Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement un articolo - pubblicato a cura di Peter Kwasniewski - del filosofo polacco Paweł Milcarek, fondatore e caporedattore dell’importante rivista polacca Christianitas, che apparirà in due parti. "Alla luce del principio dello sviluppo organico, la volontà di migliorare qualche aspetto della liturgia non è una ragione sufficiente per mettere in discussione la tradizione esistente: ciò che serve è la certezza morale che tale impresa sia indispensabile per il beneficio della vita spirituale".
Dal Salterio completo al Salterio semplificato: uno sguardo
alle dinamiche della riforma liturgica nel XX secolo (Parte 1)
Una riorganizzazione molto insolita: “una nuova disposizione del Salterio” del 1911
Il Salterio dei professori: “una nuova traduzione latina dei Salmi” del 1945
La seconda parte continuerà con “Il Salterio secondo il Concilio Vaticano II”.
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[i] Breviarium Romanum ex decreti S.sancti Concilii Tridentini restitutum, S. Pii V P.M. iussu editum, Clementis VIII, Urbani VIII et Leonis XIII auctoritate recognitum.
[ii] Vedi ASS 16 (1883-1884), pp. 47-48 (per il decreto) e pp. 145-180 (per i testi degli Uffici).
[iii] Di seguito citata come in: AAS 3 (1911), pp. 633-650.
[iv] Anton Baumstark ha osservato: “Fino al 1911, all’interno della liturgia cristiana non c’era nulla di così assolutamente universale come questa pratica dell’Ufficio mattutino [cioè la recita quotidiana dei Salmi di Lode], e senza dubbio la sua universalità era ereditata dal culto della Sinagoga… Quindi, ai riformatori del Psalterium Romanum appartiene l’impresa di aver posto fine all’osservanza universale di una pratica liturgica che era seguita, si può dire, dal Divino Redentore Stesso durante la Sua vita sulla terra” (come citato in: Alcuin Reid, The Organic Development of the Liturgy, San Francisco 2005, pp. 75n; di seguito denominato: Reid, 2005).
[v] Nella pratica si riteneva spesso necessario dividere determinati Salmi: quindi, invece di più Salmi, si dovevano recitare “parti” successive anche di uno stesso Salmo all’interno di un unico ufficio.
[vi] Come citato in Reid, 2005, p. 76.
[vii] AAS 37 (1945), pp. 65-67.
[viii] Cf. Carlo Braga, La Liturgia delle Ore al Vaticano II, Roma, 2008, p. 38; di seguito denominato: Braga, 2008.
[ix] Cf. Reid, 2005, p. 157.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
I Salmi sono una parte indispensabile della preghiera della Chiesa e la sostanza fondamentale della preghiera liturgica quotidiana non eucaristica, ossia il nucleo delle Ore dell’Ufficio Divino. Costituiscono lo strato più antico della liturgia, anche perché solo nel loro caso possiamo affermare con certezza che facevano parte della preghiera personale di Gesù nella Sua vita terrena. La loro composizione nel Libro dei Salmi è un promemoria dell’ordine della liturgia della Prima Alleanza, che proprio in questo senso è stata trattata come eredità propria dai primi cristiani e dalla Chiesa antica.
Fin dai primi tempi, la Chiesa ha considerato i Salmi come un modo privilegiato e insostituibile per adempiere al comando di “pregare incessantemente”, obbedito o in modo quasi letterale — ad esempio, dai Padri del deserto —, o almeno attraverso la nomina di tempi fissi e ricorrenti di preghiera diurna e notturna. Per molti secoli i Salmi — ordinati nei libri del servizio divino e recitati in tempi che determinavano il ritmo quotidiano dell’intero mondo cristiano — hanno costituito il principale punto di riferimento per la preghiera di tutti i fedeli, sia del clero che dei laici. Nella pietà popolare, tuttavia, sono stati oscurati nel corso del tempo dagli “equivalenti” della recita dell’Ave Maria e del Pater Noster, o sostituiti con una varietà di devozioni private ed esercizi spirituali, rimanendo — come il breviario — il pane quotidiano solo dei sacerdoti e dei monaci.
Quindi, nell’era moderna il breviario è diventato “la preghiera dei sacerdoti”, e l’immagine di un religioso che recita il suo breviario — in latino, naturalmente, ma sempre più spesso in privato, all’esterno, ad esempio in giardino — è entrata nell’immaginario collettivo delle società cristiane come uno degli attributi di questa vocazione. Sebbene i laici fossero piuttosto riluttanti a fare uso del breviario, erano comunque consapevoli del fatto che in un certo senso forniva agli ecclesiastici vigore spirituale. Non c’è da stupirsi del fatto che i preti maleducati fossero descritti in modo beffardo come coloro “che non negano a se stessi né il cognac, né il breviario”. Quindi, il breviario era considerato sia un privilegio sia un dovere dei sacerdoti.
Se vogliamo ricostruire qui le riforme moderne del Breviario Romano — o, a rigore, del suo nucleo, cioè il Salterio —, cominciamo col porci la domanda: che tipo di breviario era usato dai sacerdoti cattolici di rito romano a cavallo tra il XIX e il XX secolo? A questa domanda è facile rispondere: deve essere stato il Breviario Romano, codificato nel 1568 da san Pio V, compatibile con l’ultima edizione tipica pubblicata nel 1631 da Urbano VIII e rinnovata da Leone XIII. [i]
In effetti, questo breviario “tridentino” era molto più antico di quanto questa descrizione generale sembri suggerire. Infatti, come nel caso del Messale Romano del 1570, la riforma post-tridentina estese all’intero Rito Romano le regole della preghiera che per secoli erano state stabilite all’interno della Chiesa locale della Roma papale. La spina dorsale del breviario di San Pio V, ovvero la sua salmodia, non era molto diversa dalle forme più antiche dell’Ufficio Romano che conosciamo, che risalgono al V e VI secolo.
In conformità con una lunga tradizione, non avendo alternative all’interno del Rito Romano, il Salterio era distribuito su una settimana, sebbene alcuni Salmi ricorressero quotidianamente. San Pio V desiderava che questo schema di base della salmodia settimanale costituisse il contenuto principale del Servizio Divino, quindi ridusse il numero delle feste di rango superiore dei santi, che riempivano la maggior parte del Salterio quotidiano.
Il sacerdote che recitava il Breviario Romano alla fine del XIX secolo o all’inizio del XX secolo utilizzava proprio un siffatto libro liturgico “tridentino”, basato sul Salterio di due santi papi: Gregorio Magno e Pio V. Tuttavia, paradossalmente, non è così facile determinare come si svolgesse effettivamente la sua preghiera del breviario. Infatti, nel corso dei secoli trascorsi dal 1568 alla fine della belle époque, si manifestarono una serie di fattori che resero la pratica della recita del breviario molto complicata.
In primo luogo, vi era stato un notevole aumento del numero di feste dei santi nel calendario liturgico, che riempiva la maggior parte dell’Ufficio delle varie stagioni. Per la salmodia, ciò significava sostituire il Salterio completo con una scelta molto più ristretta di Salmi festivi.
Verso la fine del XIX secolo, questo dominio incontrollato del ciclo del Santorale — legato al continuo accumulo di nuove feste — fu accompagnato da un’altra iniziativa che cambiò profondamente la logica stessa dell’Ufficio. Per evitare di sovraccaricare il clero con la recita della preghiera del breviario, nel 1883 Leone XIII concesse un indulto generale, secondo il quale durante tutto l’anno liturgico era consentito sostituire l’Ufficio di quasi tutte le ferie o feste di grado più basso con uffici votivi assegnati alle varie ferie (lunedì: dei Santi Angeli, martedì: dei Santi Apostoli, mercoledì: di San Giuseppe, giovedì: del Santissimo Sacramento, venerdì: della Passione del Signore, sabato: dell’Immacolata Concezione) [ii].
Considerando la complessità del sistema delle feste di quel tempo, è comprensibile che la possibilità di dire durante la settimana semplicemente uffici votivi successivi, caratterizzati da chiari “motivi” devozionali, fosse una soluzione allettante per la sua semplicità o per l'ordinamento memorizzabile. Ma, allo stesso tempo, entrambi questi fattori (vale a dire il predominio del Santorale e la sostituzione dell’Ufficio corrente con gli Uffici votivi) portarono alla ripetizione continua della salmodia domenicale nelle Lodi e alla ripetizione molto frequente di vari Salmi domenicali nei Vespri. Quindi, solo una piccola parte del Salterio veniva effettivamente utilizzata e la maggior parte dei Salmi appariva molto raramente.
Eppure il Salterio del breviario in quanto tale non era stato ristretto: in teoria comprendeva ancora 150 Salmi, distribuiti nel corso di una settimana.
Una riorganizzazione molto insolita: “una nuova disposizione del Salterio” del 1911
Queste furono le sfide affrontate da San Pio X, che divenne papa nel 1903. Convinto della necessità di suscitare e plasmare la pietà attraverso la liturgia della Chiesa, egli cercò di far emergere le strutture di base dell’eredità liturgica, a volte completamente oscurate da aggiunte successive. Due motivi erano strettamente intrecciati in quest’opera: il desiderio di ripristinare il primato dei tempi liturgici e delle domeniche all’interno dell’anno liturgico e quello di ripristinare la pratica di recitare il Salterio completo in una settimana. Qui prenderemo in esame questo secondo problema.
Nella costituzione apostolica Divino afflatu [iii] del 1° novembre 1911, San Pio X ci ricorda l’antica norma che obbliga il clero a recitare l’intero Salterio in una settimana. Il papa afferma che è sua intenzione ripristinare questa pratica, in modo tale che, da una parte, il cambiamento non causi alcuna diminuzione del culto dei santi e, dall’altra, faccia sì che il peso dell’Ufficio non sia più opprimente, ma addirittura più leggero per i sacerdoti. Avendo in mente entrambi questi problemi, il papa aveva nominato una commissione composta da “uomini dotti e attivi”, che prepararono “un nuovo ordinamento del Salterio”.
Di conseguenza, il Santo Padre decise di “abolire l’ordine del Salterio come è attualmente nel Breviario Romano” e di “proibirne assolutamente l’uso” dopo il 1° gennaio 1913. Comandando da allora in poi l’uso del “nuovo ordinamento del Salterio”, il papa proclamò che coloro che avrebbero disobbedito a questo ordine sarebbero stati puniti. Egli concluse:
tutti costoro devono sapere che non soddisferanno questo grave dovere [di recitare le ore canoniche ogni giorno] se non useranno questa nostra disposizione della salmodia.
In pratica la severità di questa norma fu attenuata dagli indulti, che consentivano di usare “l’antico ordinamento del Salterio” nella recita privata.
Ovviamente, questa “nuova disposizione del Salterio” ruppe radicalmente con l’ordinamento della salmodia quale era stato nel Breviario Romano di San Pio V. Sebbene la continuità fosse preservata, ad esempio, nel caso dei Vespri domenicali, l’ordinamento del Salterio di questo breviario era in realtà nuovo. Era una novità anche rispetto agli uffici più antichi, pre-tridentini del rito romano. In nessun momento della storia della salmodia romana — anche tornando indietro alle sue versioni più antiche che conosciamo, risalenti al V e al VI secolo — possiamo trovare la base e gli antecedenti per il Salterio del 1911; nello stesso tempo, esiste una chiara continuità tra quelle antiche forme e il Breviario del 1568.
Pertanto possiamo affermare con sicurezza che il numero di Salmi nei Mattutini delle domeniche o dei giorni feriali non era mai stato inferiore a 12; che di solito l’Ufficio mattutino comprendeva 8 Salmi, tra cui tre Salmi di Lode [iv] e il Salmo 50 (a partire dal VI secolo, quest’ultimo era stato recitato quasi quotidianamente); che parti del Salmo 118 avevano dominato le Ore Prime e altre Ore Minori per tutta la settimana; che fin dall’inizio Compieta aveva incluso tre Salmi definiti (4, 90 e 133), usati per tutta la settimana. Tutti questi punti sono stati veramente modificati dal Salterio del 1911: le soluzioni da esso proposte abbandonavano più o meno radicalmente la tradizione propria dell’Ufficio romano.
Questa iniziativa piuttosto controversa fu presa perché il clero di quel tempo si sentiva in qualche modo “sovraccaricato” dall’Ufficio. Si tentò quindi di ridurre questo peso proponendo un Salterio ben bilanciato, basato sul principio che ogni Salmo dovesse essere recitato non più di una volta alla settimana. [v] Quindi, la riforma del breviario introdotta da San Pio X può essere considerata come un adattamento dell’Ufficio al desiderio di cambiamento, un risultato della lotta contro la stanchezza.
Vale la pena ricordare le parole di un illustre esperto di storia del Servizio Divino, Padre Robert Taft S.J., che ha riassunto questi cambiamenti nel modo seguente: “Per chiunque abbia una conoscenza della storia dell’Ufficio, questo è stato un distacco scioccante dalla tradizione cristiana quasi universale”. [vi]
Il Salterio dei professori: “una nuova traduzione latina dei Salmi” del 1945
Oltre trent’anni dopo l’introduzione di “una nuova disposizione del Salterio” da parte di San Pio X, un altro papa, Pio XII, introdusse una nuova traduzione latina dei Salmi nell’uso liturgico.
Nel suo motu proprio In cotidianis precibus del 25 marzo 1945 [vii], il papa parla innanzitutto (piuttosto prudentemente) di inesattezze e carenze nelle traduzioni della Vulgata dei Salmi. Leggendo tra le righe del documento, possiamo dire che il papa le considera sempre più fastidiose, soprattutto se confrontate con le nuove traduzioni che si basano sui testi originali e sfruttano i progressi avvenuti nella conoscenza delle lingue antiche, nonché i moderni metodi di critica testuale. Il papa è consapevole del fatto che il Salterio della Vulgata è profondamente radicato nella tradizione cristiana e che ha influenzato il modo in cui i Santi Padri e Dottori hanno commentato i Salmi. Tuttavia, tanto le aspettative dei sacerdoti (“molti” di loro) come le richieste degli uomini dotti — vescovi e cardinali — hanno convinto il Santo Padre a ordinare che venisse preparata “una nuova traduzione latina dei Salmi”. Da un lato, essa avrebbe dovuto seguire il testo originale in modo preciso e fedele; dall’altro, per quanto possibile, doveva tenere conto “della venerabile Vulgata”, così come di altre traduzioni antiche, facendo riferimento a “sane norme critiche” ogni volta che ci fossero delle differenze tra loro.
Il documento afferma poi che la nuova versione è già stata completata “con la diligenza che si addice a tale compito” dai professori del Pontificio Istituto Biblico. Quindi il papa la offre “a tutti coloro che hanno l’obbligo di recitare quotidianamente le Ore canoniche” e consente loro “di utilizzarla, se lo desiderano, nella recitazione privata o pubblica”.
Come indicato più volte nel documento, lo scopo principale dell’intera impresa era quello di consentire a coloro che pregano con il nuovo Salterio di comprendere più pienamente ciò che è detto nel Libro Sacro. Il papa sottolinea di essere spinto da preoccupazioni pastorali: desidera che i Salmi siano recitati “non solo con sincera devozione, ma anche con una comprensione più piena”.
Tuttavia, nel documento stesso si suppone che “ci siano momenti in cui, anche dopo aver esaurito ogni aiuto che la critica del testo e la conoscenza delle lingue possono offrire, il significato delle parole non è ancora perfettamente chiaro”. In tali casi “la loro più definitiva chiarificazione dovrà essere lasciata a studi futuri”.
Questa disposizione papale portò a una situazione inaudita: da quel momento in poi, la traduzione raccomandata da Pio XII avrebbe dovuto coesistere nella liturgia della Chiesa insieme alla versione della Vulgata, a meno che tutti “volessero” accettare questa nuova traduzione.
Così, in conformità con la decisione del papa, la preghiera quotidiana della Chiesa comprese da allora in poi i monumenti di due mentalità molto diverse: in primo luogo, il Psalterium Gallicanum, testimonianza della tradizione patristica e oggetto di riflessione secolare; in secondo luogo, un prodotto improvvisamente sviluppato dalla ricerca accademica, valutato solo sulla base della sua fedeltà all’originale ebraico e del suo classicismo di stile. Indipendentemente dall’impraticabilità di un tale dualismo, questa soluzione suscitò l’impressione — per la seconda volta nel giro di pochi decenni — che la riforma non consistesse in una revisione, ma in una creazione.
Giacché sorge la domanda se fosse davvero impossibile correggere la versione della Vulgata invece di creare una traduzione completamente nuova. Fin dai tempi di San Pio X, i Benedettini dell’abbazia romana di San Girolamo avevano preparato una revisione della Vulgata. Nonostante ciò, Pio XII decise di promuovere per l’uso liturgico una nuova traduzione, preparata presso il Pontificio Istituto Biblico.
Tuttavia, i Gesuiti di questo Istituto non si limitarono a carpire correttamente “la verità ebraica”: nel preparare questa nuova versione, ne modellarono il linguaggio secondo uno stile spiccatamente classico, prendendo le distanze dalle qualità specifiche del latino cristiano. Il loro Salterio suonava come le opere di Cicerone, il cui latino era certamente più classico di quello di San Girolamo. Inoltre, la loro traduzione non teneva conto delle esigenze del canto dei Salmi in coro e dei principi del canto gregoriano. [viii]
Subito dopo la pubblicazione di In cotidianis precibus e nelle successive pubblicazioni della Chiesa, apparvero, naturalmente, forti voci di gratitudine al papa per la sua approvazione della nuova versione del Salterio, considerata come “un gesto sovrano” che si compie “quando il bene supremo della vita cristiana lo richiede”. Tuttavia, è difficile dimostrare che prima di questa riforma fosse stata realmente diffusa la convinzione che la Vulgata rappresentasse una consistente minaccia per la vita cristiana. [ix]
Indipendentemente dall’opinione che si possa avere sulla questione se la versione preparata presso l’Istituto Biblico fosse effettivamente un tale progresso nella traduzione, c’è anche un altro problema: alla luce del principio dello sviluppo organico, la volontà di migliorare qualche aspetto della liturgia non è una ragione sufficiente per mettere in discussione la tradizione esistente: ciò che serve è la certezza morale che tale impresa sia indispensabile per il beneficio della vita spirituale.
A cura di Peter Kwasniewski, Lunedì 28 ottobre 2024La seconda parte continuerà con “Il Salterio secondo il Concilio Vaticano II”.
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[i] Breviarium Romanum ex decreti S.sancti Concilii Tridentini restitutum, S. Pii V P.M. iussu editum, Clementis VIII, Urbani VIII et Leonis XIII auctoritate recognitum.
[ii] Vedi ASS 16 (1883-1884), pp. 47-48 (per il decreto) e pp. 145-180 (per i testi degli Uffici).
[iii] Di seguito citata come in: AAS 3 (1911), pp. 633-650.
[iv] Anton Baumstark ha osservato: “Fino al 1911, all’interno della liturgia cristiana non c’era nulla di così assolutamente universale come questa pratica dell’Ufficio mattutino [cioè la recita quotidiana dei Salmi di Lode], e senza dubbio la sua universalità era ereditata dal culto della Sinagoga… Quindi, ai riformatori del Psalterium Romanum appartiene l’impresa di aver posto fine all’osservanza universale di una pratica liturgica che era seguita, si può dire, dal Divino Redentore Stesso durante la Sua vita sulla terra” (come citato in: Alcuin Reid, The Organic Development of the Liturgy, San Francisco 2005, pp. 75n; di seguito denominato: Reid, 2005).
[v] Nella pratica si riteneva spesso necessario dividere determinati Salmi: quindi, invece di più Salmi, si dovevano recitare “parti” successive anche di uno stesso Salmo all’interno di un unico ufficio.
[vi] Come citato in Reid, 2005, p. 76.
[vii] AAS 37 (1945), pp. 65-67.
[viii] Cf. Carlo Braga, La Liturgia delle Ore al Vaticano II, Roma, 2008, p. 38; di seguito denominato: Braga, 2008.
[ix] Cf. Reid, 2005, p. 157.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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