Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 24 agosto 2017

Suaviter in modo, fortiter in re - don Angelo Citati

Circola in questi giorni in rete un articolo di mons. Athanasius Schneider sull’«interpretazione del Concilio Vaticano II e la sua relazione con l’attuale crisi della Chiesa» [qui]. Non è la prima volta, nel corso degli ultimi anni, che il Vescovo ausiliare di Astana interviene sull’argomento. È però la prima volta che afferma esplicitamente che il Concilio Vaticano II contiene delle proposizioni erronee (che ce ne fossero di ambigue, lo aveva già ripetuto a più riprese) su temi di notevole importanza della dottrina cattolica – l’ecumenismo, la collegialità, la libertà religiosa, le relazioni con il mondo moderno – e individua in questi errori del Concilio i prodromi della crisi attuale.

Nell’articolo cerca anzi di fare una sintesi generale del suo pensiero attuale sul Concilio. L’evento non può lasciare indifferente il mondo tradizionalista. Che pensarne, dunque? Un paragone con le parole e l’operato di quella che è stata indiscutibilmente la principale figura di riferimento del movimento di reazione alle riforme conciliari, mons. Marcel Lefebvre, ci sarà di ausilio per trovare una risposta.
– 1 – Un parallelo storico
Per illustrare il suo giudizio sulla gravità della crisi attuale nella Chiesa, mons. Schneider apre l’articolo con un paragone
«con la crisi generale del 4° secolo, quando l’arianesimo aveva contaminato la stragrande maggioranza dell’episcopato, assumendo una posizione dominante nella vita della Chiesa».
Il paragone si rivela particolarmente felice anche pensando a come si posizionava il mondo cattolico di fronte a questa crisi: ad una minoranza rimasta realmente fedele alla Tradizione della Chiesa (con alla testa due vescovi: sant’Atanasio sant’Ilario di Poitiers) si contrapponeva una minoranza di novatori (gli ariani) del tutto coscienti di esserlo (e che per diversi decenni hanno occupato le principali cariche di autorità nella Chiesa); in mezzo, c’era una maggioranza di persone che propendeva, senza però esserne veramente consapevole, per l’una o per l’altra parte (semiariani), ed era utilizzata sapientemente dalla minoranza al potere per imporre come maggioritarie le proprie idee, perché non schierarsi contro l’errore significava, in quel contesto, essere in misura più o meno grave connivente. Negli schieramenti presenti al Concilio Vaticano II (e, con qualche variazione numerica, in quelli odierni) ritroviamo esattamente lo stesso schema.

A queste tre categorie, tuttavia, se ne aggiunse presto un’altra. Nel momento in cui alcuni ariani e semiariani cominciarono a rendersi conto del loro errore e – seppure non con la chiarezza e il vigore di chi aveva difeso fino a qual momento la sana dottrina – a condannarlo, nel fronte cattolico tradizionale, mentre sant’Atanasio si mostrava indulgente e pronto ad accoglierli e a spingerli ad un’adesione sempre più piena della dottrina tradizionale, si creò una frangia minoritaria di cristiani (detti, dal loro capofila Lucifero di Cagliari, «luciferiani») che non tolleravano questa indulgenza e sostenevano che finché un ariano o un semiariano non avessero ritrattato pienamente i loro errori e approvato in pieno quanto aveva fatto chi aveva resistito fino allora, non poteva essere annoverato fra le fila dei veri cattolici.

Anche quest’ultima categoria appare oggi rappresentata. Di fronte a queste parole di mons. Schneider, infatti, non è mancato chi lo ha accusato di essere nient’altro che uno dei
«tanti vescovi cattolici conservatori [...], i quali tengono la loro posizione sulla base del riconoscimento positivo del Vaticano II. Essi disconoscono la perniciosità di questo Concilio, che è stato il punto di arrivo di un processo teso a distruggere la Chiesa cattolica per sostituirla con una neochiesa più o meno protestante e in palese rottura con duemila anni di storia e di insegnamento della Chiesa cattolica»[2].
E, non diversamente dai luciferiani, che non ammettevano nessuna possibile soluzione graduale alla crisi, i rappresentanti di questa corrente di pensiero ritengono che
«l’unica soluzione alla crisi che attanaglia la Chiesa sta nella cassazione di questo nefasto Concilio, esattamente come la crisi ariana del IV secolo, qui richiamata da mons. Schneider, venne risolta con la cassazione dell’arianesimo»[3]. 
L’ultimo è soltanto un errore storico: l’arianesimo, infatti, fu definitivamente debellato solo dopo diversi secoli e il superamento della crisi non avvenne da un giorno all’altro. Ma l’errore più profondo è l’idea stessa veicolata da queste parole, cioè quello di chi, credendo in questo modo di attaccare l’errore diametralmente opposto (il modernismo), conferma invece una volta di più che spesso gli estremi si incontrano. Errore, questo, contro il quale mons. Lefebvre ha spesso premunito: «È nostro dovere», diceva il fondatore della Fraternità San Pio X, «fare di tutto per conservare il rispetto della gerarchia e saper distinguere fra l’istituzione divina, alla quale dobbiamo rimanere attaccati, e gli errori che dei cattivi suoi membri possono professare. Dobbiamo fare tutto il possibile per illuminarli e convertirli con le nostre preghiere e con un esempio di dolcezza e fermezza»[4]. Dolcezza e fermezza: cioè dolcezza nel modo in cui si porgono le verità, suaviter in modo, e fermezza nel restarle fedeli senza concessioni, fortiter in re.
– 2 – Suaviter in modo
Ma veniamo ad rem: in questo suo articolo, mons. Schneider rappresenta davvero nient’altro che la posizione dei «tanti vescovi conservatori», oppure è al contrario un esempio di quelle che, in una recente intervista, mons. Fellay ha definito «personalità ecclesiastiche che – magari non così fortemente come noi, non così pubblicamente come noi, ma sul piano dei princìpi non meno fortemente di noi – contestano il nuovo corso», le quali «naturalmente non costituiscono la maggioranza», ma sono comunque «un elemento molto importante in questa battaglia»[5]?

È vero che mons. Schneider esordisce con una professione di rispetto nei confronti del Concilio:
«Il Vaticano II fu una legittima assemblea presieduta dai Papi e dobbiamo mantenere verso questo Concilio un atteggiamento rispettoso».
Ma, se queste parole fanno di lui un liberale, allora si dovrebbe dire lo stesso anche di mons. Lefebvre, che a più riprese ha dichiarato che
«nel Vaticano II ci sono, in effetti, molte verità che sono delle verità dogmatiche, ma perché definite come tali da altri Concili, da altri magisteri […]. Che i documenti del Vaticano II siano atti importanti della Chiesa è senz’altro vero»[6].
Il punto nel quale mons. Schneider appare più indulgente nei confronti del Concilio è quello in cui si sforza di metterne in evidenza aspetti positivi:
«Il contributo originale e prezioso del Vaticano II consiste nella chiamata universale alla santità di tutti i membri della Chiesa (cap. 5 di Lumen gentium), nella dottrina sul ruolo centrale della Madonna nella vita della Chiesa (cap. 8 di Lumen gentium), nell’importanza dei fedeli laici nel mantenere, difendere e promuovere la fede cattolica e nel loro dovere di evangelizzare e santificare le realtà temporali secondo il senso perenne della Chiesa (cap. 4 di Lumen gentium), nel primato dell’adorazione di Dio nella vita della Chiesa e nella celebrazione della liturgia (Sacrosanctum Concilium, nn. 2, 5-10). Il resto si può considerare in una certa misura secondario, temporaneo e, in futuro, probabilmente dimenticabile».
Certo, annoverare l’importanza data dal Concilio al ruolo dei fedeli laici nell’evangelizzazione è forse discutibile, visti gli sviluppi che questo principio ha conosciuto nel postconcilio. Ma dire che nel Concilio siano presenti anche proposizioni esatte, e anzi affermare un po’ provocatoriamente che un giorno (quando le autorità della Chiesa avranno corretto gli errori presenti in questi documenti) saranno proprio quelle poche proposizioni esatte a restare l’unico vero contributo dottrinale di questo Concilio, questo basta per essere liberali? In tal caso, è stato liberale anche mons. Lefebvre, che nel 1965, dopo la proclamazione (nel quadro del documento conciliare Lumen gentium) di Maria come «Madre della Chiesa» (cioè proprio uno di quelli che mons. Schneider annovera tra i punti positivi del Concilio), ebbe a definirlo un
«avvenimento straordinario […], [di cui] non si parlerà mai abbastanza, perché nella storia della Chiesa, il Concilio Vaticano II resterà innanzitutto quello che ha proclamato Maria “Madre della Chiesa”. […] Nessuna delle verità affermate nel Concilio avrà, di fatto, la stessa importanza di questa»[7].  
Si noti anche che in seguito mons. Lefebvre non ha mai ritrattato queste idee. Certo, a partire dalla metà degli anni ’70 si sentiranno sempre più raramente da parte sua parole di questo tipo; ma la ragione di questo spostamento d’accento risiede non già in un cambiamento di opinione, bensì nella constatazione che nella fase di applicazione dei testi conciliari questi punti positivi erano caduti in non cale, mentre il fulcro del Concilio erano diventati proprio i pronunciamenti contrari alla Tradizione. Inoltre, da autentico pastore d’anime, mons. Lefebvre aveva capito che in un’epoca in cui quasi nessun altro dei membri della gerarchia parlava dei disastri prodotti dal Concilio, la priorità era parlare appunto di questi; senza contare che citare come argomenti di autorità dei passaggi tratti da documenti che in altri punti contengono gravi errori contro la dottrina è inopportuno, perché si rischia di dare implicitamente autorità anche a questi ultimi. Ma tutto ciò non significa che avesse mutato il suo giudizio di merito originario. Di conseguenza, il fatto che menzionare punti positivi del Concilio non sia l’attitudine più opportuna nel contesto odierno non significa necessariamente che le osservazioni di merito di mons. Schneider in questo ambito siano false. Tra inopportuno ed erroneo passa comunque una differenza enorme. E, soprattutto, non sono questi pochi apprezzamenti su punti marginali dei testi del Concilio a inficiare il valore epocale e straordinariamente positivo delle sue parole di condanna sugli errori del Concilio. 

Infine, più in generale, va senz’altro riconosciuto che il tono con cui l’articolo è stato scritto non è quello di un j’accuse, bensì pacato e diplomatico. Non è, ad esempio, il tono del noto opuscolo J’accuse le Concile (1976) di mons. Lefebvre. Ma neppure il tono degli scritti di mons. Lefebvre anteriori al 1976 era identico a quello di J’accuse le Concile[8], segno, questo, che il fondatore della Fraternità San Pio X è approdato gradualmente a prese di posizione pubbliche più dure, senza che questo faccia di lui negli anni precedenti un pavido o un liberale. E anche negli anni successivi, del resto, si può constatare sempre una differenza tra il tono dei suoi scritti a carattere più difensivo (come le numerose interviste giornalistiche) o rivolti ad un pubblico più vasto (come la celebre «Lettera aperta ai cattolici perplessi») o ancora ai membri ufficiali della gerarchia (come le lettere indirizzate al Santo Padre), che era sempre pacato e diplomatico, da quello, più incisivo e tagliente, delle omelie ad hoc o delle prese di posizione di fronte a scandali contro la fede, come la riunione interreligiosa di Assisi del 1986. Saper essere, quando l’occasione lo richiede, suaviter in modo, non è segno di debolezza, ma di forza: di solito è chi ha sempre bisogno di gridare che non sa trovare altri argomenti per essere convincente.
 – 3 – Fortiter in re
Ma la pacatezza e l’equilibrio dei toni non sono un fine in sé: sono un mezzo per giungere più efficacemente a persuadere della veracità dei propri argomenti e della verità a cui si deve restare sempre incrollabilmente fedeli, fortiter in re. Vediamo – e continuiamo a confrontarlo col pensiero di mons. Lefebvre – che cosa dice in re, sul Concilio, mons. Schneider:
«Il Vaticano II deve essere visto e ricevuto come è e come veramente fu: un concilio primariamente pastorale. Questo Concilio non aveva l’intenzione di proporre nuove dottrine o quantomeno di proporle in forma definitiva».
Fin qui l’identità di pensiero è totale. Anche per mons. Lefebvre, infatti,
«il Concilio Vaticano II ha un carattere particolare, come emerge in tutti i suoi atti. Ha un carattere pastorale. Lo stesso papa Giovanni XXIII ha avuto cura di dire che in quel Concilio non si voleva definire alcuna verità perché si riteneva che, allora, le verità di cui avevamo bisogno per la nostra fede fossero sufficientemente chiare, che per il momento non si vedeva la necessità di fare nuove definizioni o nuove condanne»[9].
A questo punto mons. Schneider parla dell’atteggiamento che bisogna tenere nei confronti delle affermazioni del Concilio, distinguendo tra tre tipi di affermazioni: quelle conformi all’insegnamento tradizionale della Chiesa, quelle ambigue e quelle erronee.

Riguardo alle prime, afferma che
«nei suoi pronunciamenti il Concilio ha confermato in gran parte la dottrina tradizionale e costante della Chiesa».
Per chiarificare le affermazioni ambigue, invece, propone il seguente criterio:
«I pronunciamenti del Vaticano II che sono ambigui, devono essere letti e interpretati secondo le affermazioni di tutta la Tradizione e del costante Magistero della Chiesa».
Quando, invece, le affermazioni del Concilio non sono conciliabili con la dottrina precedente, bensì realmente erronee,
«le affermazioni del Magistero costante (i precedenti concili e i documenti dei Papi, il cui contenuto dimostra di essere una tradizione sicura e ripetuta nei secoli sempre nello stesso senso) prevalgono su quei pronunciamenti […] che difficilmente concordano con specifiche affermazioni del magistero costante e precedente (ad esempio, il dovere di venerare pubblicamente Cristo, Re di tutte le società umane, il vero senso della collegialità episcopale rispetto al primato petrino e al governo universale della Chiesa, la nocività di tutte le religioni non cattoliche e la loro pericolosità per la salvezza eterna delle anime)». 
Oltre agli esempi da lui chiamati in causa, che sono esattamente i punti che da sempre costituiscono l’oggetto delle critiche della Fraternità San Pio X (libertà religiosa, collegialità episcopale, ecumenismo), è l’approccio stesso utilizzato qui da mons. Schneider che ricorda molto da vicino quello fatto proprio e ribadito costantemente da mons. Lefebvre:
«Dire che valutiamo i documenti del Concilio “alla luce della Tradizione” vuol dire, evidentemente, tre cose inscindibili: che accettiamo quelli che sono conformi alla Tradizione; che interpretiamo secondo la Tradizione quelli che sono ambigui; che respingiamo quelli che sono contrari alla Tradizione»[10]. 
L’espressione «ermeneutica della continuità» allora non era ancora stata coniata, ma nella sostanza i rappresentanti della Santa Sede avevano già proposto a mons. Lefebvre quest’altro modo di “interpretare il Concilio alla luce della Tradizione”:
«Nel pensiero del Santo Padre e del cardinale Ratzinger, se ho ben capito, bisognerebbe riuscire ad integrare i decreti del Concilio nella Tradizione, arrangiarsi per farveli entrare, ad ogni costo. Ma è un’impresa impossibile»[11].
Anche mons. Schneider prende le distanze da questo tipo di interpretazione:
«Non aiuta neppure un’applicazione cieca del principio dell’ermeneutica della continuità, dal momento che vengono create interpretazioni forzate, che non sono convincenti e che non sono utili per arrivare ad una più chiara comprensione delle immutabili verità della fede cattolica e della sua applicazione concreta».
In effetti, secondo mons. Lefebvre, il problema di fondo degli uomini di Chiesa che hanno fatto e poi applicato il Concilio, è che
«[lo] hanno voluto pastorale a causa del loro istintivo orrore per il dogma, e per facilitare l’introduzione ufficiale, in un testo della Chiesa, delle idee liberali. Ma, finita l’operazione, essi dogmatizzano il Concilio, lo paragonano a quello di Nicea, sostengono che è simile agli altri, se non superiore!»[12]. 
Non diversamente si esprime mons. Schneider:
«Il problema della crisi attuale della Chiesa consiste in parte nel fatto che alcune affermazioni del Concilio Vaticano II, oggettivamente ambigue o quelle poche affermazioni difficilmente concordanti con la costante tradizione magistrale della Chiesa, sono state “infallibilizzate”. In questo modo è stato bloccato un sano dibattito con una necessaria correzione implicita o tacita […]. Dobbiamo liberarci dalle catene dell’assolutizzazione e della totale “infallibilizzazione” del Vaticano II». 
– 4 – Mitis et humilis corde 
Allora tutto è perfetto? Non si tratta di questo. Si tratta solo di non spezzare la canna infranta e non di non spegnere il lucignolo fumigante[13]. Insomma, per rispondere alla nostra domanda iniziale: se anche la sua posizione non è perfetta (ma chi lo è scagli la prima pietra), mons. Schneider è senza ombra di dubbio – tanto più dopo quest’ultimo articolo, che riveste un’importanza capitale, perché in esso condanna esplicitamente i principali errori del Concilio e evidenzia la loro relazione con la crisi attuale – una di quelle figure di cui parlava mons. Fellay, «che – magari non così fortemente come noi, non così pubblicamente come noi, ma sul piano dei princìpi non meno fortemente di noi – contestano il nuovo corso» e sono «un elemento molto importante in questa battaglia».

L’attitudine che noi cattolici fedeli alla Tradizione – compresi quelli della prima ora, che hanno avuto (a loro grande merito) la forza di opporsi con chiarezza agli errori attuali fin da subito e senza esitazioni – dobbiamo avere di fronte a queste persone che ritornano gradualmente, ma con sempre maggiore chiarezza, alla fedeltà alla Tradizione (e tanto più quando si tratta di successori degli apostoli), non deve essere quella dei luciferiani del IV secolo, bensì quella che ha ricordato con estrema chiarezza mons. Alfonso de Galarreta a Ecône nell’omelia per le ordinazioni sacerdotali del 29 giugno 2017: 
«C’è comunque qualcosa di buono che non esisteva prima, ma che comincia a venire, c’è una reazione che è buona: dei laici di valore, dei sacerdoti, dei vescovi, dei cardinali… Certo, si tratta di una minoranza, e qualche volta di reazioni un po’ timide, o a metà strada, ma comunque sia si tratta di reazioni autentiche e sane, che vanno nella direzione della Tradizione e della restaurazione della fede, della difesa della Chiesa, del sacerdozio di Nostro Signore. E questo è appunto un segno dell’assistenza di Nostro Signore sulla sua Chiesa. Noi non possiamo fare altro che rallegrarcene. E questo fenomeno non possiamo fare altro che incoraggiarlo. La Fraternità ha per scopo la santificazione, non soltanto dei suoi membri, ma in generale la santificazione dei sacerdoti. E c’è qui un immenso campo di apostolato. Noi dobbiamo approfittare – certo, con la debita prudenza, questo va da sé – di queste aperture apostoliche, anzi questo deve incoraggiare anche noi stessi»[14]. 
Così facendo, saremo realmente fedeli al venerato fondatore della Fraternità San Pio X, mons. Lefebvre, che è sempre stato suaviter in modo e fortiter in re. Saremo fedeli anche al patrono dei nostri seminari, san Tommaso d’Aquino: il sano tomismo ha sempre saputo prendere il bene da qualsiasi parte venisse (l’Aquinate non esitò a ricorrere, con scandalo dei dotti di allora, al pagano Aristotele come fondamento della sua filosofia). Ma soprattutto saremo fedeli a Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, «mite ed umile di cuore»[15], nella conversazione con lo scriba che, anche se gli restava ancora molta strada da percorrere, mostrava di aver già colto l’essenziale e di avere il cuore aperto alla Verità[16], non gli disse: «Ecco, sei il solito scriba conservatore che sa solo citare a memoria i precetti della Legge», bensì, con tutt’altro afflato di carità: «Non sei lontano dal regno di Dio».
_____________________________________

[1] https://www.corrispondenzaromana.it/un-intervento-di-mons-athanasius-schneider-linterpreta-zione-del-concilio-vaticano-ii-e-la-sua-relazione-con-lattuale-crisi-della-chiesa/
[2] http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2075_Schneider_Interpretazione-Vaticano-II.html
[3] Ib.
[4] Mons. M. Lefebvre, Vi trasmetto quello che ho ricevuto. Tradizione perenne e futuro della Chiesa, a cura di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Sugarco Edizioni, Milano 2010, pp. 230-231.
[5] http://www.sanpiox.it/attualita/1933-la-posizione-della-fraternita-san-pio-x-nella-situazione-attuale
[6] Mons. M. Lefebvre, op. cit., Milano 2010, p. 90.
[7] Mons. M. Lefebvre, Marie, Mère de l’Eglise, in Lettres pastorales et écrits, Editions Fideliter, Escurolles 1989, p. 212-213. In questo testo mons. Lefebvre sostiene esattamente la stessa tesi: che cioè i pochi punti buoni dei testi conciliari potranno essere il punto di partenza per la condanna degli errori contenuti negli stessi testi. Questo mostra una volta di più l’equilibrio dell’arcivescovo, che fin quando non ebbe dai fatti, pochi anni dopo, l’evidenza del contrario, volle ancora sperare che il Papa avrebbe applicato i pronunciamenti conciliari nel senso della Tradizione.
[8] Cfr. ad esempio Mons. M. Lefebvre, Un évêque parle, Dominique Martin Morin, Parigi 1974, che raccoglie i suoi scritti i più importanti dagli anni del Concilio al 1974.
[9] Mons. M. Lefebvre, op. cit., Milano 2010, p. 88.
[10] Ib., p. 91.
[11] Ib.
[12] Mons. M. Lefebvre, Accuso il Concilio, Editrice Ichthys, Albano Laziale (Roma) 2002, p. 37.
[13] Cfr. Mt 12,20.
[14] https://soundcloud.com/fsspx-audiofile/gal-2017-06-29-01
[15] Cfr. Mt 11,29.
[16] Cfr. Mc 12,28-34.

54 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottimo articolo!
L'importanza dei laici ha trovato voce e compimento nella nostra Italia in tre punte di diamante:
E.Bianchi, A.Melloni e A.Riccardi,che belle figure, che grandi testimoni del Vangelo!
I loro nomi rimarranno per sempre scolpiti nella storia della Chiesa accanto a quelli di Ario, Montano, fra Dolcino, Giordano Bruno, K.Rahner, W.Kasper,...

Anonimo ha detto...


la modestia intellettuale dei tre non permette paragoni di questo genere.
Giordano Bruno poi lo lascerei da parte, appartiene ai grandi ribelli ed
eseriarchi proprio perché era un pensatore di razza, che ha impiegato
il suo ingegno contro la verità rivelata.
Z.

marius ha detto...

Il paragone si rivela particolarmente felice anche pensando a come si posizionava il mondo cattolico di fronte a questa crisi: ad una minoranza rimasta realmente fedele alla Tradizione della Chiesa (con alla testa due vescovi: sant’Atanasio sant’Ilario di Poitiers) si contrapponeva una minoranza di novatori (gli ariani) del tutto coscienti di esserlo (e che per diversi decenni hanno occupato le principali cariche di autorità nella Chiesa); in mezzo, c’era una maggioranza di persone che propendeva, senza però esserne veramente consapevole, per l’una o per l’altra parte (semiariani), ed era utilizzata sapientemente dalla minoranza al potere per imporre come maggioritarie le proprie idee, perché non schierarsi contro l’errore significava, in quel contesto, essere in misura più o meno grave connivente. Negli schieramenti presenti al Concilio Vaticano II (e, con qualche variazione numerica, in quelli odierni) ritroviamo esattamente lo stesso schema.

A queste tre categorie, tuttavia, se ne aggiunse presto un’altra. Nel momento in cui alcuni ariani e semiariani cominciarono a rendersi conto del loro errore e – seppure non con la chiarezza e il vigore di chi aveva difeso fino a qual momento la sana dottrina – a condannarlo, nel fronte cattolico tradizionale, mentre sant’Atanasio si mostrava indulgente e pronto ad accoglierli e a spingerli ad un’adesione sempre più piena della dottrina tradizionale, si creò una frangia minoritaria di cristiani (detti, dal loro capofila Lucifero di Cagliari, «luciferiani») che non tolleravano questa indulgenza e sostenevano che finché un ariano o un semiariano non avessero ritrattato pienamente i loro errori e approvato in pieno quanto aveva fatto chi aveva resistito fino allora, non poteva essere annoverato fra le fila dei veri cattolici.



Finora io avevo sempre saputo che S.Atanasio non si limitasse a tuonare contro gli ariani, ma anche contro i semiariani, tra cui coloro che non negavano la retta dottrina ma neppure la difendevano, e si guardavano bene dal denunciare gli errori e dallo schierarsi dalla parte giusta, o lo facevano solo parzialmente, appunto perché non schierarsi contro l’errore significava, in quel contesto, essere in misura più o meno grave connivente.

Ecco cosa si legge in una breve biografia di S.Atanasio dal sito “Santi e Beati”, a cura di Corrado Gnerre:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/23100

(…)«Mentre molti vescovi si lasciarono convincere da questo compromesso terminologico, che era cedimento sulla Dottrina, sant’Atanasio tenne fermo, resistette come un leone. Subì l’esilio per almeno cinque volte, ma non cedette. E – come si suol dire – non era tipo che la mandasse a dire né che parlasse alle spalle. Si sentiva il dovere di difendere le anime per cui non lesinò un linguaggio polemico per mostrare a tutti quanto fossero in errore e quanto fossero pericolosi i semiariani, che invece agli occhi di molti sembravano innocui. Se la prendeva anche con chi voleva accettare il compromesso dottrinale. Sentite cosa diceva a riguardo: «Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portate il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché s t a t e n e l m e z z o. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo».

continua

marius ha detto...

continuazione

Ora però don Citati ci informa di una "quarta categoria” (le prime tre sono appunto 1- fedeli ortodossi, 2- ariani, 3- semiariani), cioè quella degli intransigenti verso coloro che si avvicinavano gradualmente alla retta dottrina. Mi domando se anche a questo riguardo si dispone di testi di S.Atanasio che possano confermare, a differenza dei “luciferiani”, il suo comportamento aperto, conciliante e incoraggiante verso costoro.

Avrei piacere di ricevere da chi se ne intende, specialmente se possibile dall’ottimo e stimatissimo prof. Pasqualucci, maggiori ragguagli su questo aspetto a me sconosciuto della personalità di S.Atanasio.

La questione è importante perché don Citati basa su di essa un parallelo con la situazione attuale.

Anonimo ha detto...

mi pare che Don Citati dica cose molto sagge. Io spero tanto che continui sempre più a crescere il numero dei giovani sacerdoti fedeli alla Tradizione.

Anonimo ha detto...

Certo, annoverare l’importanza data dal Concilio al ruolo dei fedeli laici nell’evangelizzazione è forse discutibile, visti gli sviluppi che questo principio ha conosciuto nel postconcilio.
[...]
L'importanza dei laici ha trovato voce e compimento nella nostra Italia in tre punte di diamante: E.Bianchi, A.Melloni e A.Riccardi,che belle figure, che grandi testimoni del Vangelo!


È un'arma a doppio taglio, dove questa volta il doppio - passata una prima ondata - è a nostro vantaggio. Infatti, quanti dei partecipanti a questo blog - sia gli autori degli articoli, sia quelli dei buoni commenti - sono laici? Mi sembra una decisa maggioranza. I redattori di LNBQ ed Il Timone sono in grande maggioranza laici; come quelli di Riscossa Cristiana; laici sono nel Comitato Scopelli e nei comitati imitatori... Laici sono Socci, Magister, Valli, Rusconi; Messori; Miriano, Guzzo; laici in maggioranza quelli che leggo su LifeSiteNews, ChurchMilitant, e non fatemi fare la lista...

Dall'articolo di mons. Scheider e da questa ottima analisi apprendo che c'è un paio di punti ulteriori del CVII che forse si salvano; ma finora l'unico che ritenevo degno di menzione era proprio il ruolo dei laici.

D'altronde, l'eresia l'hanno introdotta i Bianchi, Melloni e Riccardi (per essere precisi, i loro antenati) o i Rahner, Schillebeeckx, e il resto del pattuglione di teologi eretici e/o stravaganti, in gran maggioranza religiosi? Per non parlare dei loro figli spirituali, passando per i Suenens, Martini, Kasper, ... Se non ci fossero stati quei religiosi balordi, i Bianchi, Melloni e Riccardi potrebbero al massimo spalare in miniera o scrivere per Repubblica.

Non è stato il ruolo affidato ai laici il problema. È stato il clima di anarchia che si è generato a partire dal CVII che ha lasciato liberi di far danni i cinghiali, fossero religiosi e laici.

Anonimo ha detto...

Alcune brevi osservazioni: si può condividere,in generale,l'idea che si possa rischiare di chiudersi in una posizione settaria ed oltranzista. Tuttavia mi sembra,malgrado la lunghezza dell'articolo, che don Citati sia alquanto superficiale.
Come Marius anche io scopro solo oggi una presunta quarta categoria,inoltre vengono attribuite a S. Atanasio "aperture" mai sentite. Atanasio all'epoca era considerato un fanatico estremista.
Don Citati,inoltre, dimentica per strada alcune cosette. Lefebvre alcuni documenti conciliari non gli ha nemmeno firmati,e sin da subito ha avuto il coraggio di denunciare la "Roma" modernista, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
Di grazia, vorrei sapere quando Schneider, Burcke e gli altri vescovi di "riferimento" hanno messo in discussione il concilio o alcuni documenti papali prima di AL?
Lefebvre l'ha fatto e anche R.Amerio, che in "Stat veritas" ha fatto pelo e contropelo della Nuovo millennio di GPII, accusandolo anche,implicitamente, di ipocrisia.
Riguardo al ruolo dei laici anche qui Citati dice e non dice,senza approfondire minimamente l'argomento.
Il punto,non colto da Fabrizio Giudici, ne approfodito da don Citati,consiste nell'esaltazione del sacerdozio comune del battezzati di chiara marca luterana.
In ogni caso preferisco rischiare di stare in "quarta categoria" piuttosto che essere semiariano.
Insomma l'articolo mi sembra decisamente carente.
Antonio (Napoli)

mic ha detto...

Alcune rapide osservazioni.

Mi meraviglio che di tutta questa analisi, che prende in considerazione molti punti da non trascurare, ci si soffermi su una "categoria", che di fatto appartiene ad una polarizzazione che si va accentuando piuttosto oggi che durante o subito dopo il concilio perché si è più consapevoli della storture divenute più evidenti.
Mi pare normale che la cosa infastidisca chi sente di appartenervi. Ora io capisco sia Antonio che Marius, mi viene in mente anche Anna ed altri; ma 'suaviter in modo, fortiter in re' e le declinazioni che ne fa don Angelo Citati o quelle che si attagliano ai nostri Pastori di riferimento non possono confondersi né col 'semiarianesimo' né con un'attitudine ai compromessi.
Credo che i paragoni con l'arianesimo non vadano presi alla lettera ma nelle analogie perché molte sono le contingenze diverse. Per conoscerle tutte si dovrebbe essere degli specialisti.
Qui cerchiamo di andare al sodo come possiamo.

Annarè ha detto...

Forse avevano ragione i Luciferiani, perchè si vede che qualche germe di arianesimo è sopravissuto, perchè non debellato alla radice, se ci troviamo dinnanzi a questo disastro della Fede, oggi. Mons. Schneider non mi pare uno dei tanti conservatori, mi pare anzi che stia sempre più capendo e denunciando, cosa che i sonservatori non fanno. I Luciferiani penso l'avrebbero accettato come vero vescovo cattolico, cosa che probabilmente non avrebbero fatto con altri che si barcamenano tra una chiatta e l'altra per cercare di stare su e non cadere in bocca allo squalo. Mi pare che fino ad ora i tentativi di far avanzare i conservatori verso la tradizione, sia sempre fallito, anzi si è rischiato persino di cadere nella trappola dei modernisti e diventare noi dei semi conservatori.
Perciò possiamo anche dire male dei Luciferiani di ieri e di oggi, forse erano e sono esagerati,probabilmente si deve andare per gradi, sta di fatto che l'arianesimo è ancora qua tra noi, pertanto chi allora e chi oggi avesse/abbia ragione non ci è dato saperlo. Diciamo che non per tutti è valida la cura dei Luciferiani e non per tutti è valida la cura di quelli della soluzione graduale, alcuni si salvano grazie al lavoro dei luciferiani altri al lavoro di quelli della soluzione graduale. A dire il vero ci si salva tutti per grazia di Dio.

mic ha detto...

Lasciamo stare le categorie. In fondo ognuno di noi, sia pure con accentuazioni o sfumature diverse che dipendono dalla formazione e dal temperamento, sa dalla parte di Chi sta e come cerca di posizionarsi in questo ginepraio pazzesco.
Signore, salvaci, ché la tempesta impazza!

Anonimo ha detto...

Scusa Mic ma,sia pure in relazione alla brevità delle mie osservazioni, non mi sono soffermato solo sulla "categoria".
Ho accennato anche al sacerdozio comune dei fedeli, che non mi sembra un argomento da poco.
Inoltre le continue citazioni di mons. Lefebvre non mutano minimamente la distanza che intercorre tra lui e gli attuali vescovi, altro argomento che forse ti é sfuggito.
Stimo Burcke e Schneider ma ne vedo anche i limiti. Burcke, ad esempio é molto anziano, ma solo ultimamente sta venendo "fuori".
Insomma,seppur brevemente, pensavo,forse sbagliando, di aver offerto più di uno spunto.
Per concludere, al di la di una evidente battuta, non mi sento di alcuna categoria, semmai altri mi ci vogliono ficcare dentro.
Antonio

mic ha detto...

Insomma,seppur brevemente, pensavo,forse sbagliando, di aver offerto più di uno spunto.

Ho risposto su quel che mi aveva colpito di più e che rafforzava l'intervento di Marius. Ora guardo con più attenzione l'altro riferimento.

marius ha detto...

Mi meraviglio che di tutta questa analisi, che prende in considerazione molti punti da non trascurare, ci si soffermi su una "categoria", che di fatto appartiene ad una polarizzazione che si va accentuando piuttosto oggi che durante o subito dopo il concilio perché si è più consapevoli della storture divenute più evidenti.
Mi pare normale che la cosa infastidisca chi sente di appartenervi.


Cara Mic, di cose ne avrei tante da dire, ma ho scelto di concentrarmi su una sola, non per pigrizia, ma per concisione e quindi per evitare prolissità, giacché per esprimere la mia precedente domanda ho già dovuto occupare lo spazio di 2 commenti.
Appositamente fin qui non ho voluto entrare nel merito della questione del CVII, se è da valorizzare o da rigettare ecc. ecc., perché ne abbiamo già discusso a lungo commentando negli articoli precedenti dedicati a questo argomento. Non volevo quindi ripetermi inutilmente magari tediando te e gli altri lettori.

Ho concentrato quindi la mia attenzione su questo particolare storico che mi intrigava particolarmente. Appositamente ho voluto circoscrivere il mio intervento all'aspetto storico su S.Atanasio, santo che mi interessa moltissimo, in quanto il 2 maggio, giorno del nostro matrimonio, corrisponde pure alla sua festa liturgica, cosa che abbiamo scoperto recentemente, molto tempo dopo aver inserito l'immagine di S.Atanasio nel nostro profilo di WathsApp, santo di riferimento privilegiato in analogia tra il suo periodo storico e l'attuale crisi della Chiesa.

Perché volevo qui limitarmi al mero aspetto storico? Proprio per non dar adito ad incasellarmi in una posizione preconcetta di pensiero sulle ben note questioni calde dell'attualità e a liquidarmi in tal senso: spesso infatti capita, come di recente ha giustamente lamentato PP, che invece di rispondere nel merito degli argomenti ci si riduca ad un conflitto di posizioni preconcette.

Non sono infastidito proprio da niente. Il discorso sul CVII possiamo continuare a farlo comunque, se vogliamo.
Ripeto: qui a me interessa sviscerare la personalità di questo grande santo su questo (per me) inedito aspetto sollevato da don Citati. Se qualcuno avesse qualche contributo da offrire in questo senso lo leggerei molto molto volentieri. Specialmente da parte del prof Pasqualucci, che dal punto di vista storico è sempre fortissimo. Grazie.

Anonimo ha detto...

1) Se non ho capito male quanto (poco) trovato in rete, il disaccordo tra S. Atanasio e S. (?) Lucifero di Cagliari verteva sul reintegro dei vescovi che avevano aderito all'arianesimo, e poi abbandonato l’eresia, nella dignità episcopale, che il secondo non condivideva (benché ritenesse giusto concedere loro il perdono).

Una situazione diversa da quella attuale, in cui la Chiesa è attualmente guidata da una maggioranza che ha perso la Bussola e in cui gli eventuali vescovi da “reintegrare” sono quelli consacrati da mons. L., dalla fede ortodossa da sempre, e non i c.d. “pastori di riferimento”, perfettamente “integri” nella loro carica.

Questi ultimi, poi, stanno recentemente aprendo gli occhi sulla crisi nella Chiesa, sull’abbandono della fede da parte della maggior parte della gerarchia cattolica e su “qualche” criticità” del CVII, ma non hanno ancora colto la portata rivoluzionaria del CVII (e delle riforme attuative: liturgica, catechismo, diritto canonico, nuovo concordato ecc.), né riconosciuto in esso la causa della crisi. L’abbandono dei precedenti errori è pertanto parziale.

Il paragone mi pare quindi quanto meno non calzante.


2) Mi sembra che sia indicativo il fatto che ad esprimere il punto di vista della FSSPX, sia chiamato proprio (per la seconda volta) un sacerdote ordinato assai di recente. Possibile che nessun sacerdote di maggiore esperienza, anche nella comunicazione, non fosse stato tecnicamente capace di esprimere questo punto di vista ?

Anna (segue)

Anonimo ha detto...

antiaccordisti”. Quello che mi colpisce di più è che costoro sono etichettati (indirettamente, ma efficacemente) quali “integralisti” “rigidi”, persino “violenti” (verbalmente): esattamente lo stesso modo di non entrare nel merito delle questioni che usano i modernisti, i moderati e i conservatori del CVII nei confronti dei fedeli della (alla) Tradizione. Si devia il discorso dall’oggetto al soggetto. Si collega l’oggetto con una categoria infamante di persone, così da portare chi legge, che non vuole essere identificato con l’infamia, a prendere la posizione di coloro che si pongono come “equilibrati”, “caritatevoli”, “prudenti” ecc.

Stesso spostamento dall’oggetto al soggetto si nota con l’esempio di S. Atanasio: e quale “lefebvriano” mai starebbe con gli avversari di quel santo difensore della fede che sta pure con la sua statua nel seminario ad Econe?
Ma l’argomento “l’ha detto quella gran mente di .. o quel gran santo di …” non ha molto pregio, dato che pure le grandi menti e pure i grandi santi sbagliano, e infatti non sono Dio, né il papa sulla cattedra.

Anna (segue)



Anonimo ha detto...


4) Si confonde la pacatezza e l’equilibrio dei toni (modi) con la nettezza di una presa di posizione (oggetto), come se non si potesse esprimere con pacatezza una posizione intransigente e netta e non “elastica e graduale” . I modi pacati, poi, non sempre sono adeguati e giusti. Ricordo che la santa ira è una virtù («Chi non si sdegna quando c’e motivo, pecca. Una pazienza irragionevole semina i vizi, favorisce la negligenza e sembra indurre al male non solo i cattivi ma anche i buoni» (San Giovanni Crisostomo); «non sempre chi si arrabbia, ha torto; il vile non va mai in collera»).

5) L’intransigenza, in sé, viene presentata come un difetto, quando la sua negatività dipende dall’oggetto della difesa netta e ad oltranza. Diciamo che gli apostoli furono decisamente intransigenti nel predicare un’unica Verità, così come tanti martiri nel professare integralmente la fede cattolica, anche sulla dottrina del matrimonio.

6) Si attribuisce all’autore del pensiero che si critica affermazioni mai fatte, che oggettivamente meritano censura, così implicitamente rendendo criticabile la posizione invece espressa realmente da questi (es.: “mons. Schneider è un liberale”; “non è un bene e non dobbiamo rallegrarci che ultimamente alcuni vescovi e cardinali stanno cominciando a guardare criticamente ad alcune parti del CVII e a guardare con favore al mondo della Tradizione”: affermazioni che nessun “integralista antiaccordista” sano di mente farebbe, perché non può essere visto che come una cosa positiva la presa di coscienza di questi pastori, anche se parziale).



Anna (segue)

Anonimo ha detto...


7) Si suggerisce una identità di vedute tra mons. Schneider e mons. Lefebvre in ordine ad uno sminuzzamento del CVII in parti ambigue da interpretare secondo Tradizione, parti introduttive di nova positivi e coerenti con la Tradizione da accettare addirittura con entusiasmo perché profetici e parti da correggere perché difformi dalla Tradizione, che non c’è, non solo nelle affermazioni plurime chiarissime di mons. L. sul rifiuto del CVII (non anche delle dottrine cattoliche preconciliari, in esso ripetute, in maniera confusa o ambigua), perché i suoi testi, tutti, sono avvelenati dallo spirito rivoluzionario liberale, ma anche, e soprattutto, dai fatti da lui compiuti: nei seminari della Fraternità i testi del CVII non sono insegnati come fonte della dottrina cattolica ma come testi attraverso i quali si è attuata l’infiltrazione del pensiero liberale-massonico nella Chiesa: studio delle strategie attuate dal Nemico, da combattere.

8) Per insinuare questa identità di vedute si raffrontano affermazioni decontestualizzate, prive delle conclusioni (accettiamo il CVII, sia pure …), mai formulate, se non in quel “protocollo” predisposto dalla Santa sede, firmato in una situazione di fortissima pressione psicologica e subito dopo abbandonato.

9) Non è spezzare la canna infranta, non è spegnere il lucignolo fumigante. Se il “pastore di riferimento” fa un passo, si gioisce, lo si incoraggia, gli si dà fiducia. E gli si indicano gli altri passi. Verso la meta. Non si incomincia a camminare, in senso opposto alla meta (alla Verità), per andare incontro a chi è nel “mezzo del cammin” . Altrimenti ci si trova, entrambi, “in mezzo al guado”.

Anna (segue)

Anonimo ha detto...


Spero di essere stata rispettosa del Suaviter in modo.

P.S. Alfonso de Galarreta a Ecône nell’omelia per le ordinazioni sacerdotali del 29 giugno 2017 non ha detto soltanto che dobbiamo rallegrarci delle prese di posizione di laici e vescovi in direzione della Tradizione della Chiesa. Ha detto anche questo:
Questa è la fede che si deve insegnare è la verità di Cristo, il suo Vangelo è la tradizione, il magistero di sempre, è la fede di sempre. Questa è la dottrina di Cristo, trasmessa dalla Tradizione e la Santa Chiesa e questo è ciò che ha da insegnare il sacerdote.

….La situazione attuale nella Chiesa è una crisi di fede . Mons Lefebvre ha detto che questo spirito liberale e modernista del Concilio Vaticano II ha trionfato e penetrato alla vetta più alta della Chiesa . Mistero di iniquità ... "






Anna

Rr ha detto...

Burke non e' molto anziano, è nato nel 1948.

marius ha detto...

@ Anna

Anna, un pezzo del tuo intervento delle 21:05 è mancante:
dove finisce il paragrafo 2?
dove comincia il paragrafo 3?

Anonimo ha detto...


Si scrive BURKE non BURCKE.
E'un tipico cognome irlandese, non tedesco.
Il bisnonno del cardinale Burke era irlandese.
Lui è americano.
Z.

Anonimo ha detto...


m'ero perso per strada :


3) Quello che mi colpisce di più dell’articolo è la (implicita, ma chiara) stigmatizzazione dei “dissenzienti antiaccordisti”. Quello che mi colpisce di più è che costoro sono etichettati (indirettamente, ma efficacemente) quali “integralisti” “rigidi”, persino “violenti” (verbalmente): esattamente lo stesso modo di non entrare nel merito delle questioni che usano i modernisti, i moderati e i conservatori del CVII nei confronti dei fedeli della (alla) Tradizione. Si devia il discorso dall’oggetto al soggetto. Si collega l’oggetto con una categoria infamante di persone, così da portare chi legge, che non vuole essere identificato con l’infamia, a prendere la posizione di coloro che si pongono come “equilibrati”, “caritatevoli”, “prudenti” ecc.

Stesso spostamento dall’oggetto al soggetto si nota con l’esempio di S. Atanasio: e quale “lefebvriano” mai starebbe con gli avversari di quel santo difensore della fede che sta pure con la sua statua nel seminario ad Econe?
Ma l’argomento “l’ha detto quella gran mente di .. o quel gran santo di …” non ha molto pregio, dato che pure le grandi menti e pure i grandi santi sbagliano, e infatti non sono Dio, né il papa sulla cattedra.

Anna (segue)

mic ha detto...

Quello che mi colpisce di più è che costoro sono etichettati (indirettamente, ma efficacemente) quali “integralisti” “rigidi”, persino “violenti” (verbalmente): esattamente lo stesso modo di non entrare nel merito delle questioni che usano i modernisti,

C'è una differenza. I modernisti lo fanno per chiudere la bocca, i cattolici per non chiuderla lì, perché pensano che le soluzioni estreme siano impraticabili e irrealistiche.
Voi ragionate come se le più volte richiamate analisi e conclusioni di Mons. Gherardini, Schneider ed altri, non valessero nulla. E tornate a prendervela per le etichettature mentre affermate il contrario di Gherardini & C. senza confutare nel merito i loro argomenti, ma reiterando proclami e citazioni estrapolate (come del resto ha fatto don Citati, il quale però ha spiegato perché mons. Lefebvre a volte era tagliente e a volte soave) per giustificare la vostra conclusione.

mic ha detto...

Ovviamente quando parlo di soluzioni estreme impraticabili e realistiche mi riferisco al rigettare in toto il Concilio e gli argomenti di coloro che osano citarne le parti commestibili e non ad una prassi sganciata dalla dottrina.
Il concilio non è un nuovo superdogma: il che porta i modernisti a ritenerlo indiscutibile e voi a ritenerlo ricusabile in toto. E' un evento certamente nefasto che ha fatto da cavallo di Troia per molte innovazioni deleterie. Ma c'è stato e ha avuto i suoi effetti. Come si fa a prescinderne?
Certo io non ho nessun coniglio nel cilindro. Faccio solo l'unica cosa che credo praticabile: continuare a tender desta l'attenzione su quanto non è commestibile né in partenza né conseguentemente, nelle applicazioni. E mentre questo non mi impedisce di rigettare quanto non è commestibile, non ho nessuna autorità per dire coram populo che occorra ignorare l'intera assise che è un fatto storico e pragmaticamente operante e proprio per questo credo che ci si ponga fuori dalla realtà se si pensa di poter continuare come se non ci fosse stato. Non mi pare che sia questa la soluzione possibile. E continuo ovviamente a orientarmi sul Magistero perenne. Ed è questo che mi fa distinguere quanto è commestibile da quanto non lo è mentre cerco di condividerlo con voi e con chi è interessato ad approfondire questi argomenti che nella Chiesa dovrebbero far parte di un dibattito diffuso e non di nicchia....

Anonimo ha detto...

Nessuno ha chiesto di rigettare il concilio in quanto tale,non é questo il punto.
Condivido in pieno l'intervento di Anna, ottimo, ha colto bene l'intenzione di Citati.
Ringrazio chi mi ha ricordato l'età e la corretta denominazione del cardinal Burke, questo confuta magistralmente le mie tesi.
Antonio
P.S. come diceva Mic? Fumo di pippa?

marius ha detto...

Cara Mic, tu mi (e ci) appioppi un giudizio quali persone che evitano di argomentare preferendo liquidare le faccende per partito preso. A me appare piuttosto il contrario: qui sembra vi siano argomenti tabù che guai a metterli in discussione!
Trovo dunque molto ingiusta questa tua stigmatizzazione. Soprattutto ora, proprio immediatamente dopo l’impegnativa ed approfondita disamina di Anna.
Ti invito a riconsiderare anche i miei commenti
qui: https://www.blogger.com/comment.g?blogID=5570132738557818436&postID=8982119853888761818
e qui: http://chiesaepostconcilio.blogspot.ch/2017/08/quarto-passo-sulla-nostra-aetate-la.html

Ma dici una cosa che condivido in toto e su cui desidero concentrare tutta l'attenzione:
E continuo ovviamente a orientarmi sul Magistero perenne

È esattamente quello che facciamo anche noi. È la nostra prassi. E, in tal senso, risulta che sia tu che noi stiamo agendo come se il CVII non fosse mai stato. O vuoi per caso convincermi che a tempo perso ti diletti nel formarti sui documenti del CVII? Non penso proprio.
Questo è mestiere degli accademici, il cui scopo è quello di fare un benemerito lavoro intellettuale di discernimento.
Ne abbiamo fatto recentemente un utile esercizio su questo tuo bel blog: è bastato per vederne di tutti i colori.

A questo proposito voglio riproporre qui di seguito un duplice commento che ho scritto il 13 agosto alle 18.08, al quale non solo non ho ricevuto nessuna risposta nel merito, ma semplicemente nessuna risposta (probabilmente non è stato notato, capita…), dove propongo una distinzione tra lavoro dei teologi e formazione dei fedeli.

marius ha detto...

Dobbiamo quindi attenerci sempre a questo criterio ermeneutico: accettare ovviamente ciò che è conforme al dogma, discutere ciò che è ambiguo, rigettare ciò che si dimostri erroneo nella fede. Il criterio appare senz'altro conforme alla recta ratio e al buon senso.

Ma questo significa l'impossibilità di una damnatio totale del Concilio, in quanto tale.


Ne abbiamo parlato in lungo e in largo sul thread precedente su questo tema.
Penso che qui dobbiamo intenderci bene a che livello stiamo parlando, a chi è rivolto questo invito al "criterio ermeneutico".
1) È un criterio cui dovrebbero attenersi tutti i teologi?
2) È un criterio cui dovrebbero attenersi tutti i fedeli?

Nel primo caso, come ho già detto, è fuor di dubbio che un lavoro teologico accademico non può prescindere dal principio del discernimento letterale tra il bene ed il male, dove per male intendo sia quello apertamente dichiarato sia quello dissimulato tra le pieghe di un bene con cui è mescolato; e dove ritengo altresì irrinunciabile la denuncia schietta ed a priori della scelta di un registro linguistico particolarmente adatto a dissimulare l'errore (perché l'ambiguità non è un bene o un male minore, tollerabile o impossibile da denunciare, ma è un male addirittura peggiore rispetto a quello manifesto).
I teologi che hanno in chiaro questo di conseguenza saranno ben coscienti del fatto che un Concilio basato sulle sabbie mobili di un linguaggio cangiante (non solo per questo motivo) è un Concilio nato male, è un Concilio che non si regge, che non ha autorevolezza, che non può aver futuro. Chiarito questo concetto basilare, il loro lavoro di discernimento avrà il valore di una continua dimostrazione di come gli errori e le ambiguità hanno le loro origini nell'errata scelta di fondo del registro linguistico.
I teologi che hanno in chiaro questo sapranno all'evenienza anche fare il percorso inverso e guidare nel percorso inverso: partire dal particolare (discernimento letterale) per poi approdare alla causa di fondo della scelta del registro linguistico (scelta oggettiva che nasconde e rivela quelle intenzioni soggettive che non si possono giudicare in foro interno).

A sostegno di questa visione v'è il principio "bonum ex integra causa malum ex quocumque defectu”. È ancora valido?
Inoltre sfido chiunque sia avverso a questa mia osservazione a firmare un contratto di rogito dove impegna centinaia di migliaia di € scritto con un linguaggio non definitorio.

Oppure vogliamo ammettere e continuare ad accettare che i documenti di un Concilio Ecumenico possano contenere errori? Se non lo accettiamo per un fatto privato come un rogito, a fortiori dovrebbe essere per un evento pubblico e di riferimento universale per la fede come un Concilio Ecumenico!!! Si chiede troppo?

(continua)

marius ha detto...

(continuazione)


Nel secondo caso penso che dovremmo essere realisti. Forse che un fedele cattolico dovrebbe frequentare corsi accademici di teologia per riuscire a districarsi nelle contorsioni dei voluminosi documenti della “nuova pentecoste"?
Diceva sopra Mic:
... e siamo costretti a batterci sul terreno della prassi, l'unica che ha voce in capitolo.
Se ai dubia non si risponde, e i processi innescati su molteplici fronti continuano a dispiegare i loro effetti nefasti, qualcosa si può e si deve fare, ognuno secondo le sue responsabilità, le sue situazioni e i suoi talenti.
Gli stessi interventi più autorevoli e significativi (penso ad esempio alla correzione pubblica), servono piuttosto per il rispetto della Verità e la premura per chi ha orecchie per intenderla. Il che, se non altro, è quanto dovuto al Signore che trova modo di servirsi delle nostre buone volontà. E, pensando a questo, non mi pare poco…


Ciò che Mic dice sui Dubia relativi ad Amoris Laetitia è a maggior ragione applicabile anche al CVII, dove di dubia ce n'è, eccome!
È quindi chiaro che questo criterio ermeneutico (accettare ovviamente ciò che è conforme al dogma, discutere ciò che è ambiguo, rigettare ciò che si dimostri erroneo nella fede. Il criterio appare senz'altro conforme alla recta ratio e al buon senso. PP) non è adatto ai semplici fedeli.
Qual è allora l'approccio più adeguato?
Semplice. Quello di continuare a credere e ad applicare ciò che è stato insegnato prima del CVII. Cosa per altro facilitata per tutti coloro che, nati prima degli anni sessanta, avevano ricevuto un'educazione religiosa preconciliare in occasione della loro Prima Comunione e della Cresima. Ma tuttora applicabile per tutti, come insegna la collaudata esperienza dei seguaci della Tradizione Cattolica. Questa è la cosa più semplice, la più concretamente realizzabile. Questa è la nostra prassi.
A chi mi contestasse direi: è forse più facile sorbirsi il mattone del CVII e sapersi districare nei suoi meandri oppurre istruirsi sulle domande-risposte del Catechismo di S.Pio X?
D'altronde questo è il metodo applicato verso i fedeli dalla Fraternità S.Pio X fin dalla sua fondazione.

O vogliamo sostenere che questo approccio è illecito, abusivo, supponente, egoistico, settario, elitario, di nicchia, autoreferenziale, scismatico? e che d'ora innanzi si dovrà tutti chinarsi e logorarsi su complicati esercizi ermeneutici, magari in vista di una possibile valorizzazione di un Concilio-emendato-dei-suoi-errori-ed-ambiguità?

A che pro?
La butto là: forse per riunire le "forze cattoliche ancora sane" tutte insieme appassionatamente in una terra di mezzo in cui tutte possano finalmente riconoscersi?

Annarè ha detto...

L'ortodossia è dunque impraticabile? Mi viene il dubbio si pensi così, perchè va bene la gradualità, ma caspita quanti decenni ancora servono ai nuovi ariani per diventare nuovamente totalmente cattolici? Il CVII non si può condannare in toto? chi l'ha detto? Una mela avvelenata in parte si butta non si mangia. Sbaglierò, ma non mi pare che ammorbidendo i toni, dialogando con Roma, ammiccando a certe concessioni, abbiamo visto i pastori smarriti tornare all'ovile con buone intenzioni per le pecore. Diciamolo, Mons. Schneider è un caso a se, circoscritto, non ne vedo altri attualmente come lui. Di Mons.Lefebvre ce n'è stato uno solo, nessuno si è parato così nettamente contro l'errore, mettendo la salvezza delle anime, la gloria di Dio e l'onore della madre Chiesa prima della propria persona. Mi pare che in questo articolo, manchi la consapevolezza che sia gli intransigenti che i soavi, stanno facendo quel che possono a seconda dei loro temperamenti, perchè questa Chiesa torni a splendere e le anime abbiano dei buoni pastori su cui contare. Poi sarà Dio a dare la vittoria quando vorrà e non sarà la vittoria degli intrasigenti, nè dei soavi (che sono solo mezzi nelle mani di Dio), ma di Dio.

mic ha detto...

Ma dici una cosa che condivido in toto e su cui desidero concentrare tutta l'attenzione:
E continuo ovviamente a orientarmi sul Magistero perenne


Questo non significa che ignoro il concilio. Non ne rigetto le parti commestibili che ci sono.
Questo dibattito va fatto anche con i nostri pastori di riferimento. Mons. Schneider che, quando gli ho scritto sulla collegialità ha puntualmente risposto. Ricorderai questo articolo
https://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2017/03/athanasius-schneider-la-dottrina-sulla.html

Prepariamo due tre domande essenziali da proporre a Mons. Schneider a al Card. Burke contemporaneamente. Intanto via mail. Poi forse sarà possibile parlarne de visu. Questo mettiamolo nel cuore della Madre del Signore e nostra.

mic ha detto...

Semplice. Quello di continuare a credere e ad applicare ciò che è stato insegnato prima del CVII. Cosa per altro facilitata per tutti coloro che, nati prima degli anni sessanta, avevano ricevuto un'educazione religiosa preconciliare in occasione della loro Prima Comunione e della Cresima. Ma tuttora applicabile per tutti, come insegna la collaudata esperienza dei seguaci della Tradizione Cattolica. Questa è la cosa più semplice, la più concretamente realizzabile. Questa è la nostra prassi.

Questa è anche la mia prassi nel foro interno. Ma faccio un esempio: quando vado in parrocchia (al momento è questo il mio principale luogo di riferimento) non posso pretendere di imporla agli altri. Intanto ho un dialogo con i sacerdoti anche in confessione e su tanti punti li vedo aperti. In un contesto del genere non c'è altra alternativa che procedere per gradi, altrimenti buttano via il bambino con l'acqua sporca. Intanto, forti del fatto che il parroco ci consente la Messa antica una volta al mese e ha informato anche alcuni parrocchiani (purtroppo solo anziani) che vi partecipano, possiamo promuovere approfondimenti sulla Liturgia antica con l'intento di farla conoscere a tutti. Partendo da lì, suaviter in modo e fortiter in re. Il resto non dipende da noi.

Anonimo ha detto...

Il punto,non colto da Fabrizio Giudici, ne approfodito da don Citati,consiste nell'esaltazione del sacerdozio comune del battezzati di chiara marca luterana.

Caro Antonio, il punto lo colgo benissimo. Ma sopra si parlava di "ruolo nell'evangelizzazione", non del sacerdozio e dell'amministrazione dei sacramenti. Sono due cose completamente diverse. Siccome qui si discute sempre di CVII, le sue ambiguità e le iniezioni di protestantesimo sono ovvie, penso a tutti.

solo ultimamente sta venendo "fuori"

Non è "venuto fuori" solo negli ultimi anni: tanto per dirne una, ma piuttosto rilevante, mi risulta che nel 2007 BXVI lo chiamò a Roma per leggere il Summorum Pontificum: ha sempre giocato un ruolo di primo piano nella questione liturgica. Prima di esserne rimosso nel 2014, era a capo del Supremo tribunale della Segnatura apostolica dal 2008 (e in quel ruolo mi risulta abbia emanato alcuni interdetti). Negli USA è sempre stato tra gli (odiati) conservatori in prima linea (tra quelli che hanno, per esempio, sempre sostenuto la necessità di scomunica per i politici sedicenti cattolici, ma di fatto apostati: pure di Kerry in campagna presidenziale). È diventato noto a livello mondiale sin dall'inizio degli sbandamenti di questo catastrofico papato.

D'altronde mi pare che la vicenda umana di Sant'Atanasio sia al 99% nota per il contrasto dell'arianesimo, e che ben poco si sa di lui prima che egli diventasse un alfiere di quella guerra.

Tornando a Sant'Atanasio, riprendo da Santi e Beati. Marius sopra ha già citato un pezzo, a firma di Corrado Gnerre. Però poi c'è un secondo pezzo di Guido Pettinati:

Seguirono per il santo dieci anni di pace relativa, di cui approfittò non solo per comporre opere dogmatiche, o di apologia personale, ma per proseguire una politica di vigile controllo e di prudente conciliazione, i cui effetti furono disastrosi per il partito ariano. [...] Riunito un concilio, prese decisioni improntate a misericordia verso coloro che si erano dati all'eresia per ignoranza, e anche sul terreno dogmatico fu largo e tollerante per quello che potevano sembrare quisquiglie o pura terminologia.

Non sarà legittimo pensare al classico "bastone e carota"? Discernere l'eretico impenitente e pericoloso per gli altri (pure infido, vista la questione dello iota), che va bastonato senza tentennamenti, da quello disponibile ad essere corretto e quindi da trattare con più comprensione?

marius ha detto...

Questo non significa che ignoro il concilio. Non ne rigetto le parti commestibili che ci sono.

Beh, se è per questo neppure io ignoro il Concilio.
Ma per quanto al suo interno è definibile come commestibile preferisco nutrirmi alla fonte originale, piuttosto che rischiare di cibarmi di parti contaminate dalla salsa legante di un linguaggio appositamente prolisso e in definitiva inaffidabile in quanto a chiarezza. Sono appunto un fedele, non un teologo accademico.

Prepariamo due tre domande essenziali da proporre a Mons. Schneider a al Card. Burke contemporaneamente. Intanto via mail. Poi forse sarà possibile parlarne de visu. Questo mettiamolo nel cuore della Madre del Signore e nostra.

La trovo una buona idea.
Cerchiamo di essere noi a stimolarli verso una presa di coscienza, anche se mi sembra strano che personaggi di quel calibro non siano coscienti degli errori e delle ambiguità del CVII.
Ho infatti la sensazione che il loro indugiare sia una tattica (illusoria) al fine di non alienarsi la considerazione dei loro colleghi e la possibilità di compattare il più gran numero di fedeli intorno alle verità di fede di sempre.

Nei loro interventi non si riesce mai a distinguere dov’è il confine tra il loro credo reale e le parole pronunciate per opportunità.

Quindi una lettera a loro potrebbe essere impostata in modo che si distinguano nettamente i due aspetti e vagliare così se davvero essi siano afflitti da queste preoccupazioni e se le stesse influiscano sulla nettezza delle loro prese di posizione.
In tal modo potremmo dunque promuovere una presa di coscienza della necessità della Verità tutta intera in senso evangelico, senza compromessi tattici, cosa che non equivale ad essere rozzi o irrispettosi.

marius ha detto...

Questa è anche la mia prassi nel foro interno. Ma faccio un esempio: quando vado in parrocchia (al momento è questo il mio principale luogo di riferimento) non posso pretendere di imporla agli altri. Intanto ho un dialogo con i sacerdoti anche in confessione e su tanti punti li vedo aperti. In un contesto del genere non c'è altra alternativa che procedere per gradi, altrimenti buttano via il bambino con l'acqua sporca. Intanto, forti del fatto che il parroco ci consente la Messa antica una volta al mese e ha informato anche alcuni parrocchiani (purtroppo solo anziani) che vi partecipano, possiamo promuovere approfondimenti sulla Liturgia antica con l'intento di farla conoscere a tutti. Partendo da lì, suaviter in modo e fortiter in re. Il resto non dipende da noi.

Anche noi, Mic, l'abbiamo fatto per anni. Per storia, per condizionamenti, per necessità.
Ma poi è arrivato il momento di passare il guado. Il Signore ci fa capire quando è il momento di andare oltre e ce ne dà gli strumenti.
E noi che dovevamo fare?
Dire forse:
"Signore, aspetta, per noi è ancora troppo presto, dobbiamo dapprima finire ciò che ci avevi detto di fare prima? Ci sono ancora tante persone da salvare in mezzo al guado, vogliamo accompagnarle!!!"
No, andare oltre è anche una testimonianza a vantaggio di tutti, una testimonianza del fatto che occorre procedere verso l'obiettivo, che non è rimanere tutti insieme nel mezzo a bagnomaria.

marius ha detto...

@ Anna

Grazie per l'impegno che hai profuso nel rispondermi. Che gentile! hai persino fatto una ricerca personale sulla questione della supposta differenza di vedute tra S.Atanasio e S.Lucifero.
Se l'aspetto da te scoperto fosse l'unica testimonianza (cioè la vertenza se confermare o no come vescovi cattolici quelli che erano stati vescovi ariani) significherebbe che quanto affermato da don Citati sia piuttosto una generalizzazione verso un supposto atteggiamento verso gli ariani o i semiariani in via di conversione in quanto fedeli, in quanto egli non parla affatto di vescovi.
Eppure sarebbe stato facile parlare di vescovi ariani o ex ariani proprio in questo contesto in cui l'autore stava criticando un articolo di UnaVox che a sua volta criticava appunto un vescovo, il Vescovo Schneider.
Il raffronto tra le due situazioni coinvolgenti vescovi (vescovi di allora - vescovo di oggi) sarebbe stato immediato per quanto attiene sia il contesto che il contenuto.
In ogni caso S.Atanasio e S.Lucifero parlavano a livello gerarchico (accettare la nomina vescovile di un vescovo ex-ariano) mentre l'autore di UnaVox scriveva un semplice articolo in cui esprimeva un suo pubblico parere su una pubblica presa di posizione di mons. Schneider. Due piani completamente diversi non confrontabili.

marius ha detto...

@ Fabrizio
Discernere l'eretico impenitente e pericoloso per gli altri (pure infido, vista la questione dello iota), che va bastonato senza tentennamenti, da quello disponibile ad essere corretto e quindi da trattare con più comprensione?

Osservazione che trovo molto pertinente, Fabrizio. L'avevo pensata anch'io ma poi l'avevo accantonata per non mettere troppa carne al fuoco nei miei interventi. Il rapporto ad personam poi è tutt'altra cosa dal dibattito pubblico. Questo è un altro aspetto importante che non si può non considerare. Leggendo il testo di don Citati mi son fatto una supposizione: "vuoi vedere che magari la differenza che appare tra i due santi sia dovuta ad una differenza di approccio, personale per l'uno, istituzionale per l'altro?". Ma naturalmente si trattava soltanto di una mia pura supposizione personale e come tale vale.

Annarè ha detto...

Mettiamo anche il caso che sia giusto continuare ad andare in parrocchia con i rischi che si corrono (non tutti c'e la fanno, anche perchè non tutti si sentono così forti nella fede da rischiare di iniziare a zoppicare andando con lo zoppo), ma veramente si vede qualche miglioramento, aportato da noi nelle parrocchie? Per intenderci già è difficile vedere dei progressi in ambienti conservatori, perchè anche qui pare che a volte camminino spediti, poi basta un'intimidazione di vescovi o del Papa ed ecco che tanti sacrifici, belle conquiste vengono rigettate nel fosso (es. visibile quello che è accaduto ultimamente in tutte le parrocchie gestite dai FFI). Io sinceramente questo graduale ritorno alla Verità di Fede non lo noto molto, vedo dei tira e molla e più facilmente delle rese al più forte. Ci sono certo singoli bravi sacerdoti che hanno capito e si danno da fare per quel che possono e non si spaventano davanti alle persecuzioni.C'è anche qualche barlume di risveglio tra vescovi, ma non grazie al nostro mal di fegato, ma grazie a Papa Francesco che è talmente spudorato da far storcere il naso anche a Lutero se vivesse ancora. Questi vanno aiutati per quel che si può, specialmente con la preghiera, ma credo che anche l'esempio abbia il suo peso. Se io tradizionalista "lefebvriano" evito la messa nuova, anche se detta da bravi sacerdoti, do un messaggio chiaro, almeno non do adito alle ambiguità, non faccio credere che una messa valga l'altra. Cose piccole, che magari ci pare servano a poco, ma se fossimo in più a disertare le messe nuove e riempire le messe tradizionali, forse il messaggio arriva se non al sacerdote, magari a qualche fedele, forse a nessuno, ma almeno avremmo fatto del bene a noi.
Credo, che la gradulaità debba muoversi sempre nell'ambito della Verità e del Bene. Non posso personalmente (se ho capito il problema)andare in parrocchia e farmi andare bene ciò che non è bene, con la speranza che piano piano riporterò il sacerdote e i fedeli al vero, è una pia illusione, molto rischiosa per altro, visto che è nostro aassoluto dovere il fuggire il male oltre che fare il bene. Pertanto va bene la gradualità(molte anime cresciute nel modernismo ignorano molti fatti e misfatti e purtroppo molta dottrina), la pazienza, il consiglio, l'aiuto, la benevolenza, la carità, la preghiera, ma non partecipando a riti e sacramenti non più cattolici, altrimenti che esempio diamo?

Luisa ha detto...

"Cose piccole, che magari ci pare servano a poco, ma se fossimo in più a disertare le messe nuove e riempire le messe tradizionali, forse il messaggio arriva se non al sacerdote, magari a qualche fedele, forse a nessuno, ma almeno avremmo fatto del bene a noi."

Annarè quanti cattolici nel mondo hanno una Messa "tradizionale"non troppo lontana dal loro domicilio?
Non sono certo la maggioranza, allora i cattolici ancor degni di questo nome, pur consapevoli dello scempio liturgico e che offrono ogni domenica la loro sofferenza al Signore, ma che non possono immaginare la loro vita senza la Messa e la Comunione, che fanno? Se ne stanno a casa pregando il Rosario?
In teoria, se posso esprimermi così, hai ragione, ed io, quando sono in trasferta, scelgo di rinunciare alla Messa piuttosto che assistere agli spettacoli domenicali organizzati dalle équipes liturgiche mai a corto di idee per sorprendere il pubblico-assemblea, spettacoli che taluni osano chiamare Messa, ma in pratica la realtà essendo quella che è, e cioè il 99,99% di cattolici ancora praticanti conoscono solo la Messa riformata, laddove ci sono sacerdoti non totalmente ottusi, ideologizzati, ma aperti e all`ascolto dei loro parrocchiani anche quelli non calati nel religiosamente e liturgicamente corretto, sacerdoti che non manipolano la liturgia a loro piacimento ma la celebrano in modo corretto e rispettoso, perchè non andare a quelle Messe pur conservando il proprio comportamento di raccoglimento ( lo so è sovente se non sempre missione impossible...) inginocchiandosi, domandando la Comunione sulla lingua e in ginocchhio, facendolo semplicemente e non per attirare l`attenzione....?
Anche se non è l`obiettivo ricercato, trovandosi all`interno di quella prassi ma con un altro comportamento, rispondendo alle domande dei sinceramente curiosi o incuriositi, niente è impossibile a Dio, alcune coscienze, in primis quella del sacerdote, potrebbero avere un sussulto e cominciare ad interrogarsi e forse ancora finire per liberarsi dalle sole certezze con le quali son stati formati=deformati e programmati.

Anonimo ha detto...

Notevole bordata su Amoris Laetitia da nientepopodimeno che... Crux Now:

http://formiche.net/blog/2017/08/25/crux-pizzica-amoris-laetitia/

I tentativi di chiarimento di Francesco sono stati orrendi (…). Lui e i suoi sostenitori (…) riconoscono la complessità del problema che appare ambigua e relativista verso quelli che chiedono chiarezza e carità. Sfortunatamente, la risposta del Papa ai suoi critici a volte è stata scostante e paternalistica.

marius ha detto...

@ Annarè

Mettiamo anche il caso che sia giusto continuare ad andare in parrocchia con i rischi che si corrono (non tutti c'e la fanno, anche perchè non tutti si sentono così forti nella fede da rischiare di iniziare a zoppicare andando con lo zoppo), ma veramente si vede qualche miglioramento, aportato da noi nelle parrocchie?

Miglioramento? Nella pluriennale esperienza nostra (mia moglie ed io) non posso dire di aver visto risultati. Se davvero ci sono lo sa solo Dio.

Io non imposterei il discorso su se sia giusto o non giusto, perché altrimenti potrebbe sembrare che si tratti di un'opzione, come se si potesse indifferentemente far così o cosà. La Messa tradizionale è la vera Messa Cattolica, quella riformata ne è una caricatura: non può essere indifferente scegliere tra l'una o l'altra.

La questione è invece un'altra.
Come diceva Luisa, la stragrande maggioranza dei cattolici conosce solo quella riformata. Se per grazia una persona comincia a conoscere la Messa tradizionale di fatto sta per iniziare tutto un gran lavorio, più o meno lento, per "traslocare" dall'una all'altra, lavorio interiore per conoscere le ragioni della differenza di concezione dei due riti, e lavorio pratico per riuscire ad assicurarsi una continuità nel frequentarla.
La parte pratica è dipendente dalla salute e dall'età della persona nonché dalla sua facilità a spostarsi e naturalmente dal fatto di non essere impedito da un'attività lavorativa obbligante durante la domenica.

Noi abbiamo deciso di dedicare la domenica (dies Domini) alla Messa, quindi di far di tutto per onorare il precetto festivo, così come aveva (rac)comandato la Madonna a La Salette. Siccome abbiamo ricevuto la grazia di conoscere il valore insostituibile della Messa Cattolica Tradizionale, ogni domenica e festa comandata facciamo (come tanti altri fanno) oltre un'ora di auto per andarci, e in quest'anno, grazie a Dio, non ci è mai capitato di dover mancarne una. Quando poi andiamo in viaggio altrove allora ci organizziamo informandoci anticipatamente sulle possibilità offerte nella regione di destinazione.

Occorre rendersi conto semplicemente che la domenica è fatta per questo, è da dedicare tutta a questo.

Aloisius ha detto...

Quando partecipo alla nuova Messa non corro alcun rischio di zoppicare con lo zoppo.
Al contrario, apprendo cosa non fare, se il prete modernista dice a, io faccio b, un apprendimento in negativo

Se vi partecipo è per assistere al Sacrificio incruento della Consacrazione e a ricevere il Corpo di Cristo, vera essenza della Messa.

Preferisco infatti andare a Messa che non andarci affatto: purtroppo le Messe vetus ordo sono rare.

Oppure credete che, dopo il Concilio Vaticano II, non vi sono più consacrazioni valide e che, quindi, il Signore non è presente nelle Messe con il nuovo rito?

Annare', Marius e Luisa, ho bisogno di una vostra gentile e chiara risposta, grazie


marius ha detto...

Grazie Luigi Rmv,
è bello poterci confrontare tra persone su queste cose quasi come se fossimo a tu per tu attorno ad un tavolo.

Quando partecipo alla nuova Messa non corro alcun rischio di zoppicare con lo zoppo.
Al contrario, apprendo cosa non fare, se il prete modernista dice a, io faccio b, un apprendimento in negativo


Anche noi (mia moglie ed io) dal momento in cui avevamo compreso il vero senso della S.Messa, continuavamo a partecipare alla Messa riformata "correggendo", nel nostro modo di intendere e di fare, le storpiature contenute nel Messale e nel modo di celebrare. Questa partecipazione "ultra-attiva" a mo' di sentinelle scongiurava il rischio di lasciarsi avvelenare e omologare.

Preferisco infatti andare a Messa che non andarci affatto: purtroppo le Messe vetus ordo sono rare.

Poi, attraverso varie fasi (pure già descritte in un altro post), abbiamo fatto il passo successivo di andare SOLTANTO alla Messa tradizionale.
È vero che è difficile trovarla sotto casa, ma, come dicevo sopra, siccome la domenica è fatta per quello, con un po' di buona volontà e di elasticità si riesce a trovare una soluzione. Il nostro don Ludovico, nella catechesi mensile, per spronarci, raccontava il caso di una famiglia australiana con 10 figli che settimanalmente affrontava il viaggio di 1000 km (mille, non ho sbagliato a mettere uno zero di troppo) per onorare il precetto festivo.

Oppure credete che, dopo il Concilio Vaticano II, non vi sono più consacrazioni valide e che, quindi, il Signore non è presente nelle Messe con il nuovo rito?

Sappiamo che di per sé il Messale PVI consente Messe valide, anche se non siamo sicuri che tutte le Messe celebrate con Messale di PVI siano valide. Dipende dai casi particolari.

Perché dunque andare solo alla S.Messa Tradizionale?
Perché quello della validità è solo uno dei criteri, non è l'unico da valutare. Anche la Sacra Liturgia bizantina è valida. Ciò non è un motivo per andarci.
Vogliamo si o no che la Chiesa ritorni conforme alla Cattolicità sia nella lex orandi che nella lex credendi? Sì?
Allora impegniamoci a seguire in modo esclusivo i coraggiosi pionieri che ci hanno aperto la via (la FSSPX, UnaVoce, e in seguito le Fraternità sacerdotali ED, i gruppi SP).
Quando si fa una scelta, questa deve essere decisa, univoca, una testimonianza verace e convincente, non una via di mezzo né carne né pesce.
Se Mons. Lefebvre e i gruppi UnaVoce fossero stati possibilisti "aperti" al biritualismo a quest'ora la Messa Tridentina sarebbe stata racchiusa solo nei vecchi messali coperti polvere di qualche sagrestia abbandonata.

E per concludere con un motto:
per passare dal principio conviviale (Messa PVI) a quello sacrificale (Messa SPV)
occorre troncare con la comodità e cominciare a sacrificarsi.

Luisa ha detto...

Luigi forse non mi son spiegata bene, rilegga il mio commento dove appunto dico che la realtà essendo quella che è non si può pretendere che chi non ha una Messa vetus ordo se ne stia a casa e che è all`interno del sistema, con il proprio esempio, che si può avere una seppur minima chance di risvegliare alcune menti e coscienze a partire dal sacerdote.
Se io non ce la faccio ad andare alla messa riformata è¨perchè dalle mie parti, salvo qualche rarissima eccezione, la Messa è diventata un giocattolo in mano ad animatori che hanno preso il potere anche sul parroco, trasformando lo spazio sacro in una sala spettacolo con un`agitazione permanente, gente che passa e ripassa davanti al tabernacolo ( quando è ancora sull`antico altare che ha resistito alla distruzione postconciliare ), in un continuo va e vieni, su e giù, silenzio e raccoglimento assenti, momento della Comunione culmine dell`insopportabilità con persone che vanno a ricevere il Signore, come se andassero a prendere un biscottino ecc ecc.
Io considero la Messa riformata valida anche se posso nutrire seri dubbi sulla cattolicità di certe Messe alle quali ho assistito prima di abbandonare.

marius ha detto...

Io considero la Messa riformata valida

Carissima Luisa, dovremmo sforzarci di uscire da una visione soggettiva per ancorarci alla realtà oggettiva, altrimenti potrebbe succederci di girare in tondo e ritrovarci al punto di partenza.

Luisa ha detto...

Allora marius mi correggo e dico: la messa riformata è valida.
Se dovessi pensare il contrario dovrei in tutta logica dire che il 99,99% delle persone che la seguono e celebrano non sono cattolici visto che quella messa non sarebbe cattolica.
Mi dispiace ma con tutte le mie riserve, le mie critiche, la mia consapevolezza dello scempio liturgico continuo a dire che la riforma così come era disegnata dalla Sacrosanctum Concilium era più che accettabile, forse anche su certi punti auspicabile, io avrei potuto adottarla, in questo non sono una tradizionalista ad hoc, ma questo l`ho già capito :)

Anonimo ha detto...

Grazie a Marius e a Luisa per la risposta.
Alcune precisazioni.
Per Luisa:
avevo letto bene, ma mi interessava comunque una tua risposta ancora più chiara (passo al tu, se non vi dispiace, perché ormai è staccheranno cenci 'frequentiamo' sul blog).
Per Marius, sempre esauriente e rapido:
non sto al livello di percorrere tanti chilometri e comunque non ho trovato nemmeno messe v.o. regolari di Domenica.
Nella mia Parrocchia non conosco nessuno, e di certo il parroco modernista, tutto papa Francesco, non terrà una Messa v.o. solo per il sottoscritto.
In un'altra parrocchia vicina di riferimento, il sacerdote, pur disponibile, non vuole troppa risonanza e concede messe in rito antico solo il primo sabato del mese.
Non credo, però, che solo per questo, sia un cristiano cattolico tradizionalista "né carne né pesce" e di avere una visione "soggettiva" (detto a Luisa, ma che si può riferire anche a me).
Né sono aperto al biritualismo, bensì costretto.
Posso fare di più per dare un segnale? Sicuramente si, mi impegnerò.
Ma non accetto etichette: capita spesso qui, basta un'argomentazione che considera altri aspetti, o qualche debolezza rispetto ad altri, che si è automaticamente classificati come nemici della patria, sinistroidi, ambigui, né carne né pesce, ecc..
Altrimenti i sempre graditi consigli e correzioni fraterne, che accetto e mi sonos di grande aiuto, diventano giudizi categorici, che vanno spesso anche sul politico (non nel tuo caso, Marius), che presuppongono una certa infallibilità in chi lo pronuncia, causando solo incomprensioni e nessun frutto
(Lo mise in evidenza don Elia, e fu bistrattato e accusato di alto tradimento)
LUIGI.RMV

Anonimo ha detto...

Ho un'eta' tarda , sono nato con la Messa in latino ( lontana da casa mia ) e nella mia Parrocchia NO , dall'alto del mio niente , cerco di dare un modesto esempio , di indicare la differenza tra l'essere in strada ed essere nella Casa di Dio : quando entro in Chiesa (un salone ) la mia prima preoccupazione e' andare al Tabernacolo inginocchiarmi e salutare Gesu' silenziosamente per tre volte : " Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e Divinissimo Sacramento ", ogni volta che passo e ripasso davanti al Tabernacolo (messo in un angolo) mi inginocchio , ogni volta che faccio la Comunione vado dal Sacerdote e mi inginocchio interrompendo per un attimo la marcia dei fedeli in fila , ogni volta (raramente ) in cui sono invitato a leggere lo faccio scandendo bene la Parola di Dio senza urlare per sottolineare che quello che leggo e' preghiera e' " Parola di Dio " . Quando posso vado a fare Adorazione Eucaristica in ginocchio davanti al Tabernacolo , con la Corona in mano .
Qualche soddisfazione si intravvede : due signore hanno ripreso l'uso del velo sul capo e qualche fedele inizia ad inginocchiarsi , certo moltissimo c'e' da fare e il merito va all'aiuto dell ' Angelo Custode della Parrocchia e alle anime del Purgatorio .
Gesu' pensaci Tu !

marius ha detto...

Cara Luisa,
la Sua riformulazione risolve la questione relativa alla validità.
Infatti la Messa PVI ha le caratteristiche necessarie affinché sia valida, ma la sua impostazione (conviviale piuttosto che sacrificale) contraddice i criteri di cattolicità. Paradossalmente è più cattolica la Sacra Liturgia bizantina dei greco-scismatici che non la Messa PVI.

Ciò non significa che di conseguenza le persone che la frequentano non debbano essere cattoliche. Molti sono nella situazione di essere dei cattolici che non si rendono conto di frequentare un rito spurio, che ha mantenuto quanto basta per essere in sé valido ma nel contempo ha assunto elementi protestanti che ne hanno cambiato l'impostazione (senza parlare delle conseguenze celebrative da Lei sempre ben evidenziate).

continuo a dire che la riforma così come era disegnata dalla Sacrosanctum Concilium era più che accettabile, forse anche su certi punti auspicabile
Immagino che qui Lei alluda al Messale del 1965. È così?

in questo non sono una tradizionalista ad hoc
Immagino che qui abbia voluto dire "non sono una tradizionalista doc", perché "ad hoc" lo è di certo (detto con simpatia ;-)

A questo proposito ho trovato questo trafiletto che Le propongo:
Ecco per­ché ogni cat­tolico, ma pos­si­amo ben dire ogni vero cris­tiano, non può igno­rare la tradizione e quindi deve nec­es­sari­a­mente dirsi «tradizion­al­ista» se vuole rimanere nella ver­ità. Vi è un solo ed unico modo di essere cat­tolici, aderendo al Mag­is­tero della Chiesa che è un «con­tin­uum» dagli apos­toli ad oggi.
Tratto da http://apologetica-cattolica.net/magistero/cattrad.html

Avevo in mente anche una famosa frase di un papa, che purtroppo non riesco a rintracciare, dove dice che il cattolico è naturaliter tradizionalista

marius ha detto...

@ Luigi Rmv

non sto al livello di percorrere tanti chilometri e comunque non ho trovato nemmeno messe v.o. regolari di Domenica.

Caro Luigi, ma dove abiti tu? Ti pensavo di Roma o da quelle parti?

marius ha detto...

Non credo, però, che solo per questo, sia un cristiano cattolico tradizionalista "né carne né pesce" e di avere una visione "soggettiva" (detto a Luisa, ma che si può riferire anche a me).
Né sono aperto al biritualismo, bensì costretto.
Posso fare di più per dare un segnale? Sicuramente si, mi impegnerò.
Ma non accetto etichette: capita spesso qui, basta un'argomentazione che considera altri aspetti, o qualche debolezza rispetto ad altri, che si è automaticamente classificati come nemici della patria, sinistroidi, ambigui, né carne né pesce, ecc..
Altrimenti i sempre graditi consigli e correzioni fraterne, che accetto e mi sonos di grande aiuto, diventano giudizi categorici, che vanno spesso anche sul politico (non nel tuo caso, Marius), che presuppongono una certa infallibilità in chi lo pronuncia, causando solo incomprensioni e nessun frutto


Caro Luigi,
lungi da me il dire o anche solo il pensare di attribuirti l'appellativo di "cattolico tradizionalista né carne né pesce".
Non ho mai scritto né inteso una cosa simile!
Leggi meglio; io ho scritto:
Quando si fa una scelta, questa deve essere decisa, univoca, una testimonianza verace e convincente, non una via di mezzo né carne né pesce.
Vedi? Io ho parlato di scelta, non di persone.

D'altronde il tuo caso risulta lampante: tu stesso dichiari apertamente che la tua non è una scelta, che non sei aperto (al biritualismo), macostretto.

Perché ho dunque parlato di scelte né carne né pesce?
Perché so che vi sono persone (non tu) che scelgono il biritualismo come convinzione, non la vivono (come te) come costrizione.

Quindi come vedi, non vi sono né etichette né giudizi categorici.
Tantomeno mi ritengo infallibile. Mi dispiacerebbe dare questa impressione: io non faccio altro che comunicare le mie esperienze e le mie convinzioni.
Luigi, tieni presente che io stesso, come spesso ho avuto occasione di raccontare, sono passato attraverso un vissuto simile al tuo, quindi ti capisco bene.

A Luisa ho parlato di visione soggettiva semplicemente perché lei si esprimeva con un verbo ("io considero") che esprime inequivocabilmente una visione soggettiva. Tu non c'entri. Tutto lì.

marius ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
marius ha detto...

Caro Luigi,
hai già consultato l'elenco delle Messe Tridentine sul sito UnaVox?
Ecco cosa appare riguardo a Roma:

Roma: Chiesa dei Santi Nomi di Gesù e Maria - Via del Corso, 45
Ogni Domenica e festa di precetto, S. Messa alle ore 9.30.
Primo venerdì del mese, ore 19,00
Per informazioni: 06 66481244 - 6624922
Posta elettronica: roma@icrsp

Roma: Chiesa di San Giuseppe a Capo Le Case,
via Francesco Crispi di fronte via di Capo Le Case
Ogni Domenica e festa di precetto, S. Messa alle ore 11,00.
Per informazioni: 06 39378985
Posta elettronica: vuiromabarreiro@tin.it

Roma : Chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini -
piazza della SS. Trinità dei Pellegrini, 1 (su via dei Pettinari)
Domenica e feste di precetto:
S. Messa letta ore 9,00 e ore 18,30,
S. Messa cantata ore 11,00
Da lunedì a sabato:
S. Messa letta ore 7,15 (no luglio e agosto) e ore 18,30
Per informazioni: 06.68300486
Posta elettronica: trinita@fssp.it

(SPc)
Roma : Chiesa di Santa Maria Annunziata in Borgo - lungo Tevere Vaticano, 1
Tutti i giorni: S. Messa ore 7,00
Domenica: ore 10,30
Per informazioni: 06-68.65.595

(SPc)
Roma : Chiesa parrocchiale di Santa Maria di Nazareth,
via Boccea, 590, località Casalotti
Tutti i giorni: S. Messa ore 7,00
Domenica e festivi: S. Messa ore 8,00
Per informazioni: 06.61.56.02.91

(SPc)
Roma : Chiesa di Sant'Anna al Laterano, via Merulana, 177
Tutte le Domeniche: ore 17,00
Per informazioni: 06.70.00.642

(SPc)
Roma: Chiesa parrocchiale dei Santi Protomartiri Romani,
via Angelo Di Pietro, 50
Tutti i sabati: ore 10,00
Per informazioni: 06.39375627

(SPc)
Roma: Parrocchia di Sant'Eugenio, Basilica Minore
viale delle Belle Arti, 10
due sabati al mese: S. Messa ore 8,00
ottobre 5 e 19; novembre 16 e 30; dicembre 7 e 21
Per informazioni: 06.3201923

(SPc)
Roma: Basilica di San Nicola in Carcere
via del Teatro di Marcello, 46
Ogni sabato: ore 18,00
Informazioni: 06.68.30.71.98

(SPc)
Roma: Parrocchia Santa Maria del Rosario
via Germanico, 94
soppressa
Tutte le Domeniche: ore 16,30
Per informazioni: 340.8129130

(SPc)
Roma: Cappella di Palazzo Altemps
Opera Familia Christi
via della Maschera d'Oro 8
Ogni Domenica, ore 11,00
Per informazioni: familiachristi@dongiuseppecanovai.it

(SPc)
Roma: Cappella dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
via degli Aldobrandeschi, 190
Ogni mercoledì, ore 13
Per informazioni: info@upra.org - tel. 06.66.54.31

Anonimo ha detto...

Grazie per la risposta, Marius, sei analitico e disponibile al dialogo (quello vero, non quello della Francesco & C.) e al chiarimento.
Anche io ho scritto prendendo spunto per considerazioni generali, non strettamente collegate al tuo intervento, ma non lo farò più perché spesso ci si "incarta" in equivoci, o pseudo/polemiche in cui, alla fine, si dice la stessa cosa.
Mi rendo conto anche che a volte non leggo abbastanza attentamente, o rispondo senza soppesare bene le parole, cosa che non si concilia con la sintesi che l'intervento deve avere.

Il lato positivo é che in questo blog siamo abbastanza sinceri, non per merito ma per Grazia del solo tentare la sequela di Cristo: quindi ce le diciamo chiare, senza mezzi termini, ed e'importante dare e ricevere risposte.

Sono infatti andato a ripescare l'articolo tra i più vecchi perché ero sicuro che mi avresti risposto.
E'è una cosa positiva, dobbiamo interagire, costi quel che costi: e' importante perché siamo pochi, per ora emarginati, presto perseguitati.

Comunque ho memorizzato l'elenco delle Messe v.o. a Roma e dintorni che mi hai gentilmente inviato, hai fatto il lavoro che avrei dovuto fare io, quindi un ultimo ringraziamenro anche per questo: mi hai dato uno stimolo/sfida benefici, ti farò sapere.

LUIGI.rmv

marius ha detto...

@ Luigi Rmv

Luigi, mi fa molto piacere che ci siamo capiti.

Per completezza non posso non aggiungere le Messe celebrate dalla FSSPX, anche se per me è molto difficile, anzi impossibile rendermi conto delle effettive distanze e delle caratteristiche del traffico veicolare o dei trasporti pubblici.

Albano Laziale (Roma):
Fraternità San Pio X, Residenza del Superiore del Distretto Italiano
Via Trilussa, 45, tel. 06.930.68.16 - fax: 06.930.58.48
Posta elettronica: albano@sanpiox.it
Ogni giorno:
S. Messa alle ore 7,15
Santo Rosario alle ore 18,30
Domenica e festivi:
S. Messa alle ore 10,30
Vespri e benedizione eucaristica alle ore 18.30

Roma: Cappella S. Caterina da Siena - Via Urbana, 85.
Domenica e festivi S. Messa alle ore 11,00
Per informazioni 06.930.68.16
Posta elettronica: albano@sanpiox.it