Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 29 giugno 2025

Bellezza innegabile

Bellezza innegabile

Ieri, al termine di un mio intervento a Roma, uno studente mi ha fermato e mi ha rivolto una domanda che, nella sua apparente semplicità, conteneva la gravità di un interrogativo radicale: "Prof., ma in questo clima di sfiducia e rassegnazione dovuto a molti fattori, Lei riesce a vedere la bellezza e ad assaporarla in modo non effimero e limitato?"

Questa domanda, alla quale ho cercato, pur con tutti i miei innumerevoli limiti, di rispondere, obbliga a spingersi oltre la nozione diffusa di bellezza come emozione soggettiva o sensazione passeggera, per ricondurla alla sua radice più profonda: l’essere stesso in quanto manifestazione di un ordine intelligibile e oggettivo.

Secondo la prospettiva classica nella quale mi ritrovo, la bellezza è "splendor ordinis", lo splendore dell’ordine: la manifestazione sensibile della perfezione di un ente che realizza la propria essenza. Essa non è un accidente decorativo o un capriccio estetico, bensì un attributo ontologico: l’ente, nella misura in cui si compie secondo la propria natura e tende al proprio fine, diventa bello. La bellezza si mostra, dunque, come la congiunzione di integrità, proporzione e unità. Integrità, perché ciò che è mutilato non può rivelare pienamente la propria forma (pensate ad un dipinto rovinato in una sua parte); proporzione, perché le parti devono essere ordinate in rapporto reciproco e in rapporto al tutto; unità, perché solo ciò che è internamente unificato può risplendere come forma compiuta.

Quando la mente e i sensi percepiscono questa unità armoniosa, nasce il sentimento che chiamiamo contemplazione: un moto dell’intelletto e del cuore che riconoscono nell’ente un bene che li trascende e li richiama.
In questo senso, la bellezza è sempre analogia di un ordine superiore, che fonda e sorregge la possibilità stessa della conoscenza e dell’amore. Se questo discorso puó risultare astratto, basti un esempio concreto. Si pensi alla cattedrale medievale, dove la proporzione delle navate, la verticalità delle colonne e il gioco della luce sulle pietre non producono soltanto un’impressione sensoriale: esse suscitano la percezione di una misura intrinseca, di un fine che si rivela. Non è pura emozione, ma intuizione di una forma che è anche significato.
E lo stesso si può dire dell’esperienza umana più immediata: l’incontro con la persona che si ama. L’uomo che contempla la donna amata, o la donna che guarda l’uomo che le è caro, non si limitano a un’attrazione fisica o a una proiezione psicologica.

Ciò che commuove, che quasi sospende il tempo e il divenire del mondo (fissato nel ricordo), è il riconoscimento di un ordine più grande: la bellezza di un volto, di un gesto, di uno sguardo nasce dalla consonanza tra la forma sensibile e un bene che vi traspare.
Per questo la bellezza autentica non è mai puramente effimera: si radica in un ordine che l’individuo può riconoscere, ma non creare, né distruggere a suo piacimento.

Nella prospettiva giusnaturalistica, la bellezza si configura come un diritto e un dovere insieme: l’uomo ha diritto di contemplarla, perché la sua ragione è fatta per aderire all’essere e al bene; e ha il dovere di custodirla, perché la bellezza è una promessa di senso che trascende ogni epoca di sfiducia. Anche quando la società sembra dominata dalla rassegnazione, la bellezza continua a testimoniare che la realtà non è caos, bensì ordine, che l’ente è fondamentalmente buono e che la nostra vocazione ultima non è la disperazione, ma la contemplazione.
Come scrive Platone nel "Fedro": "La bellezza splende tra tutte le cose terrene come qualcosa di divino e rende manifesto ciò che è veramente degno di essere amato".  (Daniele Trabucco)

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