Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 12 marzo 2015

Paolo Pasqualucci e il "reditus"

SULLA REITERATA, DEL TUTTO INFONDATA POLEMICA DEL “BINOMIO DI PATMOS” CONTRO MARIA GUARINI, COLPEVOLE DI DIFENDERE L’ ORTODOSSIA DELLA FSSPX E DI CRITICARE CERTI BEN NOTI ARTICOLI DEL DISCUSSO VATICANO II.   
Di  Paolo  Pasqualucci - Prima parte

In un tono che vorrebbe addirittura esser quello dell’ammonimento solenne per la salvezza della sua anima, Don Ariel Levi di Gualdo e Padre Giovanni Cavalcoli OP, in un recente articolo sul loro sito, esortano Maria Guarini a “convertirsi” indirizzandole la frase  pronunziata dai sacerdoti all’imposizione delle Ceneri sulle teste dei fedeli:  “convertiti e credi al Vangelo”.  “Convertiti”, cioè “smetti di lottare contro la Chiesa, la sua dottrina e il suo magistero in nome della tua idea soggettiva di Chiesa”[1].  Tanto sconquasso la suddetta lo provocherebbe tramite il suo noto e frequentato blog “Chiesa e postconcilio”, libera palestra di discussione sulla grave crisi che attanaglia la Chiesa e i fedeli tutti da circa cinquant’anni.  A chi nega a priori l’esistenza della crisi o si ostina ad attribuirla unicamente alle degenerazioni del post-concilio, ogni critica all’andazzo dominante che fatalmente coinvolga in qualche modo il Concilio è vista come un attentato di lesa maestà conciliare e manifestazione di una concezione “soggettiva” della Chiesa, quasi fossero i critici – in realtà cattolici smarriti in cerca di un ubi consistam – tanti piccoli Lutero.

1. Il singolare Diktat del vescovo di Albano contro la FSSPX. La giusta critica di Maria Guarini.  

Il motivo principale dell’acre ostilità dei due Autori al blog di Guarini sembra consistere nel fatto che vi si mostra spesso stima e rispetto per la FSSPX, la cui tenace resistenza alle “riforme” deuterovaticane ha conservato a tutti i cattolici la S. Messa dell’OV, quella sicuramente cattolica, e il Seminario di formazione tradizionale, i due pilastri sui quali si spera di poter ricostruire un domani la Chiesa, quando Dio lo vorrà. Recentemente Maria Guarini, possiamo dire a coronamento di cospicui suoi interventi precedenti, ha criticato la singolare “Notificazione ai parroci” avversa alla FSSPX presente nella sua diocesi, emanata da mons. Marcello Semeraro, attuale vescovo di Albano, nell’ottobre del 2014. Questo documento, che, essa nota, ”viene citato [dai suddetti Autori] come se fosse verità rivelata”, proibisce ai fedeli di “partecipare alla Messa, richiedere o/e ricevere sacramenti dalla o nella Fraternità”. Chi lo fa, “rompe la comunione con la Chiesa cattolica”, non essendo la suddetta Fraternità “istituzione della Chiesa cattolica”[sic].  Ragion per cui, il fedele che ne frequenti le funzioni, per esser “riammesso nella Chiesa cattolica” dovrà preventivamente “compiere un adeguato percorso personale di riconciliazione”![2]

Nel suo intervento Maria Guarini fa giustamente notare come appaia “priva di fondamento canonico” la sanzione imposta nell’occasione ai fedeli: un percorso di “riconciliazione” per la loro “riammissione” nella comunione con la Chiesa, come se ne fossero usciti per il fatto stesso di esser andati alla S. Messa la domenica al Priorato di Albano!  Ciò significa, evidentemente, ritenere “fuori della Chiesa” e quindi “scismatica” od “eretica” o tutte e due le cose insieme la Fraternità San Pio X.

Poiché la FSSPX non è in alcun modo fuori della Chiesa, non è e non è mai stata scismatica e meno che mai eretica (tesi erronee, riprese in questo e altri loro articoli da Don Levi e Padre Cavalcoli), la mancanza di fondamento canonico della “Notificazione” vescovile appare del tutto evidente. Oltretutto, postilla a ragione Guarini, si chiede ai fedeli un processo di “riammissione” alla Chiesa che non si chiede oggi nemmeno più agli (scarsi) protestanti od ortodossi che vogliano farsi cattolici; non lo si richiede, peraltro, sul falso presupposto di una loro (supposta) incorporazione alla Chiesa mediante il battesimo, ancorché rimasta allo stato di unione implicita o imperfetta o non piena che dir si voglia.  Questo errato presupposto, come ricorda l’Autrice, fu individuato tra i primi da Romano Amerio in Iota Unum.  Pertanto si arriva all’assurdo di richiedere a cattolici praticanti, che non hanno violato alcun dogma né sono tantomeno “usciti” dalla Chiesa, di effettuare un “reditus”, un “ritorno” alla vera Chiesa, che viene invece oggi (erroneamente) escluso per i cosiddetti “fratelli separati”: “inopinatamente il vescovo Semeraro tira fuori un improprio, infondato e insostenibile “reditus” per la FSSPX e i fedeli che la frequentano”[3].   La replica di Don Levi e Padre Cavalcoli sul punto si basa su di un argomento del tutto insostenibile alla luce della vera dottrina cattolica, e cioè che il “ritorno” dei “fratelli separati” all’ovile, non debba appunto ritenersi un “ritorno” ma un semplice “entrare” per la prima volta.  Questo è un punto chiave del moderno “ecumenismo”, e richiede un’analisi specifica, anche perché attorno ad esso sembra esserci molta confusione di idee.  Prima di effettuarla, occorre ricordare l’articolata risposta ufficiale del Distretto d’Italia della FSSPX alla “Notificazione” suddetta, con una dichiarazione intitolata:  A proposito della notificazione di Mons. Semeraro, del 29 ottobre 2014.

2. La FSSPX replica alle assurdità contenute nella “Notificazione” con ineccepibili argomenti di fatto e di diritto.  

Nel suddetto documento, si ricorda a S.E. mons. Semeraro che: 1. la Fraternità è stata eretta con tutti i crismi del diritto canonico nel 1970, in Isvizzera;  2. ha ricevuto il decreto di lode della S. Sede nel 1971;  3. la Casa della Fraternità ad Albano “con il suo Oratorio semipubblico per amministrarvi i sacramenti, è stata eretta canonicamente con decreto del suo Predecessore Mons. Raffaele Macario il 22 febbraio 1974 (prot. 140/74)”;  4. la Santa Sede, tramite la Commissione Ecclesia Dei, il 18 gennaio 2003 dichiarava che “è possibile soddisfare il precetto della Messa domenicale “assistendo ad una messa celebrata da un prete della FSSPX””.  Per concludere, infine, che:  5. “Lo stato di grave necessità generale, dovuto alla capillare diffusione di errori contro la fede da parte della gerarchia ecclesiastica, fonda canonicamente il diritto e il dovere di ogni sacerdote fedele di dare i sacramenti e un’autentica istruzione cattolica a chiunque lo richieda.  La FSSPX, sull’esempio del suo fondatore, continuerà a trasmettere integralmente il deposito della fede e della morale cattolica romana etc.”[4].

Di questi gravi “errori contro la fede” sono evidente esempio (annoto) la veglia di preghiera ecumenica con pastora protestante e pope ortodosso (grecoscismatico) effettuata da mons. Semeraro (18 gennaio 2014) e il “primo forum dei cristiani omosessuali”, che egli ha permesso si effettuasse nella sua diocesi, nella Casa dei Padri Somaschi (26-28 marzo 2014), eventi citati nel documento della Fraternità, unitamente al fatto di aver egli donato agli “ortodossi” scismatici l’uso di una chiesa cattolica.  

Affermare che la Fraternità “non è un’istituzione della Chiesa cattolica” è del tutto infondato.  Se fosse vero, la Commissione Ecclesia Dei  non avrebbe stabilito (ben 12 anni fa) esser cosa legittima frequentare le sue chiese e cappelle per il precetto domenicale. Ma per Don Levi, ciò costituirebbe addirittura peccato mortale, il fedele che va a Messa dai “lefebvriani” sarebbe “un’anima in stato di peccato mortale”. Non esita ad affermarlo in un precedente articolo[5].  I fedeli non si devono spaventare.  Non occorre esser laureati in teologia per capire che un’affermazione del genere è destituita di qualsiasi fondamento, sia teologico che canonistico.  Basta studiarsi le carte, come si suol dire, con la dovuta acribia filologica.  Ma vediamo prima la questione del “ritorno” dei non-cattolici che non si dovrebbe più intendere come “ritorno all’ovile” ma come semplice “entrare” nella Chiesa cattolica. 

3. Secondo la sana dottrina, il “ritorno” di scismatici ed eretiti alla Chiesa può concepirsi solo come “ritorno all’ovile degli sviati pentiti” (reditus aberrantium).

La questione, come ognun può vedere, coinvolge profondamente le verità di fede. La tesi di Don Levi e Padre Cavalcoli contro Guarini è la seguente: “il decreto conciliare Unitatis redintegratio, 4, afferma che i non-cattolici devono essere “pienamente incorporati nella Chiesa cattolica”. Il che è diverso.  Esiste infatti una differenza di espressioni [non si usa il termine del “ritorno”] motivata dal fatto che, mentre i lefebvriani erano cattolici, che hanno abbandonato la comunione ecclesiale, i non-cattolici dei quali parla questo documento sull’ecumenismo, sono nati non-cattolici, per cui non devono tornare ma entrare nella Chiesa Romana”[6].  I due Autori presentano il fatto di “esser nati non-cattolici” come se si trattasse di una cosa del tutto neutra nei confronti della Chiesa cattolica, ragion per cui chi si trova per nascita al di fuori di essa, se vuole entrarvi, non può per ciò stesso esser visto come uno che voglia “ritornarvi”.  Ma questo può valere per gli appartenenti alle altre religioni o a nessuna, non certo per i non-cattolici rappresentati da protestanti ed “ortodossi”. E non sembra nemmeno conciliarsi con la teoria di Bea della parziale incorporazione dei “fratelli separati” alla Chiesa per merito del battesimo ricevuto nelle loro sette.  Ma poiché questa teoria non è compatibile con la sentenza comune, approfondita e spiegata per l’ultima volta da Pio XII nella Mystici Corporis, procederò oltre. 

Non senza aver prima sottolineato l’errore di fatto nel quale sono incorsi i nostri due Autori, nel dichiarare che “i lefebvriani erano cattolici che hanno abbandonato la comunione ecclesiale”.  Chi legge, ignorando i fatti, ha l’impressione che mons. Lefebvre e i suoi “seguaci” se ne siano andati dalla Chiesa sbattendo la porta, per costruirsi la loro “setta”, “lefebvriani” infami che non sono altro, alla maniera di un Fozio o di un Lutero!  Ma questo è semplicemente falso:  Giovanni Paolo II comminò immediatamente la scomunica  latae sententiae a mons. Lefebvre e ai quattro vescovi da lui consacrati nell’estate del 1988, per aver mons. Lefebvre disatteso l’ordine di soprassedere ancora alla nomina di uno o più suoi successori. Dunque li scomunicò per disobbedienza, realizzata da una consacrazione episcopale effettuata senza mandato pontificio, come previsto dal diritto canonico; non per scisma, eresia o altro, anche se disse che si trattava di un “atto scismatico” ossia di un atto dal significato scismatico. Fu una misura disciplinare, anche se alle spalle c’era il noto conflitto dottrinale sul Concilio e la riforma liturgica.  

Ciò chiarito, torniamo ai non-cattolici. Chi nasce protestante od “ortodosso” non nasce in una comunità neutra ed indifferente alla Chiesa cattolica.  A causa delle colpe dei suoi padri, nasce in una comunità di cristiani, eretici e scismatici, ostili al cattolicesimo, i cui individui, se vi permangono condividendone gli errori in campo religioso e morale (pensiamo alle loro eresie,  al divorzio), non si salvano, se non nel caso ottengano (individualmente) dallo Spirito Santo la grazia del Battesimo di desiderio, esplicito o implicito (dottrina confermata da Pio XII nella condanna dell’errore “rigorista” di P. Leonard Feeney, che considerava a priori dannati tutti i non-cattolici e non-cristiani e che fu alla fine scomunicato per la sua perseveranza in quest’errore)[7].  Ciò significa che gli uomini e le donne veramente pii e giusti, quale che sia la loro religione, si salvano, sempre che abbiano e mantengano la fede in Dio con “voto di perfetta carità” nei confronti di Dio, vivano rettamente, non muoiano in peccato mortale.  I concetti sono questi:  1. se avessero conosciuto il vero cattolicesimo sarebbero stati cattolici (battesimo di desiderio implicito);  2. l’hanno conosciuto ed erano sulla via dell’aperta conversione ma sono morti prima di riuscirci (battesimo di desiderio esplicito). Il fondamento primo di questa fondamentale dottrina, che dimostra la vera misericordia della Chiesa, superiore a quella di tutte le altre religioni, si trova nella Lettera ai Romani 2, 13-16.
Ora, che i “separati” siano come tali già incorporati (anche non pienamente) alla Chiesa grazie al battesimo non è vero:  essi si trovano nella posizione di chi è “ordinato in voto” alla Chiesa a causa dell’impronta spirituale indelebile impressa nell’anima dal battesimo. Ma ciò non è sufficiente per la loro salvezza,  non può considerarsi “incorporazione” e quindi un far parte della Chiesa, anche in modo solo implicito.  Ciò risulta con chiarezza dalla Mystici Corporis, come si è detto.  Nella grande enciclica dedicata alla Chiesa “corpo mistico di Cristo”, Pio XII scrive:  
“Bramiamo altresì fortemente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa ardente carità sia coloro che non ancora illuminati dalla verità evangelica,  non sono al sicuro nell’ovile della Chiesa; sia coloro che, a causa di una miserevole scissione dell’unità della fede, si sono separati da Noi che, pur immeritevoli, rappresentiamo in terra la persona di Gesù Cristo[…] Anche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, li affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, dietro l’esempio del buon Pastore, nulla ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza […] con animo straripante di amore invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza [si citano Pio IX, Iam vos omnes, 13 settembre 1868 e gli Atti del Concilio Vaticano I], perché sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere [ab eo statu se eripere studeant, in quo de sempiterna cuiusque propria salute securi esse non possunt; quandoquidem, etiamsi inscio quodam desiderio ac voto ad mysticum Redemptoris Corpus ordinentur, tot tamen tantisque caelestibus muneribus adiumentisque carent, quibus in Catholica solummodo Ecclesia frui licet.  Ingrediantur igitur catholicam unitatem, etc.].  Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore [Papa Gelasio, 1 Lettera, XIV][…] Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte di tutto il Corpo mistico affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo [ut aberrantes omnes in unum Iesu Christi ovile quam primum ingrediantur, profitemur tamen, etc.], dichiariamo che è assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole [S. Agostino, Trattato sul Vangelo di Giovanni, XXVI, 2]”8.
Si vede chiaramente, da questo testo capitale, con il quale Pio XII volle sicuramente controbattere le concezioni erronee che già circolavano, che:  1. Gli eretici e scismatici non appartengono affatto alla Chiesa cattolica con il battesimo, nemmeno in parte o in modo imperfetto.  2. Si considerano “ordinati in voto” ad essa, da un “inconscio desiderio o  anelito”, provocato dal carattere battesimale che si è impresso indelebilmente nell’anima, che fa operare “l’interno impulso della grazia” come tendenza o “desiderio” verso la Chiesa;  3.  Tale “anelito” col tempo viene sommerso dall’influsso dell’ambiente non cattolico ed anzi ostile al cattolicesimo, soprattutto se l’individuo vi aderisce coscientemente: bisogna dunque uscirne con il ritorno alla vera Chiesa;  4.  Questo “rientrare”, che traduce correttamente lo “ingrediantur”, deve essere libero, ovviamente, ma deve sempre intendersi come un ritorno degli “sviati”, in latino “aberrantes”: di coloro che si sono sviati sulla strada dell’errore, nel quale si trovano oggettivamente immersi i “separati”.  Appunto, come da secolare sentenza comune: ritorno all’ovile degli erranti, pentiti dei loro errori e dopo averli abiurati.

Sarebbe un errore ritenere vago ed inconsistente il concetto di “ordinazione in voto”.  Esso si ricava dall’esistenza del “segno spirituale ed indelebile” che viene “impresso come carattere nell’anima” dal battesimo in quanto tale, cosa che non lo rende “reiterabile”, se è stato correttamente somministrato. L’esistenza di questo “carattere battesimale” nell’anima del battezzato è stata definita come dogma di fede dal Concilio di Trento[9].  Questo perché il battesimo è appunto il sacramento che ci rigenera spiritualmente; conferisce: “la prima grazia santificante e le virtù soprannaturali, togliendo il peccato originale e gli attuali, se vi sono, con ogni debito di pena per essi dovuta; imprime il carattere di cristiano e rende capace di ricevere gli altri sacramenti”[10]. Il battesimo, continua il Catechismo di S. Pio X, “ci fa cristiani cioè seguaci di Gesù Cristo, figli di Dio e membri della Chiesa”.  Però se ne deduce che quest’ultimo carattere non vale per gli eretici e scismatici, trovandosi essi fuori della Chiesa:  “È fuori della comunione dei santi chi è fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl’infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati”[11].
In quest’idea dell’appartenenza alla Chiesa cattolica dell’eretico grazie al battesimo, come infiltrata nei testi del Concilio, c’e’ anche un altro aspetto da tener presente, estremamente negativo per i “separati” stessi, messo invano  in rilievo da mons. Lefebvre, in uno dei suoi interventi in Concilio, contrario al decreto sull’ecumenismo.
“Così, nel dire ai protestanti: ‘Voi siete discepoli di Cristo, rigenerati dal battesimo’ li si inganna, poiché ben spesso il loro battesimo ‘è invalido sia per vizio di forma, sia di materia, sia di intenzione’ ed è spessissimo infruttuoso poiché, presso quelli che hanno l’età della ragione, l’assenza della fede divina e cattolica costituisce un ostacolo alla grazia”[12].
In effetti, il Concilio di Trento, ribadendo come dogma di fede la validità del battesimo impartito dagli eretici, stabilì precise condizioni, e cioè che dovesse esserlo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e con l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa[13].  Stabilì, in sostanza, che dovesse sempre aver luogo con i requisiti di forma, materia, intenzione indispensabili alla sua validità.  Come si può sapere che questi requisiti sono sempre rispettati dal “ministro” protestante?  Insomma, negli articoli 3 e 4 di UR si presenta il battesimo degli eretici come un istituto intrinsecamente valido senza sfumature, dotato della sua forza di sacramento che ex opere operato incorporerebbe l’eretico (il “separato”) alla Chiesa di Cristo.  Come se non ci fosse nessuna circostanza, sociale e personale, capace di renderne del tutto problematica l’efficacia.  Anche alla luce di questi rilievi, la “nuova dottrina” teorizzata da Bea ed introdottasi nel Concilio, appare superficiale, irrealistica, priva di ogni solido fondamento.

La Mystici Corporis mantiene sempre fermo il concetto tradizionale, intorbidatosi dopo il Vaticano II, secondo il quale la separazione è colpa di coloro che se ne sono voluti andare, per la malvagità loro, non della Chiesa.  Come recita la famosa frase di S. Cipriano, che mi sembra caduta in disuso:  “Non enim nos ab illis, sed illi a nobis recesserunt”:  “Infatti non fummo noi a separarci da loro, ma loro da noi”.  Il concetto tradizionale del ritorno (reditus) dell’errante pentito, lo troviamo in modo ancor più netto netto già nell’Enciclica Mortalium animos di Pio XI, del 6 gennaio 1928, nel quale il Papa ribadì la vera dottrina sull’unità della Chiesa, condannando il “pancristismo” ossia l’antesignano dell’ecumenismo attuale, che si stava già diffondendo tra il clero del tempo e sarebbe poi riemerso dalla semiclandestinità con Angelo Roncalli.  Voglio segnalare che della Mortalium animos, testo che rappresenta l’oggettiva condanna anticipata ed esplicita di diverse posizioni riconducibili al Vaticano II, nell’ultima edizione del Denzinger-Schönmetzer, che giunge sino a documenti del 1964 ed è del 1975, non si trova traccia.  È praticamente assente.  Se ne riporta solo un brano non collegato con il tema principale, intitolato:  “De munere et ambitu magisterii ecclesiastici”[14].
 In quella capitale Enciclica, Pio XI, dopo aver spiegato perché era sbagliata l’idea di unità come unione paritaria delle religioni grazie agli incontri interconfessionali, proposta da eretici e non-cristiani di ogni tipo, che promuovevano appunto l’idea di una futura unione di tutte le Chiese in una religione universale, magari con il Papa come “presidente”; idea aberrante perché non si può avere unità tra chi crede in cose non solo diverse ma persino opposte; che l’unità del cristianesimo già era stata mantenuta dalla Chiesa cattolica con la continuità e la purezza del suo Magistero; dopo aver chiarito questi ed altri punti, il Papa concludeva:
“Cosicché, Venerabili Fratelli, sarà ora chiaro perché la Sede Apostolica mai abbia permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici:  la riunione dei cristiani non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero l’infelice idea di staccarsi [christianorum enim coniunctionem haud aliter foveri licet, quam fovendo dissidentium ad unam veram Christi Ecclesiam reditu, quandoquidem olim ab ea infeliciter descivere] :  a quell’unica vera Chiesa di Cristo, diciamo, che è visibile a tutti, e che tale, per volontà del suo Fondatore, resterà, quale egli stesso la fondò per la salvezza di tutti […] Partirono, ahimé, i figli dalla casa paterna [recesserunt heu filii a paterna domo], ma questa non cadde, sorretta com’era dal perpetuo sostegno del suo Dio; tornino dunque al comun Padre [ad communem igitur Patrem revertantur], il quale, dimenticando le ingiurie lanciate alla Sede Apostolica, li accoglierà con amorevolezza grande […] Tornino dunque i figli dissidenti [dissidentes accedant filii]  alla Sede Apostolica […] ma tornino non coll’idea che “la Chiesa del Dio vivo, colonna e baluardo della verità”(1 Tm 3,15) abbandoni l’integrità della fede e tolleri i loro errori; ma piuttosto per darsi al suo magistero e governo”[15].
I concetti espressi in queste encicliche si applicano a tutti gli “aberrantes”.  Non conta il fatto che siano nati senza loro colpa in una setta scismatica.  Se ricevono il battesimo in modo corretto, si trovano ordinati in voto alla vera Chiesa di Cristo, che è solo quella  cattolica.  Ciò dipende dagli effetti santificanti del battesimo, ex opere operato.  Ma poi, crescendo nell’ambiente pervaso dagli errori dei settari tale “ordinatio” resta puramente platonica, “l’interno impulso della grazia” (tranne nei casi a noi ignoti di battesimo di desiderio implicito e quelli noti di chi si vuole convertire) viene sepolto nel profondo del loro animo e costoro si ritrovano a vivere tra gli esclusi dalla comunione dei santi.
 Lo studio della retta dottrina della Chiesa dimostra l’insostenibilità della critica di Don Levi e Padre Cavalcoli a Maria Guarini, non solo perché “i lefebvriani” non sono eretici che si sono allontanati dalla comunione con la Chiesa e quindi non ha senso parlare per loro, e di chi va alla S. Messa da loro, di un “reditus” di pentiti; ma anche perché eliminare il concetto del “reditus” nei confronti dei veri scismatici ed eretici, sulla scorta di Unitatis redintegratio 3 e 4 che insufflano nei testi del Concilio l’ambiguo e non cattolico concetto di “incorporazione piena-non piena” ex baptismo degli eretici nella Chiesa, sulla scorta pertanto dell’eteroclito ecumenismo attuale; ciò dimostra soltanto che ci si ostina a criticare chi difende la vera dottrina della Chiesa con i sofismi dei quali rigurgita il pastorale e contestatissimo Vaticano II.

4.  La FSSPX non è eretica e non è mai stata accusata di eresia. Mons. Livi demolisce l’accusa cavalcoliana di eresia alla Fraternità e mette impietosamente in luce le carenze teologico-filosofiche di Don Levi.

La base “teologica” dell’insistita polemica di don Levi e di Padre Cavalcoli contro Maria Guarini sembra costituita dall’accusa di e r e s i a  alla FSSPX.  Essi scrivono che:  “la nota di eresia alle critiche fatte dal Vescovo Marcel Lefebvre alle dottrine del Concilio Vaticano II si evince facilmente dalle dichiarazioni fatte dal Beato Pontefice Paolo VI, dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II e dal Sommo Pontefice Benedetto XVI, tutte riportate di recente in un articolo firmato da Ariel S. Levi di Gualdo etc.”[16].  Ho sottolineato la frase “si evince facilmente”.  Si “evince facilmente” da parte di chi? In nessuna delle dichiarazioni di quei pontefici mons. Lefebvre è mai stato accusato di eresia.  Né tale accusa è stata mai fatta in altri documenti della Santa Sede concernenti la Fraternità. Con quale autorità, Don Levi e Padre Cavalcoli la diffondono come se fosse cosa ovvia?  In quei documenti, si parlava, peraltro impropriamente, di “scomunica per scisma”, non per eresia.  Come ho già detto, Mons. Lefebvre  incorse nella scomunica latae sententiae per disobbedienza, non per eresia. E nemmeno per scisma.  Giovanni Paolo II disse che la disobbedienza consisteva in un “atto scismatico” riferendosi evidentemente al significato dell’atto, che poteva esser interpretato (dall’esterno) come atto intenzionato a porre in essere uno scisma:  ma l’atto che provocò la sanzione fu la disobbedienza come tale non il supposto suo significato. Ormai anziano, estenuato da mesi di lunghe e inconcludenti trattative con Roma per la nomina di un vescovo suo successore che desse la garanzia di mantenere alla Fraternità l’impostazione originale, di fedeltà alla Tradizione della Chiesa; invocando lo stato di necessità, decise alla fine di consacrare (nell’estate del 1988) quattro vescovi senza aspettare oltre e quindi senza l’autorizzazione papale prescritta dal diritto canonico.  La scomunica fu dunque comminata per ragioni disciplinari, non per le critiche di mons. Lefebvre al Vaticano II, come qualcuno potrebbe forse arguire dall’articolo di Don Levi e Padre Cavalcoli. È vero che sullo sfondo c’era il rifiuto della riforma liturgica e la critica al Concilio, ma non per questi motivi fu scomunicato mons. Lefebvre.  Unicamente per disubbidienza al Papa che gli intimava di aspettare ancora. Ugualmente per motivi disciplinari furono scomunicati i quattro vescovi da lui consacrati.

Sulla supposta “eresia” della Fraternità, ha insistito il P. Cavalcoli in particolare ma il suo (in questo caso) errato uso del concetto di “eresia” gli è stato rimproverato da un pensatore e teologo cattolico autorevole e stimato come mons. Antonio Livi, ed è stata una delle ragioni che ha spinto quest’ultimo a lasciare il sito “isoladipatmos”, che aveva fondato con i due sunnominati.  Nella “lettera aperta” di nove pagine, del 21 febbraio 2015, apparsa sul sito ed intitolata:  Perché mi accomiato dall’Isola, mons. Livi scrive:
 “Faccio riferimento, infine, anche all’articolo di padre Cavalcoli.  In esso il mio stimato confratello e amico sostiene la causa nobilissima della “pace nella Chiesa”, ma per fare ciò stabilisce una suggestiva (dal punto di vista retorico) simmetria tra gli errori dei modernisti e quelli dei “lefebvriani”.  Tale pretesa simmetria […] non serve affatto a dare rigore scientifico, in senso propriamente teologico, all’argomentazione pastorale.  Infatti, i “lefebvriani” non costituiscono, teologicamente parlando, una categoria comparabile a quella dei modernisti. Ossia, mentre il modernismo è – formalmente come dottrina – un’eresia (anzi, il “coacervo di tutte le eresie” ebbe a dire san Pio X), che la Chiesa ha individuato all’inizio del Novecento e, dopo averle dato questo specificio nome, ha condannato con un documento dottrinale avente valore dogmatico (l’enciclica Pascendi dominici gregis), nulla di tutto ciò è avvenuto con la Fraternità di San Pio X, il suo fondatore e i suoi seguaci.  La Chiesa, ai tempi di papa Paolo VI, ha comminato delle gravissime pene canoniche alla persona di mons. Marcel Lefebvre, colpevole di aver consacrato dei vescovi senza l’autorizzazione della Santa Sede e di aver dato luogo, così, a un vero e proprio scisma.  Ma né il papa dell’epoca né quelli che gli sono succeduti, fino a Benedetto XVI che ha tentato in vari modi di far “rientrare” lo scisma, hanno promulgato dei documenti nei quali si individua una dottrina eretica cui si debba dare il nome di “lefebvrismo”[17].
Concetti chiarissimi, direi, che dimostrano l’assoluta inconsistenza della tesi di Don Levi e P. Cavalcoli.  Continua poi mons. Livi:
“Certo, un teologo può rinvenire nei discorsi e nelle iniziative ecclesiastiche di mons. Marcel Lefebvre una dottrina incompatibile con il dogma dell’infallibilità del magistero, sia quando formula dei dogmi che quando si esprime con un magistero solenne e universale, come è stato per il Vaticano II, che mons. Lefebvre (il quale pure aveva partecipato ai lavori del Concilio e ne aveva firmato i documenti finali) aveva in alcuni punti ritenuto in contraddizione con la Tradizione, ossia con l’insegnamento del magistero precedente.  Ma questa legittima considerazione teologica non autorizza porre l’ipotetico contenuto ereticale dell’ideologia di questi tradizionalisti sullo stesso piano delle eresie formalmente condannate dalla Chiesa, perché ciò genera inevitabilmente una gravissima confusione dottrinale.  Tra le eresie o dottrine erronee formalmente condannate dalla Chiesa […] non mi risulta esserci il “lefebvrismo” o qualcosa di analogo.  Padre Cavalcoli (come chiunque altro, me compreso) ha tutto il diritto e il dovere pastorale di mettere in guardia i fedeli dal dare credito  a posizioni dottrinali che sembrano negare la validità delle “riforme nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”:  ma finché tali posizioni non si configurano, non come mera mancanza di rispetto e di obbedienza ma come una vera e propria dottrina, e finché tale dottrina non è formalmente dichiarata eretica dalla Chiesa, non la si può equiparare – per esigenze di simmetria retorica – al modernismo”[18].
Mi dispiace sinceramente non esser qui d’accordo con mons. Livi su questo punto:  che nelle azioni e nei discorsi di mons. Lefebvre vi possa essere una “dottrina” incompatibile con “l’infallibilità del magistero”.  Non ritengo fondata un’affermazione del genere.  Mons. Lefebvre soleva dire:  “Non capisco. Continuo a dire e a fare quello che dicevo e facevo quando era vivo Pio XII e mi ritrovo messo al bando”.  In quali segni scorge mons. Livi il carattere “solenne e universale” e quindi dogmatico del magistero del Vaticano II?  Forse nel fatto che la Lumen Gentium e la Dei Verbum si fregiano del titolo di “costituzioni dogmatiche”? Eppure nei loro testi non viene proclamato alcun dogma.  La cosa resta un enigma. Forse va attribuita al clima di confusione e colpi di mano nel quale si è svolto il Vaticano II.  Credo sia la prima volta, nella storia della Chiesa, che un Concilio ecumenico etichetta come “dogmatiche” sue proprie costituzioni, che nel loro contenuto mostrano chiaramente di non esserlo.  Il fine “prevalentemente pastorale” o “pastorale” tout court del Concilio, è stato dichiarato da Giovanni XXIII nella Allocutio di apertura (lo voleva solo “pastorale” perché non voleva vi si condannasse errore alcuno) e dalla Nota explicativa previa in calce alla Lumen Gentium.  Nella Epistola Cum Iam del 21 settembre 1966 indirizzata da Paolo VI al cardinale Pizzardo, organizzatore del primo convegno internazionale “sulla teologia del Concilio”, mai quel Pontefice si riferì al Vaticano II come ad un’Assise dogmatica.  Anzi, ne riaffermò il carattere pastorale.  “Il fatto che il Concilio Ecumenico Vaticano II – scrisse – si era proposto fini eminentemente pastorali, non fa venir meno o diminuire il compito dei teologi [Quod autem Concilium Oecumenicum Vaticanum II fines praesertim pastorales assequi sibi proposuerat, id nullo modo partes extenuat vel minuit, quae ad theologos spectant].  Anzi, che i teologi (oltre ai vescovi) dovessero impegnarsi a spiegare e diffondere l’insegnamento del Concilio per proteggere i fedeli dagli errori circolanti, “lo richiedeva la ratio stessa del compito pastorale [ipsa pastoralis muneris ratio postulat]”[19]. Si intende, del “compito pastorale” prefissosi dal Concilio.

Tornando a bomba, anche volendo ammettere in via di pura ipotesi l’esistenza di una  eterodossa “dottrina” nella “ideologia” della Fraternità per ciò che riguarda il “magistero infallibile” di un Concilio, ciò non autorizza  comunque nessuno a considerarla eretica, conclude giustamente mons. Livi.  Insistere su questo punto, come se le supposte “eresie” dei “lefebvriani”  fossero un fatto ovvio ed accertato dall’autorità, crea solo “una gravissima confusione dottrinale”. Non solo, mi permetto di aggiungere, crea anche una “gravissima confusione” nelle anime dei fedeli, produce pessime conseguenze sul piano pastorale.
Ma quali sarebbero le “eresie” della Fraternità?  Si entra mai nel merito? Mai.  E si capisce perché: come rileva giustamente mons. Livi, non esiste un “lefebvrismo”, una “dottrina” di mons. Lefebvre, con dei “seguaci”.  Proclamare “eretica” la Fraternità significa proclamare “eretica” tutta la Chiesa pre-conciliare. Non è nemmeno esatto, a ben vedere, denominare “seguaci” (anche in senso puramente descrittivo) coloro che attendono alla Messa o partecipano agli Esercizi Spirituali ignaziani, secondo il metodo tradizionale, organizzati dalla Fraternità.  Costoro sono solo cattolici che cercano una Messa sicuramente cattolica, senza contaminazioni “ecumeniche” ed invenzioni liturgiche prone ad ogni sorta di aberrazione, ed esercizi spirituali non “aggiornati” alle supposte esigenze del mondo (e quindi:  di cinque giorni, con uomini  e donne sempre separati, con la regola del silenzio).  Dire “seguaci” fa pensare ai seguaci di una setta e questo non è certamente il caso.
L’immaginaria eresia di mons. Lefebvre e della Fraternità  è nella realtà la seguente:  aver osato criticare il Vaticano II ed essersi rifiutati di accettarlo nei punti nei quali appare in manifesto contrasto con la Tradizione della Chiesa.  Ma critica e rifiuto non possono costituire alcuna eresia poiché il Vaticano II è stato un Concilio solo pastorale, come ho già ricordato. Un concilio ecumenico sui generis non tanto  perché non ha proclamato dogma alcuno quanto perché ha introdotto espressamente delle novità dottrinali di notevole portata (vedi Dichiaraz. Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, 1).  Il fatto assolutamente eccezionale di aver introdotto queste novità e in documenti dalla nota teologica solo pastorale, autorizza il semplice fedele ad indagare con il proprio intelletto se queste novità siano o meno in armonia con il Magistero precedente.  Pertanto, chi rifiuta in modo motivato queste novità (tutte o alcune) non cade certo nel peccato di eresia. Potrà esser considerato “disobbediente” dall’autorità costituita ma di certo non “eretico”. L’eretico, infatti, è il battezzato colpevole di “ostinata negazione di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica” cioè come dogma, o “del dubbio ostinato su di essa” (CIC c. 750).  Quei pochi vescovi che non volevano accettare il dogma dell’infallibilità del Papa quando definisce ex cathedra come dogmi verità di fede o della morale, cadevano nel peccato di eresia perché rifiutavano un dogma, definito espressamente come tale nel magistero straordinario di un Concilio ecumenico, il dogmatico Vaticano primo. Non si vede come possa esser messo sullo stesso piano chi non accetta novità dottrinali, che, in quanto tali, non possono nemmeno ricadere nell’infallibilità del magistero ordinario, introdotte in documenti espressamente pastorali e con lo scopo dichiarato di “aggiornare” la Chiesa alle “necessità dei tempi presenti”[20].
____________________________
1. Giovanni Cavalcoli OP, Ariel S. Levi di Gualdo, Risposta ad un articolo di Maria Guarini: “Convertiti e credi al Vangelo”, su “isoladipatmos.com”, 4 marzo 2015.
2. Testo della Notificazione nell’articolo Risposta ad articolo etc., cit. Per l’articolo di Guarini: M. Guarini, Pertinaci chiusure che sembrano andare contro corrente, [qui] in “Chiesa e post concilio”, 27 febbraio 2015. 3. M. Guarini, Tenaci chiusure etc., cit., con il riferimento ai passi di Amerio. Si tratta del cap. XXXV di Iota Unum (§§ 245-259). Nel § 246 Amerio rimarcò che protagonista del mutamento di dottrina fu il cardinale Agostino Bea S.I., a partire da un articolo sull’Osservatore Romano del 27 aprile 1962. Il Concilio, come nota Amerio, respinse il principio tradizionale del “ritorno” dei Protestanti pentiti (UR 3 e 4). Annoto che il Decreto Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo, affermando all’art. 3 il principio del tutto nuovo secondo il quale i “fratelli separati, giustificati nel battesimo della fede, sono incorporati a Cristo” e quindi si possono considerare “in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica”, vuol darsi un fondamento dottrinale rinviando in nota (la n. 17 del testo) al Concilio di Firenze del 1439. Il lettore sarebbe quindi portato a credere che in quel Concilio Ecumenico si sia già formulato il principio della suddetta incorporazione dei “fratelli separati”. Ebbene, il riferimento è, a mio avviso, incongruo. Nella Bolla di Unione con gli Armeni del 22 novembre 1439, il Concilio si limitò semplicemente ad esporre agli Armeni che volevano ritornare all’unione con Roma “in breve compendio, la verità della fede ortodossa, che su questi argomenti professa la Chiesa di Roma” a cominciare dai sette Sacramenti. Spiegando il Battesimo, il Papa Eugenio IV, parlando con il Noi, a nome quindi dei vescovi e di tutti i cattolici, affermò che “con esso diventiamo membra di Cristo e parte del corpo della Chiesa”: lo diventiamo noi cattolici perché egli si riferiva sempre a ciò che affermava la Chiesa riguardo ai suoi membri e quindi ai cattolici, non certo riguardo agli eretici. Sul punto, per i testi: DS, 696/1314; G. Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di R. Galligani, UTET, Torino, 1978, pp. 484-496; p. 488.
4. Testo in Chiesa e postconcilio del 29 ottobre 2014 [qui].
5. P. Ariel S. Levi di Gualdo, L’eresia lefebvriana e lo stato di peccato mortale, in “isoladipatmos.com”, 26 febbraio 2015.
6. Risposta ad un articolo di Maria Guarini etc., cit. Parentesi quadre mie, qui come altrove. I passi essenziali sono nell’art. 3 di UR, già ricordato. Nel penultimo paragrafo dell’art. 4 si dice addirittura che: “Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione”.
7. Ep. S. Officii ad archiep. Bostoniensem, 8. Aug. 1949, DS, 3866-3873.
8. PIO XII, Enciclica “Mystici Corporis” sul Corpo Mistico di Cristo, Vita e pensiero, Milano-Roma, 1959, versione italiana “tolta da l’Osservatore Romano del 4 luglio 1943”. Per il testo in latino: Denzinger-Schönmetzer, 3821-3822.
9. DS, 852/1609.
10. Catechismo della dottrina cristiana pubblicato per ordine di S.S. Papa Pio X, S.E.I., Torino, 1938, n. 290.
11. Op. cit., n. 293, sugli effetti del battesimo e n. 124, su chi è fuori della comunione dei santi.
12. B. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre. Une vie, Clovis, Paris, 2002, p. 344.
13. DS, 860/1617.
14. DS, 3683. Bisognerebbe confrontare quest’edizione, che è la 36a “emendata”, con le due precedenti, per vedere se la Mortalium animos fosse riportata o meno. Mi sembra impossibile che non ce ne fosse traccia.
15. PIO XI, Lettera Enciclica “Mortalium animos” sulla vera unità religiosa, estratto anonimo, senza data dalla traduzione apparsa sull’Osservatore Romano del tempo. Il testo l’ho confrontato con l’originale latino sugli Acta Apostolicae Sedis reperibili in rete, AAS XX (1928) pp. 1-16.
16. Risposta ad un articolo di Maria Guarini, cit.
17. Antonio Livi, Perché mi accomiato dall’Isola. Lettera aperta di mons. Antonio Livi, di pp. 1-9, in “isoladipatmos” cit., 21 febbraio 2015; pp. 5-6
18. Op. cit., pp. 6-7. Circa la “firma” apposta da mons. Lefebvre a tutti i documenti finali del Concilio, è d’uopo precisare quanto segue: 1. Paolo VI volle che tutti i vescovi alla fine firmassero ogni documento conciliare da lui promulgato. Si trattava di una sorta di certificazione episcopale alla promulgazione del documento, che non aveva nulla a che vedere con l’approvazione (già avvenuta) dello stesso, ossia con la sua pregressa votazione in aula. 2. Firmarono quindi anche quei pochi che avevano espresso voti contrari. Mons. Lefebvre ha sempre sostenuto di aver votato contro tutti i capitoli della Gaudium et Spes e della dichiarazione sulla libertà religiosa, la Dignitatis Humanae. 3. Ha anche detto che, negli ultimi e sempre esagitati tempi del Concilio, la pressione del Papa, basata non su minacce o blandizie, ma sul senso di disciplina e filiale devozione dei vescovi, per un voto favorevole, era diventata praticamente insostenibile. 4. Non si voleva dispiacere al Papa e c’era comunque la speranza di poter poi resistere sulle parti ancora cattoliche dei documenti (per tutti i dettagli riportati: B. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre. Une vie, cit., pp. 332-334).
19. PAULUS PP. VI, Epistula, Cum Iam [qui], 21 settembre 1966, www.internetica.it/Paolo VI-Cumlam.htm; pp. 1-3; p. 1.
20. Paolo VI, Epistola, Cum Iam, cit., pp. 2.

41 commenti:

Anonimo ha detto...

Quanto assurdo è la chiamata di conversione quando la meta è sottomissione ai diktat di Team Bergoglio...!

Pensando che i Cattolici di Roma hanno perso la Fede e hanno messo la politica nel suo posto?


Romano

Josh ha detto...

oltre che trovarmi d'accordo con lo stimato prof. Pasqualucci anche con i segni d'interpunzione,
non ce n'è bisogno,
ma lascio a completamento questo link, da cui estraggo passaggi:

http://blog.messainlatino.it/2010/11/il-papa-sulla-frat-s-pio-x-sul.html

dal libro-intervista a Benedetto XVI, Luce del mondo.

Benedetto XVI (sulla FSSPX):

Forse è il caso di fare qualche precisazione rispetto alla revoca della scomunica in sé; perchè sono state diffuse moltissime stupidaggini, perfino da presunti dotti teologici.

Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.

In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa.

E quindi si era proceduto secondo il relativo canone vigente, un canone già presente nell’antico Diritto ecclesiastico.
Secondo di esso, la scomunica viene inflitta a coloro, che, senza mandato del Papa, conferiscono ad altri la consacrazione episcopale, ed anche a coloro che si lasciano consacrare.
Furono quindi scomunicati perchè avevano agito contro il Primato.

Esiste una situazione analoga in Cina; anche lì sono stati consacrati dei vescovi senza il mandato del Papa e per questo sono stati scomunicati.

Ora, non appena uno di questi vescovi dichiara di riconoscere il Primato in generale nonchè quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non più giustificata.

Questo è quello che stiamo facendo in Cina – e speriamo in questo modo di riuscire pian piano a risolvere lo scisma – e così abbiamo agito anche nei casi in questione.

In breve: per il fatto stesso di essere stati consacrati senza il mandato del Papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di aver riconosciuto il Papa – anche se non lo seguono ancora in tutto – la loro scomunica è stata revocata.

In sé, è un processo giuridico assolutamente normale.
Devo dire a questo proposito che su questo punto il nostro lavoro di comunicazione non è riuscito bene.
Non è stato spiegato abbastanza perchè questi vescovi fossero stati scomunicati e perché poi, già solo per ragioni giuridiche, quella scomunica doveva essere revocata.”

domanda – Nell’opinione pubblica nacque l’impressione che Roma trattasse con riguardo gruppi conservatori di destra, mentre riducesse subito al silenzio esponenti liberali e di sinistra.

Benedetto XVI:
Si è trattato semplicemente di una situazione giuridica molto chiara. Il Vaticano II non c’entrava assolutamente nulla; e nemmeno altre posizioni teologiche.

Nel momento in cui questi Vescovi riconoscevano il Primato del Papa, giuridicamente dovevano essere liberati dalla scomunica; senza che per questo mantenessero i loro incarichi nella Chiesa e senza che per ciò stesso fosse accettata la posizione da loro assunta nei riguardi del Concilio Vaticano II”.


Luisa ha detto...


"A chi nega a priori l’esistenza della crisi o si ostina ad attribuirla unicamente alle degenerazioni del post-concilio, ogni critica all’andazzo dominante che fatalmente coinvolga in qualche modo il Concilio è vista come un attentato di lesa maestà conciliare e manifestazione di una concezione “soggettiva” della Chiesa, quasi fossero i critici – in realtà cattolici smarriti in cerca di un ubi consistam – tanti piccoli Lutero."

Ed è interessante osservare che in quella battaglia contro chiunque non consideri il Vaticano II totalmente infallibile, inerrante e inerrabile anche in ogni sua virgola, si lanciano nuovi soldati ancor più aggressivi di chi da decenni si è illustrato nella difesa di quel Concilio.
Anche per quei novelli inquisitori e procuratori va di pari passo il DOVERE di esprimersi con estrema "severità" contro la FSSPX e chi la difende o comunque non condivide il loro subitaneo livore.
È il loro improvviso ma violento accanimento a far sorgere delle domande.
Più ancora che il contenuto di certe prolisse requisitorie, frutto di fantasie straripanti, è il PERCHÈ di quei cambiamenti, è il MOTIVO che spinge taluni ad aggredire verbalmente in modo pesantemente offensivo persone che prima di certi giri di boa erano degni di stima, con le quali si dialogava con fiducia reciproca e alle quali si testimoniava solidarietà quando erano attaccati, un cambiamento troppo radicale per non apparire sospetto.
Cambiamento nella forma e nella sostanza, come se dovessero convincere "qualcuno" della loro leale obbedienza e, sopratutto, di non essere un "criptolefebvriano", fra tutte le etichette una delle più infamanti, una di quelle che se te la incollano ti fa venire i brividi di paura :):)
Taluni tengono famiglia...ma altri?
Comportamenti che riflettono l`aria soffocante che si respira in questa "chiesa della misericordia" in cui se non canti con il coro sei "fucilato a vista".

Anonimo ha detto...


“Certo, un teologo PUO’ può rinvenire nei discorsi e nelle iniziative ecclesiastiche di mons. Marcel Lefebvre una dottrina incompatibile con il dogma dell’infallibilità del magistero, sia quando formula dei dogmi che quando si esprime con un magistero solenne e universale, …Ma questa LEGITTIMA CONSIDERAZIONE TEOLOGICA non autorizza a porre l’IPOTETICO contenuto ereticale dell’ideologia di questi tradizionalisti sullo stesso piano delle eresie formalmente condannate dalla Chiesa … ”.

La frase di don Livi va letta alla luce delle distinzioni che lui stesso formula nella premessa della lettera tra: 1) la verità divina, ossia quella rivelata da Dio stesso nella Storia della salvezza (la divina rivelazione, proposta infallibilmente dalla Chiesa) e la verità umana, ossia quella che l’uomo può raggiungere con le sue risorse naturali; 2) la dottrina della Chiesa, che nel nucleo essenziale è il dogma (il quale evolve in modo OMOGENEO lungo la storia ed esige da parte dei credenti una fede assoluta ed incondizionata) e le sue MOLTEPLICI INTERPRETAZIONI e APPLICAZIONI (che costituiscono la teologia e la pastorale) il cu valore aletico è sempre ipotetico e relativo; 3) le interpretazioni legittime, che sono tutte quelle che il magistero della Chiesa non ha dichiarate incompatibili con la verità rivelata (anche se la critica teologica può considerarle scientificamente inconsistenti e quindi materialmente erronee) e le interpretazioni illegittime, ossia quelle che sono state considerate, da parte dell’opinione pubblica cattolica, come vere e proprie eresie da respingere senza indulgenze o compromessi.

Dunque la scomunica ai fedeli che assistono alla Messa celebrata dai sacerdoti della FSSPX è stata minacciata come conseguenza del discostarsi da una delle molteplici interpretazioni della dottrina della Chiesa (cioè una ipotesi teologica legittima), che può quindi essere inconsistente ed erronea, e non del rifiuto della dottrina della Chiesa, benché formulata e proposta come tale.

Stiano tranquilli i fedeli. Che se dovessero essere scomunicati per il non adeguarsi ad una semplice ipotesi teologica sarebbero tutti già scomunicati dato che la molteplicità di ipotesi teologiche legittime tra loro contrapposte non darebbero scampo a nessuno (se infatti ci si adegua ad una ipotesi teologica ci si discosta inevitabilmente dalla ipotesi teologica legittima ad essa opposta). Stiano sereni, che la dottrina della Chiesa evolve in modo OMOGENEO lungo la storia, e le verità di fede e di morale di ieri non possono che essere verità oggi e sempre, in secula seculorum.

Anna

Josh ha detto...

«Quanti hanno isolato dalla storia della Chiesa il Concilio Vaticano II e lo hanno sopravvalutato rispetto ai suoi stessi intendimenti non si peritano di criticare, per esempio il Concilio Vaticano I o il Concilio di Trento. C’è chi sostiene che la Costituzione dogmatica ‘Dei Filius’ del Vaticano I sia stata soppiantata dalla ‘Dei Verbum’ del Vaticano II: questa è fantateologia. Mi sembra invece buona teologia quella che si pone il problema del valore dei documenti, del loro insegnamento, del loro significato. Nel Concilio Vaticano II esistono documenti dal valore diverso e, dunque, di una forza vincolante diversa che ammettono diversi gradi di discussione. Il Papa, quando era ancora il cardinale Ratzinger, nel 1988, parlò del rischio di trasformare il Vaticano II in un ‘superdogma’, ora, con ‘l’ermeneutica della riforma nella continuità’ ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per chiuderla. Non bisogna essere più papisti del Papa. I Concili, tutti i Concili e non solo il Vaticano II, vanno accolti con obbedienza, ma si può valutare in maniera intelligente ciò che appartiene alla dottrina e ciò che va criticato» (Monsignor Nicola Bux)

Gederson ha detto...

In quanto la Chiesa non ha l'ermeneutica della riforma nella continuità è difficile avere qualcuna conversione. Senza questa ermeneutica ogni uno convertisi alla sua propria ragione. Il Concilio Vaticano II è il primo, e forse l'unico, Concílio soggetivo della Chiesa. È il primo che la Chiesa non insegna il suo significato, è il Concilio del dialogo, il Concílio dell'ermeneutica viva... Bravo Prof. Paolo

mic ha detto...

Il Papa, quando era ancora il cardinale Ratzinger, nel 1988, parlò del rischio di trasformare il Vaticano II in un ‘superdogma’, ora, con ‘l’ermeneutica della riforma nella continuità’ ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per chiuderla.

Ratzinger lo disse qui
http://www.internetica.it/Ratzinger-SantiagoCile1988.htm

Il discorso della continuità va affrontato per escludere la continuità in senso storicista...

Anonimo ha detto...

Mic, la sua ideologia è senza limiti. Se lei ha un concetto fondamentalista di tradizione, non significa che quello portato avanti dai teologi seri sia di tipo storicista. Considerare la storia non è la stessa cosa che fare storicismo.

Pasqualucci, il Vaticano II sarà un problema per lei, non per gli studiosi seri e competenti. Scrivere le stesse cose ogni volta, non rende vero ciò che scrivete. Quousque tadem abutere patientia nostra?

Josh ha detto...

Certamente che il discorso "su che modo della continuità" va affrontato,
sia per quei punti che si oppongono al magistero precedente, non potendo sostenersi che la Chiesa ha sbagliato per 1968 anni,
altrimenti significherebbe che la Chiesa avrebbe abiurato i secoli di magistero precedente, Scrittura e Tradizione (in effetti a me dell'intervento di Bux interessa principalmente il finale, dove afferma "ma si può valutare in maniera intelligente ciò che appartiene alla dottrina e ciò che va criticato");
sia perchè la concezione della Tradizione vivente un conto è intenderla nel senso dello "scriba che dal suo tesoro trae cose vecchie e cose nuove" (Mt 13,52....e nuove nel senso di rinnovate nello SS e non nello spirito del mondo o delle 'rivoluzioni' umane),
quindi intenderla alla S. Vincenzo di Lerins in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia,
e tutt'altro conto è intenderla nell'immanentismo, nello storicismo hegeliano, nel divenire e nella concezione trasformista del dogma.

Josh ha detto...

D'altro canto è lecito manifestare ai pastori il proprio pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa, in buona fede e con precisione.

Così come i fedeli hanno diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato (compreso il Motu Proprio) e di seguire un coerente metodo di vita spirituale, conforme alla vera dottrina della Chiesa. Questi 2 concetti sono chiari e limpidi anche nel diritto canonico, per esempio.

E anche al presente alcuni Cardinali ricordano con urgenza che è errato ed anzi eretico separare dottrina e pastorale.

Quando allora ci si trova in presenza di sacerdoti (e non solo) nel postconcilio che professano religioni poste tutte sullo stesso piano, di sacramenti dati con leggerezza agli impenitenti, di trasformazione del Santo Sacrificio in cena sociale, di punto omega verso cui convergerebbero tutte le fedi e i pensieri umani, di "cristi" incogniti e anonimi (minuscolo perchè le teorie sono note e stanchevoli oltre che false e irrispettose), quando ricevo dalla parrochia per Pasqua un opuscolo che mi spinge verso il formalmente eretico Martin Luther King, mentre anni fa magnificava Teilhard de Chardin, è allora più che mai lecito interrogarsi.

Si ha diritto di chiedere spiegazioni sui contrasti tra vecchio e nuovo Magistero, e i pastori dovrebbero spiegarlo (...i bachi) ma non avviene, o avviene a spizzichi e bocconi e con dietro front in un clima di notevole pesantezza e costrizione.

Di qui l'impegno di alcuni stimati autori su quanto accaduto negli ultimi 50 anni che non per questo devono essere bollati con imprecisione e faciloneria come scismatici, mini lutero, criptolefebvriani, tradi-protestanti, pelagiani, formalisti o musoni senza gioia.

Almeno qualcuno ce prova a mettere ordine (e a non allontanare altra gente -di ogni età, si badi bene- dalla Chiesa), visto che chi lo dovrebbe fare non lo fa!

E questa è la consapevolezza di molti cattolici che non basta censurare, minacciare o condannare per toglier loro questa ormai lapalissiana convinzione.

Anonimo ha detto...

Mons. Gherardini (LA NOVELLA DELLO STENTO, OVVERO LA DISPUTA SULL’INTERPRETAZIONE DEL VATICANO II, segnalato da Josh) : E’ mia impressione.. che anche l’interpretazione del Vaticano II sia diventata ..ripetitiva .. e superficiale.. Alludo ad Autori nei quali mai si coglie un sia pur flebile tentativo d’approfondimento, uno sforzo di comprensione alla luce delle fonti, del Magistero e dei “probati Auctores”, un’analisi contenutistica e comparata dei documenti conciliari; mai una verifica fra il dettato conciliare e le note a piè di pagina che dovrebbero confermarlo e documentarlo, oppure fra questo dettato conciliare e quello dei precedenti Concili ai quali vien fatto appello. Si ripete fin alla stanchezza… che il Vaticano II è infallibile anche se non è dogmatico, perché – e qui sta l’unico immane erculeo sforzo di fondazione critica – è assistito dallo Spirito Santo.

Ai sostenitori d’una tale giustificazione.. non passa neanche per l’anticamera del cervello ch’essa sia aprioristica sul piano filosofico e fideistica su quello teologico. …infatti, il predetto unico immane erculeo sforzo di fondazione critica dichiara che prima di tutto, soprattutto e prescindendo da tutto sta l’assistenza dello Spirito Santo e che tutt’il resto (ogni documento conciliare) ne dipende. Potrà mai, allora, non esser infallibile ciò che dipende dallo Spirito Santo? Ovviamente no, ma il modo d’arrivare a codesto no è kantiano, indimostrato, pre-messo, a priori: val a dire privo di forza giustificativa. Dico inoltre fideistica la giustificazione di chi sottopone il Vaticano II, il Magistero e la Chiesa stessa all’a priori dello Spirito Santo, dimenticando o volutamente rifiutando l’insegnamento del Vaticano I, il quale esclude che la verità possa cogliersi non anche secondo la ragione, ma solamente per fede.

I sostenitori della giustificazione aprioristica e fideistica, …s’ergon a giudici di chiunque la pensi un po’ diversamente e sentenziano contro chi valuti il Vaticano II sulla base non d’un aprioristico e fideistico ricorso allo Spirito Santo, ma del metodo rigorosamente critico – teologico: alla luce cioè della Fede rivelata e della sua presenza nell’ininterrotto Magistero ecclesiale dagli Apostoli ad oggi. Poiché codesta medesima luce evidenzia NON POCHI ELEMENTI DEL VATICANO II O DISCUTIBILI O DIFFICILMENTE COLLEGABILI CON LA CONTINUITA’ DEL DETTO MAGISTERO, il rilevarlo è considerato un peccato mortale e vien investito da veementi accuse ai limiti del non-senso: interpretazione modernista” …oppure “interpretazione lefebvriana”, quasi un colpo di grazia contro la reazione in agguato, che osa sfidare il Papa, il Magistero e soprattutto loro, gli aprioristi e fideisti del momento... con la sicumera della loro superficialità senza misura, insistono nel rimproverar a me e ad altri – p. es. al bravo prof. R. de Mattei – l’imperdonabile peccato di non aver riconosciuto e d’aver negato il raccordo tra Vaticano II e Tradizione, tra progresso e conservazione, d’aver anzi sostenuto il contrario, nonostante che lo stesso Vaticano II dichiari più volte d’avere stabilito un tale raccordo e che i Papi del postconcilio l’abbiano ininterrottamente riconosciuto. Al punto in cui stanno le cose, l’insistervi denota o un indizio di secondi fini o la presenza di limiti intellettivi. E’ evidente che un raccordo di tale natura ed importanza NON PUO’ ESERE SEMPLICEMENTE DECLAMATO: VA DIMOSTRATO. E dimostrato in modo tale da neutralizzare le prove della controparte relative all’inesistenza del raccordo stesso.

Anna (continua)

Anonimo ha detto...

.....non si rendono o non vogliono rendersi conto delle condizioni alle quali soggiace “per divina disposizione” il carisma dell’infallibilità. Alcune affermazioni neotestamentarie, riferite dal quarto evangelista come detti espliciti di Gesù, dovrebbero far riflettere anche un apriorista ed un fideista….: “Pregherò il Padre, e questi vi darà un altro Paraclito, perché rimanga sempre con voi, lo Spirito della verità” (Gv 14,16). Paraclito indica la funzione che lo Spirito Santo svolgerà “in eterno” a favore della Chiesa, assistendola come “un altro” Paraclito, dopo che il primo, Cristo, se ne sia andato. NON SARA’ semplicemente in sostituzione di Cristo e meno ancora IN COMPETIZIONE CON LUI: sarà “un altro”, SENZA CHE SIA ALTRO IL SUO INSEGNAMENTO, ALTRA NON ESSENDO LA VERITA’.. per questo vien chiamato “lo Spirito della verità”, per la sua funzione d’annuncio della verità, parallelo a quello di Cristo, del quale, come successivamente l’evangelista conferma, dovrà ripetere l’insegnamento e facilitarne una sempre maggiore intelligenza. “Lo Spirito Santo, il Paraclito che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà e vi suggerirà tutto quanto io vi avrò detto” (14,26) […] Quando lo Spirito della verità sarà venuto, v’introdurrà nella verità tutt’intera, parlando non già per conto proprio, ma dicendo quanto avrà ascoltato […] Prenderà del mio e l’annuncerà a voi” (16,13-15). E’ qui chiaramente e perentoriamente definita la funzione dello Spirito Santo: NON SARA’ UNA SECONDA RIVELAZIONE E MEN ANCORA UNA RIVELAZIONE PERENNEMENTE IN FIERI: SARA’ UNA RIPROPOSTA DELLA RIVELAZIONE GI À COMPIUTA, UNA REITERATA MEMORIZZAZIONE DI ESSA ed un suo sempre ulteriore APPROFONDIMENTO nel cuore della Chiesa lungo il volger dei secoli .. senza nulla togliere e nulla aggiungere alla parola di Cristo, fosse anche “un solo iota o un solo apice”…

A ciò s’aggiunga il chiaro limite posto al Magistero dal quarto capitolo della costituzione dogmatica “Pastor æternus” del Vaticano I. …Il Magistero, pertanto, non può contare sulla divina assistenza sempre, in assoluto, ad ogni suo intervento…L’intervento magisteriale è, in effetti, coperto dal carisma dell’infallibilità, solo se “il Romano Pontefice 1 – parla ex cathedra, ovvero come pastore e dottore di tutt’i cristiani; 2 – in forza della sua suprema autorità apostolica, 3 – per definir un dottrina di Fede o di Morale 4 – rendendola obbligatoria per la Chiesa universale”. …tale condizionamento riguarda il Magistero supremo e solenne in quanto tale, sia che venga esercitato personalmente dal Papa loquens ex cathedra, sia che ad esercitarlo provveda collegialmente un Concilio ecumenico. ..

E’ legittimo chiedersi, dop’aver letto quanto aprioristi e fideisti scrivonO al riguardo, se proprio nulla faccia velo ai loro giudizi. Sembra che in essi neanche l’ombra affiori delle surriferite condizioni. Quando c’è di mezzo un Papa, un Concilio, la Chiesa, tutto per essi è automaticamente infallibile e tale dev’esser da tutti riconosciuto. Il Papa sospira? È un sospiro infallibile. Il Concilio ha un pensiero di riguardo per l’uomo, il mondo, il progresso? È un pensiero infallibile. La Chiesa stabilisce orientamenti e decisioni pastorali d’almeno dubbia fondazione nel tesoro della sua costante Tradizione? L’infallibilità arriva sin qui, perché tutto è avvolto, esplicitamente o no, nell’ambito d’un carisma inalienabile dal dna della Chiesa. Insomma, nessun limite, nessuna condizione, nessun freno al verificarsi della sua infallibilità".



Anna

Josh ha detto...

...che non si possa nemmeno ammettere, per onestà intellettuale,
che ci siano punti da risolvere in un Concilio e successive modificazioni,
che il card. Suenens proclamò come
"il 1789 della Chiesa"
mentre gli faceva eco Congar con "la rivoluzione d'ottobre in Chiesa"
rivoluzioni violente, sanguinarie, massoniche e anticattoliche, che ridussero le chiese in stalle, beh allora....

Anonimo ha detto...

Continua mos. Gherardini sul concetto di Tradizione:

“ L’Autore ..afferma ..che il sottoscritto “non riesce a vedere la continuità tra il concetto di Tradizione dei Concili Tridentino e Vaticano I e quello del Vaticano II, per cui parla di contraddizione, cosa che evidentemente non si può accettare trattandosi di materia di fede, dove la Chiesa non può entrare in contraddizione con se stessa, perché vorrebbe dire che essa ha abbandonato il sentiero del vero per imboccare quello del falso, il che sarebbe come pensare che Cristo l’ha ingannata quando le ha promesso di assisterla col suo Spirito sino alla fine del mondo”. Non è un esempio di scrittura traslucida; è tuttavia comprensibile. Comprendo infatti a) la mia cecità di fronte alla continuità del concetto di Tradizione del Tridentino, del Vaticano I e del Vaticano II; b) la mia empietà nel definire contraddittorio il concetto di Tradizione del Vaticano II rispetto a quello del Tridentino e del Vaticano I; c) la mia implicita blasfemia nell’accusare Cristo d’aver ingannato la Chiesa circa l’assistenza dello Spirito Santo. Ma comprendo pure che tutto questo è impossibile perché si tratta, aprioristicamente e fideisticamente, di materia di fede. Il mio censore, anche se di mestiere fa lo zitti-tutti-parlo-io, vorrà concedere a questo povero cieco, empio e blasfemo di richiamarsi a quanto ha effettivamente scritto.

A p. 186…: - parlo del Tridentino che …si concentra sull’esistenza d’una fonte scritta e d’una fonte orale, ambedue consegnate alla Chiesa dall’ininterrotta successio apostolica ed è questo il suo concetto di Tradizione; - parlo del Vaticano I, che recepisce codesto concetto e lo innerva nella proposta magisteriale della Chiesa docente;- parlo del Vaticano II, che opera una reductio ad unum della Rivelazione scritta e di quella orale, annullandone l’evidente distinzione dichiarata ed insegnata dal Tridentino e dal Vaticano I ed inserendo in tale reductio anche il Magistero, ovvero l’autorità che propone le verità rivelate (Tradizione attiva) e l’insieme di tali verità (Tradizione passiva).

Poiché codesti tre punti riposano sulla base rigidamente storico-filologico-teologica del cap. VI, e non su quella dell’apriorismo e del fideismo, resto in pace con la mia coscienza. So .. d’aver operato sulla base di dati storico-teologici inoppugnabili, di non aver aggiunto nulla e nulla tolto, d’aver quindi tratto delle conclusioni sotto l’urgenza della LOGICA OBIETTIVA, QUAL’E’ QUELLA CHE VUOLE IRRIDUCIBILE IL TERZO PUNTO AI PRIMI DUE del quadro sopra indicato. Che poi, come la mia povera e cara nonna, aprioristi e fideisti trovino piena soddisfazione a ricominciar sempre da capo “la novella dello stento, che dura tanto tempo e che non finisce mai”, padroni di farlo, anche se ormai la loro novella non addormenta più nessuno”.

Anna

Anonimo ha detto...

Ma diciamo la verità:

Il Concilio Vatican II non ha voluto di esercitare nessun "magisterio" in senso formale della parola, quindi, non è concilio della Chiesa perché tramite di esso la Chiesa non ci insegna, ma i vescovi come uomini meri ci parlano...e questa parola veniva da loro prudenza fallibile umana, che dopo il Concilio molti modernisti hanno voluto di imporre su la Chiesa come la parola di Dio...la parola degli uomini come la parola di Dio, questo è l'errore al cuore dell'aggiornamento..


Romano

Luisa ha detto...

"Chi lo fa, “rompe la comunione con la Chiesa cattolica”, non essendo la suddetta Fraternità “istituzione della Chiesa cattolica”[sic]. Ragion per cui, il fedele che ne frequenti le funzioni, per esser “riammesso nella Chiesa cattolica” dovrà preventivamente “compiere un adeguato percorso personale di riconciliazione”![2]"


Il "buon" mons. Semeraro, e chi sostiene quelle posizioni che sarebbero solo esilaranti e deliranti se non fossero gravi perchè potrebbero influenzare fedeli passivi, ignoranti, infuenzabili, sprovvisti di una sana curiosità che porta a verificarne la legittimità, ad approfondire certe affermazioni o decisioni anche se provenienti da sedicenti custodi della dottrina,
dovrebbero venire dalle mie parti,
ma son sicura che non direbbero ai sacerdoti e ai "fedeli" svizzeri( e potrei aggiungere austriaci, tedeschi e anche francesi) che "per essere riammessi nella Chiesa cattolica dovranno preventivamente compiere un adeguato percorso personale di riconciliazione”!",
No, non diranno nulla, come tacciono i miei vescovi, eppure
senza nessun problema quei sacerdoti e fedeli ribelli e ipercreativi concelebrano tranquillamente con i protestanti, si inventano un ecumenismo fai da te, una liturgia che non si può più definire cattolica, sono fedeli di una religione fai da te, sono separati da Roma anche se non formalmente.
Nessun percorso di riconciliazione per loro anzi dovremmo essere noi, poveri cattolici che non consideriamo ancora la Dottrina e il Magistero come muffa che ingombra il cervello e il cuore, a dover giustificarci e a fare un percorso per unirci a quei fratelli separati , a quelli che lo sono già e a quelli che lo sono di fatto.
C`est le monde à l`envers.

murmex ha detto...


Aggiungo ad Anna che fuoriuscire dalle precise condizioni poste dal Conc Vat. I a proposito dell'infallibilità , estendendola surrettiziamente a proprio piacimento , ,mi pare già un ereticheggiare ... non parlo di eresia vera e propria , perchè giustamente questa deve venir dichiarata dall'autorità.

mic ha detto...

Anonimo 12:17
Lei mi attribuisce un'ideologia senza limiti, un concetto fondamentalista di tradizione ed esclude che quella di non meglio identificati teologi seri sia una tradizione storicista. Tuttavia non vedo su quale base poggia le sue affermazioni apodittiche. Almeno io ho assunto una posizione dimostrandola con argomenti tratti dal magistero. Quando lei mi dimostrasse con argomenti convincenti dove e in cosa sarei fondamentalista invece che convinta assertrice di qualcosa di valido, magari potremmo riparlarne.
E chissà che non possa trarre nutrimento dai magistrali enunciati di mons. Gherardini qua su.
Neanche lui, secondo lei, abbastanza serio quanto i soloni alla moda?

Annarè ha detto...

Siamo nel mese dedicato a S.Giuseppe e bisognerebbe meditare con quanta cura, fatica, dedizione, amore, sacrificio e anche dolore,e non di meno allegrezza, S.Giuseppe accudì Gesù, la seconda Persona di Dio per il quale fu scelto come padre putativo. Ecco se solo i pastori sapesero fare altrettanto avendo cura del gran Bene loro affidato, cioè Gesù nel santissimo sacramento e tutte le anime da lui riscattate sulla croce. Basterebbe riflettere su questa bella figura di santo per far tacere e far rinsavire don Levi, mons. Semeraro e padre Cavalcoli.

murmex ha detto...

Mons Gherardini rivendica di poter usare i principi LOGICI . E questa rivendicazione , anche alla luce del l'articolo successivo , (recensione di don Curzio a M De Corte ) mi pare del tutto giusta . In contrario , ne dovremmo arguire che il Vat II è stato convocato per abolire le facoltà ragionative , e indurci tutti a divenire proni della cultura dell'illogicità che spadroneggia nel mondo . Dio non voglia che sia stato proprio così (disegno deliberato), ma solo superficialità e imprudenza .

Anonimo ha detto...

Dopo tanto scrivere e tante dottissime citazioni io umilmente vorrei esprimere un parere più distaccato.Secondo me mons Semeraro e don Levi non meritano tutta questa attenzione.Poi bisogna anche dire che se due anni di un pontificato per tantissimi versi discutibile come questo mandano in crisi tanti cosa succederebbe se ci fosse una persecuzione seria?. Bobo

RAOUL DE GERRX ha detto...

J'admire la patience avec laquelle Paolo Pasqualucci réfute, point par point, tant de sottises…

Je me demande seulement quel âge a ce don Levi Ariel (dont le nom donne à penser qu'il s'agit d'un converti du talmudisme) pour donner des leçons d'orthodoxie à Mgr Lefebvre et à tous ceux qui, avec lui et après lui, n'ont jamais rien fait d'autre que de continuer à pratiquer la foi des anciens jours ?

Ce néo-lévite ne déclarait-il pas récemment ne célébrer la Sainte Messe qu'en cachette, à portes fermées, à l'abri des regards, témoignant ainsi d'un beau courage ? Et n'en profitait-il pour ridiculiser les fidèles attachés au rite de toujours ?

Comme disait de Gaulle, "Tout cela n'est que subalterne… Des bouchons sur la mer…"

Anonimo ha detto...

Riposto: “con giro di parole degno di un abile prestigiatore, si dice che la Tradizione non può essere stata violata dal magistero successivo, perché la Tradizione è vivente e quindi coincide, esaurendosi in esso, con il magistero successivo del papa, solo o insieme ai vescovi riuniti in concilio (falso concetto di Tradizione vivente), praticamente eliminando uno dei due termini del confronto ed eliminando, cosa più grave, tutta la Tradizione che il magistero successivo dovesse contraddire o non ribadire”.

La Tradizione “passata” contrastante non sarebbe vivente, sarebbe morta , per cui non potrebbe essere utilizzata come termine di confronto. La continuità sarebbe assicurata dalla identità del “soggetto Chiesa” che la esprime.

Peccato che la Tradizione è tale proprio perché viene dal passato ed è, e deve essere, consegnata, trasmessa intatta (approfondita ma non modificata).

Quanto all’identità del “soggetto Chiesa” che assicurerebbe, per definizione, la continuità, mi viene da pensare ad un posseduto. L’indemoniato è certamente la stessa persona che era prima della possessione, ma ciò che fa e dice non esprime, durante la possessione, la sua persona, perché altri agiscono per lui. Non agit sed agitur.

Bisogna quindi distinguere la Chiesa, Sposa mistica di Cristo, dalla gerarchia ecclesiastica, Pietro da Simone. E distinguere ciò che viene da Pietro e ciò che viene da Simone. Certamente se Simone, nell’esercizio del magistero non infallibile, contraddicesse il depositum fidei che gli è stato consegnato, saremmo davanti a Simone e non a Pietro e tale contraddizione non potrebbe essere attribuita all’”unico soggetto Chiesa”, ma solo a Simone. E se, Dio ce ne scampi, osasse tradire (nel senso in cui Giuda tradì Cristo) ciò che gli è stato consegnato affinché lo custodisse, se desse veleno al gregge ordinandogli di assumerlo dichiarando di esercitare il magistero infallibile (cosa finora, per grazia di Dio, non avvenuta), allora potremmo essere certi, non sono che tale “magistero non è proprio dell’”unico soggetto Chiesa” ma anche che costui “non è, né Pietro e nemmeno Simone (il quale, dopo la Pentecoste, errò, ma mai rinnegò Gesù)”.

Anna
Anna

Rr ha detto...

Raoul,
Don Levi est de Famille catholique, antiquement Juive. Il a été baptisé catholique et il est cru catholique. A un certaine Moment de sa vie, il a voulu découvrir ses ancient racines juives, et il a renoncé au catholicisme. Apres, il est redevenu catholique et il a senti l' appel de Dieu, et il est devenu prêtre.
Qu'est-il lui arrivée recemment, C' est presque incomprensibile, sauf de penser à des menaces très fortes par la gerarchie.
Rr

RAOUL DE GERRX ha detto...

Chère Rosa, eh bien, toutes ces palinodies ne lui ont donné qu'un droit, celui de se taire, comme le demandait autrefois l'Église aux nouveaux convertis, qu'elle plaçait, de surcroît, à la fin de la procession…
C'était sagesse.

Anonimo ha detto...

Che don Levi abbia proprio tutti i torti, mi riesce un po' difficile crederlo. Forse la dott.ssa Guarini dovrebbe fare una piccola riflessione o per lo meno imparare ad accettare qualche osservazione.

Antonello

Rr ha detto...

Merci, Raoul, de cette information, que je ne connaissais pas. Mais pas tous les convertis sont comme ça. Connaissez-vous A.Manzoni ?
Rr

mic ha detto...

Che don Levi abbia proprio tutti i torti, mi riesce un po' difficile crederlo. Forse la dott.ssa Guarini dovrebbe fare una piccola riflessione o per lo meno imparare ad accettare qualche osservazione.

Ben vengano le osservazioni giuste e motivate. Ma lei sembra ignorare che sono piovuti insulti e staffilate, insieme a vere e proprie calunnie ad personam. E questo a cosa serve?
Comunque non pubblico ulteriori commenti, così come ne ho tralasciati molti altri su don Levi.
Invito ancora una volta a soffermarsi sugli argomenti. Sugli isolani tutto quel che c'era da dire è stato detto per rispondere agli interrogativi che la vicenda suscita ed è stato fatto con molto realismo e sincerità, in riferimento non tanto e non soltanto alla mia persona che forse non è il vero bersaglio, ma a quello che succede nella e alla Chiesa, senza messaggi da tifoserie, alcuni dei quali, in quel contesto, appaiono costruiti o adulatori lontano un miglio....

Josh ha detto...

@ anonimo 12 marzo 2015 12:17

cito

"Mic, la sua ideologia è senza limiti. Se lei ha un concetto fondamentalista di tradizione, non significa che quello portato avanti dai teologi seri sia di tipo storicista. Considerare la storia non è la stessa cosa che fare storicismo."

leggo che Maria ha già risposto, comunque il caso attuale non è affatto che oggi si "considera la storia".
E' che oggi NON si considera affatto la storia, e si continua a riferirsi solo agli ultimi 50 anni, come se quanto è stato prima, quei 20 secoli, fosse un orrore da negare e abiurare, e se non vi fosse Dio anche lì, allopera nello SS. E' quello il problema, non certo Maria. O "noi". Che consideriamo la storia, e non facendo storicismo (che nel divenire considera falso e sorpassato la Rivelazione di ieri per invenatre un dio di altra fisionomia oggi) infatti ci interroghiamo sul perchè ci siano "nuove dottrine" e specie nuove "pastorali", nuove liturgie, in realtà viste e sentite in moltissime chiese, negli ultimissimi decenni, a volte in aperta opposizione NON SOLO alla Tradizione, ma anche al Depositum di dottrine base.

Lo stesso B XVI ha affrontato alcuni di questi temi sia durente il pontificato, sia da cardinale. Si pensi ai perchè della Dominus Jesus. Davvero la situazione è tale che serve ribadire che Gesù è Unico Salvatore....e ci fu e c'è anche una vasta parte del cattolicesimo che non ama quella eniclica, perchè troppo netta...meglio dire che ogni tradizione e ogni religione, anche le false, portano ugualmente a Dio.

Quindi le questioni ci sono, al di là delle varie sensibilità.

cito ancora dall'anonimo:
"Pasqualucci, il Vaticano II sarà un problema per lei, non per gli studiosi seri e competenti."

Per Pasqualucci è evidente che il Vat II non è un problema come nemmeno per noi. Forse ci si farebbe bene a domandare per es. 1 punto a caso, perchè da Gaudium et Spes 22 dimenticando il quammodo, in molti predicano che sono tutti salvi perchè Gesù si sarebbe incarnato non solo quella volta, ma in tutti quanti gli uomini....e abbiamo teologi e cardinali che credono che tutti sono già salvati a prescindere. Allora ti credo che è "una solenne sciocchezza il proselitismo", tanto se siamo già tutti salvi a prescindere....


ancora dall'anonimo, pazzesca la sua conclusione in casa d'altri:

"Quousque tadem abutere patientia nostra?"

a parte che si dice tandem, ma più che tandem il suo intervento mi pare un carrozzone di opinioni falsate e indimostrate,
ma se secondo lei abusiamo della sua pazienza (ma chi è lei poi?) perchè non cambia lidi? il web è pieno di ogni cosa.

Josh ha detto...

dal titolo del pezzo di Pasqualucci prendo solo una fantasia:
il reditus.

Si mediti bene chi deve rientrare e in cosa. Ne discendono sorprese....

C`est le monde à l`envers,
per citare Luisa....

Anonimo ha detto...

Dopo quanto ha dottamente scritto il prof Pasqualucci mi sembra che ci sia ben poco da aggiungere. Ho grande stima di Padre Cavalcoli (ho diversi suoi libri) ma ho tolto dai "preferiti" il sito degli isolani. Non voglio perdere tempo in polemiche che trovo inutili . Non sono un teologo (ho una laurea in giurisprudenza) ma è sotto gli occhi di tutti la spaventosa crisi della Chiesa dopo l'ultimo concilio. Non ne sarà la causa ? Ma è ovvio che se fosse tutto perfetto in quell'assise, la situazione sarebbe migliorata, non precipitata in questo modo! E non c'è chiacchiera che possa cancellare la realtà! Spetterà ai teologi, ai dotti, al clero (ma soprattutto ai santi) trovare cause e rimedi. Ma questo fare le barricate scrivendo fiumi di parole per difendere l'indifendibile, mi sembra proprio del tutto fuori luogo e improduttivo. Equiparare poi chi si attiene a quanto ha predicato la Chiesa per duemila anni, a chi è stato ufficialmente e ripetutamente bollato dalla Chiesa come eretico (non credono nemmeno in tutti i sacramenti!) è insostenibile. Giorgio

Anonimo ha detto...

Mic e Josh,


Voi avete ragione...

L'anonimo suono come teologo colpevole...

Purtroppo ha sensibilità per evitare le accuse, ma nessuna per la verità oggettiva della fede...


Romano

RAOUL DE GERRX ha detto...

Chère Rosa,
Des convertis, l'Église, autrefois, avant de leur conférer des postes importants, attendait d'abord qu'ils manifestassent persévérance et humilité — tout le contraire de l'exhibitionnisme et de la pétulance propres à certains…
C'est pourquoi elle les invitait à prendre place au dernier rang des fidèles, avant les catéchumènes. On verrait après…
Un peu comme on fait dans les couvents — là où il y en a encore —, avec les prétendants et les novices…
Le monde ne s'en portait pas plus mal.

RAOUL DE GERRX ha detto...

Chère Rosa,

Manzoni : "Non sempre ciò che vien dopo è progresso."

N'est-ce pas ce que nous voyons tous les jours depuis 50 ans ?

Dante Pastorelli ha detto...

Rompo per una sola volta un lungo silenzio per esprimere pubblicamente la mia solidarietà, per quel che vale, a Maria.
Purtroppo c'è chi non vuol vedere, per potersi erigere a guida del più puro antimodernismo, che gli errori del post-concilio trovano la loro radice in alcuni documenti e parti di documenti del concilio. E spesso per distinguersi da e opporsi a maestri sommi a cui non posson neppure legar le stringhe dei calzari.
Ho riletto - dopo una scorsa qualche tempo addietro - le prose verbose, ampollose, straripanti come di consueto di due isolani che farebbero bene ad andar a meditar a Patmos per diventar meno saccenti ed imparare a non considerarsi parametri di Verità e, uno, il più giovane, modello di sapienza e di mascolina vita sacerdotale in contrasto con l'omosessualità che vede ovunque ci sia una cotta o un camice con la trina. Sui suoi stupidi attacchi agl'istituti tradizionali ed altre amenità (le ragazze che in Germania guardavano lui ed un amico con insistenza) già altrove a suo tempo ho avuto occasione di ironizzare.
Condivido quanto scritto dal prof. Pasqualucci. Ma francamente io non perderei il mio tempo prendendo in seria considerazione
scritti di tal fatta. A lavar la testa all'asino si perde ranno e sapone.
Quanto allo scisma di mons. Lefebvre, illustri cardinali si opposero a quest'accusa: Palazzini (a Neri Capponi: non c'è scisma né eresia), Oddi, Thiandoum (non voglio neppur sentir il termine scomunica), Cassidy e Castillo LLara (la consacrazione dei vescovi senza mandato pontificio non è di per sé uno scisma, e questa cattiva intenzione non si può attribuire a Lefebvre; Ratzinger nel discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, ebbe a dire che non usava "consapevolmente il termine errato scisma", frase poi sparita dalla traduzione italiana; Castrillon ha sempre negato - e agiva per conto di Benedetto XVI - che i lefebvriani fossero scismatici.
Ora addirittura siamo all'eresia. Mons. Livi, pur tra contorsioni, ribatte acutamente quest'accusa.
Lasciateli nell'isola dei non famosi.

Gederson Falcometa ha detto...

"E anche al presente alcuni Cardinali ricordano con urgenza che è errato ed anzi eretico separare dottrina e pastorale".

Caro Josh,

Ricordo che S. Pio X usando altri termini parla della separazione tra dottrina e disciplina nella Lettera Enciclica Iucunda Sane. Don Curzio Nitoglia appre l'articolo "L'uomo animale politico" dicendo:

"San Pio X nell’enciclica Jucunda sane (12 marzo 1904) spiega che il mezzo con cui gli eterodossi s’infiltrano nella Chiesa consiste nell’applicare una regola d’azione prudenziale ai princìpi o al dogma, confondendo il piano teoretico o della verità con quello pratico o dell’agire umano. Ora, continua papa Sarto, la Prudenza è una virtù morale, che aiuta ad applicare i princìpi al caso pratico e a risolvere quest’ultimo alla luce del principio senza svilire il principio rendendolo valido solo se praticamente utile. Quindi, trasporre confondendoli la Prudenza o la pratica al livello dei princìpi ed abbassare il principio dal livello teorico a quello pratico ha conseguenze disastrose: dal punto di vista teoretico annacqua il principio ed erode il dogma; dal punto di vista pratico può degenerare sia in lassismo che in rigorismo come vedremo oltre."http://www.doncurzionitoglia.com/uomo_animale_politico.htm

Questo è il metodo con che gli eretici e eterodossi vogliono separare dottrina e disciplina. Me domando:

Oggi quale grado di assenso dobbiamo dare alla Iucunda Sane? Questo documento magisteriale c'e ancora oggi alcuno valore?

Non me sembra che l'attuale Papa e alcuni cardinale siano in comunione con il magistero di S. Pio X come espresso nella Iucunda Sane.

Gederson Falcometa ha detto...

"Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.

In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa."

Dice bene Benedetto XVI, ma indietro alle consacrazioni dei quattri vescovi per Mons. Lefebvre aveva ragione dottrinale che GPII ha descritto così nel Motu Proprio Ecclesia Dei:

«La radice di questo atto scismatico [la consacrazione dei 4 vescovi della FSSPX] è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione (…) contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi».

Doppo la revoca della scomuione abbiamo guardato le conversazioni dottrinali segrete. Roma e la FSSPX hanno parlato della libertà religiosa, ecumenismo e collegiatá e per quanto me ricordo un membro della FSSPX è arrivato alla conclusione che loro capivano la tradizione di modo diverso. Quindi, il problema tra Roma e la FSSPX risiede di fatto nel concetto di tradizione, come ha detto GPII (e anche Mons. Gherardini aveva detto), perché le conversazioni hanno finito quando le conversazioni hanno arrivaro nel puncto dolens del problema? In quello momento se poteva risolvere il problema con la FSSPX, ma quando la questione arriva al punto se finisce le conversazioni e se vuole imporre l'autorità alla FSSPX attraverso il preambolo dottrinale.

Roma accusa il problema dottrinale della FSSPX e doppo quase 30 anni non ha pronunciato nessuno giudizio dottrinale. La relazione tra dottrina e disciplina in questo caso è interessante, perchè la FSSPX e tutti i suoi membri hanno sofferto tutti le sanzione canonica senza mai avere ricevuto una correzione o un chiaramento dottrinale definitivo.

Per fine ricordo un branno di don Fellay:
Questa diversità di “nozione” è stata ultimamente ribadita dal Superiore Generale della Fraternità San Pio X, Mons. Bernard Fellay, nell’omelia che ha pronunciato a Winona, USA, il 2 febbraio scorso. «In altri termini, questo significa che essi danno un altro significato alla parola “tradizione” e forse alla parola “coerenza”» … «È per questo che nei nostri colloqui dottrinali con Roma noi eravamo, per così dire, bloccati. In questi colloqui con Roma, la questione chiave era in definita quella del Magistero, dell’insegnamento della Chiesa» … «Se loro accettano i principi che abbiamo sempre sostenuto, è perché questi principi per loro significano ciò che loro pensano, e che è in esatta contraddizione con ciò che affermiamo noi. Credo che non ci si possa spingere oltre nella confusione». Esercizio di esegesi della Tradizione:
da Giovanni Paolo II a Mons. Bernard Fellay - http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV256_Esegesi_della_Tradizione.html

Luisa ha detto...

Un caro saluto a Dante Pastorelli che ritrovo stamattina con grande piacere, gli sono grata di aver rotto il suo silenzio qui, anche se solo per una volta, ritrovo non solo le sue conoscenze, che tanto mi hanno aiutata e per le quali gli sono grata, ma la sua "verve" che sa mettere i puntini là dove devono essere messi!

Anonimo ha detto...

ma perche' non lasciate in pace la coppia di Patmos? Lasciate che facciano le vacanze indisturbati. non curatevi di loro e dei loro vaneggiamenti.

Alfredo

mic ha detto...

Quel che c'era da dire lo abbiamo detto.
Nessuno di noi desidera farla più lunga del necessario.

Ringrazio di cuore Paolo Pastorelli, che ricordo con immutata stima ed amicizia.

Questa puntata - e speriamo non ce ne siano altre - per noi finisce qui.

Silente ha detto...

Sono ovviamente d'accordo con il Professor Pasqualucci. La mia totale solidarietà a Mic.