Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 16 maggio 2024

Divagazioni indegne della Chiesa: riflessioni sulla dichiarazione “Dignitas infinita”

Nella nostra traduzione dal sito francese Parti National-Libéral una riflessione sulla Dignitas infinita. interessante perché evidentemente proveniente da un contesto non tradizionale e in chiave prettamente politica. Ci ricorda che il cosmopolitismo (e le sue manifestazioni: il meticciato, l'odio per la grandezza e la bellezza, il nichilismo, il rifiuto delle tradizioni) è più antico del cristianesimo, poiché fu inventato da Diogene, il cinico, nel IV secolo avanti Cristo. Era molto in voga nella Roma precristiana, ed è stato il cristianesimo, con la sua dottrina e conseguente etica esigente, la sua teologia del peccato originale, la sua speranza di salvezza fuori da questo mondo, ad emarginare secolari idee cosmopolite frutto dell'utopia egualitaria, permettendo il fiorire della sublime civiltà occidentale ora così in declino, insieme alla crisi epocale della nostra fede. 
Vedi qui indice articoli sulla Dichiarazione. Qui - qui precedenti di grande interesse sul vero concetto di dignità. 

Divagazioni indegne della Chiesa:
riflessioni sulla dichiarazione “Dignitas infinita”

L'8 aprile l'Ufficio stampa vaticano ha pubblicato la dichiarazione Dignitas infinita sulla dignità umana. Non è firmata da papa Francesco, ma dal cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del dicastero per la dottrina della fede. Tuttavia, come annuncia la presentazione della dichiarazione, la sua formulazione è durata cinque anni, e la versione finale, debitamente riletta e approvata dal Papa, è “in linea con l’enciclica Fratelli tutti” (vedi) del 3 ottobre 2020, un’enciclica che ha scioccato anche il patriottismo annacquato dei cattolici occidentali legge col suo cosmopolitismo radicale. Spetta ad altri il commento teologico a questa nuova dichiarazione, ma a noi interessa la sua valenza ideologica e metapolitica.

La maggior parte dei commentatori cattolici reazionari o tradizionalisti, preoccupati principalmente dell'ortodossia del testo e delle sue implicazioni spirituali, non volevano apparire troppo puntigliosi e si sono astenuti dal notare alcuni dei passaggi più esplicitamente politici del documento. I difensori del papa, dal canto loro, hanno accolto con favore le posizioni conservatrici che pure vi sono incluse e che hanno certamente provocato le ire della sinistra anticristiana.

Dignità umana contro il nichilismo cosmopolita
C'è da rallegrarsi, infatti, leggendo la parte finale del testo, che appare come una difesa degli intangibili principi morali della Chiesa di fronte alle aberrazioni cosmopolite nichiliste e innaturali. Il paragrafo 47 condanna fermamente l’aborto, come hanno sempre fatto i Papi, compresi quelli recenti; i paragrafi da 48 a 50 condannano la pratica della maternità surrogata; il 51 e 52 l'eutanasia; i paragrafi 53 e 54 difendono gli infermi e i ritardati mentali mentre la “teoria del genere” e poi il “cambiamento di sesso” vengono attaccati a lungo nei paragrafi da 55 a 60 e il 61 attacca la pornografia.

Sebbene queste posizioni siano normali da parte del Vaticano, qui vengono difese in un modo nuovo: dal punto di vista dell’infinita “dignità umana”, che dà il nome al documento. Il concetto è spiegato nell'introduzione e nella prima parte, che coprono i primi 16 paragrafi del documento, e che uniscono considerazioni storiche, filosofiche e semantiche. Pur ritenendo che nessuno abbia compreso meglio della Chiesa il tema della dignità umana, il curatore riconosce che è stato necessario attendere la storia recente per svilupparlo, dargli il suo significato moderno e concedergli un posto di rilievo. Infatti Leone XIII e Pio IX vi fecero riferimento nelle loro encicliche sulla “dottrina sociale della Chiesa”, ma è il Concilio Ecumenico Vaticano II che, con la dichiarazione Dignitatis Humanae e la costituzione pastorale Gaudium et spes, funge da un riferimento per questo nuovo documento.

La nozione di dignità umana è giudicata più idonea rispetto alle categorie abituali del peccato e dell'ordine naturale a difendere efficacemente la vita innocente e l'integrità del corpo nel mondo contemporaneo. L’aborto, ad esempio, non è definito peccato, ma è detto che “questa difesa della vita non nata è intimamente legata alla difesa di tutti i diritti umani”. Sul piano teologico, i paragrafi da 18 a 21 ripercorrono la storia dell'uomo di fronte al suo Creatore, sempre più vicino a Lui, la cui dignità infinita si rivela in tre fasi: nella sua creazione a immagine di Dio; nell'Incarnazione che “conferma” la somiglianza tra Creatore e creatura, secondo le parole di sant'Ireneo; nella Redenzione che scopre la “vocazione dell'uomo alla comunione con Dio”, secondo la costituzione pastorale Gaudium et spes. Questo racconto, dove non si parla della Caduta, offre una visione ottimistica di una dignità sempre più abbagliante, che non è distrutta dal peccato originale, restaurata da Cristo e perduta dal peccato mortale, come la teologia tradizionale, ma “inalienabile”, “intangibile”, “inalterabile”, come il testo ripete instancabile. A tal fine, il paragrafo 7 distingue chiaramente la “dignità morale”, che corrisponde all’antica concezione di dignità, che la Chiesa moderna non nega, ma alla quale si disinteressa, dalla “dignità ontologica”, di cui si discute in tutto il documento.

In verità, questa “dignità ontologica” ha molto a che fare con i “diritti umani” così come concepiti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il Vaticano lo accetta pienamente, poiché presenta subito Dignitas infinita come commemorazione del 75° anniversario di detta dichiarazione, pur ritenendo che siano le Nazioni Unite ad ispirarsi alla Chiesa, e non viceversa. In ogni caso, il documento riconosce pienamente la sua "autorità" - in verità del tutto simbolica, poiché la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, una semplice risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, non è giuridicamente vincolante, a differenza dell'odierna DDHC in Francia o delle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che tutti gli Stati membri dell’ONU sono tenuti ad attuare – e li accoglie senza riserve. Cita Francesco, che a sua volta cita Giovanni Paolo II: «Nella cultura moderna, il riferimento più vicino al principio della dignità inalienabile della persona è la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che san Giovanni Paolo II ha definito «una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino dell'umanità» e come “una delle più alte espressioni della coscienza umana”. » Abbiamo l'impressione che la Chiesa, consapevole del suo ruolo in diminuzione nel mondo moderno, aspiri solo a trovare il suo posto nella sovrastruttura globale, sotto l'egida dell'ONU, ora molto meglio collocata. In ogni caso, è difficile credere che qui difenda le proprie idee, i “valori evangelici” (§4) difesi dalla Chiesa “fin dall’inizio della sua missione” (§3) e che la “riflessione cristiana” del XX secolo verrebbe semplicemente “a enfatizzare di più” (§13). Quando il paragrafo 7 parla di un "consenso abbastanza generale sull'importanza e sulla portata normativa della dignità e del valore unico e trascendente di ogni essere umano", si tratta delle idee del moderno Occidente scristianizzato, non delle idee cristiane. Allo stesso modo, quando si tratta, nel preambolo del testo, degli "ultimi sviluppi del tema in ambito accademico", abbiamo presente una Chiesa al traino di un'etica filosofica secolare, e non più guidata dalla Rivelazione.

Alcuni vogliono credere che questa retorica avrà un effetto salvifico riabilitando la difesa di queste nobili cause agli occhi del mondo. Essendo diventato ormai incomprensibile il tradizionale discorso sull'ordine naturale, il Vaticano spera di raggiungere maggiormente i nostri contemporanei facendo appello a un riferimento più consensuale: i diritti umani. Deplorando sia le minoranze perseguitate che i bambini abortiti, sostituirà l’immagine di difensore degli oppressi a quella di reazionario autoritario. Si tratta di una strategia puramente retorica adottata deliberatamente? Probabilmente no, ma, se così fosse, sarebbe discutibile, non solo perché la sua efficacia è dubbia (la pubblicazione di Dignitas infinita non ha mancato di suscitare l’odio dei cosmopoliti, come ogni dichiarazione ostile all’aborto), ma soprattutto per quello che implica.

La dignità umana, eco delle idee di sinistra
Infatti, se la quarta parte del documento, che vuole essere un catalogo delle violazioni della dignità umana, finisce molto bene, come già detto, inizia molto male. Innanzitutto c'è il paragrafo 34, dove la pena di morte è condannata in modo assoluto, senza la minima sfumatura o eccezione, andando contro tutta la tradizione cattolica che l'accoglieva come giusta punizione [qui - qui]. L’argomento era già ampiamente dibattuto quando, nel 2017, papa Francesco decise di modificare il Catechismo della Chiesa Cattolica per inserire questa nuova condanna. Ricordiamo tuttavia che è impossibile, su questo punto, difendere l'idea di un semplice "sviluppo" o "affinamento" della dottrina della Chiesa: la rottura con l'insegnamento tradizionale è evidente e non lo fa, contrariamente alle apparenze, sul campo giuridico, ma su quello morale, rendendo retrospettivamente tutti i sovrani, magistrati e carnefici cattolici della storia avversari del Vangelo.

I paragrafi 36 e 37, dal canto loro, adottano puramente e semplicemente l’idea socialista secondo cui il problema della povertà è un problema di distribuzione della ricchezza, citando Giovanni Paolo II, che su questo tema non è stato migliore di Francesco. Il paragrafo 36 rifiuta esplicitamente la distinzione tra paesi ricchi e paesi poveri, sostenendo che lo “scandalo delle disparità evidenti” esiste in entrambi, come se fosse meglio vivere in una miserabile uguaglianza che in una prosperità differenziata. Il paragrafo 37, facendo riferimento a Fratelli Tutti [vedi], rifiuta di accogliere il calo della povertà legato al progresso materiale e arriva fino a implicare, facendo della disoccupazione una forma di povertà insopportabile, contraria alla dignità umana, che l'imprenditore che licenzia i lavoratori per ragioni economiche è paragonabile ad un assassino motivato dall'avidità.

Purtroppo il collettivismo è una trappola antica e comune tra i cattolici che si sono lasciati sedurre da una visione distorta della carità cristiana. L'introduzione delle idee cosmopolite nella Chiesa è più recente. Il paragrafo 40, riprendendo le idee di Fratelli Tutti, non si limita a chiedere l'apertura delle frontiere per accogliere tutti gli immigrati [vedi]: critica i paesi che hanno commesso l'errore di non occuparsi ancora dei primi venuti ​​come cittadini a pieno titolo. Almeno qui l’argomento occupa solo un paragrafo, mentre il papa ha dedicato 200 pagine a dare lezioni agli occidentali nella sua indigeribile enciclica.

Ancora più ridicoli sono i paragrafi 44 e 45 che iniziano con la didascalia “Violenza contro le donne” . Si tratta di una piaga contro la quale tutti i cattolici sono d'accordo, e questi paragrafi non dovrebbero suscitare troppe proteste. Ma vediamo di quale “violenza” stiamo parlando. A partire dalla seconda frase, il testo sposta abilmente il discorso: «Mentre la pari dignità delle donne è riconosciuta a parole, in certi paesi le disuguaglianze tra donne e uomini sono molto gravi e anche nei paesi più sviluppati e più democratici, la concreta la realtà sociale testimonia che spesso alle donne non viene riconosciuta la stessa dignità degli uomini. » Non è più una questione di violenza, ma di disuguaglianze che sarebbero, ovviamente, inaccettabili. Dalla lettura di questa frase capiamo chiaramente perché la critica alla violenza vera non basta: equivarrebbe ad incriminare i paesi arretrati dove essa è molto più diffusa. Meglio attaccare l’Occidente, già abbastanza femminista, ma ancora non abbastanza, in una logica che ricorda l’“intersezionalità” dell ’“Afrofemminismo”.

Ma di quali disuguaglianze parliamo qui, dalla penna di un cardinale il cui femminismo non può che essere molto moderato, e che protesta ulteriormente (§59) contro la teoria del genere che, secondo le parole di Papa Francesco – anche (nella sua esortazione Amoris laetitia del 19 marzo 2016 qui) «permette di immaginare una società senza differenze di sesso e mina le basi antropologiche della famiglia» ? Lo apprendiamo nel paragrafo successivo, attraverso una citazione di Giovanni Paolo II che, ancora una volta, contrariamente a quanto credono i reazionari dell’ultima ora, è stato disastroso quanto l’attuale papa: “È urgente ottenere ovunque l’effettiva uguaglianza dei diritti umani e quindi parità di retribuzione a parità di lavoro, tutela delle madri lavoratrici, equo avanzamento di carriera, uguaglianza dei coniugi nel diritto di famiglia, riconoscimento di tutto ciò che è legato ai diritti e ai doveri del cittadino in un regime democratico. » E conclude il direttore di Dignitas infinita : «Le disuguaglianze in questi ambiti sono diverse forme di violenza. »

Così, non solo il defunto Papa pretese, ripetendo di sfuggita la fandonia della disparità retributiva a parità di lavoro, che fosse abolito il minimo successo professionale delle donne (e come?), ma anche il suo successore la considera una “forma di violenza », stravolgendo il significato delle parole come l'ultimo dei sofisti cosmopoliti. Non resta nulla dell'idea di complementarità dei sessi sviluppata da Pio XII nei suoi discorsi ai giovani sposi, per non parlare dei versetti di san Paolo sulla sottomissione dovuta dalle donne ai mariti (Efesini 5,22-23).

Cristianesimo e cosmopolitismo
Il susseguirsi di questi paragrafi cosmopoliti e poi conservatori ci ricorda uno spettacolo al quale siamo abituati: quello dei politici e dei commentatori di centrodestra, che trascinano i piedi e si lamentano un po' di fronte alle ultime diaboliche innovazioni dei cosmopoliti, ma che finiscono sempre, qualche anni o decenni dopo, accettandoli, addirittura difendendoli, stanchi di essere odiati dalla sinistra. Ci piacerebbe credere che, a differenza di questi conservatori tiepidi, il Vaticano difenda principi intangibili, fedele a una tradizione bimillenaria, e che il suo apparente centrismo non faccia altro che mantenere la rotta del Vangelo in un mondo martoriato da maree contrarie. Del resto, come abbiamo già detto, i Papi che si sono succeduti sono rimasti fermi sul punto più serio, cioè l'aborto, per mezzo secolo, malgrado la pessima fama che ne hanno ricavato tra i cosmopoliti. Purtroppo, l’evoluzione del discorso romano su altri temi, come il posto delle donne, la pena di morte e l’omosessualità, suggerisce il contrario. Come credere che gli autori di questa dichiarazione siano coerenti quando deplorano al paragrafo 25 la "moltiplicazione arbitraria di nuovi diritti" quando loro stessi inventano il diritto per le donne di guadagnare tanto denaro quanto gli uomini e di occupare le stesse posizioni?

Più profondamente, questa benedizione delle idee cosmopolite da parte del Vaticano, sia pure con qualche decennio di ritardo, si accompagna ad una cattiva lettura della storia delle idee. Il paragrafo 32 merita, come tale, di essere citato integralmente:
Allo stesso tempo, è evidente che la storia umana mostra progressi nella comprensione della dignità e della libertà delle persone, non senza ombre e pericoli di involuzione. Ne è prova il fatto che cresce l’aspirazione – anche sotto l’influenza cristiana, che continua ad essere lievito anche nelle società sempre più secolarizzate – a sradicare il razzismo, la schiavitù e l’emarginazione delle donne, dei bambini, dei malati e dei disabili. Ma questo arduo percorso è lungi dall’essere terminato.
Roma, avendo perso la sua influenza nell’Occidente moderno, si consola trovando un’origine cristiana alle idee dominanti delle società “secolarizzate” o, per dirla senza eufemismo, apostate. In breve, riprendiamo la famosa idea di GK Chesterton del mondo moderno "pieno di antiche virtù cristiane impazzite", ma per congratularcene, invece che per lamentarcene. Peggio ancora, questo paragrafo dà ragione agli ideologi della cosiddetta Nuova Destra (PND) che, seguendo Frédéric Nietzsche, attribuiscono gli antivalori dell’Occidente decadente all’influenza cristiana.

Ricordiamo invece che il cosmopolitismo (e le sue manifestazioni che sono il desiderio di mescolare le razze, l'odio per la grandezza e la bellezza, il nichilismo, il rifiuto delle tradizioni) è più antico del cristianesimo, poiché fu inventato da Diogene il Cinico nel IV secolo a.C. secolo a.C., che era molto di moda nella Roma precristiana, e che era il cristianesimo che, attraverso la sua moralità esigente, la sua teologia del peccato originale, la sua speranza di salvezza fuori da questo mondo, emarginava le idee cosmopolite, dipendenti dall'utopia egualitaria, per secoli, permettendo alla sublime civiltà occidentale di fiorire.

Il paradosso in cui inciampano sia gli ideologi del PND che il Papa, cioè che queste cosiddette idee cristiane trionfano in un mondo scristianizzato, ha una soluzione semplice: non sono affatto cristiane. 
Maurice Seclin - Fonte 

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
_________________
A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
(ora che sono sola ce n'è più bisogno) 
IBAN - Maria Guarini
IT66Z0200805134000103529621
Codice BIC SWIFT : UNCRITM1731

4 commenti:

da ex studente di Giurisprudenza ha detto...

Va bene che un secolo fa circa delle devianze sessuali c'era di fatto solo l'omosessualità, che era considerata una malattia, ma nemmeno Mussolino volle criminalizzare quei comportamenti.
Se si legge il codice penale ci sono due articoli (528 e 529) che sembrano provenire dalla divisione da uno unico iniziale: sono così perchè proprio Mussolini, pare prorprio lui in persona, rifiutò la criminalizzazione dell'omosessualità e non volle che neppure la si nominasse (forse per logica: se al tempo e fino al 1973 era una malattia, non si poteva processare una persona perchè malata). Solo se intervenivano altri fatti come violenza o corruzione si perseguiva per quelli.
Lo stesso fecero i governi a guida DC nel dopoguerra, fin circa al 1975, ossia con la de-patologizzazione dell'orientamento.
Una eccezione tuttavia c'è stata: fino al 1986 la Difesa considerò quella che chiamava "inversione sessuale" patologia da riforma (art 28 DPR 496 del 1964), sostituendola poi (art. 41 DPR 1008 del 1985, ma entrato in vigore solo nel maggio 1986) con la "devianza sessuale", che è un termine più ampio, comprendendo anche guardoni, sadomasochisti pedofili, travestiti e tanti altri comportamenti. Non era specifico per questo, ma gli ospedali militari di Udine, Torino e Firenze continuarono anche dopo il 1978 a denunciare, fino al marzo 1991, alle questure di residenza tutti i riformati presso di loro per motivi psichici come "pericolosi per sè stessi e per gli altri", quindi talora anche degli omosessuali o dei "trans".
Infatti la famosa legge 180/78 non ha abolito la denuncia di polizia delle malattie mentali (art. 153 TULPS), ma solo le sanzioni per l'omissione; in qualche caso le Questure procedevano a norma della legge 1423 del 1956, ma nel 1988 fu abolito il concetto di pericoloso per la pubblica moralità e già nel 1981, forse proprio per l'azione contro un "matto", la Consulta aveva dichiarato illegittima la figura del "proclive a delinquere". Poi, sì, anche la Cassazione ha stabilito che non si può mettere sotto misure di polizia un "matto" che fosse noto essere tale da prima, quindi nemmeno un sessualmente deviato, omosessuale o trans o cos'altro non importa, quindi l'art. 153 TULPS è considerato vigente solo per il controllo della tossicodipendenza, sulla psichiatria è stato svuotato, perchè la polizia non ha più competenze in merito.
Aggiungiamo che ormai nessuno psichiatra direbbe che tutti i malati di mente sono pericolosi, pur ovviamente riconoscendo che qualcuno lo è, ma per saperlo bisogna, come tutti i criminali, che abbia prima "fatto qualcosa".
Ovviamente mi sono buttato sul giuridico visti i miei studi, di ecclesiologico non so molto.

Anonimo ha detto...


In 'Iota Unum' Amerio scrive che abolire la sodomia come colpa è stato un errore esiziale (par. 181).
L'argomento è da lui solo sfiorato. L'errore consiste nel cessare di considerar la sodomia una perversione per presentarla come un'espressione della sessualità (omo invece di etero).
"La differenza naturale viene sopraffatta da una sofistica dell'amore, il quale viene fatto capace di instaurare una comunone spirituale di persone al di là delle guide naturali e in oltraggio dei divieti morali. Lo scandalo passò nella Chiesa olandese dai teologumeni alla prassi e si ebbero celebrrazioni liturgiche dell'unione di omosessuali e persino una Missa pro omophilis, che 'Notitiae', organo della Commissione per l'esecuzione dei riti, si trovò in obbligo di deplorare (marzo 1970, p. 102)".
A ben vedere, non considerare sodomia e saffismo come perversioni appare errato già sul piano logico.

Oltre le Dichiazioni recenti ha detto...

Non bisogna cedere alla disperazione per il difficile tempo che viviamo.
La liturgia e la vera musica sacra risorgeranno.
Forse noi non lo vedremo, ma quel tempo verrà e i cieli si apriranno ancora e la luce dal cielo verrà ancora a riscaldare i nostri cuori.

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe suggerire ai Molto Reverendi Cardinali almeno a quelli che hanno ancora la fede, diciamo un po sulla scia di quanto fatto con la pubblicazione del libro catechismo sul Credo recente di Mons Schneider, se non sia opportuno redigere un Credo come fu a Nicea-costantinpoli, ed in qualche modo prestare un giuramento o un assenso per ogni singolo Cardinale o Vescovo al fine di chiarire le posizioni ma probabilmente la prassi si ripeterebbe con la teoria confermata smentita però nei fatti con la pastorale