Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 2 marzo 2015

Marcel De Corte. La filosofia del realismo integrale e della fedeltà.

Interessante recensione di Cristina Siccardi su Riscossa Cristiana [qui].

Sulla Giustizia – di Marcel De Corte. … il realismo è la vocazione della filosofia, di ogni autentica filosofia. Diverse, infatti, possono essere le vie attraverso le quali si giunge a cogliere la realtà. I percorsi filosofici sono plurali ma la filosofia è una sola, poiché una sola è la verità. Il metodo è opinabile, il risultato no
La sua è stata definita «filosofia del realismo integrale e della fedeltà» e il suo pensiero, come disse Augusto Del Noce, è un «aristotelismo cristiano»; stiamo parlando di Marcel De Corte (1905-1994), il filosofo di Liegi. Questo autore, alla luce della filosofia tomista, sfida i cambiamenti sociali e le trasformazioni nate dalla Rivoluzione francese, la quale ha portato alla cosiddetta società «moderna». L’egualitarismo, l’ urbanizzazione, il marxismo o la globalizzazione sono per lui tante manifestazioni di disgregazione sociale e morale di un uomo che ha perso il senso trascendente della vita.

Scrive Danilo Castellano nella prefazione al breve e denso saggio di Marcel De Corte, Sulla giustizia (Cantagalli):
«Dire che Marcel De Corte è filosofo del realismo integrale e della fedeltà significa dire che fu semplicemente filosofo. La filosofia, infatti, non può che essere realistica, vale a dire essa deve, per il suo stesso statuto epistemologico, “cogliere” la realtà, non “inventarla” o “costruirla” elaborando sistemi o inseguendo utopie. Sotto questo profilo il realismo è la vocazione della filosofia, di ogni autentica filosofia. Diverse, infatti, possono essere le vie attraverso le quali si giunge a cogliere la realtà. I percorsi filosofici sono plurali ma la filosofia è una sola, poiché una sola è la verità. Il metodo è opinabile, il risultato no» (p.7 ).
Autore di una ventina di monografie, dedicate sia alla filosofia antica che a quella moderna e di centinaia di altri scritti, De Corte divenne il filosofo ispiratore della rivista «Itinéraires» di Parigi. La sua vita pubblica fu integra, come la sua vita privata: sposò Marie Panier, dalla quale ebbe cinque figli. Un uomo coerente e cosciente che le verità dichiarate non sono soltanto da diffondere, ma vanno vissute in primis.

Nel testo Sulla giustizia De Corte considera che il razionalismo ha reso mitologia anche la giustizia e ciò deriva da un credo gnostico dell’uomo moderno. Tutte le dottrine di matrice gnostica, infatti, affermano che è l’ordinamento giuridico condizione del diritto e della giustizia, non viceversa. Se ogni ordinamento, però, costituisce un ordine, si avranno tante giustizie quanti sono gli ordinamenti parziali; ma in tal modo viene preclusa la possibilità di conoscere il reale ordine delle cose, ovvero l’ordine. In definitiva, l’uomo moderno rivendica il potere di istituire l’ordine attraverso l’ordinamento inteso come insieme di norme positive o come insieme di poteri: l’ordine sarebbe l’ordine del “sistema”, non l’ordine imposto attraverso il “sistema”, perché ordine della realtà. «La giustizia, in altre parole, sarebbe il prodotto della volontà/potere dell’uomo, sia essa la volontà/potere del singolo (sovranità di uno solo; per esempi di Napoleone I) sia essa la volontà/potere di un’identità collettiva (sovranità popolare delle democrazie moderne)» (p. 12).

Essendo il razionalismo un progetto ideologico creato a tavolino, esso è costretto a dare contenuto al singolo ordinamento. Ecco che esistono mille generi di giustizia: «liberale», «socialista», «costituzionale», «amministrativa»… L’aggettivazione è una necessità perché dà contenuto al concetto di giustizia che, altrimenti, con reggerebbe da solo, proprio perché sganciato dalla realtà oggettiva che presuppone un unico ordinamento.

Il libro De la justice venne pubblicato in un primo tempo in due puntate su «Itinéraires» e, in seguito, in un volumetto, ed esso fa parte di un più ampio lavoro che De Corte ha dedicato alle quattro virtù cardinali: De la justice (1973), De la prudence. La plus humanine des virtus (1974), De la force (1980), De la tempérance (1982). Sono opere della maturità, opere di saggezza di un filosofo che, attingendo dalla migliore filosofia antica e dal pensiero cristiano, è libero di cogliere con buon senso l’uomo nella sua concretezza, l’uomo che non vive di utopie e demagogie, né di astrazioni, né di illusioni, ma l’uomo che ha i piedi piantati nella terra e lo sguardo rivolto al Cielo.

In questo esplicativo trattato De Corte punta lo sguardo sulla famiglia, attualmente minacciata e aggredita in ogni senso, e ne parla nel capitolo dedicato al «Bene comune», il quale parte, inevitabilmente, proprio dal nucleo familiare:
«Pensiamo innanzitutto all’esistenza, il più grande dei beni, radice di tutti gli altri, della quale siamo debitori ai nostri genitori e che ci mette in relazione con i beni comuni capitali di cui la famiglia è depositaria. Non è certo per vano lirismo romantico che La Martine canta “la famiglia, compendio del mondo”. Senza dubbio essa è, in un certo senso, il dominio del privato per eccellenza, ma in altro senso, più elevato, è essa stessa, e non l’individuo solitario, a rappresentare il microcosmo in cui l’universo e il suo Principio si rispecchiano» (p. 23).
La gnosi, sulla quale è centrata la filosofia moderna, basa tutto sulla conoscenza esperienziale: lo gnostico non crede, perché la fede è inferiore alla gnosi; è quindi centrato su di sé e la visione gnostica della vita è per lui un’appassionata soggettività. Lo gnostico è superbamente padrone delle cose e di sé e deve dare conto, in pratica, alla Rivoluzione in corso. Proprio la gnosi ha portato alla «Rivoluzione sessuale», alla «Rivoluzione sociale», alla «Rivoluzione scientifico-tecnologica» (scientismo), alla «Rivoluzione del gender»… e anche la cristianità è rimasta carpita dalle maglie gnostiche e vischiose di tali ribellioni all’ordine costituito da Dio, Creatore di ogni cosa e di ogni essere. Pure molti uomini di Chiesa sono saliti sul treno rivoluzionario. Marcel De Corte si è opposto, ha resistito e non è salito.

8 commenti:

Luisa ha detto...

Segnalo l`ultimo editoriale di Radicati nella Fede, da leggere e far circolare:

NON SARA' LA RELIGIONE DELLA MASSONERIA A SALVARCI DALL'ISLAM

http://radicatinellafede.blogspot.it/

Anonimo ha detto...

OT: http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_02/pio-xii-schindler-vaticano-film-che-turba-ebrei-storici-2eea9204-c0a4-11e4-b2c9-4738a8583ea9.shtml

Luisa ha detto...

E un OT, ancorché:
segnalo un editoriale di Riposte catholique sul cinquantesimo anniversario della prima Messa in italiano celebrata da Paolo VI, almeno così è presentato, solo che quella Messa non era esclusivamente in italiano, una menzogna di più che va ad aggiungersi a tutte quelle dette e concretizzate da chi, infilandosi negli spiragli lasciati dal terribile linguaggio ambiguo, e facendoli diventare brecce, ha devastato, tradendola, la SACROSANCTUM CONCILIUM che domandava la conservazione del latino, del canto gregoriano, non prevedeva il ribaltamento dell`altare o una partecipazione attiva diventata attivismo sfrenato, ecc., ecc.
Una riforma che avrebbe dovuto avvicinare i fedeli, renderli puù consapevoli, ridurre le distanze fra loro e il sacerdote, rinforzare la loro fede grazie ad una liturgia diventata "comprensibile".
Sappiamo come sono andate le cose, la crisi della Fede e lo scempio liturgico sono sotto i nostri occhi, eppure continuano a mentire, celebrano i frutti di una riforma che esistono solo nelle loro menzogne
E papa Bergoglio domenica prossima sarà nella parrocchia dove Paolo VI celebrò quella sedicente prima Messa tutta in italiano.
Vedremo come la presenterà.

http://www.riposte-catholique.fr/summorum-pontificum-blog/reflexions/la-messe-du-7-mars-1965-netait-pas-entierement-en-italien

http://blog.messainlatino.it/2015/02/50-anni-fa-la-prima-messa-in-lingua.html

Arcangelo ha detto...

A proposito di ciò che scrive Luisa.

---- Original Message -----
From: Arcangelo To: redazione@messainlatino.it
Sent: Saturday, February 28, 2015 12:55 PM
Subject: Messale del 1965

Egregi della redazione@messainlatino.it,
voi scrivete:
L'Articolo di Tornielli porta qualche inesattezza quando parla di "nuovo rito" : in realtà il Messale del '65 sia pur con alcuni tagli[rectius: anche modifiche ed introduzioni] è ancora il Messale Romano che i Padri Conciliari tennero a tutelare.
E' vero che la brevissima vita del Messale del '65 induce a considerare la sua transitorietà prima dei cambiamenti radicali operati dal Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia ma le dichiarazioni di alcuni protagonisti del Concilio fanno pensare che i Padri conciliari dopo la pubblicazione di quel Messale avessero ritenuto la "riforma conciliare" pressocchè conclusa .
Infatti, miglior riprova che, tale Messale (a differenza di quello successivo del 1967, ancora Tridentino ma che era già presentato esplicitamente come una fase di passaggio), era concepito per durare, e che il Cardinale Ottaviani ha continuato a celebrare con tale Messale fino alla morte, nel 1979. Comunque, questa discussione è meramente storica. Il Messale del 1965, la Messa così come veramente era secondo la lettera delle raccomandazioni conciliari, ha goduto da subito di una fama non positiva.
Tanto agli occhi dei tradizionalisti, quanto a quelli dei modernisti, è sempre parso un "ibrido". Ratzinger era uno dei suoi pochi estimatori. In ogni caso, dopo il 1967 e, soprattutto, dopo la riforma del 1969, l'uso di tale Messale (al di fuori delle Isole Britanniche, ove fu l'oggetto del c.d. "Indulto di Agatha Cristie") e dopo la morte di Ottaviani, penso che sia esclusivo proprio di qualche singolo caso, più unico che raro.
Cordiali saluti.
Arcangelo

Anonimo ha detto...

In effetti a me risulta un mistero irrisolvibile perché il Messale del 1965 sia "sparito" e come e perché si sia giunti successivamente, nel 1969, all'attuale Messale. Un ipotetico saggio che volesse indagare sul Messale del 1965 potrebbe intitolarsi "Il mistero del Messale sparito"....

Basemarom.

Luisa ha detto...

Mi ripeto, e me ne scuso, non si dovrebbe dimenticare che il Messale del 1969( paragrafo 7 della Instructio generalis che lo apriva) è stato corretto un anno dopo grazie all`intervento dei card. Bacci e Ottaviani, in quello del 1969 la Santa Messa era diventata una cena protestante.
Una "piccola" e "semplice" differenza di religione.

http://www.unavoce-ve.it/05-02-28.htm

Anonimo ha detto...

Sintetizzo, meravigliosamente chiara e condivisibile, da http://radiospada.org/2015/03/vita-e-diritto-relazione-di-ilaria-pisa-al-primo-incontro-temi-di-vita-teramo-sabato-21-febbraio-2015/ . La cosa più grave è che la laicizzazione e lo sganciamento dalla Verità riguarda non più soltanto l’ordinamento giuridico dello Stato ma anche parte del magistero e/o della pastorale ecclesiale

“.. si tende troppo spesso a dimenticare” che “il diritto non è semplice procedura, ma ha – o meglio, dovrebbe avere – la giustizia come contenuto. Chi lo dice? La struttura stessa del diritto, fondato.. su doveri prima che su diritti, cioè su una dimensione data (potremmo dire “rivelata”) dell’uomo, data e non posta in autonomia. Se il diritto è costituito in larga parte da qualcosa che non proviene da noi, e di cui noi avvertiamo la cogenza prima ancora che un codice venga posto, significa che il contenuto e il fine del diritto lo trascendono in larga parte.
La giustizia, anche intuitivamente, è qualcosa che ha più a che fare con Dio che con l’uomo e, in quanto nella sua somma espressione attributo divino, agli innocenti dà la vita piuttosto che toglierla….. Già questo elemento può fare utilmente riflettere sulla incongruenza doppia di chi ammette l’omicidio legalizzato di un bambino tramite aborto, ma poi si scandalizza .. per la pena di morte, là dove è in vigore. La giustizia è nemica di strabismi e ipocrisie, di cui il mondo del diritto moderno e postmoderno invece abbonda….Ma è proprio necessario che il diritto si relazioni con qualcosa di così astratto e apparentemente irraggiungibile, come la giustizia? Il giusnaturalismo laico non ci aveva liberato da questo oneroso legame con le leggi divine, “immanentizzando” il diritto, fornendoci finalmente un parametro condivisibile da tutti, credenti e non, per stabilire le leggi migliori per la collettività? La risposta, negativa, ci è data da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” (di cattolicesimo), Norberto Bobbio, che asserì esplicitamente l’impossibilità di fondare razionalmente quella che oggi è una porzione più che significativa del diritto contemporaneo, ossia la materia dei diritti umani. …: si rinuncia ad indagare la dignità etica del diritto con la scusa della sua superfluità, e il diritto si trova a mutuare senso e scopo dal mero fatto di esser stato “posto”. ..il diritto diviene arbitrio perché la legalità formale prevale sulla legittimità sostanziale, di fatto delegittimando quelle stesse autorità e istituzioni che la dovrebbero garantire.
Il diritto che conosciamo oggi è dunque il prodotto di un capriccioso Leviatano? Sì e no, nel senso che sotto certi aspetti ci troviamo in una situazione peggiore. Sono infatti gruppi elitari, un’élite che potremmo definire massmediatica …. a decidere i contenuti della c.d. opinione pubblica. …E la fede nell’opinione pubblica.. diviene una religione di cui la maggioranza è il profeta…. nel sistema democratico è ..la maggioranza a porre le norme del vivere associato… a stabilire convenzionalmente .. diritti e doveri. A chi ancora sia convinto della bontà ..di un sistema democratico di tal fatta, è bene ricordare che la “folla”, mediamente, sceglie Barabba.In un simile sistema, chi costituisce la minoranza è verosimilmente ossessionato dalla volontà di togliersi da tale condizione quanto prima – pensiamo a certe forze politiche sedicenti cattoliche – e predilige quindi soluzioni di compromesso e di basso profilo, per esorcizzare la stigmatizzazione di quella maggioranza che si presume “illuminata” per definizione (e infatti la vox populi sceglie la fecondazione assistita, sceglie il divorzio, ..). Dimenticando che essere moderati su valori e principi, lungi da essere un merito, è un tradimento.

Anna (continua)

Anonimo ha detto...

Il diritto che pretende di autofondarsi .. si avviluppa in una tautologia che lo distacca dalla giustizia e accetta di essere posto dall’arbitrio di una maggioranza pilotata; rinunciando a Dio, cade inevitabilmente nell’idolatria (scegliete voi l’idolo: lo stato, l’uomo, la libertà, la laicità…). Il diritto moderno ha preteso di rendersi adulto tagliando il ramo su cui sedeva, affrancandosi dalla legge naturale e dal realismo epistemico di stampo tomistico, con il brillante risultato di rendersi strumento inanime in mano ad ideologie ora totalitarie, ora relativiste o nichiliste. Ma il nichilismo, che blocca la libertà umana nel limbo di un’eterna indecidibilità (perché, rinunciando ad un’assiologia, tutte le alternative si equivalgono), può solo portare alla disperazione e.. e al libertinismo istituzionalizzato.....dietro ogni questione e ogni problema politico sta una grande questione e un grande problema teologico.. poiché la dignità umana è giustificata ..dall’essere l’uomo a immagine e somiglianza di Dio, rimosso ogni riferimento al Creatore e alla Sua signoria sulla società e sulla storia tramite l’ateismo di Stato (mascherato da laicità), si aprono tutte le strade al totalitarismo, sia esso politico o culturale e morale. ..
E’ un fatto che.. il pensiero relativista “debole” renda difficile.. la decisione di che cosa in concreto vada punito e perché. Il colpo di grazia filosofico.. è stato l’abbandono del tomismo, che invitava l’intelletto ad aderire in modo sano alla cosa studiata, “adeguandovisi”, non certo per passiva approvazione (il reale non è per ciò stesso “buono”), ma per ancorare ogni discorso, incluso quello giuridico, a dati di fatto incontestabili e a premesse non soggettivistiche, ad una natura dell’uomo e delle cose “data” e non creata dall’uomo, come vorrebbero gli idealisti a noi vicini e lontani (la teoria del gender …, sono un esempio).A cascata, il distacco dal tomismo ha significato che la norma accantonasse l’ingrato compito di regolare la condotta, guardando piuttosto a desideri e a capricci umani come a legittime richieste da trasformare in diritti. E’ stata così inaugurata una ..“bulimica” stagione dei diritti, i cui araldi .. sono spesso stati i tribunali, l’avamposto dove si pretende ciò che il legislatore esita a concedere. Da regola della condotta, la norma è divenuta passiva registrazione di un vero o presunto “così fan tutti”. ..
Nella stagione dei diritti, si afferma una assoluta quanto illusoria libertà del singolo, vana banderuola al seguito delle mode, delle contingenze o degli istinti; la libertà ha prevalso sulla verità che ne doveva fornire il contenuto, sul bene che ne doveva costituire la misura, ed è passata a costituire essa stessa la misura del bene. La libertà si è svuotata di senso e di scopo, al punto che oggi … già ”scegliere” è visto come intrinsecamente etico e, pertanto, insindacabile. La libertà che diventa misura a se stessa percepisce come estraneo e ostile l’ordine etico, poiché pone dei limiti, e pretende d’essere superiore persino alla libertà di Dio, che non è “assoluta” in quanto può essere solo conforme alla Sua sapienza.
Concludo con il paradosso che a mio avviso meglio esprime questo delirio autorappresentativo e autocelebrativo dell’uomo,…: si chiede alle norme di tutelare ogni prerogativa della persona, arrogandosi al contempo l’arbitrio di stabilire con graziosa concessione chi è persona e chi no. Dalla forza del diritto, al diritto della forza.

Anna (fine)