Il mese di marzo è dedicato dalla tradizione della Chiesa a S. Giuseppe, lo sposo di Maria e il padre verginale di Gesù. Sono questi due attributi che inseriscono a titolo unico Giuseppe di Nazareth, l’umile falegname, nel mistero di Dio, rendendolo partecipe così da vicino della Redenzione. S. Giuseppe è scelto da Dio quale custode nel tempo dei suoi misteri, custode di Gesù e di Maria. Su di lui si rivolge la predilezione unica del Padre che lo designa quale padre del suo Figlio e Sposo della sua Figlia. Nelle sue mani sono consegnati i tesori di Dio. È lui il tesoriere di Dio, eppure un’aura di silenzio e di profonda umiltà lo avvolge. Le cose grandi di Dio sono avvolte dall’umiltà, dal nascondimento. Sono grandi proprio nella misura in cui sono piccole agli occhi degli uomini. Facendosi piccoli si diventa grandi. Non è forse questo il paradosso più visivo del Vangelo? L’umile falegname di Nazareth lo incarna dal vivo. Giuseppe è “aggiunto da Dio” alla sua famiglia perché si tratteggiassero scultoreamente i lineamenti di una paternità e di una sponsalità che sanno di grandezza umile e di piccolezza sapiente.
S. Giuseppe è una figura che affascina per la grandezza della sua vocazione che si cela tra le righe di sparute vicende familiari, intessute per di più di triboli e di spine. Tuttavia, se ci si cala in attenta contemplazione in quelle poche informazioni che di lui abbiamo, vi si scorge una figura maestosa. Matteo ama definire S. Giuseppe l’“uomo giusto”. È un attributo che l’evangelista gli applica di passaggio, per spiegare il motivo della sua prudente decisione di fronte al concepimento della sua moglie che credeva e riconosceva santa e abitata dal mistero. Dinanzi al mistero, Giuseppe temendo di intralciare la volontà di Dio, si ritira. È proprio delle persone umili mettersi da parte per fare spazio a Dio. Giuseppe che amava il nascondimento e soprattutto che amava il Dio nascosto, desiderava occultarsi per fare spazio a Lui nella vicenda della sua sposa. “Giuseppe suo sposo – dice l’evangelista – che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1, 19).
È molto probabile che l’evangelista abbia attinto queste informazioni così intime dalla famiglia di Giuseppe, ovvero dai suoi più intimi di Nazareth, senza che si debba ricorrere a numerose acrobazie esegetiche, come ad esempio ad una riflessione a ritroso dell’agiografo partendo dai fatti della vita pubblica del Signore, per poi in definitiva, mettere in discussione la storicità di queste stesse informazioni.
Giuseppe dunque era “giusto”, di una giustizia che lo rendeva come già gli antichi patriarchi, un uomo di Dio, un uomo di fede e di obbedienza alla volontà di Dio. Giuseppe aveva creduto al Dio dell’Alleanza senza tentennamenti. Aveva offerto a Lui la sua vita e, da pio israelita, meditava la Parola del Signore notte e giorno. Col Salmista, nel segreto della sua stanza interiore, rivolgeva a Dio la sua preghiera: “Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore. Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi, perché in esso è la mia gioia” (Sal 118, 34).
Una prefigurazione molto bella di S. Giuseppe, uomo giusto per antonomasia, che davvero spera contro ogni speranza (cfr. Rm 4, 18), è il patriarca Abramo. Come già Abramo aveva creduto, senza mai vacillare nella fede (cfr. Rm 4, 19), così il nostro novello Patriarca (nel senso etimologico di “primo padre”) crede fermamente in Dio, si affida alla sua volontà, obbedisce. Mentre Giuseppe pensava nel suo cuore di allontanarsi dalla sua Sposa avvolta da un aureo mistero, un angelo del Signore gli apparve e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1, 20). Il giusto Giuseppe non ha bisogno di altro. Sebbene si trovi ora anch’egli avvolto dal mistero: un angelo gli parla e gli annuncia un concepimento soprannaturale della sua Sposa per opera dello Spirito Santo, capisce e crede. Crede con l’obbedienza della fede. Da qui si evince la giustizia di S. Giuseppe, la sua santità: non è estraneo al mistero, non rimane titubante dinanzi a quel quadro del tutto sorprendente. Giuseppe era un uomo di preghiera, abituato a dialogare con Dio. Era anche avvezzo a trascendere gli avvenimenti della vita e a leggerli alla luce della fede e della volontà di Jahvè. Finalmente destatosi dal sonno, come risvegliatosi da un intimo colloquio con l’Altissimo, “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Mt 1, 24-25).
Di nuovo, poi, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli ordinò di fuggire in Egitto a causa della violenta persecuzione di Erode. Giuseppe quale novello Abramo, lascia la sua terra, prende i suoi tesori più cari e fugge in Egitto. Va verso l’ignoto: una casa, un lavoro…? Giuseppe era un uomo santo. Si affida alla volontà di Dio e obbedisce. Iddio provvederà: ci sarà Lui. L’esilio presto finirà e Giuseppe ritornerà, obbedendo ancora alla voce dell’angelo, nella sua terra. Riconsegnerà a quella terra benedetta il suo sole, il suo sale.
Come Abramo, infine, a cui Dio chiedeva il suo unico figlio – Abramo sapeva però che Dio può far nascere dei figli anche dalle pietre (cfr. Mt 3, 9) – e non aveva esitato ad accettare la sua volontà, così Giuseppe accoglie la volontà del Padre che gli dona il suo Figlio e gli chiede di custodirlo, di allevarlo e di educarlo (nel senso etimologico di “condurlo”) al grande giorno dell’immolazione cruenta. Pur non avendo lui stesso offerto il Figlio nel momento sublime del Calvario – quello che invece farà la sua Madre; lui, lo aveva fatto in signo nella presentazione di Gesù al tempio –, Giuseppe aveva disposto tutto perché suo Figlio si preparasse durante la crescita umana al momento culminante della sua vita terrena: il sacrificio della Croce. Come Gesù è il vero Isacco, così Giuseppe di Nazareth – come già la sua sposa Maria – è il vero Abramo. S. Giuseppe che aveva accolto il Figlio di Dio e lo avevo custodito, era cosciente che quel Figlio doveva fare la volontà del Padre (cfr. Lc 2, 49). Obbediente, lo restituisce in sacrificio con tutto il suo amore paterno e, silenzioso, esce di scena; si addormenta in Dio per essere poi risvegliato dal Figlio vincitore del peccato e della morte. Giuseppe fu il primo giusto verso il quale Cristo protese la sua mano.
Pochi tratti ma davvero sublimi che scolpiscono una figura altissima di santità: Giuseppe di Nazareth, “uomo giusto”; un Santo che parlava “faccia a faccia” con Dio.
15 commenti:
Quando il teologo non sarà più viator e avrà ricevuto la visione beatifica, vedrà immediatamente in Verbo la vita intima di Dio, la Deità o essenza divina, e afferrerà nella piena luce le verità che prima conosceva per fede, potendo anche vedere extra Verbum le conclusioni che se ne possono dedurre. In cielo la teologia esisterà allo stato perfetto con l'evidenza dei principi, mentre in via esiste allo stato imperfetto ...Da ciò, per San Tommaso e la sua scuola ne consegue che la teologia è una scienza subalterna a quella di Dio e dei beati e che è anche una sapienza, specificatamente superiore alla metafisica, ma inferiore alla fede infusa. È un habitus acquisito con il lavoro, di cui però la radice è essenzialmente soprannaturale. Così che se il teologo perdesse la fede infusa per un peccato grave contro questa virtù teologale, in lui resterebbe soltanto il cadavere della teologia, un corpo senz'anima, perché egli aderisce più formalmente e infallibilmente alle verità rivelate che sono i principi della teologia; tuttalpiù aderisce materialmente a quelle verità che vuol conservare ex proprio iudicio et propria voluntate.
Garrigou-Lagrange, La sintesi tomista, p. 83
PREGHIERA PER IL GIORNO DELLA FESTA DEL SANTO PATRIARCA GIUSEPPE, PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE
- 19 MARZO
Ti onoriamo, o glorioso San Giuseppe! perché sei il Santo più onorato del cielo e della terra. Dio Padre ti onorò affidando alla tua custodia il suo Figlio Gesù e la sua Figlia Maria, i due tesori più amati del suo cuore. Dio Figlio ti onorò chiamandoti Padre, obbedendoti e affidando la sua vita e la sua cura nelle tue mani. Lo Spirito Santo ti onorò consegnandoti la sua Sposa, la Vergine Maria, come tua sposa. Gesù e Maria, dopo averti onorato standoti sottomessi per trent'anni consecutivi, assistettero alla tua preziosa morte. La Chiesa ti onora istituendo feste in tuo onore, chiamandoti Patrono della Chiesa Universale, assicurando che degno di sommi onori e lodi. I Santi e i fedeli, tutti ti invocano con perseveranza, con entusiasmo e amore sempre crescente, come Santo senza eguali, che soccorre in tutte le necessità, che difende in tutte le difficoltà, consola in tutte le tribolazioni, e protegge in tutte le disgrazie della vita, e in modo speciale, nell'ora della morte.
In dignità e grazia, in santità e gloria, non troveremo nessun altro Santo, dopo Maria, più onorato da Dio e dagli uomini che Te, glorioso Patriarca. Cosa non potresti ottenere, benedetto Santo, in favore dei tuoi devoti? Le tue suppliche hanno la forza di un comando con Gesù e Maria. Chi è come Te, che in cielo può chiamare Figlio il Re della gloria e Sposa Maria, Regina del cielo e della terra? Tutti speriamo e confidiamo in Te, perché in vita possiamo conoscere, amare e servire Gesù, Maria e Te, e dopo la nostra morte godere in Vostra compagnia la misericordia eterna dell'Altissimo. Amen.
E’ l’ora di san Giuseppe, patrono della Chiesa e avvocato della famiglia. Invochiamone la protezione
di Cristina Siccardi-
Celebrare la festa di san Giuseppe del 19 marzo (i primi furono i monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399; venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V e resa obbligatoria nel 1621 da Gregorio XV) significa rendere onore liturgico al Patrono universale della Chiesa e all’avvocato di ogni famiglia. Oggi più che mai occorre pregare ed implorare la sua intercessione per l’una e per l’altra realtà. Alla Vergine Maria si tributa il culto di iperdulia (al di sopra di tutti i Santi), mentre a san Giuseppe il culto di proto dulia (primo fra tutti i Santi).
Santa Teresa d’Avila affidò sempre a lui la risoluzione dei suoi problemi e dei suoi affanni e mai San Giuseppe la deluse. Lasciò scritto la mistica spagnola: «Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede». Perciò, «qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada», infatti, «ho visto chiaramente che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare» (Vita, VI, 5-8).
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Come implorarlo per le necessità? La Chiesa invita a pregarlo, in particolare, praticando la devozione del Sacro Manto di San Giuseppe (risalente al 22 agosto 1882, data in cui l’Arcivescovo di Lanciano, Monsignor Francesco Maria Petrarca, la approvò: orazioni da recitarsi per 30 giorni consecutivi in ricordo dei 30 anni del casto sposo di Maria Santissima a fianco e a tutela di Gesù). Un Manto che molto potrebbe ottenere nell’anno del centenario di Nostra Signora di Fatima, perché, proprio a Fatima, anche san Giuseppe apparve. Era il 13 ottobre 1917, ultima delle apparizioni mariane alla Cova d’Iria.
Pioveva a dirotto. Racconterà suor Lucia: «Arrivati (…) presso il leccio, spinta da un istinto interiore, domandai alla gente che chiudesse gli ombrelli, per recitare la Corona. Poco dopo, vedemmo il riflesso di luce e subito dopo la Madonna sopra il leccio» (Quarta Memoria di Lucia dos Santos, in A.M. Martins S.j., Documentos. Fátima, L.E. Rua Nossa Senhora de Fátima, Porto 1976, p. 349). «Cosa vuole da me?». «Voglio dirti che facciano qui una cappella in Mio onore; che sono la Madonna del Rosario; che continuino sempre a dire la Corona tutti i giorni» (Ivi, pp. 349; 351).
A questo punto Lucia chiese se poteva guarire malati e convertire peccatori, la Madonna disse che non tutti avrebbero ricevuto la grazia: «Devono emendarsi; chiedano perdono dei loro peccati» e, con un aspetto più triste, non «offendano più Dio Nostro Signore, che è già tanto offeso» (Ivi, p. 351). In seguito la Madonna aprì le mani, che emanavano luce, e le fece riflettere e proiettare nel sole. Lucia allora gridò a tutti di guardare l’astro in cielo. Mentre la Madonna si elevava congedandosi, il riflesso della sua luce continuò a proiettarsi nel sole. E accanto al sole apparvero ai veggenti: san Giuseppe, il Bambino Gesù, la Madonna, vestita di bianco, con il manto azzurro. San Giuseppe e il Bambino benedicevano il mondo: la Sacra Famiglia si presentò nel suo splendore celeste per assicurare la protezione in terra. Poi Maria Vergine divenne Addolorata, con aspetto simile alla Madonna del Carmine.
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Allo stesso modo Leone XIII, nell’enciclica Quamquampluries del 15 agosto 1889, afferma: «è affermata l’opinione, in non pochi Padri della Chiesa, concordando su questo la sacra liturgia, che quell’antico Giuseppe, nato dal patriarca Giacobbe, aveva abbozzato la persona e i destini di questo nostro Giuseppe e aveva mostrato col suo splendore, la grandezza del futuro custode della sacra famiglia». La stessa interpretazione venne espressa da Pio XII quando istituì la festa di san Giuseppe artigiano nel 1955. Possa il paterno discendente del Re Davide infondere nei responsabili terreni della Chiesa e nei genitori un poco del suo virile coraggio proveniente dalla sua indefettibile Fede.
"... Giuseppe era un uomo di preghiera, abituato a dialogare con Dio. Era anche avvezzo a trascendere gli avvenimenti della vita e a leggerli alla luce della fede e della volontà di Jahvè..."
"... Così che se il teologo perdesse la fede infusa per un peccato grave contro questa virtù teologale, in lui resterebbe soltanto il cadavere della teologia..."
San Giuseppe, Fede viva. Un cadavere oggi, gran parte della teologia.
All’annuale, bella processione della Madonna Addolorata (solennità della domenica precedente la domenica delle palme) il neoclero modernista della neochiesa bergogliana gnostica e massonica (diabolica contraffazione della bimillenaria Chiesa Cattolica) non ha mancato di fare la solita propaganda immigrazionista ad oltranza; una semplice, breve citazione chiarirà il concetto:
Stralcio dell’ articolo del Corriere delle Alpi di lunedì 19 marzo 2018 :
La processione. Come da tradizione, alle 16 è iniziata la processione della Madonna dei sette dolori, con la partecipazione del Vescovo Renato Marangoni, del parroco del Duomo, delle autorità e delle associazioni combattentistiche. Un momento (l’unico) che ha attirato molta gente in centro storico.
Il Vescovo ha fatto un richiamo ai dolori della Madonna, «che trafiggono anche i nostri concittadini» e che chiamano all’aiuto solidale la comunità. «Belluno città splendente, di cosa devi splendere?», ha aggiunto poi. «Della passione per il tuo territorio, della passione per gli altri, chiunque essi siano....».
Preghiera di consacrazione e affidamento dell’Italia a S. Giuseppe – di Don Stefano Lamera
San Giuseppe, sposo di Maria santissima, Madre di Gesù e Madre dell’umanità, che ha voluto la nostra Italia disseminata dei suoi Santuari e che sempre ha guardato ad essa con lo stesso amore di predilezione con cui l’ha guardata Gesù, che volle sede stabile del suo Vicario in terra, il Papa. A te, oggi, noi consacriamo e affidiamo questa amata Italia e la sue famiglie. Custodiscila, difendila, proteggila! Sia pura la fede, siano santi i Pastori, siano copiose le vocazioni, sia sacra e difesa la vita, siano sani i costumi, siano ordinate le famiglie, sia cristiana la scuola, siano illuminati i governanti, regni ovunque amore, giustizia e pace.
Custodisci, difendi, proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, i nostri giovani, speranza di un mondo migliore, e gli anziani, radici della nostra fede e maestri di vita.
Ottienici con la tua potente intercessione, unita a quella della tua Santissima Sposa, uomini nuovi che abbiano il coraggio di abrogare le inique leggi contro Dio e contro l’uomo, ereditate da un triste ed oscuro passato.
Con la tua protezione, o san Giuseppe, continui l’Italia ad essere centro vivo di civiltà cristiana, faro di luce evangelica a tutto il mondo, terra di santi per la gloria del Padre Celeste e per la salvezza di tutti gli uomini.
E, come un tempo scampasti dalla morte la minacciata vita del Bambino Gesù, così difendi la santa Chiesa di Dio e la fede delle nostre famiglie da tutte le oscure insidie del male.
Gesù, Giuseppe e Maria, benedite, proteggete, salvate l’Italia! Ritorni con il vostro aiuto, e per la vostra intercessione, a spalancare le porte a Cristo. Amen.
Per chi non ci avesse mai fatto caso, San Giuseppe si rese protagonista di una decisione straordinariamente obbediente alla volontà di Dio, ancor più eccezionale di quella ricordata dal vangelo della Santa Messa odierna, quando rinunciò alle azioni che la legge gli avrebbe consentito nei confronti di Maria.
E’ interessante riandare alla scelta di recarsi a Betlemme: pur nel contesto di un decreto di Augusto (Lc 2,1), Maria era prossima al parto. Per quanto l’ordine fosse stato perentorio, la scelta di Giuseppe, capofamiglia, dal punto di vista della donna sarebbe insensata.
Perché dunque non partire qualche tempo prima? Il censimento a quei tempi durava molto tempo e non era certo un’operazione che si improvvisava e le fonti storiche accreditano l’ipotesi che un censimento all'epoca fosse in corso da alcuni mesi. O perché non partire qualche tempo dopo il parto, non d'inverno, la primavera successiva?
Invece, allo scadere del nono mese di gravidanza, Maria si sottopone a circa 150 Km di viaggio a piedi o a dorso di mulo, per andare da Nazaret a Betlemme. Ad impiegarci poco servivano tre giorni di viaggio (ipotizzando normalmente 10 ore di cammino al giorno a circa 5 km all’ora di media). Per una donna al nono mese di gravidanza sicuramente ci volle di più. La nascita di Gesù avviene proprio in corrispondenza dell’arrivo nella città di Davide, né prima né dopo, quasi come ad un appuntamento preciso.
Tra la spiegazione di un comando degli occupanti stranieri e di una banale casualità mista ad incoscienza, non va trascurata l’ipotesi che Giuseppe e Maria ricevettero davvero ordini “superiori”, certamente “dall’alto”, effettivamente urgenti, tali da doversi recare a Betlemme prima che Gesù nascesse!
Se non fossero partiti immediatamente, Gesù sarebbe nato a Nazaret.
Michea allora di chi avrebbe profetizzato?
Ecco perché anche San Giuseppe ha dovuto dire il suo “sì” di fede, risolvendosi a partire in fretta, contro ogni logica umana.
Nel vangelo di San Giovanni proprio sabato scorso ci siamo imbattuti in un brano (Gv 7, 42-53) nel quale traspare l’ironia di chi era perfettamente al corrente delle origini betlemite del Signore, ritenuto un galileo, il nazareno, da chi -tronfio del proprio sapere- intima agli ignoranti di studiare…
San Giovanni nel suo vangelo non parla esplicitamente del Natale, ma inizia il suo vangelo definendo Gesù la luce del mondo e poi introduce questo riferimento alla festa delle luci. Gesù l’ultimo giorno della festa, il grande giorno, fa riferimento alla nascita del messia non in Galilea, ma a Betlemme.
Una polemica su Gesù aveva questa causa geografica: l’uomo che stava scuotendo gli animi veniva da Nazaret; pochissimi sapevano che era nato a Betlemme.
La gente lo riteneva il Messia, Gesù stesso non stava nascondendo più il proprio ruolo (Gv 8, 25-59), ma c'era un problema: se il Messia deve venire da Betlemme, la città del re Davide, come era stato profetizzato (Mic 5,1-2), come poteva esserlo un galileo?
Gesù stesso lo sottolinea, lodando Natanaele che si chiede che cosa possa venir di buono da Nazaret, visto che gli si parla di un Messia che non può venir di lì (Gv 1,45-47).
Era già tutto "a posto" da più di trent'anni.
San Giuseppe ricevette l’ordine di portare Maria a Betlemme.
Non fu un ordine dell’imperatore, ma venne da molto più “in alto”.
E lui, santo, disse il suo sì e obbedì, degno sposo di una simile sposa.
r.s.
bello:
https://www.youtube.com/watch?v=TlLfodK-xBg
Dom Prospero Guéranger:
Una dolce gioia ci viene a consolare nel cuore della Quaresima la cara presenza di Giuseppe, lo Sposo di Maria e il Padre putativo del Figlio di Dio.
Il Protettore della verginità di Maria.
Al Figlio di Dio che veniva sulla terra a rivestire l'umanità, occorreva una Madre, e questa Madre non poteva essere che la più pura delle Vergini, perché la sua divina maternità non doveva affatto alterarne l'incomparabile verginità. Ora, sino a quando il Figlio di Maria non fosse riconosciuto per il Figlio di Dio, l'onore della Madre esigeva un protettore: un uomo doveva essere destinato alla gloria di Sposo di Maria; e quest'uomo fu Giuseppe, il più casto degli uomini.
Il Padre putativo di Gesù.
La sua gloria non consiste soltanto nell'essere stato, scelto a proteggere la Madre del Verbo incarnato; egli doveva esercitare una paternità adottiva sullo stesso Figlio di Dio. I Giudei ritenevano Gesù figlio di Giuseppe. Nel tempio, alla presenza dei dottori della legge, che il divino adolescente aveva meravigliato con la sapienza delle risposte e delle domande, Maria rivolse così la parola a suo figlio: "Tuo padre ed io ti cercavamo ansiosi" (Lc 2,48); ed il santo Vangelo aggiunge che Gesù era soggetto a Giuseppe ed a Maria.
Grandezza di san Giuseppe.
Chi potrebbe concepire e degnamente narrare i sentimenti che riempivano il cuore di quell'uomo che il Vangelo ci descrive con una sola parola, chiamandolo l'uomo giusto? (Mt 1,19). Un affetto coniugale rivolto alla più santa e alla più perfetta delle creature di Dio; l'ambasciata celeste portata dall'Angelo che gli rivelò il frutto della salvezza che portava in seno la sua sposa e l'associava come unico testimone sulla terra all'opera divina dell'Incarnazione; le gioie di Betlem nell'assistere alla nascita del Bambino, nel colmare di onori la Vergine-Madre e nell'udire gli angelici concenti; quando vide arrivare presso il neonato i pastori, seguiti dai Magi; l'allarme che venne ad interrompere sì bruscamente tanta felicità, quando, nel cuore della notte, dovette fuggire in Egitto con il Fanciullo e la Madre; le asprezze dell'esilio, la povertà, la nudità, alle quali furono esposti il Dio nascosto del quale egli era il sostegno e la sposa verginale di cui ammirava sempre più la dignità; il ritorno a Nazaret, la vita umile e laboriosa che condusse in questa città, dove tante volte i suoi occhi inteneriti contemplarono il Creatore del mondo che s'univa a lui in un umile lavoro; finalmente, le delizie di questa esistenza senza pari, nella casa abbellita dalla presenza della Regina degli Angeli e santificata dalla maestà del Figlio eterno di Dio; mentre entrambi onoravano lui, Giuseppe, come capo della famiglia che univa intorno a lui coi vincoli più teneri il Verbo increato, Sapienza del Padre, e la Vergine, capolavoro senza confronti della potenza e della santità di Dio.
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Il primo Giuseppe.
No, nessuno mai al mondo potrà comprendere le grandezze di Giuseppe. Per penetrarne la profondità, bisognerebbe abbracciare tutta l'estensione del mistero col quale la sua missione lo mise in rapporto quaggiù, quale strumento necessario. Non ci meravigliamo perciò che il Padre putativo del Figlio di Dio sia stato raffigurato nell'Antica Alleanza sotto le sembianze d'un Patriarca del popolo eletto. San Bernardo spiega molto bene tale relazione: "Il primo Giuseppe, egli dice, venduto dai fratelli, e per questo figura di Cristo, fu portato in Egitto; il nuovo, che sfugge alla gelosia d'Erode, porta Cristo in Egitto. Il primo Giuseppe, serbando fedeltà al suo padrone, rispettò la sposa di costui; il secondo, non meno casto, fu il custode della sua Sovrana, della Madre del suo Signore, e il testimone della sua verginità. Al primo fu data l'intelligenza dei segreti rivelati nei sogni; al secondo furono confidati gli stessi misteri del cielo. Il primo conservò le provviste del grano non per sé ma per tutto il popolo; il secondo ebbe in sua custodia il Pane vivo disceso dal cielo, per sé e per il mondo intero" (2.a Omelia sul Missus est).
Morte di san Giuseppe.
Una vita così meravigliosa non poteva terminare che con una morte altrettanto degna. Era giunta l'ora che Gesù doveva uscire dall'oscurità di Nazaret e manifestarsi al mondo. Ormai la sua celeste origine doveva ricevere la testimonianza delle opere: dunque il ministero di Giuseppe era terminato. Era tempo che lasciasse questo mondo, per andare ad attendere, nel riposo del seno d'Abramo, il giorno in cui le porte dei cieli si sarebbero spalancate ai giusti. Accanto al suo letto di morte vegliava il padrone della vita, che tante volte l'aveva chiamato col nome di Padre; la più pura delle vergini, la sua Sposa, ricevette il suo ultimo respiro. Assistito e circondato dal loro affetto, Giuseppe s'addormentò nel sonno della pace. Ora lo Sposo di Maria ed il Padre putativo di Gesù regna in cielo in una gloria senza dubbio inferiore a quella di Maria, ma ornato di prerogative che nessun altro possiede.
Patrono della Chiesa.
Di lassù egli spande, su coloro che lo invocano, il suo potente patrocinio. Ecco quanto dice, con linguaggio ispirato, la liturgia della Chiesa: "O Giuseppe, vanto dei celesti, speranza dei mortali, sostegno del mondo!" Quale grande potere in un uomo! Ma nessuno, come lui, ebbe sulla terra rapporti così intimi col Figlio di Dio. Gesù si degnò di essergli sottomesso e in cielo, ora, vuole glorificare colui al quale affidò, quaggiù, la sua infanzia e l'onore di sua Madre. Non ci sono limiti al potere di san Giuseppe e la Chiesa ci invita, oggi, a ricorrere, con molta fiducia, a questo potente protettore. Invochiamolo nelle terribili prove della vita ed egli ci proteggerà: nei pericoli dell'anima e del corpo, nelle prove e nelle crisi sia temporali che spirituali, abbiamo fiducia in lui e la nostra speranza non verrà ingannata. Diceva il Re d'Egitto al suo popolo affamato: "Andate da Giuseppe"; il Re del Cielo ci ripete quello stesso invito; e il fedele custode della Vergine Maria ha, presso Dio, assai più potere di quanto ne avesse, presso il Faraone, il sovraintendente ai granai di Menphis.
La rivelazione di questo aiuto potente predisposto dall'eternità, è stata dapprima fatta conoscere da Dio a certe anime privilegiate alle quali venne affidata come un prezioso germe: precisamente come si verificò per la festa del Santissimo Sacramento, per la festa del Sacro Cuore e per altre ancora. Nel XVI secolo, santa Teresa, i cui scritti saranno in seguito conosciuti in tutto il mondo, ricevette una rivelazione divina a questo riguardo e ne parlò nella sua Vita.
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Santa Teresa e san Giuseppe.
Ecco quanto dice: "Invoco san Giuseppe come patrono e protettore e non cesso di raccomandarmi a lui: il suo soccorso si manifesta in modo visibilissimo. Questo tenero protettore dell'anima mia, questo amabilissimo padre, si degnò di trarmi dallo stato in cui languiva il mio corpo e di liberarmi da pericoli assai più gravi che minacciavano il mio onore e la mia salvezza eterna. In più, mi ha esaudita sempre, più di quanto sperassi e di quanto chiedessi. Non ricordo di avergli chiesto qualcosa e che non me l'abbia accordato. Quale ampio quadro io potrei esporre, se mi fosse accordato di conoscere tutte le grazie di cui Iddio m'ha colmata e i pericoli, sia dell'anima che del corpo, da cui m'ha liberata per intercessione di questo amabilissimo Santo! L'Altissimo dona ai santi quelle grazie che servono per aiutarci in certe circostanze; il glorioso san Giuseppe - e lo dico per esperienza - estende il suo potere su tutto. Con questo, il Signore vuole mostrarci che, come un giorno fu sottomesso all'autorità di Giuseppe, suo padre putativo, così ancora in cielo, si degna di accettare la sua volontà, esaudendo i suoi desideri. Come me, l'hanno costatato per esperienza, quelle persone alle quali ho consigliato di raccomandarsi a questo incomparabile protettore; il numero delle anime che lo onorano cresce di giorno in giorno, e i felici successi della sua mediazione confermano la verità delle mie parole".
Per soddisfare questi desideri e per venire incontro alla devozione del popolo cristiano, il 10 settembre 1847, Pio IX estese alla Chiesa universale la festa del Patrocinio di san Giuseppe che fino allora era celebrata soltanto dai Carmelitani e da qualche chiesa. In seguito, san Pio X aumentò il valore di questa festa, onorandola di una Ottava e Pio XII, volendo dare un particolare patrono a tutti gli operai del mondo, ha istituito una nuova festività da celebrarsi il 1° Maggio; per questo motivo, venne soppressa quella del secondo mercoledì dopo Pasqua, e la festa del 19 marzo ricorda san Giuseppe quale Sposo della Vergine e Patrono della Chiesa universale.
Castità, verginità, famiglia sono argomenti che bisogna trattare avendo davanti ad i nostri occhi la Sacra Famiglia. Non passa giorno che non si ha notizia di morti ammazzati all'interno della famiglia. Bisogna affrontare il problema seriamente. Certamente i diavolo è scatenato anche su questo fronte, anzi molto di più che su altri fronti. Dobbiamo però fare tutto il possibile per invertire questa rotta infernale.Ognuno di noi può e deve lavorare su se stesso e sulla propria famiglia per cercare di migliorare le situazioni. La Famiglia di Nazareth deve essere il modello. Parliamone presto, ogni giorno è una strage.Quello che mi sento di dire ora: la famiglia di Gesù pregava, lavorava, vivevano tutti castamente, avevano rapporti con amici e parenti secondo l'aiuto reciproco, le feste religiose, i contatti di lavoro e di buon vicinato. Una vita semplice,orante ed operosa. Noi, pur vivendo duemila anni dopo, dobbiamo metterci a confronto con questo stile di vita, cercare di capire come e perchè le nostre vite sono così diverse, perchè sembra impossibile solo semplificarle un pochino, per renderle più serene, tranquille. Perchè lasciamo entrare nei nostri cuori, attraverso i nostri sensi, tanto che ci inquieta? Perchè non chiudiamo un poco tutte le finestre del nostro corpo, per far posto al Signore? Lui solo è il nostro Maestro. Ognuno di noi all'interno della sua famiglia può essere un elemento in contro-tendenza in questo violentarsi ed ammazzarsi reciproco.
Il ruolo della Chiesa nell'educazione, nella santificazione dei popoli è decisivo.
La chiesa è venuta meno a tutti i compiti veri, seri, che la riguardano; nei fatti si è rinchiusa tra i suoi quattro muri a fornicare e quando ne esce non può che parlare la stessa lingua del mondo. Ci sono moltitudini di esseri umani che devono essere educati e santificati lungo tutta la loro vita, la chiesa non può stare con le mani in mano e parlare in politichese. Le vocazioni sono calate a picco, presto non ci saranno più sacerdoti e quei pochi rimasti saranno schiacciati dalla situazione infernale che son chiamati a far arretrare. Nelle grandi diocesi ormai le vocazioni, che sfociano nel sacerdozio, si contano sulle dita di una mano , quando va bene, mezza mano spesso è anche troppo. Il mondo sta andando alla rovina e la chiesa fa politica immigrazionista. I ragazzi, i giovani adulti, i vecchi si perdono e la chiesa pronuncia insensatezze che assecondano i mali presenti, senza chiamare nessuno alla lotta interiore. La chiesa invece di pensare agli alambicchi ecumenici, dei fratelli maggiori,minori, acquisiti ed imposti dal conformismo vigente, educhi e santifichi ogni singolo popolo dove si trova ad operare, porti il Vangelo, la Dottrina di sempre, chiara e comprensibile per il bambino e per il dotto, abbandoni le ideone dei teologi fancazzisti. Se siamo ridotti a questo punto di corruzione, di demenza collettiva, il perchè sta nella chiesa stessa che è venuta meno ai suoi doveri e 'siccome la Chiesa insegna anche quando sbaglia'(Radaelli), i suoi errori son diventati gli errori del mondo.Quindi il primo 'mea culpa, in ginocchio, piangendo, davanti ai risultati 'antropologici' che lei ha concorso a causare, il primo 'mea culpa' lo reciti lei nel segreto, non certo in mondo visione per un ulteriore spettacolo di quarto ordine. Lei che ha fatto svuotare le Chiese, che ha lasciato senza assistenza spirituale contrade e contrade dell'Europa e del mondo intero, si aggiorni sulle pagine del Vangelo, della Dottrina di sempre, delle vite dei Santi autentici, non di quelli per diritto acquisito sulle pagine del CVII. L'unica vera unione dei popoli può sussistere solo se fondata sulle pagine del Vangelo, sulla Santa Liturgia, sulla Dottrina di sempre e sulla cultura che può nascere solo da questa fonte che ha NSGC come Maestro. I laici non si tirano indietro, i giovani in particolare non si tirano indietro se informati, preparati per grandi imprese come quella di diventare Santi, cioè raggi di luce viva tra i loro simili. La chiesa deve combattere, con i fatti, per liberare dalla corruzione la gioventù, la chiesa non deve essere compiacente con il mondo, lo deve combattere e deve combattere per ogni giovane che lei ha battezzato. Ogni anima persa di quelle che lei ha battezzato è una sua sconfitta davanti a Dio, Uno e Trino.
"Non mi ricordo finora di averlo mai pregato [san Giuseppe] di una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatto e i pericoli di anima e di corpo da cui mi ha liberata per l'intercessione di questo Santo benedetto.Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell'altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro mio consiglio si sono raccomandate al suo patrocinio. Molte altre si sono fatte da poco sue devote per aver sperimentato questa verità. [...] Per la grande esperienza che ho dei favori ottenuti da san Giuseppe, vorrei che tutti si persuadessero ad essergli devoti. Non ho conosciuto persona che gli sia veramente devota e gli renda qualche particolare servizio senza far progressi in virtù. Egli aiuta moltissimo chi si raccomanda a lui. È già da vari anni che nel giorno della sua festa io gli chiedo qualche grazia, e sempre mi sono vista esaudita".
(S. Teresa d'Avila, Autobiografia, cap. VI, 5-8)
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