Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 24 luglio 2021

Lettera di Don Davide Pagliarani sul motu proprio “Traditionis custodes”

Indice degli articoli precedenti e correlati.
Lettera del Superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, in seguito alla pubblicazione del motu proprio «Traditionis custodes».

Questa Messa, la nostra Messa, deve essere veramente per noi come la perla del Vangelo per la quale si rinuncia a tutto, per la quale si è pronti a vendere tutto.

Cari membri e amici della Fraternità sacerdotale San Pio X,
Il motu proprio Traditionis custodes e la lettera che lo accompagna hanno provocato un profondo sommovimento nel cosiddetto mondo tradizionalista. Si può notare, a rigor di logica, che l’era dell’ermeneutica della continuità, con i suoi equivoci, le sue illusioni e i suoi impossibili sforzi, è drasticamente superata, cancellata con un colpo di spugna. Queste misure così chiare e nette non toccano direttamente la Fraternità San Pio X, ma devono essere per noi l’occasione di una riflessione profonda. Per farla, è necessario guardare dall’alto e porci una domanda al tempo stesso vecchia e nuova: Perché dopo cinquant’anni la Messa tridentina è ancora il pomo della discordia?

Innanzitutto, ci dobbiamo ricordare che la santa Messa è la continuazione, nel tempo, della lotta più aspra che sia mai esistita: la battaglia tra il regno di Dio e il regno di Satana, questa guerra che ha avuto il suo culmine sul Calvario, con il trionfo di Nostro Signore. Proprio per questa lotta e per questa vittoria Egli si è incarnato. Poiché la vittoria di Nostro Signore è stata ottenuta dalla Croce e dal suo Sangue, si può capire come si perpetui, anch’essa, attraverso lotte e contraddizioni. Ogni cristiano è chiamato a questa battaglia: Nostro Signore ce lo ricorda quando dice di essere venuto a «portare la spada sulla terra» (Mt 10, 34). Non c’è da stupirsi se la Messa di sempre, che esprime perfettamente la vittoria definitiva di Nostro Signore sul peccato tramite il suo sacrificio espiatorio, sia essa stessa un segno di contraddizione.

Ma perché questa Messa è diventata segno di contraddizione anche all’interno della Chiesa? La risposta è semplice, e sempre più chiara. Dopo cinquant’anni, gli elementi di risposta sono evidenti per tutti i cristiani di buona volontà: la Messa tridentina veicola ed esprime una concezione della vita cristiana, ed in conseguenza una concezione della Chiesa, che è assolutamente incompatibile con l’ecclesiologia derivante dal concilio Vaticano II. Il problema non è semplicemente liturgico, estetico o puramente formale. Il problema è al tempo stesso dottrinale, morale, spirituale, ecclesiologico e liturgico. In una parola, è un problema che coinvolge tutti gli aspetti della vita della Chiesa, nessuno escluso: è una questione di fede.

Da un lato sta la Messa di sempre, stendardo di una Chiesa che sfida il mondo e che è certa della propria vittoria, perché la sua battaglia non è altro che la continuazione di quella che Nostro Signore ha combattuto per distruggere il peccato ed il regno di Satana. Con la Messa, e attraverso la Messa, Nostro Signore arruola le anime cristiane nella sua battaglia, facendole partecipare insieme alla sua croce e alla sua vittoria. Da tutto questo deriva una concezione profondamente militante della vita cristiana. Due note la caratterizzano: lo spirito di sacrificio e un’incrollabile speranza.

Dall’altro lato sta la messa di Paolo VI, espressione autentica di una Chiesa che si vuole in armonia con il mondo, che presta orecchio alle istanze del mondo; una Chiesa che, in fondo, non deve più combattere il mondo perché non ha più nulla da rimproverargli; una Chiesa che non ha più niente da insegnare perché è in ascolto delle potenze di questo mondo; una Chiesa che non ha più bisogno del sacrificio di Nostro Signore perché, avendo perduto la nozione del peccato, non ha più niente da espiare; una Chiesa che non ha più per missione di restaurare la regalità universale di Nostro Signore, poiché vuole portare il suo contributo all’elaborazione di un mondo migliore, più libero, più ugualitario, più eco-responsabile; e tutto questo con dei mezzi puramente umani. A questa missione umanista che gli uomini di Chiesa si sono dati deve necessariamente corrispondere una liturgia ugualmente umanista e desacralizzata.

La battaglia di questi ultimi cinquant’anni, che il 16 luglio scorso ha effettivamente conosciuto un momento significativo, non è la guerra tra due riti: è in tutto e per tutto la guerra tra due concezioni differenti ed opposte della Chiesa e della vita cristiana, assolutamente irriducibili ed incompatibili tra loro. Parafrasando sant’Agostino, si potrebbe dire che le due messe edificano due città: la Messa di sempre ha edificato la città cristiana, la nuova messa tenta di edificare la città umanista e laica.

Se il Buon Dio permette tutto questo, lo fa certamente per un bene più grande. Innanzitutto per noi stessi, che abbiamo la fortuna immeritata di conoscere la Messa tridentina e di beneficiarne; possediamo un tesoro di cui non valutiamo sempre tutto il valore, e che conserviamo forse troppo per abitudine. Quando qualcosa di prezioso è attaccato o disprezzato, se ne valuta meglio tutto il valore. Possa questo “shock” provocato dalla durezza dei testi ufficiali del 16 luglio scorso, servire a rinnovare il nostro attaccamento alla Messa tridentina, ad approfondirlo, a riscoprirlo; questa Messa, la nostra Messa, deve essere veramente per noi come la perla del Vangelo per la quale si rinuncia a tutto, per la quale si è pronti a vendere tutto. Colui che non è pronto a versare il suo sangue per questa Messa non è degno di celebrarla. Colui che non è pronto a rinunciare a tutto per custodirla non è degno di assistervi.

Ecco quella che deve essere la nostra prima reazione davanti agli eventi che stanno scuotendo la Chiesa. Che la nostra reazione, di noi sacerdoti e fedeli cattolici, superi di gran lunga, per profondità e spessore, i commenti di ogni sorta, inquieti ed a volte senza speranza.

Il Signore ha certamente in prospettiva un altro obiettivo permettendo questo nuovo attacco contro la Messa tridentina. Nessuno può mettere in dubbio che in questi ultimi anni, numerosi sacerdoti e numerosi fedeli abbiano scoperto questa Messa, e che tramite di essa si siano avvicinati a un nuovo orizzonte spirituale e morale, che ha aperto loro la via della santificazione delle proprie anime. Le ultime disposizioni prese contro la Messa obbligheranno queste anime a trarre tutte le conseguenze di ciò che hanno scoperto: ora si tratta per loro di scegliere – con gli elementi di discernimento che hanno a disposizione – ciò che si impone a ogni coscienza cattolica ben formata. Molte anime si troveranno di fronte a una scelta importante in materia di fede, perché – lo ripetiamo – la Messa è l’espressione suprema di un universo dottrinale e morale. Si tratta dunque di scegliere la fede cattolica nella sua integrità e tramite questa Nostro Signore Gesù Cristo, il suo sacrificio, la sua regalità. Si tratta di scegliere il suo Sangue, di imitare il Crocifisso e di seguirlo fino in fondo, con una fedeltà intera, radicale e consequenziale.

La Fraternità San Pio X ha il dovere di aiutare tutte queste anime che si trovano attualmente nella costernazione e nello sconforto. Abbiamo innanzitutto il dovere di offrire loro, con i fatti, la certezza che la Messa tridentina non potrà mai scomparire dalla faccia della terra: si tratta di un segno di speranza estremamente necessario. Inoltre, occorre che ognuno di noi, sacerdote o fedele, tenda loro una mano rassicurante, perché colui che non desidera condividere i beni che possiede è in realtà indegno di tali beni. Solamente così ameremo veramente le anime e la Chiesa. Perché ogni anima che guadagneremo alla croce di Nostro Signore, e all’immenso amore che ha manifestato con il suo Sacrificio, sarà un’anima veramente acquisita alla sua Chiesa, alla carità che la anima e che deve essere la nostra, soprattutto in questo momento.

Alla Madonna Addolorata noi affidiamo queste intenzioni, a Lei rivolgiamo le nostre preghiere, perché nessuno quanto Lei ha penetrato il mistero del sacrificio di Nostro Signore e della sua vittoria sulla Croce. Nessuno quanto Lei è stato così intimamente associato alla sua sofferenza ed al suo trionfo. Tra le sue mani Nostro Signore ha rimesso la Chiesa intera, e per conseguenza ciò che la Chiesa ha di più prezioso: il testamento di Nostro Signore, il santo sacrificio della Messa.

Menzingen, 22 luglio 2021,
festa di santa Maria Maddalena
Don Davide Pagliarani, Superiore Generale

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Una lettera chiara, piena di Fede, Speranza e Carità (anche se la questione della supposta Autorità non è nemmeno sfiorata), ben diversa da certi interventi untuosi, dove primieramente non si vuol dispiacere a Francesco, al Concilio Vaticano II, ai supposti santi patroni conciliari e solo accessoriamente si cerca di lenire la ferita inferta al popolo fedele con qualche buona parola sul rito "straordinario".
Conoscendo il mondo della tradizione - chiamiamolo così - temo fortemente che in molti si accontenteranno di tutte le soluzioni equivoche ed untuose immaginabili.
Speriamo che non sia così e che lo Spirito Santo, debitamente invocato, per l'intercessione di Maria Immacolata, ci ottenga tutte le grazie di cui abbiamo gran bisogno.

Anonimo ha detto...

One of the dynamics of laity vs. clergy is that laity are sometimes freer to ask questions or make statements that clergy are sometimes more prudent not to. We're in such a situation.

Sometimes prelates and priests need to go to bat for the laity, yes, and in other scenarios, laity (and canon lawyers, etc.) need to go to bat for the clergy. Think of the recusants. What happened? Laity protected and hid their priests. This situation is no different.

Why am I saying this? Many clergy get it. They ask the same questions we do. But are they wise to not publicly speculate or poke the hornets' nest or simply disregard even questionable directives in cases like these. Now is the time for laity to stand up and do that for them and for themselves. Your priests need your protection and they need it so that they can offer you their service.

So then, don't be disappointed in or expect priests to publicly disregard what is going on or not follow certain protocols, no matter how unjust they might feel or are. It would be foolish and imprudent on their part to do so as it invites censure -- and that is not good for anyone.

Imagine in your workplace if you were told to publicly confront or disregard your boss knowing full well you could lose your job as consequence. What you want in a situation like that is not to be put in that sort of position but to rather have others who are more immune to the consequences to stand up and handle the situation for you.

This is the present situation for your priests. So, let them do what they need to, and while they do that, play your own part in all this -- though do it rationally, reasonably and temperately of course.

Anonimo ha detto...

@ 24 luglio 2021 08:23

Oggi come oggi noi non sappiamo quale sia la percentuale dei consacrati fedeli al NSGC, oggi si chiede loro di mostrare da che parte stanno.

Vigiliae Alexandrinae ha detto...

Dopo la bella omelia sui due stendardi a don Davide rimane solo problema: la missio sua e della FSSPX che fino ad oggi gli è stata concessa in maniera un po' stravagante soltanto da Francesco. Sul punto il Cardinal Burke coglie nel segno e non si può proprio dire che sia fuoco amico.

Anonimo ha detto...

Con tutto il mio cuore, con tutta me stessa : Amen ! In questi giorni le rivelazioni di Nostra Signora di Quito si rivelano in tutta la loro forza profetica. Che la Vergine Santissima protegga il Corpo Mistico di Cristo e porti a conversione chi rischia di perdere la Vita percorrendo altre Vie che portano lontano dalla Verità.
Valeria Fusetti

Traditionis sandapilarii ha detto...

claudicat ingenium, delirat lingua
labat mens (Lucrezio)

Anonimo ha detto...


# Vigiliae Alexandrinae

ma per avere la missio secondo il nuovo codice di diritto canonico, la FSSPX dovrebbe riconoscere la legittimità del Vaticano II o meglio delle false riforme da esso ispirate.
E quindi si ricomincerebbe da capo. Il ricatto morale è noto.
La FSSPX deve solo continuare a resistere, trovandosi ad essere, senza volerlo, "segno di contraddizione". Secondo la dottrina canonistica tradizionale una congregazione illecitamente soppressa può continuare a considerarsi in vita per almeno cento anni, se non mi sbaglio.
Non credo che la "Chiesa conciliare" ne avrà ancora per molto. Questa, ovviamente, è solo un'opinione personale.
Siano lunghi o brevi i tempi per la rinascita della Chiesa, la FSSPX non può mutare la sua politica. E chi si sentirebbe di fare un accordo con un papa come l'attuale? Inoltre, la FSSPX non è mai stata scismatica, non è mai stata fuori della Chiesa, si trova solo al momento non inquadrata nelle nuove figure per gli istituti di vita religiosa previsti dal nuovo CIC, quello del 1983, quello che, se non mi sbaglio, ha tolto l'inciso "iure divino" dall'assunzione della summa potestas su tutta la Chiesa ad opera del neo-eletto papa.

mic ha detto...

Come la vedeva Paolo VI sulla nuova messa (stralcio dall'udienza 26 novembre 1969)

PASSAGGIO ALLA LINGUA PARLATA

Qui, è chiaro, sarà avvertita la maggiore novità: quella della lingua. Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un sacrificio d’inestimabile prezzo. E per quale ragione ? Che cosa vale di più di questi altissimi valori della nostra Chiesa? La risposta pare banale e prosaica; ma è valida; perché umana, perché apostolica. Vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana. Se il divo latino tenesse da noi segregata l’infanzia, la gioventù, il mondo del lavoro e degli affari, se fosse un diaframma opaco, invece che un cristallo trasparente, noi, pescatori di anime, faremmo buon calcolo a conservargli l’esclusivo dominio della conversazione orante e religiosa? Che cosa diceva San Paolo? Si legga il capo XIV della prima lettera ai Corinti: «Nell’assemblea preferisco dire cinque parole secondo la mia intelligenza per istruire anche gli altri, che non diecimila in virtù del dono delle lingue» (19 ecc.). E Sant’Agostino sembra commentare: «Purché tutti siano istruiti, non si abbia timore dei professori» (P.L. 38, 228, Serm. 37; cfr. anche Serm. 299, p. 1371). Ma del resto il nuovo rito della Messa stabilisce che i fedeli «sappiano cantare ‘insieme, in lingua latina, almeno le parti dell’ordinario della Messa, e specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore, il Padre nostro» (n. 19). Ma ricordiamolo bene, a nostro monito e a nostro conforto: non per questo il latino nella nostra Chiesa scomparirà; esso rimarrà la nobile lingua degli atti ufficiali della Sede Apostolica; resterà come strumento scolastico degli studi ecclesiastici e come chiave d’accesso al patrimonio della nostra cultura religiosa, storica ed umanistica; e, se possibile, in rifiorente splendore.

PARTECIPAZIONE E SEMPLICITÀ

E finalmente, a ben vedere, si vedrà che il disegno fondamentale della Messa rimane quello tradizionale, non solo nel suo significato teologico, ma altresì in quello spirituale; questo anzi, se il rito sarà eseguito come si deve, manifesterà una sua maggiore ricchezza, resa evidente dalla maggiore semplicità delle cerimonie, dalla varietà e dall’abbondanza dei testi scritturali, dall’azione combinata dei vari ministri, dai silenzi che scandiscono il rito in momenti diversamente profondi, e soprattutto dall’esigenza di due requisiti indispensabili: l’intima partecipazione d’ogni singolo assistente, e l’effusione degli animi nella carità comunitaria; requisiti che devono fare della Messa più che mai una scuola di profondità spirituale e una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana. Il rapporto dell’anima con Cristo e con i fratelli raggiunge la sua nuova e vitale intensità. Cristo, vittima e sacerdote, rinnova ed offre, mediante il ministero della Chiesa, il suo sacrificio redentore, nel rito simbolico della sua ultima cena, che lascia a noi, sotto le apparenze del pane e del vino, il suo corpo e il suo sangue, per nostro personale e spirituale alimento, e per la nostra fusione nell’unità del suo amore redentore e della sua vita immortale.

Anonimo ha detto...

Lettori più colti ed aggiornati di me: dove era sbagliato questo stralcio del discorso di Paolo VI? Mic?
Grazie a chi l'ha postato: mantiene in modo vivo l'oralità ed il sentire degli intenti di allora, più di tanti paludati interventi.
Giorgio Piccoli

Anonimo ha detto...

La battaglia di questi ultimi cinquant’anni, che il 16 luglio scorso ha effettivamente conosciuto un momento significativo, non è la guerra tra due riti: è in tutto e per tutto la guerra tra due concezioni differenti ed opposte della Chiesa e della vita cristiana, assolutamente irriducibili ed incompatibili tra loro. Parafrasando sant’Agostino, si potrebbe dire che le due messe edificano due città: la Messa di sempre ha edificato la città cristiana, la nuova messa tenta di edificare la città umanista e laica.

Unknown ha detto...

Montini era di simpatie e frequentazioni moderniste fin dalla gioventù, del resto la sua rapida carriera fu forse anche dovuta al padre democristiano (e si sa che ciò era la trasposizione sul piano politico - di apparenza meno pericolosa- del modernismo dottrinale condannato e un po' arginato . La sua grande ammirazione per la cultura moderna,quasi la vergogna per l'"arretratezza della Chiesa" la volontà di piacere al mondo attuale scristianizzato appaiono anche in questo testo . Per questo non esitò a porre le mani sacrileghe su ciò che lui stesso esalta .l'argomentazione è assurda: come se nella Chiesa non fosse fiorita una incessante sequela di Santi anche del tutto illetterati e bambini che non avevano alcun bisogno del linguaggio volgare degli affari e della conversazione profana per la comprensione profonda della Liturgia. Forse ha fatto tutto ciò in buona fede, non spetta a noi giudicare

Anonimo ha detto...

E' da escludere che alla FSSPX convenga, oggi come oggi, un accordo per la sua posizione canonica. Significherebbe un sicuro scisma al loro interno. Inoltre, visto il muovo motu proprio, nel giro di pochi anni si troverebbero nella condizione di non poter più celebrare il Vetus Ordo.

Anonimo ha detto...


# Giorgio Piccoli

A ben vedere, l'intervento di Paolo VI, così curato nella forma, è retorico. Falso.
Nel senso che usa alate parole per nascondere il vero. E cioè, che una più intensa e
sentita partecipazione alla Messa non implicava affatto il mutamento e lo stravolgimento del rito con l'introduzione del volgare.
C'era una diminuzione di partecipazione alla Messa perché era la fede stessa che si stava intiepidendo, per tutta una serie di motivi che non avevano a che fare con la Messa. Dall'interno della Chiesa stava prendendo nuovamente piede uno spirito di conciliazione e accordo con i valori del mondo, il quale mondo profano premeva sulla religione con le sue verità, che al tempo sembravano (erroneamente) a molti inoppugnabili, per esempio nella scienza. La fede nei preti si stava inaridendo, al di sotto del conformismo ufficiale, e i fedeli lo capivano, anche se in forma solo intuitiva. L'Italia poi aveva subito la grande tragedia della doppia occupazione straniera e della feroce guerra civile del 1943-45, un cataclisma che aveva anche distrutto tutti i valori morali tradizionali, temporaneamente ristabiliti proprio dalla Chiesa, nel dopoguerra, grazie anche alla carismatica figura di Pio XII.
Il latino della Messa si capiva quanto bastava, c'erano a fianco le traduzioni in volgare. Il problema del comprendere in lingua chiara sollevato da Paolo VI a giustificazione delle sue riforme liturgiche era un falso problema. Traduzioni italiane, della Messa, dei Vangeli, del Corpo Testamentario fatte fare dal Vaticano circolavano ampiamente, almeno dal tempo di san Pio X. E anche prima, credo.
Paolo VI mentiva. Doppiamente, quando assicurava che la Messa non sarebbe cambiata. Invece la sua nuova Messa non era quella antica in volgare, era una Messa Nuova, che introduceva uno spirito diverso e contrario al vero spirito cattolico. Uno spirito volto alla comunità celebrante, che si radunava nell'attesa della Venuta del Cristo glorioso, in un banchetto gioioso...Niente a che vedere con la vera Messa cattolica, incentrata sul Sacrificio della Croce, che ci procura misericordia (propitiatio) per i nostri peccati.
T.

Anonimo ha detto...

Nuove consacrazioni episcopali nella S. PioX? E' da tempo che se ne parla, ben prima del motu proprio bergogliano. E a Roma, secondo buone fonti, ne sono informati.

Anonimo ha detto...

Ricordiamoci sempre che chiamiamo "Messa tridentina" una liturgia che dal concilio di Trento a oggi è stata modificata più volte fino a quella di Giovanni XXIII del 1962. Ma perché allora la consideriamo "tridentina", cioé del 1570? Perché le varie revisioni non modificarono che marginalmente il rito. E, nonostante quanto si creda comunemente, la costituzione conciliare Sacrosantum Concilium non prevedeva affatto uno stravolgimento della Messa come fu effettuato dalla commissione Bugnini (alla quale partecipò anche un luterano...), anzi prescriveva di conservare il latino per le parti della Messa che non fossero la liturgia della parola e l'omelia ad esse didascalica. Ancora ci si chiede come mai un papa per nulla sorovveduto quale Paolo VI abbia apposto la sua firma ad un tale stravolgimento dei dettata del concilio. Salvo poi, informato del fatto che Bugnini era in odore di massoneria, lo relegò nella munziatura di Teheran.
Giovanni Cerbai

Anonimo ha detto...

Il cardinale Burke si sa benissimo che ha sempre avuto un pregiudizio radicato e non ha mai mancato occasione per sparare sulla FSSPX, non è certo una novità. Solo che lui, come abbiamo potuto tutti constatare, non è proprio un grand esempio in quanto a coraggio e coerenza. Farebbe meglio anzitutto a mettere ordine in casa propria.

Anonimo ha detto...

Infatti il mio Messale del 1966 e' impostato così ed e' in latino e in italiano.Inoltre porta chiare indicazioni chiarissime di quando inginocchiarsi,quando sedersi,quando stare in piedi.

Anonimo ha detto...


Sulla Messa NO bisogna anche dire un'altra cosa.

Venne giustificata soprattutto per attuare una maggiore e più sentita partecipazione dei fedeli al rito. Si scoprì all'improvviso che le folle non capivano il latino! Le chiese la domenica erano ancora piene di gente (me lo ricordo personalmente) però non come prima della guerra o subito dopo la sua fine, quando la gente si rivolgeva istintivamente alla Chiesa per ritrovare Cristo quale faro di luce nelle tenebre insanguinate e miserabili della guerra e dell'immediato dopoguerra.
Ebbene, la Nuova Messa ha forse riempito di nuovo le chiese? Si sono svuotate in maniera impressionante e restano tuttora semivuote, tranne festività tradizionali, di famiglia, come il Natale o la S. Pasqua. Un fallimento clamoroso dello scopo per il quale si diceva di aver riformato la Messa, andando oltre il dettato conciliare ma sviluppandone certi criteri, come quello incredibile dell'adattamento e della creatività liturgica.
Perché non ci si interroga su questo fallimento? Perché la Nuova Messa ha accentuato il distacco dei fedeli dal rito, invece di eliminarlo?
Sono quelle domande ovvie alle quali non si cerca di dare mai una risposta. Come gli ebrei, che, a quanto se ne sa, non si interrogano mai sul perché della scomparsa dello spirito profetico dal loro popolo. L'ultimo profeta è stato S. Giovanni Battista, che loro non riconoscono. Ed anzi Nostro Signore, con le sue profezie riportate nei Vangeli, che i loro capi hanno fatto condannare a morte dai Romani, grazie a false accuse.

Sono più di venti secoli che la voce dei profeti tace, in Israele. Forse Dio è adirato con loro? Sono solo 52 anni da che esiste il Nuovo Rito che doveva aprire alla Chiesa un futuro radioso, magnifiche sorti e progressive: tale rito sopravvive macilento nel deserto delle chiese semivuote ed è diventato famoso soprattutto per il suo carattere mondano e irrispettoso, per gli abusi, le aberrazioni liturgiche che i celebranti "progressisti" e "creativi" riescono ad estrarne. Forse Dio è irato con una Chiesa, una Gerarchia che lo celebra con un rito indegno, degno delle offerte di Caino?
Il brutale intervento di Bergoglio avrà avuto almeno il merito di far sparire il vaniloquio sulla "forma straordinaria" e "ordinaria" dello "unico rito". Almeno si spera, se non altro per una forma di onestà intellettuale.
T.

Unknown ha detto...

Agli ebrei non mancano solo i profeti , ma anche la possibilità del culto essendo privi di tempio e sacerdozio. Come mai non sene rendono conto , cercando anzi di riedificare il tempio,cosa che giammai potrà Avvenire? È un mistero questa cecità, così come quella del Montini la cui empietà avrebbe fatto tremare il delinquente più incallito. Il fatto che il modernista è cieco : è chiaro che è un pretesto la comprensione del popolo , ma forse egli credeva che attraverso la riforma si sarebbe attuata la chiesa moderna che lui considerava quella autentica. Si tratta di terribile cecità, quanto colpevole noi non possiamo giudicare, per questo ho parlato di speranza di una sua buona fede. Anche se è difficile