Nella nostra traduzione da OnePeterFive la meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente [vedi].
Diebus Saltem Dominicis —
24ª e ultima domenica dopo Pentecoste: preparatevi
Con l’eccezione dell’amorevole misericordia di Dio e della gioia eterna del Paradiso, tutte le cose belle giungono alla loro fine. La serie di quest’anno si conclude con uno sguardo all’ultima domenica della Chiesa della nostra rotazione liturgica intorno al Sole. Sebbene numericamente questa domenica sia — quest’anno — la 27ª dopo Pentecoste, utilizziamo i testi della 24ª domenica. Le domeniche successive alla 22ª dopo Pentecoste includevano la festa di Cristo Re — nell’ultima domenica di ottobre — e i testi della 4ª, 5ª e 6ª domenica, che non sono stati pregati dopo l’Epifania a causa delle date mutevoli della Septuaginta e, quindi, della Pentecoste. Tra pochi brevi giorni brevi — sempre più brevi nell’emisfero settentrionale — inizia un nuovo anno liturgico con la 1ª domenica di Avvento. Tra cinque settimane di volo celebreremo la Nascita del Nostro Salvatore, il Verbo fatto carne, Che desidera ardentemente condurci fuori dal peccato e nella beatitudine Celeste. Paolo, scrivendo da Roma in catene, sottolinea questo nella nostra selezione di Epistole tratta da Colossesi 1, 1-14.
Dio Padre, inviando Suo Figlio in questo mondo, ci ha
messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È Lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Suo Figlio diletto, per opera del Quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.
Questa verità esaltante dovrebbe suscitare in noi il desiderio di vivere “…rafforza[ti] con ogni energia secondo la potenza della Sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; ringraziando con gioia il Padre…”.
A proposito di esaltante ed eccitante, nei climi britannici questa domenica è soprannominata “Stir-Up Sunday” dalle prime parole della traduzione inglese dell’antica Colletta latina che si trova nel Book of Common Prayer anglicano. È anche chiamata così perché in questo giorno vige l’usanza di mescolare gli ingredienti per la tradizionale torta di Natale. [In inglese, il verbo to stir up, che non ha un equivalente esatto italiano, significa ‘far lievitare mescolando’. — N.d.T.]
Dato che ho menzionato la Colletta, diamo un’occhiata alla testo originale in latino, che risale almeno al Liber sacramentorum Augustodunensis, una variazione manoscritta del IX secolo del Liber sacramentorum Romanae ecclesiae di metà VIII secolo, chiamato anche Sacramentario Gelasiano. Fu compilato vicino Parigi con elementi delle pratiche liturgiche romane e gallicane (francesi). Secondo un’antica tradizione il libro risale a Papa Gelasio I (†492), che probabilmente scrisse alcune delle sue preghiere. Il Liber Pontificalis, una cronaca dei Papi romani iniziata nel III secolo e continuata a intermittenza con biografie tra il VI e il IX secolo, afferma che Papa Gelasio, “fecit etiam et sacramentorum praefationes et orationes cauto sermone” (…compose anche prefazioni ai sacramenti e preghiere in un linguaggio attento). In effetti, molte delle nostre orazioni per la Santa Messa sono molto antiche.
Se mi permettete un’ulteriore digressione, nella sua Costituzione Apostolica Providas Romanorum del 1751 che condannava la Massoneria, Papa Benedetto XIV citava una preghiera che uno dei grandi studiosi liturgici del suo tempo, San Giuseppe Maria Tomasi, attribuì a Gelasio. Fu usata in una messa “contra obloquentes”. Obloquor significa ‘parlare contro una persona o una cosa, interrompere, contraddire, inveire, insultare’. Quindi, questa preghiera potrebbe essere definita in vari modi: ‘Contro i pignoli’ o ‘Contro i brontoloni’. Eccola, direttamente dalla mia comoda copia del Liber sacramentorum (noto anche come Sacramentario Gelasiano):
Praesta, quaesumus, Domine ut mentium reprobarum non curemus obloquium, sed eadem pravitate calcata, exoramus ut nec terreri nos lacerationibus pateris iniustis, nec captiosis adulationibus implicari, sed potius amare quae praecipis. Conspirantes, Domine, contra tuae plenitudinis firmamentum, dexterae tuae virtute prosterne; ut iustititae non dominetur iniquitas, sed subdatur semper falsitas veritati.(Concedi, ti preghiamo, o Signore, che non ci preoccupiamo delle parole malvagie di coloro che hanno menti reprobe, bensì che, dopo aver messo da parte la loro depravazione, preghiamo che Tu non ci permetta di aver paura di ingiusti attacchi taglienti né di essere invischiati in adulazioni ingannevoli, ma piuttosto ci conceda di amare le cose che comandi. Abbatti, o Signore, con la potenza della Tua mano destra, coloro che tramano contro il firmamento della tua pienezza; così che l’iniquità non prevalga sulla giustizia, bensì la falsità sia sempre sottomessa alla verità.)
Papa Leone XII la citò anche nella sua enciclica del 1825 contro la Massoneria Quo graviora.
Basta divagare. ‘Facciamo lievitare’ la nostra Colletta di questa domenica.
Excita, quaesumus, Domine, tuorum fidelium voluntates: ut, divini operis fructum propensius exsequentes; pietatis tuae remedia maiora percipiant.
Il nostro sempre entusiasmante Lewis & Short Dictionary afferma che excitare significa ‘sollevare, confortare; suscitare, risvegliare, eccitare, incitare, stimolare, ravvivare’. Propensius è un avverbio comparativo derivato dal verbo propendere, che quindi significa ‘più volentieri, prontamente, con inclinazione’. Quando è attribuita a Dio, la pietas non è tanto ‘pietà, senso del dovere’ quanto ‘misericordia’. Exsequi è ‘seguire fino alla fine, perseguire, seguire; eseguire, realizzare, adempiere’. Percipere è ‘avere, ottenere e ricevere’.
TRADUZIONE LETTERALE:
Ravviva, Ti preghiamo, o Signore, la volontà dei Tuoi fedeli, affinché, ricercando con più impegno il frutto dell’opera divina, ottengano più ampiamente i rimedi della Tua misericordia.
Nell’originale latino i due comparativi, propensius e maiora, stabiliscono una relazione proporzionale tra la ricerca piena di grazia da parte nostra e l’entità degli effetti del rimedio. Maggiore è la nostra serietà — che, come ha scritto Paolo ai Colossesi (vedi sopra), è essa stessa sollecitata dall’opera di Dio in noi —, più riceveremo la Sua misericordia.
UNA TRADUZIONE PIÙ SCORREVOLE:
Ravviva, o Signore, la volontà dei Tuoi fedeli, affinché, cercando con più zelo il frutto della Tua opera divina, trovino in misura maggiore gli effetti risanatori della Tua misericordia.
Si noti quel “frutto”. Nell’Epistola di questa Messa, Paolo esorta i Colossesi a perseverare “portando frutto in ogni opera buona” (v. 10 — in omni opera bono fructificantes).
L’Orazione Secreta chiede a Dio di liberarci dai desideri terreni (cupiditates) e la Postcomunione chiede la guarigione di tutto ciò che è diretto ai vizi (medicatio). È un tema appropriato per la fine dell’anno e l’esordio del nuovo.
I nostri primi antenati cristiani desideravano ardentemente il ritorno di Cristo. Alla fine di 1 Corinzi, troviamo la complessa parola aramaica maranatha, che ha diverse accezioni ma è più comunemente intesa come ‘Vieni, Signore!’, che è probabilmente il significato riecheggiato alla fine di Apocalisse 20, “Amen! Vieni, Signore Gesù!”. Si trova anche in Didaché 10, 14. La preghiera esprime un desiderio. Nel suo The Church’s Year of Grace [L’anno di grazia della Chiesa], Pius Parsch nota che, nel periodo medievale, il desiderio della Seconda Venuta era avvolto nel terrore, come esemplificato nel Dies Irae della Messa di Requiem con le sue potenti immagini di giudizio:
… Le mie preghiere non sono degne: ma Tu, Che sei buono, concedi gentilmente che io non sia bruciato dal fuoco eterno. … Umilmente inginocchiato e curvo prego, il mio cuore è schiacciato come cenere: prendiTi cura della mia ultima ora. …
Quando arriverà il momento, e arriverà collettivamente o individualmente, tutto sarà sistemato, tanto se ci siamo preparati prima o no.
Parsch aggiunge che ai nostri tempi non si anela né si teme il ritorno del Signore, il che nella maggioranza dei casi è sicuramente vero. Parsch scrive: “Ci manca sia l’entusiasmo infantile della Chiesa antica sia il realismo ingenuo del Medioevo. Cosa ci resta da fare?”
In amicizia, Parsch, non sono così sicuro che il realismo medievale non fosse saggezza. Tuttavia, nel rispondere alla sua stessa domanda, Parsch afferma:
Cosa ci resta da fare? Apriamo il Nuovo Testamento e meditiamo sulle ultime cose come stabilito dal nostro Salvatore: siate sempre preparati; vivete i vostri giorni alla luce della Seconda Venuta. Sono sicuro che questo è lo spirito della Chiesa secondo la liturgia. Dirigendo il nostro sguardo verso la Seconda Venuta di Cristo, la Chiesa ci ricorda come diventare ricchi nei frutti delle buone opere e nell’aumento della pazienza e della perseveranza (Epistola). Non possiamo mai dimenticare che essa vuole che il lavoro segua le parole. Nel santo Sacrificio porta il Signore, nella Sua Seconda Venuta, vicino a noi misticamente — sì, la Santa Messa è una Seconda Venuta, anche se, naturalmente, a modo suo attraverso la grazia. “Nutro pensieri di pace, non di punizione”. La Santa Messa è anche un giudizio, il giudizio di punizione che Egli ha preso su di Sé nella morte e che sta riattualizzando ora. La Croce l’ha scelta Lui per Sé, ma a noi dice: “Venite, benedetti del Padre mio…”.Preparatevi.
Padre John Zuhlsdorf, 23 novembre 2024
1 commento:
"Niente resiste all'anima che prega"
-Anche quando sembra inascoltata, la preghiera penetra i Cieli-
L'anima prega, arida terra che proprio nella sua notte sente cadere sulla sua squallida aridità la rugiada divina, prega e pregando è come vello che la raccoglie, è come semente che sente vivifico il suo germe, e lo fa erompere in Dio, rinverdendo in una novella speranza.
L'anima prega senza stancarsi, e pregando può giungere sino ai confini dell'onnipotenza creatrice, sicuro, fin là!
Essa, piccolo atomo, può avervi contatto, può cavarne una favilla novella di vita, può ottenere un miracolo, che è precisamente come un novello atto creativo di Dio. È grandioso! Essa scuote, per così dire, dal suo riposo Colui che creando si riposò, ridesta nel confidente amore quell'Onnipotenza che s'era già appagata di produrre e la costringe con l'amore a nuove manifestazioni, facendole persino distendere di nuovo le mani stillanti vita sul nulla.
Niente resiste all'anima che prega, e prega apprestando a Dio la propria misura di capacità: l'umiltà, la piccolezza e la semplicità, che diventano fiamma di fede, d'abbandono e di fiduciosa certezza.
L'anima prega, e quelle sue mani levate in alto ed aperte nella fiducia diventano una croce vivente e supplicante, sulla quale si posa l'ombra del Crocifisso, ed essa, crocifissa dal dolore e unita alla Divina Volontà, è come una sola cosa col Crocifisso e diventa compiacenza di Dio, che si piega e l'ascolta. Dio ascolta l'anima che prega: infallibilmente l'ascolta, assolutamente l'ascolta, poiché è assurdo che la preghiera sia inascoltata.
La preghiera è l'unica voce che penetra i Cieli, anche quando sembra che rimanga nella nostra greve atmosfera asfissiante; è l'unica voce che giungendo al Cielo si condensa in Grazia, anche quando a noi non appare, anche quando appare l'opposto.
(Dal commento al Vangelo di San Giovanni del Sacerdote Dolindo Ruotolo)
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