculiare e distinta dei cristiani non poteva esserci pienezza della vita cristiana, né la possibilità di tramandare fedelmente la fede alle successive generazioni] e, nel paragrafo citato all'inizio di questo capitolo [Confessiones IX, 5, 13], descrive la sua esigenza di acquisire familiarità con il "dominicum eloquium". In un passo precedente, sempre nel IX libro delle Confessioni [IX, 4, 7], Agostino riflette sul suo congedo dalla scuola di retorica a Milano e sul suo ritiro nella villa di campagna a Cassiciacum, ai piedi delle Alpi:Eruisti linguam meam unde iam erueras cor meum, et benedicebam tibi gaudens, profectus in villam cum meis omnibus. Ibi quid egerim in litteris iam quidem servientibus tibi, sed adhuc superbiae scholam tamquam in pausatione anhelantibus, testantur libri disputati cum praesentibus et cum ipso me solo coram te. [latino in nota]Sottraesti la mia lingua da un'attività, cui avevi già sottratto il mio cuore. Partito per la campagna con tutti i miei familiari, ti benedicevo gioioso. L'attività letteraria da me esplicata laggiù interamente al tuo servizio, benché sbuffante ancora, come nelle pause della lotta, di superbia della scuola, è testimoniata nei libri ricavati dalle discussioni che ebbi con i presenti, e con me solo davanti a te.Queste righe furono scritte tra il 397 e il 401, ossia più di dieci anni dopo gli eventi qui descritti. È dunque con senno di poi che Agostino constatava che, anche dopo l'esperienza della sua conversione, erano rimaste in lui tracce della sua "ambizione mondana". La "scuola della superbia" (superbiae schola), verso la quale si riteneva ancora debitore, non si manifestava tanto nel contenuto degli scritti di questo periodo della sua vita, bensì piuttosto nel suo stile. Durante il suo ritiro a Cassiciacum egli non aveva ancora fatto proprie le forme espressive utilizzate dai Cristiani latini di quell'epoca, di una lingua che si era formata attraverso la frequenza della Bibbia e della liturgia. Così infatti Agostino ripete a se stesso nella sezione seguente delle Confessioni: "Novizio ancora al tuo genuino amore, catecumeno ozioso in villa col catecumeno Alipio" [IX,8]. La penetrante consapevolezza dell'uso della lingua e dei problemi che l'ineriscono, non lo abbandonò fino alla fine della sua vita, quando, nell'anno 426, iniziò a rileggere i propri scritti giovanili componendo una vera e propria opera di revisione conosciuta come le Ritrattazioni. In particolare, nel prologo Agostino, scrive di non volere lasciare inedite le opere composte da catecumeno. Queste erano già state scritte sotto l'ispirazione cristiana ma erano ancora debitrici delle forme letterarie delle scuole secolari. Ciò che Agostino ritiene essere inappropriato nelle sue opere giovanili, emerge con chiarezza dai primi quattro capitoli delle Ritrattazioni. Praticamente nulla del contenuto di quegli scritti è ripudiato: nel loro complesso le ritrattazioni riguardano un particolar modo di periodare ovvero l'uso di parole caratterizzate da una forte connotazione pagana, come fortuna od omen, nei suoi dialoghi Contra academicos, De beata vita e De ordine, scritti a Cassiciacum quando si stava preparando per il battesimo. Durante il suo non comune corso di predicatore e di autore di numerosi scritti teologici Agostino divenne sempre più consapevole del linguaggio peculiare della Chiesa [Church's own way of speaking] che egli definì "ecclesiastica loquendi consuetudo" ossia "ritus loquendi ecclesiasticus". La testimonianza di Agostino conferma che nei primi cinque secoli v'erano forme linguistiche latine proprie del parlare cristiano che trovavano espressione nell'insegnamento, nel culto e nell'organizzazione della Chiesa, e che presentavano connotati distintivi rispetto al linguaggio comune della tarda antichità.
6 commenti:
Ma Francesco non si è limitato a “sparare” all’immortale vittima. Ha voluto fare un passo ulteriore, quello di un veloce e furtivo, quanto mostruoso, “seppellimento da vivo”, affermando che il nuovo rito è la Lex orandi della Chiesa cattolica. Dal che si dovrebbe dedurre che la Messa di sempre non sarebbe più la Lex orandi.
https://gloria.tv/post/gLsjX2dj2xgg1gRdYsykWbEWU
Cari amici, alla luce degli ultimi avvenimenti, WI si prende una pausa per rigenerare le forze in vista di una nuova stagione di condivisione e analisi.
La situazione che ci troviamo ad affrontare oggi ha aspetti di criticità che non hanno precedenti. In particolare, la tendenza a sovraccaricare l'informazione di minacce e scenari inquietanti, spesso contradditori, è spinta volutamente al limite, al punto da suscitare un profondo senso di disorientamento e angoscia.
Siamo convinti che questo genere di comunicazione sia funzionale a creare una sensazione di vuoto e di assenza di solidità propedeutica a demolire ogni forma resistenza a iniziative che sono imminenti; probabilmente meno pesanti di quelle minacciate, e che proprio per questo verranno accolte con un certo insidioso sollievo, che non va abbracciato.
In attesa che la situazione si configuri in modo più dettagliato, il consiglio che ci sentiamo di darvi è di spezzare la catena della paura. Rinunciamo per il momento a intossicarci di futuribili oscuri e visioni funeste. Rinunciamo all'insicurezza che ci stanno instillando. Rinunciamo a nutrire il mostro che stanno allevando con la nevrosi e il conflitto interiore.
Torniamo sul terreno della certezza e tratteniamo saldo il senso dell'identità e della comunità, ciò che sappiamo essere non barattabile o sacrificabile. Teniamo sempre a mente che non siamo soli, e che condividere un campo di battaglia tra amici è meglio che vivere in pace, soli e circondati da una folla anonima.
L'autunno sarà impegnativo.
A presto
Penso che, almeno in parte, l'effetto francamente orribile che ottiene il papa regnante, sia voluto e cercato. È indubitabile che il documento abbia catalizzato su di sé l'attenzione di tutto il mondo cattolico. Forse perché è altrettanto necessario distrarlo da un altro possibile obiettivo. Infatti quasi nessuno sembra essersi interessato della recente pubblicazione di Civiltà Cattolica, il che presumo che significhi che non è stato letto l'incredibile saggio sulla "Rinnovata teologia del Mediterraneo" elaborata su richiesta di papa Francesco da padre Jean-Pierre Sonnet. Un saggio che, se è stato chiesto da Bergoglio, sembra non esserlo stato dallo Spirito Santo. Cito dall'articolo di Formiche.net, del 16 c.m.a firma di Riccardo Cristiano secondo il quale padre Sonnet, e' uomo di grande cultura e piena visione mediterranea che, a dire sempre del Cristiano, fa un discorso profondo e vibrante per seguire l'appello di Francesco: "C'è da ripetere,riguardo al bacino del Mediterraneo, ciò che papa Francesco ha formulato riguardo al bacino amazzonico. In un caso come nell'altro, il primo atteggiamento è quello della contemplazione: Imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l'Amazzonia e non solo analizzarla, per riconoscere il mistero prezioso che ci supera. Possiamo amarla e non solo utilizzarla, così che l'amore risvegli un interesse profondo e sincero. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, e allora l'Amazzonia diventerà nostra come una madre.-Queste pagine attiveranno un'empatia simile:per accogliere l'olivo, che vibra alla luce del Mediterraneo, e per accoglierlo in tutte le sue dimensioni, occorre innanzitutto mettersi in sintonia con la sua vibrazione essenziale." Se ci si era chiesto cosa mai ci si poteva aspettare dopo la pachamama ora è evidente: l'olivo ! Chiedo a qualche biblista di passaggio: gli "alti luoghi" citati nell'Antico Testamento, meta di riti orgiastico- pagani erano,per caso,pieni di olivi ?
Valeria Fusetti
Cara Valeria,
Da brividi.
Il Getzemani, il luogo della preghiera e dell'agonia del Signore, non è il giardino degki ulivi?
Si è proprio il Giardino degli ulivi che a quanto pare non è (purtroppo) dimenticato. Dice il "teologo mediterraneo": "Ma tra le caratteristiche dell'olivo c'è anche la longevità, con la ripresa della vita e quindi con Gesù, non raccontabile prescindendo dal giardino degli olivi." Ma questo squarcio di ermeneutica "irracontabile" è preceduta da un'altra, che riguarda l'Antico Testamento. Riguarda, questa ermeneutica "irracontabile" veterotestamentaria uno dei capitoli cristologici più conosciuti, il cap. 55 di Isaia:"Degli alberi della campagna la Bibbia dice che "battono le mani" (Isaia 55,12). L'olivo ha un suo modo di fare, timido e gioioso al tempo stesso". Ed infine perché dimenticare il parallelo storico architettonico ? Il testo per tale lirismo è tratto dal famoso saggio "La crisi degli olivi in Liguria del 1911" di Giovanni Boine (che d'ora in avanti non mancherà più nella biblioteca dei Seminari, presumo). Nel saggio in questione si racconta che "Pietra su pietra, con le loro mani, le mani dei nostri padri, per secoli e secoli, fin su alla montagna ! Non ci hanno lasciato palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciato la gloria delle architetture composte:hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici." Per rispetto di S. Francesco e dei profeti biblici non riporto l'ardito parallelo tra questi e quello. Si, ho i brividi, ho lo stomaco contratto ed ho pure la nausea, e non ho letto che un articolo che sproloquia sulla novella "Teologia del Mediterraneo". Per ora mi basta.
Valeria Fusetti.
- Tra il 1947 e il 1949, papa Pio XII, prima nell’enciclica “Mediator Dei” e poi in un discorso agli studenti medi, sottolineò l’importanza del latino, “(...) principalmente lingua sacra (...) ma (...) anche (...) chiave, che (...) apre le fonti della storia”; il cui uso “è segno perspicuo e venusto d’unità, nonché rimedio efficace contro tutte le adulterazioni della vera dottrina”. Nella visione di Pio XII la cultura cristiana è “tutta impregnata di ciò che l’antichità aveva di eternamente buono” (R. Calderini, "L’insegnamento del latino in Italia dalla riforma Bottai alla riforma Gui", Milano, 1966, p. 74 s., 93).
- “ «Ut ager quamvis fertilis sine cultura fructuosus esse non potest, sic sine doctrina animus» (Cicero, ‘Tusculanae disputationes’, II, 4) – Come la terra, anche se fertile, non può portare frutti senza coltivazione, così l’anima senza la cultura”.
Dal DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI RAPPRESENTANTI DELL'UNIVERSITÀ DI OPOLE (POLONIA) IN OCCASIONE DEL 10° DELLA FONDAZIONE E DEL CONFERIMENTO AL PONTEFICE DELLA LAUREA HONORIS CAUSA. Martedì, 17 febbraio 2004.
È perfino ovvia l’osservazione che il verbo “educare” deriva dal latino "e-ducere", che significa, letteralmente, “condurre fuori”, far venire alla luce. Ed ecco le immagini delle cattedrali e della “Divina Commedia”, “impalcata come una cattedrale gotica, col suo innalzarsi per gradi crescenti di luce” (v. L’arte nel Medioevo, “Conosci l’Italia” del TCI, VIII, Milano, 1964, p. 15).
Posta un commento