Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 12 marzo 2018

Due grandi sul Latino nella Liturgia

La Chiesa è una, santa, cattolica, apostolica e romana. La lingua latina contribuisce, per diversi versi, a ciascuna di queste proprietà mediante il suo genio (lingua imperiale) e la sua struttura ideale per esprimere i concetti con chiarezza e solidità di pensiero. Concorre efficacemente alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di governo e unità di culto. Tramite il suo uso ufficiale, il latino è in effetti la lingua di riferimento sia del Magistero, che del Diritto Canonico e della liturgia; Serve la santità della liturgia in quanto lingua sacra, ieratica, custode del mistero che veicola; Manifesta la cattolicità soprattutto con la consacrazione ricevuta, insieme all'ebraico e al greco, sul titulum della croce, ma anche grazie al suo uso universale e sovranazionale; Ѐ garante dell'apostolicità per mezzo del legame vivente con la Roma di San Pietro e con tanti Padri e Dottori della Chiesa che furono al tempo stesso l'eco degli Apostoli e gli artefici del latino liturgico. Accantonato il latino, intuibili le conseguenze. Più volte ci siamo appassionati a questo tema e chi fosse interessato ad approfondire può consultare l'indice dei precedenti.

Nell'opera Lettre Ouverte aux Protestants (les Controverses), di San Francesco di Sales (1567-1622), c'è un capitolo sulla profanazione che si commette usando il volgare nei sacri riti pubblici, capitolo nel quale questo grande Dottore di santa Madre Chiesa, dopo aver messo in evidenza i rischi inerenti a qualsivoglia traduzione della Sacra Scrittura, espone le ragioni che impongono l'uso di una lingua liturgica fissa: 

«Il Concilio di Trento proibisce di compiere in volgare i riti pubblici della Chiesa, e prescrive che si compiano in una lingua fissa, e secondo formule approvate dalla Chiesa stessa. Questa disposizione è giustificata dai motivi che io già esposi (tradurre e ritradurre continuamente nei vari idiomi volgari la Sacra Scrittura non giova: perciò non giova tradurre nei volgari i testi liturgici, in gran parte tratti dalla Sacra Scrittura stessa); poiché l'uso nei riti pubblici della Sacra Scrittura in volgare costituisce un pericolo tale da indurre a errare ciascuno a suo modo, non solo i giovani, ma anche gli adulti, non solo gli sconsiderati, ma anche i sapienti, non solo le donne, ma anche gli uomini, in una parola tutti, analfabeti e colti... Ma domandiamoci un po', per quale ragione ci sono di quelli che vogliono introdurre la Sacra Scrittura in volgare nel culto liturgico? Perché vi si apprenda la dottrina che vi è contenuta? Certamente detta dottrina non può essere appresa se qualcuno non toglie la scorza della lettera nella quale è contenuta. Verissimo! Ma io dichiaro controverses che il compito di rimuovere quella scorza non è affidato alla recitazione durante i sacri riti; bensì alla predicazione, grazie alla quale la Parola di Dio non solo è recitata, ma anche spiegata dal Ministro di Dio. Chi è mai così indottrinato e ferrato da poter comprendere, senza studio, le profezie di Ezechiele e degli altri Profeti, e dei Salmi stessi? A che dunque può servire al popolo di udirle (nella lingua volgare), se non per profanarle e metterle in dubbio? Or noi cattolici non dobbiamo in alcun modo tradurre i sacri riti nelle lingue particolari; che, anzi, siccome la nostra Chiesa è universale, di tutti i luoghi e di tutti i tempi, essa deve celebrare i sacri riti pubblici in una lingua universale nel tempo e nello spazio, quale è il latino in Occidente e il greco in Oriente: diversamente noi sacerdoti non sapremmo celebrare la Messa, né i fedeli seguirla, fuori delle nostre contrade. L'unità e la grande diffusione dei nostri fratelli richiede che recitiamo le preghiere pubbliche in una lingua che sia la stessa in qualsivoglia nazione; in questo modo le nostre preghiere saranno universali, grazie a tanta gente che, in ogni nazione, le può seguire in latino. In coscienza mi sembra che questa sola ragione sia sufficiente, poiché, a conti ben fatti, non risulta che le nostre preghiere dette in francese, siano seguite meglio, che se si dicono in latino».



* * *
Impressionante profezia
Il 7 marzo 1965 Paolo VI celebrava la prima messa in italiano.

«Poiché la riforma liturgica ha tra i suoi fini principali l'abolizione degli atti e delle formule mistiche, ne segue necessariamente che i suoi autori debbano rivendicare l'uso della lingua volgare nel servizio divino. Questo è uno dei punti più importanti agli occhi dei settari. Il culto non è una cosa segreta, essi dicono: il popolo deve capire quello che canta. L'odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell'universo, l'arsenale dell'ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l'arma più potente del papato. Lo spirito di rivolta, che li induce ad affidare all'idioma di ciascun popolo, di ciascuna provincia, di ciascun secolo la preghiera universale, ha del resto prodotto i suoi frutti, e i riformati sono in grado ogni giorno di accorgersi che i popoli cattolici, nonostante le loro preghiere in latino, gustano meglio e compiono con più zelo i doveri del culto dei popoli protestanti. A ogni ora del giorno ha luogo nelle chiese cattoliche il servizio divino; il fedele che vi assiste lascia sulla soglia la sua lingua materna; al di fuori dei momenti di predicazione egli non intende che accenti misteriosi, che cessano di risuonare nel momento più solenne, il canone della messa. E tuttavia questo mistero lo affascina talmente che non invidia la sorte del protestante, quantunque l'orecchio di quest'ultimo non intenda mai suoni di cui non capisce il significato. Mentre il tempio riformato, una volta alla settimana, riunisce a fatica i cristiani puristi, la Chiesa papista vede senza posa i suoi numerosi altari assediati dai suoi religiosi figli; ogni giorno essi si allontanano dal loro lavoro per venire ad ascoltare queste parole misteriose che devono essere di Dio, perché nutrono la fede e leniscono i dolori. Riconosciamolo, è un colpo maestro del protestantesimo aver dichiarato guerra alla lingua sacra: se fosse riuscito a distruggerla, il suo trionfo avrebbe fatto un gran passo avanti. Offerta agli sguardi profani come una vergine disonorata, la liturgia, da questo momento, ha perduto il suo carattere sacro, e ben presto il popolo troverà eccessiva la pena di disturbarsi nel proprio lavoro o nei propri piaceri per andare a sentir parlare come si parla sulla pubblica piazza. Togliete alla Église française le sue declamazioni radicali e le sue diatribe contro la pretesa venalità del clero, e andate a vedere se il popolo continuerà a lungo ad andare a sentire il sedicente primate delle Gallie gridare: "Le Seigneur soit avec vous"; e altri rispondergli: "Et avec votre esprit". Tratteremo altrove, in modo specifico, della lingua liturgica.»

(Dom Prosper Guéranger, "L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia" [vedi] - Institutions liturgiques, I², Paris, 1878, pp. 388-407. Traduzione italiana di Fabio Marino, pubblicata in "Civitas Christiana", Verona n° 7-9, 1997, 13-23)

18 commenti:

Unam Sanctam ha detto...

Da pieno sostenitore dell'uso del latino nella liturgia, devo pur segnalare che S. Pietro e S. Paolo predicarono e celebrarono sempre in Greco: l'uso del latino nella liturgia risale al IV secolo.
In ciò sbaglia anche (in altro passo) il Gueranger, volendo far assurgere il latino a lingua prediletta da Iddio, quand'invece sono altri (e meno improbabili e sensazionalistici) i motivi per cui essa ha il rango degnissimo di lingua sacra per l'Occidente.
Ho affrontato tal problema qui: http://traditiomarciana.blogspot.it/2017/12/la-questione-della-lingua-nella-liturgia.html?m=1

mic ha detto...

Il latino nella Liturgia inizia a diffondersi già dal II secolo.
Ma al di là della liturgia, qualche dato in più è ricavabile qui. Inoltre rimando all'indice linkato.

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/p/il-latino-una-lingua-sacra-da.html

mic ha detto...

Sempre per Unam Sanctam.
Grazie della segnalazione. Leggerò con attenzione e cerchiamo di integrare....

Anonimo ha detto...

OT ma molto interessante
DIV2395_Dominicus_Sedevacantismo_soluzione_o_diversione.html

Anonimo ha detto...

Importante OT (a mio giudizio)

Da Il Giornale stralci della lettera di Ratzinger a Viganò a proposito della CONTINUITA' INTERIORE del pontificato di Bergoglio rispetto a quello suo...


"ORA RATZINGER DIFENDE PAPA FRANCESCO: "BASTA STOLTI PREGIUDIZI CONTRO DI LUI"

"Dopo mesi segnati profondamente dalle polemiche intestine e dai dubia sollevati da diversi cardinali, a fare da schermo a Bergoglio è proprio Ratzinger che oggi ha scritto una lettera al prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Viganò. "Papa Francesco - si legge nella missiva - è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento".

L'occasione della pubblicazione della lettera di papa Benedetto XVI è stata presentazione della collana La teologia di Papa Francesco (edita dalla Lev), ma arriva alla vigilia del quinto anniversario dalla nomina di papa Francesco. Nella lettera Ratzinger plaude apertamente all'iniziativa editoriale che, a suo dire, "vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi".

Nella lettera personale inviata al prefetto della Segreteria per la comunicazione, il papa emerito ringrazia di aver ricevuto in dono gli undici libri scritti da altrettanti teologi di fama internazionale che compongono la collana curata da don Roberto Repole, presidente dell'Associazione Teologica Italiana. "I piccoli volumi - aggiunge Benedetto XVI - mostrano a ragione che papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la CONTINUITA' INTERIORE TRA I DUE PONTIFICATI, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento".

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ora-ratzinger-difende-papa-francesco-basta-stolti-pregiudizi-1504310.html

Anonimo ha detto...

Ratzinger: 'Basta stolto pregiudizio contro Bergoglio'
Lettera del Papa emerito per il V anno di pontificato di Francesco.
“Plaudo a questa iniziativa che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano di oggi”. Lo dice Benedetto XVI in una lettera per il quinto anno di pontificato di Bergoglio resa nota a margine di un incontro dal Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Viganò.
I volumi della collana “La Teologia di Papa Francesco” presentati oggi “mostrano a ragione che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento”, dice nel messaggio il Papa emerito Benedetto XVI.
ANSA | 12-03-2018 17:46
E voi che dicevate che non ha la laurea!

matteo ha detto...

OT....
Celestino V fece meno danni...

Anonimo ha detto...

E voi che dicevate che non ha la laurea!

Se Ratzinger dice che il sole è verde, il sole non diventa verde.

Anonimo ha detto...

https://twitter.com/Don_Lazzara/status/972936003735445506/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw&ref_url=http%3A%2F%2Fwww.cantualeantonianum.com%2F

Anonimo ha detto...


Se Ratzinger dice che il sole è verde, gli orfani di Ratzinger si precipitano a dire che il sole è verde e fessi noi che non ce ne eravamo mai accorti prima.
Z.

Anonimo ha detto...

@ matteo, che dice:
"Celestino V fece meno danni..."

Celestino V non fece alcun danno. Pontefice santo, incompreso e diffamato. Si tratta di nozioni e giudizi superati dalla storiografia più recente, come risulta da quel che è stato pubblicato, negli ultimi decenni, dal benemerito Centro di Studi Celestiniani dell'Aquila. Cito da un articolo letto recentemente, che fa il punto:

Cosa possiamo dire del breve Pontificato di Celestino? In verità, la storiografia di ogni epoca è stata con lui molto, troppo severa, influenzata certamente anche da quel passo della Commedia di Dante che, in colui che fece per viltade il gran rifiuto[*1], e per questo collocato nell’Antinferno, volle riconoscere proprio lui, l’eremita divenuto Papa. Ma gli studi più aggiornati e approfonditi hanno mutato di molto questa stroncatura: l’antica immagine vulgata di un Pietro ‘homo simplex’, eremita solitario e ascetico strappato alla sua cella e travolto dopo l’assunzione al pontificato in un giuoco politico più grande di lui, che non comprende interamente, ma non accetta, non corrisponde alla realtà storica effettiva del personaggio. Celestino fu al contrario una personalità forte e coraggiosa che avvertì l’incompatibilità tra la sua visione religiosa ed ecclesiale e le modalità storiche in cui il potere veniva esercitato[*2].




[*1] DANTE, Inf. III,58-60. Va detto che Celestino V non “rifiutò”, ma “rinunciò” all’altissima carica; ed inoltre mai Dante avrebbe collocato all’Inferno un personaggio già dichiarato Santo dalla Chiesa (la canonizzazione è del 1313, la pubblicazione della Commedia è del 1319 circa). Qualche più recente studioso sostiene piuttosto che il Poeta volesse alludere alla rinuncia al Soglio fatta dal card. Matteo Rosso Orsini, che pare essere stato effettivamente eletto al primo scrutinio, dieci giorni dopo la rinuncia dell’eremita del Morrone. A seguito di ciò si ebbe l’elezione del card. Benedetto Caetani, che prese il nome di Bonifacio VIII, di cui Dante disapprovava, anche per motivi personali, la condotta nonché le ingerenze in campo politico. Proprio per questo egli lo collocò nella bolgia dei simoniaci (Inf. XIX,52-57).
[*2] A. BARTOLOMEI ROMAGNOLI, Religione popolare e magia nei miracoli di Celestino V, in Celestino V tra storia e mito. Atti del 7° Convegno storico del Centro Celestiniano, ed. W. Capezzali, L’Aquila 1994, p. 21.

(segue)

Anonimo ha detto...

(termino)

Ogniqualvolta si cita a sproposito Celestino V-Pietro del Morrone, si parla di lui come di un eremita incolto e sprovveduto, quando invece tutte le fonti ci riportano che seguì un normale percorso di studi a Roma, dove venne ordinato (celebrò la sua Prima Messa in San Pietro in Montorio); aveva le capacità organizzative necessarie a che la sua opera spirituale più notevole, la fondazione della Congregazione c.d. "dei Celestini", si espandesse in tutta Italia e in diversi stati d'Europa; possedeva le attitudini e l'eloquio necessari a difendere la sua Congregazione, come dimostrò concretamente nel corso del Concilio di Lione, dove egli si recò espressamente, al fine di convincere il Papa a soprassedere, anzi ad escludere la sua Congregazione dal decreto di soppressione; Celestino era in contatto diretto con alti prelati e cardinali, coi quali intratteneva rapporti personali, che difatti pensarono a lui per venir fuori dall'impasse determinatasi nel Conclave riunito a Perugia, che lo elesse al Soglio, dopo una Sede vacante di due anni.


Celestino V non fece danni, ma segnò una via. Non era un cavernicolo un po' sempliciotto, appiattatosi per una vita intera nei suoi eremi della Majella e del Morrone, non un predicatore mancato perché sprovvisto di facondia a motivo della sua origine umile, o un chierico ripiegato su se stesso, perché timoroso del mondo e delle sue lusinghe, ma un uomo di preghiera, che solo nel nascondimento riusciva ad intessere il suo colloquio con Dio, a beneficio della Chiesa intera, che nel declinare dei suoi anni mortali egli sarebbe stato chiamato a guidare.

Sarebbe utile approfondire ulteriormente il significato profetico di questa figura, anche per quel che concerne la sua rinuncia al Papato, ma ciò ci porterebbe troppo lontano, probabilmente fuori tema.

CIESSE ha detto...

(§) 20. “Kantius genuit Kierkegaardium, Kierkegaardius genuit autem Coxium, ita Coxius genuit Ratzingerium, Ratzingerius vero genuit Martinum, Martinus denique genuit Bergolium et universa pecora.” (da: E.M. Radaelli AL CUORE DI RATZINGER, AL CUORE DEL MONDO, pag. 78. Per la presentazione del libro e l’INDICE: http://enricomariaradaelli.it/emr/aureadomus/convivium/convivium_al_cuore_di_ratzinger.html)

Anonimo ha detto...


Ma "Coxius" chi sarebbe?

Anonimo ha detto...

https://www.pre1955holyweek.com/home-italiano

La Settimana Santa antica, prima della riforma del 1955

Anonimo ha detto...

Questa mattinata impegnata in compere utili son passata per SS.Trinita' con l'intento di far celebrare S.Messe in onore di S.Giuseppe sia per la Chiesa Cattolica che per la nostra amata Italia , nonche' in riparazione dei peccati miei e della mia famiglia , senonche' ho trovato Padre........in ginocchio , immerso nella preghiera , per cui non ho avuto il coraggio di disturbarlo .
Riprovero' domani ( se Dio vuole ) .
P.S.Non c'e' cosa piu' edificante di un Prete che prega ! Mi ha riempito l'anima di commozione .

Anonimo ha detto...

O.K. Operazione compiuta !
Le intenzioni sono quelle di cui sopra + la Santificazione dei Sacerdoti (tutti).

mic ha detto...

Grazie. Dovremmo farlo ognuno nella fua parrocchia.