Il 22 luglio 1968, a Cervia, moriva Giovannino Guareschi. Al suo funerale, a Roncole Verdi, c’era la bandiera italiana con lo stemma sabaudo davanti alla bara, congiunti, amici, alcuni colleghi giornalisti: Nino Nutrizio, direttore de La Notte, Enzo Biagi, Alessandro Minardi, già direttore del Candido e pochi altri. Partecipò anche Enzo Ferrari, che stimava moltissimo Guareschi. L’unico politico presente, il sindaco socialista di Roccabianca, nel parmense. La S. Messa venne celebrata in latino.
La RAI dedicò pochi secondi all’evento, molti giornali lo relegarono nelle pagine interne. Astioso il commento dell’Unità, incapace di riconoscere lealmente la grandezza di un avversario: “Malinconico tramonto dello scrittore che non era mai sorto”. Ancora più ignobili furono i commenti di alcuni giornali cattolici “ufficiali”: il settimanale della curia di Torino, Il Nostro Tempo titolò: “Guareschi diede voce all’italiano mediocre”. L’articolo così iniziava: “Era un uomo finito” e così finiva: “Fu in definitiva un corruttore”. Su L’Avvenire d’Italia, sanzionato Guareschi come “mediocre”, si sentenziò: “Peppone e Don Camillo sono premorti al loro autore”. Mai profezia fu più smentita dei fatti di questa: i libri di Don Camillo continuano a essere ristampati e i film (che pure Guareschi non amava; litigò furiosamente con produttori, sceneggiatori, registi) regolarmente riproposti sul piccolo schermo. Baldassare Molossi, direttore della Gazzetta di Parma, definì “Italia Meschina” quella che si rifiutò di rendergli omaggio, almeno da morto.
Eppure Guareschi è stato uno degli scrittori italiani più pubblicati in Italia e nel mondo (oltre venti milioni copie) e il più tradotto in assoluto. Il giornalista e saggista Michele Brambilla di lui ha scritto: “Guareschi è stato un grande scrittore cattolico, direi il più grande (anche se a lungo sottovalutato o incompreso) scrittore cattolico italiano del Novecento”.
Nato nel 1908, Guareschi mosse i primi passi come giornalista nella Gazzetta di Parma per poi passare a Il Bertoldo, settimanale satirico edito da Rizzoli, a cui collaborarono anche Marcello Marchesi, Carletto Manzoni, Giacinto Mondaini.
Richiamato nell’Esercito durante la guerra, dopo l’8 settembre venne catturato dai tedeschi e internato in un campo di prigionia dove trascorse due anni e dove coniò una frase poi divenuta celebre ed emblematica del suo carattere: “Non muoio neanche se m’ammazzano”.
Immediatamente dopo la guerra, fondò, con Manzoni, Mosca e Mondaini il settimanale Candido, di cui fu condirettore e poi direttore e che rimane il capolavoro giornalistico di Guareschi. Innumerevoli furono le battaglie combattute da questa testata: la denuncia delle migliaia di assassinati dai partigiani nel “triangolo rosso” in Emilia in quanto ritenuti fascisti o comunque nemici del popolo (tra cui il seminarista Rolando Maria Rivi), lo strenuo sostegno alla causa monarchica nel referendum del 2 giugno 1946 e poi la denuncia degli innumerevoli brogli commessi dall’apparato governativo per far vincere la repubblica. Storico e determinante fu il contributo di Candido alla sconfitta comunista nelle elezioni del 1948. Due vignette, riprodotte in migliaia di manifesti, spostarono probabilmente milioni di voti in senso anticomunista: quella famosa “Nel segreto dell’urna, Dio ti vede, Stalin no” e quella in cui uno scheletro di un soldato italiano dietro un reticolato sovietico dice: “100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me”.
La Democrazia Cristiana non ringraziò mai e rimase sempre sospettosa, se non ostile, rispetto a Guareschi e al Candido, anche per le sue battaglie contro la “legge-truffa”, per l’italianità di Trieste, contro gli scandali e la corruzione di molti esponenti governativi e poi contro “l’apertura a sinistra” dello scudocrociato. D’altronde, Candido non fu mai democristiano. Lo chiarì molto bene e con ironia lo stesso Guareschi nella presentazione della rivista: “Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile”. Tuttavia nessuno si aspettava che l’ostilità democristiana contro Guareschi giungesse al punto di mandarlo in galera. Fu l’affaire De Gasperi.
Guareschi era venuto in possesso di due lettere dello statista trentino, una dattiloscritta ma con firma autografa, l’altra completamente autografa in cui De Gasperi chiedeva agli alleati di bombardare Roma, per demoralizzare fascisti e tedeschi. Giornalista scrupolosissimo, attento alla veridicità delle fonti, Guareschi fece analizzare e certificare l’autenticità delle due lettere dal miglior perito del tribunale di Milano, poi le pubblicò. De Gasperi querelò e inizio un processo farsa degno dell’Unione Sovietica. La prima perizia e ulteriori perizie sia grafologiche che chimiche vennero rifiutata dai giudici così come testimoni a favore di Guareschi. Secondo i giudici, bastava il giuramento di De Gasperi. Il processo si risolse in tre udienze e Guareschi venne condannato: inoltre su di lui pesava una precedente condanna per un’innocua vignetta su Einaudi. Guareschi, che rimase per tutta la vita convinto della veridicità dei documenti (“In me rimane la piena, assoluta, matematica sicurezza che quei documenti siano autentici”) rinunciò all’appello, rifiutò di chiedere la grazia, riempì la sua vecchia sacca della prigionia e scontò ben 409 giorni di prigione tra il 1954 e il 1955 scrivendo: “Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione”. Fu l’unico giornalista, nella storia della repubblica, a scontare una pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La detenzione fu durissima, perché l’amministrazione carceraria non voleva essere accusata di indulgenza verso il noto scrittore e probabilmente anche per pressioni governative. Seguirono sei mesi di libertà vigilata. Guareschi uscì da quell’esperienza debilitato sia fisicamente che moralmente. Non si riprese più perfettamente e le conseguenze delle condizioni detentive determinarono le sue successive, malferme condizioni di salute.
L’opinione pubblica reagì massivamente a favore di Guareschi: il quotidiano Il Secolo d’Italia, fiancheggiatore del M.S.I., indisse una sorta di referendum a favore dello scrittore. A Roncole Verdi, nel centro studi a lui dedicato, vi sono tutt’ora dieci casse di lettere, cartoline, telegrammi a favore della liberazione di Guareschi: ben 200.000 missive: tra loro, quelle di Sofia Loren, Walter Chiari, Lucia Bosè, Gino Cervi, Fernandel, Eleonora Ruffo, Delia Scala, Carlo D’Apporto, Lea Padovani, Emma Grammatica, il campione ciclista Enzo Magni e innumerevoli altri. Ma il Potere democristiano non rinunciò al suo desiderio di vendetta contro Guareschi e si rifiutò di ascoltare.
Tutt’ora gli storici discutono della veridicità delle lettere ma un verdetto definitivo non può essere emesso perché, per ordine del tribunale, le due missive vennero distrutte. E anche questo rende sospetta quella sentenza.
Nel dicembre del 1946 era nato, sul Candido, “Mondo Piccolo”, con i racconti di don Camillo e Peppone, i personaggi letterari più famosi del ‘900. Fu subito un successo enorme. In realtà c’è un terzo protagonista, il più importante: il Cristo Crocifisso. Perché è inutile dire che la saga di don Camillo e Peppone è una saga profondamente cattolica. È l’espressione della profonda fede di Guareschi e del suo roccioso credo, ben poco “ecumenico” e “inclusivo”: “La cosa è molto semplice: per noi esistono al mondo due idee in lotta: l’idea cristiana e l’idea anticristiana”.
Interessante la considerazione di Paolo Gulisano che paragona Guareschi a Chesterton: entrambi gustosi umoristi, entrambi ottimi scrittori, entrambi formidabili polemisti e apologeti del Cattolicesimo, entrambi creatori di due immortali personaggi-sacerdoti “Si potrebbe dire che Padre Brown e Don Camillo siano usciti dallo stesso seminario” chiosa brillantemente Gulisano.
Gli ultimi anni, dal 1960 al 1968, data della sua morte, non furono facili per Guareschi. La sua salute risentiva ancora della detenzione nelle patrie galere e il cuore faceva le bizze. Nel 1961 Rizzoli, probabilmente su pressioni della D.C. e in particolare di Fanfani, decise la chiusura di Candido, che ostacolava la politica di “apertura a sinistra”. Guareschi, che peraltro si era già separato dalla Rizzoli per un profondo dissidio a proposito del film Don Camillo monsignore…ma non troppo, soffrì molto per la cessazione delle pubblicazioni della sua “creatura”. Tuttavia, le offerte di collaborazione non mancarono: il quotidiano La Notte, poi Oggi e ancora Il Borghese di Mario Tedeschi.
Ma un’altra serie di tragici eventi contribuì ad amareggiare gli ulti anni della sua vita: il Concilio Vaticano II (che Guareschi chiamava “conciliabolo”), la distruzione degli arredi sacri, delle immagini, dei crocifissi nelle chiese sulla spinta delle riforme moderniste, l’abolizione della S. Messa in latino. In particolare questa riforma del rito millenario indignò anche altri intellettuali italiani ed europei, basti pensare a J.R.R. Tolkien (il suo biografo, H. Carpenter la definì “fonte di infelicità” per il creatore de Il Signore degli Anelli), ad Agatha Christie, che promosse una petizione indirizzata a Paolo VI il quale concesse un indulto speciale per la Gran Bretagna (il cosiddetto “indulto di Agatha Christie”), a Cristina Campo e molti altri. Come al solito, Guareschi affidò ai suoi personaggi l’espressione della sua indignazione e della sua amarezza. Creò, ridicolizzandolo, il personaggio di don Chichì (Don Camillo e don Chichì, Rizzoli, 1996), giovane, saccente pretonzolo frutto del Concilio, modernista, spregiatore della Tradizione, intollerante e astioso contro i fedeli affezionati alla Chiesa di sempre, pauperista e filocomunista. “Roba da matti - commenta paradossalmente la messa in volgare un’anziana fedele - questi cittadini vorrebbero farci credere che Dio non capisce più il latino”. Poi, nei suoi racconti scritti per Il Borghese, crea la bella figura di Gypo, giovane ironico e pronto alla battuta che riscopre la S. Messa di sempre: “…abbiamo trovato, in un paesino, un vecchio prete di quelli non riformati, che celebra la Messa in Latino […]. E’ un vecchio parroco che crede ancora in Dio, nei Santi, nel Paradiso e nell’Inferno […] E’ un vecchio parroco che ritiene ancora valida la Scomunica del comunismo […]. E poi ha una chiesetta di quelle all’antica, con tanti fiori, tanti ceri accesi e, durante la Messa, c’è il coro che esegue gli antichi canti tradizionali”.
Nelle chiese imperversa il furore iconoclasta modernista: venerandi altari vengono sostituiti da tavolacci in legno, le balaustre distrutte, tolte sculture e immagini sacre. In una immaginaria lettera Guareschi scrive a don Camillo: “Perché, quando il giovane prete inviatole dall’Autorità Superiore Le ha spiegato che bisognava ripulire la chiesa e vendere angeli, candelabri, Santi, Cristi, Madonne e tutte le altre paccottiglie fra le quali anche il Suo famoso Cristo Crocifisso, perché, dico, Lei lo ha agguantato per gli stracci sbatacchiandolo contro il muro? […] Quale famiglia “bene”, oggi, vorrebbe privarsi del piacere di adornare la propria casa con qualche oggetto “sacro”? Chi può rinunciare ad avere in anticamera un San Michele adibito ad attaccapanni, o in camera da letto una coppia d’angeli dorati come lampadario, o, in soggiorno, un Tabernacolo come piccolo bar?”.
Sotto l’amara ironia, Guareschi fu veramente angosciato dalle riforme conciliari e postconciliari. Scrive acutamente Alessandro Gnocchi: “Due modi di pregare, due riti, due dottrine, due morali, due Chiese. Guareschi vide nel 1966 ciò che i più acuti osservatori faticano a vedere, comprendere e, soprattutto ammettere cinquant’anni dopo”.
Lo sconcerto di Guareschi è ben rappresentato da don Camillo che, amareggiato per la distruzione dottrinale, liturgica, morale della Chiesa, si rivolge a Cristo chiedendogli cosa fare. La risposta del Cristo non è solo per don Camillo e per Guareschi; è per tutti noi: è la speranza della roccia indistruttibile, della promessa al di là del dramma dell’ora presente; “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza”.
Quindi, ascoltiamo Guareschi e salviamo il seme.
P.S. La bibliografia su Guareschi è sterminata. Mi limito a raccomandare la lettura dei libri di Alessandro Gnocchi, alcuni dei quali firmati con il compianto Mario Palmaro. L’ultimo di Gnocchi è il recentissimo e ottimo Lettere ai posteri di Giovannino Guareschi, Marsilio 2018. Vi possiamo trovare alcuni dei suoi vibranti scritti antimodernisti degli ultimi anni, ignoti a coloro che si fermano alla “immaginetta” irenista (che tanto amareggiava Guareschi) del don Camillo cinematografico. Assai consigliabile è anche la lettura del bel libro di Paolo Gulisano, Quel cristiano di Guareschi, Ancora 2008, ristampato di recente. A questi due libri devo alcune delle citazioni riportate nel mio testo, che non ho voluto peraltro appesantire con note bibliografiche.
Antonio de Felip
5 commenti:
E' universalmente riconosciuto che nostro Signore Gesù Cristo dà sui nervi, quindi, per poco o tanto, chiunque cerchi di essere Suo discepolo darà sui nervi anche lui.
Non importa se uno sia principe o povero se è, anche nascostamente, discepolo di Gesù Cristo darà sui nervi altrui. Perchè? Per quel poco o tanto di Verità Cattolica di cui è portatore, sia pure nel segreto. E' la Verità, meglio la semplice Verità, che urta. Urta la menzogna, che comunque è costretta ad uscire fuori in presenza della Verità, la menzogna dunque si rivela ma, non solo rivela se stessa, rivela anche tutti quelli 'collusi', come si dice oggi,o compromessi con essa. Sto pensando, in questo momento a l'affare De Gasperi, ma nella mia esperienza biografica l'ho verificato e ri-verificato, senza volere, decine e decine di volte, nel grande e nel piccolo, nel grave e nel lieve. Guareschi, con quelle due lettere non solo ha inchiodato De Gasperi, mettiamo pure solo all'unico suo errore folle ma, ha chiamato sul proscenio tutti quelli compromessi con quell'errore e con tanti altri loro errori nascosti, simili e contigui a quello.Come fu per Guareschi, così fu anche con Mons. Lefebvre, coloro che gli si sono schierati contro, una sola cosa hanno mostrato, che il loro 'essere contro' si chiamava e si chiama menzogna, variamente declinata secondo la situazione di peccato di ciascuno. Questi esempi ammaestrano anche nel nostro oggi, vuoi in campo personale, vuoi religioso, vuoi sociale, vuoi politico, in senso stretto ed in senso lato. Attenti. La Verità porta molti frutti ma dopo, quando il fiume rientra nel suo alveo,quando il buon seme viene seminato ed il testimone, che ha salvato il buon seme, è morto da tempo.
Non ho alcun titolo per attribuire premi, ma da lettore e divertito fruitore dei film di Don Camillo ho sempre ritenuto Guareschi un genio, soprattutto per l'ironia e la finezza.
Chi invece ha nuociuto alla cultura italiana per decenni, privo di entrambe quelle qualità, ha ritenuto di stroncarlo ideologicamente poiché fastidioso per gli immarcescibili alfieri del "nuovo", idealmente uniti tanto nelle file clericali quanto in quelle anticlericali.
Il disastro oggi sotto gli occhi di tutti li smaschera come falsi profeti, mentre Guareschi un po' vero profeta lo è stato. Una preghiera per lui, e che gli sia premio il Cielo.
Guareschi è un caro amico, i suoi libri tei toccasana per l'anima e la mente, io li definisco libri curativi, perchè un racconto ogni sera ti toglie l'amarezza respirata durante il giorno. I mediocri solitamente si ergono giudici ai migliori di loro, ma alla fine Guareschi è conosciuto ovunque, i suoi libri spariscono e sono ricercati anche nei mercatini, altrochè scrittore mai sorto, fu luce tra gli scrittori italiani del novecento e ancora brilla come nuova.
Brava Maria, hai fatto bene a pubblicare questo articolo, un toccasana in questo tempo cosi doloroso.
L'ultima riflessione di Guareschi e'stata sicuramente ispirata dal Signore, c'è la Sua impronta, non c'è bisogno di indagini, chi frequenta il Signore riconosce la Sua voce anche quando "parla" attraverso riflessioni altrui; il cristiano certe cose le sente, le sa.
A proposito di prigionia a causa della Verita',
Chissà cosa direbbe Guareschi nel vedere che il suo Don Chichi e' diventato papa.
E disprezza i prelati che soffrono le persecuzioni, come il card Zen.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/
(Bergoglio):"Io dico che i cinesi meritano il premio Nobel della pazienza, perché sono bravi, sanno aspettare, il tempo è loro e hanno secoli di cultura… È un popolo saggio, molto saggio. Io rispetto tanto la Cina. […] Per quanto riguarda i tempi, qualcuno dice che sono i tempi cinesi. Io dico che sono i tempi di Dio, avanti, tranquilli".
E quanto alle critiche del cardinale Giuseppe Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong, ha minimizzato:
"Penso che è un po’ spaventato. Anche l’età forse influisce un po’. È un uomo buono. È venuto a parlare con me, l’ho ricevuto, ma è un po’ spaventato. Il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare".
Ultimamente, però, le notizie che arrivano dalla Cina non sono affatto incoraggianti. In maggio Settimo Cielo ha già riferito di una recrudescenza della repressione anticristiana, e a nulla sono valse le inconsistenti giustificazioni messe in campo dai sostenitori di un accordo a ogni costo.
In pratica, i cinesi sono bravi e fin troppo pazienti con questo vecchietto buono, ma pavido e rimbambito, che non si fida di loro e ha una paura immotivata a dialogarci.
La verita' e' che la pazienza dei cinesi e' nel perseguitare i vescovi cattolici "sotterranei", descritto nel prosieguo dell'articolo.
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