Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 25 settembre 2022

Domenica XVI dopo Pentecoste (“Miserere mihi”)

Domenica XVI dopo Pentecoste
(“Miserere mihi”)

Messa
La risurrezione del figlio della vedova di Naim ravvivò domenica scorsa la fiducia della Chiesa ed ora essa innalza più insistente la sua preghiera allo Sposo, che per qualche tempo la lascia su questa terra affinché il suo amore si tempri nella sofferenza e nel pianto.
In ordine alla salvezza la nostra impotenza è tale che, se la grazia non ci previene, non abbiamo neppure la preoccupazione di agire e, se essa non segue le sue ispirazioni per portarle a buon frutto, non sapremmo mai passare dal pensiero all'atto nei riguardi di una virtù qualsiasi. Se invece sappiamo essere fedeli alla grazia, la vita diventa una trama ininterrotta di opere buone.

Intróitus
Ps.85, 3 et 5 - Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.
Ps. 85, 1 - Inclína, Dómine, áurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego. Glória Patri…
Ps.85, 3 et 5 - Miserére mihi, Dómine,…

Orátio
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus iúgiter præstet esse inténtos. Per Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. M. - Amen.
Introito
Sal. 85, 3 e 5 - Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano.
Sal. 85, 1 - Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero. Gloria al Padre…
Sal. 85, 3 et 5 - Abbi pietà di me, o Signore,…

Colletta
O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli. M. - Amen.
EPISTOLA (Ef 3,13-21). - Fratelli: Vi esorto a non perdervi d'animo a motivo delle tribolazioni ch'io soffro per voi e che sono la vostra gloria. A questo fine piego le ginocchia dinanzi al padre del signore Nostro Gesù Cristo da cui prende nome ogni famiglia nei cieli e sulla terra, perché vi conceda, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere mediante lo Spirito di Lui potentemente corroborati nell'uomo interiore, in modo che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e voi, radicati e fondati nella carità, possiate, con tutti i santi, comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza, e la profondità, anzi possiate conoscere ciò che supera ogni scienza, la medesima carità di Cristo, in modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A lui, che può fare ogni cosa al di là di quanto quanto noi possiamo domandare o pensare, mediante la virtù che opera in noi, a lui sia gloria nella Chiesa e in Gesù Cristo per le generazioni di tutti i secoli. Così sia.
Il nostro consenso al Ministero di Cristo.
Qual è l'oggetto della preghiera apostolica così solenne nel suo atteggiamento e nei suoi accenti? Ora che noi fummo testimoni di tutti i misteri della Liturgia e conosciamo perciò le ricchezze della bontà di Dio ci resta qualcosa da chiedere a Lui? Ci risponde l'Apostolo: Tutto ciò che ha fatto il Signore resta sterile, se la preghiera non è esaudita, perché il mistero del Cristo si completa soltanto in noi e sostanza, sviluppo, successo del grande dramma divino, che va da una all'altra eternità, stanno interamente nel cuore dell'uomo. Chiesa, Sacramenti, Eucaristia, tutto l'insieme dello sforzo divino, hanno un solo scopo, la santificazione dell'anima nostra. Il fine che Dio persegue è tutto qui. se Dio lo raggiunge, il mistero del Cristo è un successo; se non lo raggiunge, Dio avrà lavorato invano, almeno per l'anima che si è sottratta alla sua azione.
Si tratta di vedere se l'intenzione eterna di Dio sarà realizzata, se i dolori e il sangue del Calvario avranno un frutto, se l'eternità futura sarà per ciascuno come Dio voleva: il risultato dipende dal cuore dell'uomo.

La nostra crescita spirituale.
Perché Dio non sia sconfitto, perché il suo amore non sia tradito, l'Apostolo chiede a Dio insistentemente per le anime nostre tre gradi di grazia nei quali si riassume tutto quello che la vita cristiana deve essere, tutto quello che dobbiamo fare per corrispondere al desiderio e all'amore di Dio.
Prima di tutto, dice l'Apostolo, dobbiamo irrobustire nello Spirito l'essere nuovo sorto in noi col battesimo, distruggere anche le minime tracce dell'uomo vecchio, l'essere adamitico, per far regnare sulle rovine l'uomo nuovo, il cristiano, figlio di Dio.
In secondo luogo egli chiede a Dio di distruggere la instabilità della nostra natura, cosa che senza la nostra cooperazione non è possibile, e di fissare nei nostri cuori il Cristo per mezzo della fede. Abitare implica continuità, adesione costante, comunione reale di vita, che sottomette al Signore tutta l'attività, ad imitazione della docilità e sottomissione che la natura umana del Cristo ebbe per il Verbo.
Eliminato così l'egoismo, la carità regnerà in noi sovrana e avremo allora statura e forza, per contemplare faccia a faccia il mistero di Dio. È questo il terzo grado della nostra crescita spirituale (Dom Delatte, Lettere di san Paolo, 2, 108).
VANGELO (Lc 14,1-11). - In quel tempo: Essendo Gesù entrato in giorno di sabato a prendere cibo in casa di uno dei principali Farisei, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed ecco stargli davanti un idropico. E Gesù prese a dire ai dottori in legge ed ai Farisei: È lecito o no curare di sabato? Ma quelli tacquero. Allora egli, preso per mano quell'uomo, lo guarì e lo rimandò. Indi soggiunse: Chi di voi, se di sabato gli cade l'asino o il bove in un pozzo, non lo tira subito fuori? E a queste sue parole non potevano rispondere. Notando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro questa parabola: Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non ti mettere al primo posto, ché forse non sia invitato uno più degno di te, e chi ha invitato te e lui non venga a dirti: Cedigli il posto; e allora tu non cominci a stare con vergogna all'ultimo posto. Ma, quando sei invitato, vatti a mettere all'ultimo posto, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su; e questo allora sarà per te un onore davanti a tutti i commensali. Difatti coloro che s'innalzano saranno umiliati, e coloro che si umiliano saranno innalzati.
L'invito alle nozze.
La santa Chiesa ci rivela oggi il fine che essa persegue nei suoi figli dopo i giorni della Pentecoste. Le nozze delle quali si parla nel Vangelo sono le nozze del cielo alle quali è preludio quaggiù l'unione divina, che si realizza nel sacro banchetto. L'invito divino è rivolto a tutti e non somiglia affatto agli inviti in uso sulla terra e con i quali gli sposi invitano i loro vicini ad essere puramente testimoni di una unione, che ad essi è affatto estranea. Sposo qui è il Cristo, Sposa è la Chiesa (Ap 19,7) e, essendo noi membri della Chiesa, le nozze sono le nostre nozze.

L'unione divina.
Se vogliamo che l'unione sia feconda, come la vuole l'onore dello Sposo, è necessario che l'anima serbi a lui nel santuario della sua coscienza una fedeltà non momentanea, un amore che duri oltre l'incontro nel sacro mistero della Comunione. L'unione divina vera domina l'esistenza, la riassume nella contemplazione dell'Amato, nella ricerca diligente dei suoi interessi, nella continua tendenza del cuore verso di Lui, anche quando pare che egli si sottragga allo sguardo dell'anima e al suo amore.
Può forse la Sposa mistica fare per Dio meno di quello che fanno le spose del mondo per lo sposo terreno (1Cor 7,34)?
Solo a queste condizioni l'anima raggiunge la vita unitiva e vi raccoglie frutti.

Condizioni dell'unione.
Per raggiungere questo pieno dominio del Cristo sull'anima e sui suoi movimenti, dominio che rende l'anima veramente sua e la sottomette a lui come la Sposa è sottomessa allo sposo (1Cor 11,8-10) è necessario eliminare qualsiasi rivalità. Vediamo anche troppo spesso che il Figlio nobilissimo del Padre (Sap 8,3), il Verbo divino che rapisce i cieli per la sua bellezza, trova quaggiù delle pretese rivali, che gli contendono il cuore delle creature da lui sottratte alla schiavitù e chiamate a condividere la gloria del suo trono. Quante volte egli non è tenuto in scacco anche in quelle anime nelle quali finisce per trionfare pienamente? E tuttavia non si impazienta, non si allontana per un giusto risentimento, ma ripete per anni il suo insistente invito (Ap 3,20), misericordiosamente aspettando che il tocco segreto della grazia e il lavorio dello Spirito Santo superino le inconcepibili resistenze.

L'umiltà.
Chi vuole ottenere un posto eminente al banchetto di Dio deve custodire particolarmente l'umiltà. Caratteristica dei Santi è l'ambizione della gloria futura, ma essi sanno che per ottenerla devono in questa vita tanto scendere nella miseria del loro nulla quanto nella vita futura vogliono salire. Attendendo il giorno in cui ciascuno riceverà secondo i suoi meriti, nulla perdiamo considerandoci al di sotto di tutti e il posto che ci è riservato nel regno dei cieli non dipende dall'apprezzamento nostro o altrui, ma solo dalla volontà di Dio che esalta gli umili.
Più siete grandi, più dovete abbassarvi in tutte le cose e troverete così grazia davanti a Dio, dice l'Ecclesiastico, perché Dio solo è grande (Eccli 3,21-22).
Seguiamo dunque, magari solo per interesse, il consiglio del Vangelo, e convinciamoci di meritare in tutto l'ultimo posto. L'umiltà non è sincera nei rapporti sociali, se non aggiungiamo alla poca stima di noi stessi la stima degli altri, rendendo onore a tutti (Rm 12,10), sottomettendoci volentieri a tutti in ciò che non interessa la coscienza, profondamente convinti della nostra inferiorità e della nostra miseria; davanti a Colui che scruta i reni e i cuori (Ap 2,23).
Una sentita carità verso il prossimo, che ci porta a metterlo davanti a noi, senza alcuna affettazione, nelle circostanze varie della vita di tutti i giorni è la miglior prova di una sincera umiltà verso Dio.

Preghiamo
La tua grazia, o Signore, ci preceda, ci accompagni e ci spinga sempre verso le opere buone.

(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 493-496)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua DESTRA: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Tunc dicet rex his qui a dextris ejus erunt: Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi:
Matt. 25, 34

Anonimo ha detto...

Mamma mia! Finissimo esegeta! Quindi i beati avranno libro e moschetto e grideranno “sono cristiano”?

Anonimo ha detto...

Ancora una colta, la moderazione ci delizia approvando commenti del genere!

Tanti amici come sono cambiati ha detto...

Facciamo garrire al vento la bandiera della Fede & Fedeltà alla Messa di Sempre.
Tanti amici, un tempo presenti anche su queste pagine, si sono messi a diffondere testi e preci N.O.
Non avete idea di con quanto dolore lo constato.

Vir catholicus ha detto...

Dominica XVI Post Pentecosten

"... ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi..."

I supposti 'amici' ha detto...

L'ho constatato anch'io. I supposti 'amici' in realtà erano falsi amici. Rallegriamoci che infine, calata maschera, abbiano mostrato il loro vero volto. Deo gratias!

Anonimo ha detto...

INGINOCCHIARSI DURANTE LA MESSA
Un gesto da rivalutare in non poche celebrazioni liturgiche odierne è l’inginocchiarsi. L’adorazione inizia dal riconoscimento di Dio e della sua sacra presenza, che sollecita l’uomo ad una risposta di riverenza e devozione. Nell’ambito biblico, il gesto più caratteristico dell’adorazione è quello di prostrarsi o di mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Dio (cf., ad esempio, 1Re 8,54-55; Lc 5,8; 8,41; 22,41; Gv 11,32; Atti 7,60; Ap 5,8 e 14; 19,4; 22,8). I primi cristiani hanno recepito questa prassi, come attestano Tertulliano e Origene nel terzo secolo.

La ben nota prescrizione del canone ventesimo del primo Concilio di Nicea (325), di stare in piedi per la preghiera liturgica, ad imitazione del Risorto, si riferisce specificamente alle domeniche e al tempo pasquale, mentre nei giorni di digiuno e nei giorni stazionali si pregava in ginocchio, così come attestato riguardo alla preghiera personale quotidiana. D’altronde, già in una lettera scritta nel 400, sant’Agostino dichiarava di non sapere se la prescrizione di Nicea fosse una consuetudine propria a tutta la Chiesa (cf. Ep. 55 ad Ianuarium, XVII, 32).

Durante i secoli, la Chiesa ha sempre ricercato espressioni rituali il più adeguate possibile, dando così una testimonianza visibile della sua fede e del suo amore verso il culto divino e in particolare l’Eucaristia. Così si è sviluppata in Occidente la consuetudine che i fedeli si inginocchino per il Canone della Messa, o almeno nelle sue parti centrali: la consacrazione. In tal modo, si è anche diffusa la prassi di ricevere la Sacra Comunione in ginocchio. Per fornire un esempio a tutta la Chiesa, il Santo Padre Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, ha cominciato a distribuire la Sacra Comunione direttamente sulla lingua ai fedeli che la ricevono inginocchiati.