Veneziani sa cogliere l'essenza e la vera funzione dei protagonisti del pensiero culturale italiano. "Dante, pensatore celeste, fondatore d'Italia. il profeta, pensatore, il filosofo, il teologo politico, l'esule, il Fedele d'Amore". Alcuni precedenti qui - qui - qui.
25 marzo. Dantedì
Quando il mondo sembra crollare, le civiltà precipitano, i popoli sono disorientati, la solitudine globale prevale, la strada maestra è una sola: tornare al principio e ai principi da cui principiò il nostro cammino. Dante Alighieri è il nostro princeps, l’Inizio da cui discende l’unità geo-spirituale, culturale e linguistica della nostra civiltà. È il poeta, il profeta, il fondatore, lo scrittore e il testimone originario dell’Italia nostra. È l’apice solitario in cui si incrocia il mondo classico; l’Imperium romano, il pensiero antico, la cristianità. In lui prende voce, anima e corpo la civiltà italiana come paradigma della civiltà universale. Dante è il ponte tra l’antichità e la posterità, ma anche tra l’umano e il divino, tra il sacro e la storia. Autentico pontifex, facitore di ponti, come si diceva nell’antica Roma e poi nella tradizione cattolica. Ma al tempo stesso è il precursore tradito, disatteso, inascoltato. Il maestro che non ebbe discepoli.
Dante è il padre della nostra lingua, ma anche l’apostolo e il profeta dell’Italia che verrà. Dopo di lui verranno Petrarca e Machiavelli, Ariosto e poi Vico e Alfieri, Foscolo e Leopardi, e col tempo i grandi sognatori d’Italia, fino agli scrittori, i poeti e i pensatori risorgimentali. Ma Dante fu il primo, il capostipite, nel momento più fosco, in cui non s’intravedeva alcun processo politico unitario neanche in fieri. Non fu Garibaldi, non fu Vittorio Emanuele II, e nemmeno Mazzini e Cavour, o poi la Costituzione italiana, ma fu Dante il vero fondatore d’Italia. Fu lui a dare dignità al terreno primario e comune di una nazione, la lingua. Fu lui a riannodare la civiltà cristiana e la civiltà romana, riconoscendo l’Impero e la Chiesa come i genitori dell’Italia, con ruoli ben distinti. La romanità e la cristianità ebbero altri figli; ma la figlia che ereditò la casa paterna e materna fu l’Italia.
Marcello Veneziani (Da “Dante nostro padre”, 2020)
11 commenti:
È stata scelta questa data vome Dantedì perché, secondo gli studiosi, l’autore della Divina Commedia avrebbe cominciato il suo viaggio attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso proprio il 25 marzo... ma era l’anno 1300!
"Amor che a nullo amato amar perdona” è un celebre verso della Divina Commedia di Dante contenuto nel quinto canto dell’ Inferno. Il testo della canzone Serenata rap di Jovanotti riserva delle sorprese al cultore di memorie dantesche:
Amor che a nullo amato amar perdona porco cane
Lo scriverò sui muri e sulle metropolitane
Qualche anno prima, un altro cantautore romano, Antonello Venditti, aveva reimpiegato il medesimo verso dantesco all’interno di una delle sue canzoni più famose, Ci vorrebbe un amico
E se amor che a nulla ho amato,
Amore, amore mio perdona
In questa notte fredda
Mi basta una parola
Questo fenomeno si chiama intertestualità (una parola che designa la famiglia di rapporti – di varia natura – che un testo intrattiene con quelli della tradizione letteraria anteriore o coeva).
Al suo potere, nessun uomo può opporre resistenza.
Il verso 104 ( « Amor che a nullo amato amar perdona » ) – passato alla memoria collettiva e così caro anche ai cantautori italiani – lo possiamo parafrasare e interpretare in questo modo: l’Amore non « perdona » ( nel senso di “ non risparmia“, alla stregua del verbo latino parcere costruito con il dativo ) a «nullo amato» ( a nessuna persona che riceve Amore ) di «amare», ossia di non riamare a sua volta.
Amor che a nullo amato amar perdona
Presemi di costui piacer si' forte
che come vedi ancor non m'abbandona
....
Citazione a memoria
Nemmeno all'Inferno l'abbandonava.
Mistero della passione d'amore,
quella profonda,
tra un uomo e una donna,
fedelissimi l'un l'altro pur
nella passione peccaminosa
...
In quest'epoca di sozzure
contronatura, ridateci
l'amore passione secondo natura,
ci va bene anche Madame Bovary
(peraltro un grande romanzo).
G.
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi».
Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor là ove si montava.
‘Venite, benedicti Patris mei’,
sonò dentro a un lume che lì era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l’occidente non si annera».
Purgatorio, XXVII, 52-63
…«Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa".»
Dante Alighieri, Inferno III, 49-51
Vi siete mai chiesti perché una delle piazze principali di Napoli è intitolata a Dante Alighieri?
Pensate che piazza Dante esiste qui e non a Firenze, sua città natale!
Sebbene non esistano prove che “il Sommo” l’abbia mai visitata, il legame tra Napoli e Dante è strettissimo.
La città era un importante crocevia culturale e politico nel periodo in cui visse il poeta (1265-1321). La sua arte trasse del resto moltissimo dalla “scuola siciliana”, la cui influenza culturale e linguistica era strettamente legata alla corte di Federico II.
C’è di più: una delle località più emblematicamente associate a Dante Alighieri è il Lago d'Averno, attualmente situato nel comune di Pozzuoli. Per il celebre scienziato Galileo Galilei (che al padre della letteratura italiana dedicò molti studi) il Lago d'Averno era la porta d'accesso all'Inferno descritta nella “Divina Commedia”. Analogamente, la "selva oscura" dove il poeta si smarrisce all'inizio del poema è stata interpretata come il denso bosco che un tempo circondava il lago.
Dominata dalla maestosa statua del poeta (realizzata da Tito Angelini nel XIX secolo) Piazza Dante è quindi l'espressione più visibile di un legame che affonda le sue radici nella storia e nella cultura.
Paolo e Francesca sono all'inferno a causa di quella passione sfrenata....Quella stessa passione che prima o poi degenera e diventa contro natura
La Biblioteca nazionale di
Firenze conserva un prezioso patrimonio di manoscritti danteschi che spaziano dal tardo Trecento al Quattrocento, caratterizzati dalla loro notevole quantità e qualità. Tra essi, si contano settantasei esemplari della Divina Commedia, quindici della Vita nova e otto del Convivio. La dottoressa Pinzauti ne illustra tre. Il primo è il Palatino 313, considerato tra i più antichi per la sua vicinanza all'epoca di Dante, con annotazioni di Jacopo di Dante Alighieri. Questo prezioso manoscritto su pergamena, con miniature attribuite a Pacino di Bonaguida, rappresenta una testimonianza significativa della diffusione del testo dantesco poco dopo la morte dell'autore. Il secondo esemplare, Banco Rari 39, anch'esso su pergamena e decorato in stile tardo-gotico lombardo, contiene la Divina Commedia con il Commento di Francesco da Buti, importante per la sua decorazione e per la sua provenienza dall'Accademia della Crusca. Infine, il manoscritto, Banco Rari 215, con il ritratto di Dante, appartenuto a Francesco Sassetti.
"Incipit Comoedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus".»
Nel 1301 Papa Bonifacio VIII ricevette l’’ambasceria di un gruppo di nobili fiorentini. Tra loro un uomo, che all’epoca aveva 36 anni, destinato alla grandezza. Venendo da nord era arrivato a Roma passando da Monte Mario, aveva visto la città con le sue trecento torri. Roma ancora portava tutti i segni della sua caduta, la sua popolazione era inferiore a quella di Firenze che allora non contava 100.000 abitanti. Della maestosità dei monumenti antichi restavano solo rovine coperte dalla vegetazione o inglobate nei castelli delle famiglie nobili, come i Frangipane che vivevano nel Colosseo. Probabilmente il nostro uomo politico fiorentino aveva già in mente il viaggio fantastico che lo avrebbe reso immortale: la Divina Commedia. A Roma, durante quel viaggio, Dante fu colpito dalla condanna a morte e non poté mai più tornare a Firenze.
Nel 1500 un altro genio del Rinascimento volle onorare il poeta: Raffaello. Inserì Dante nel Parnaso, insieme ad Omero e tra i poeti nell’affresco “Disputa sul Sacramento” nelle stanze del Papa in Vaticano.
Nel XIX secolo la fama di Dante tornò a crescere come simbolo dell’ intellettuale che aveva profetizzato la nascita dello Stato Italiano.
Il principe Alessandro Torlonia che amava Dante fece inserire i suoi ritratti negli affreschi del Casino Nobile della sua villa sulla Nomentana e due grandi statue di Dante e Beatrice nel teatro. Il principe Carlo Massimo fece affrescare dai Nazareni una stanza con le tre cantiche di Dante. Nel 1920 venne istituita a Roma la Casa di Dante, sede dell’istituzione che ancora oggi ha il compito di studiare e diffondere le opere di Dante. Nel 1911 uscì il primo lungometraggio della storia del cinema dedicato all’inferno, recentemente restaurato.
https://morerome.travel.blog/2024/03/24/dante-alighieri-a-roma/
Vi dico solo una cosa, per farvi capire lo spirito russo. Il traduttore della Divina Commedia in russo è Mikhail Lozinskij. Faceva le traduzioni nell'assedio di Leningrado. Intorno a lui le persone morivano di fame, e lui pensava alle terzine di Dante. Forse questa cosa lo ha salvato.
Nonostante tutto, ci vuole concentrarsi sulle cose belle; chi diventa depresso e spaventato è perso. Resistiamo.
La voce russa di Dante, M.L. Lozinskij
“Ho offerto sette anni della mia vita ad onorare intensamente la memoria di Dante e sono felice di aver portato l’opera a compimento. Tre cantiche, cento canti, 14233 versi non è poco. Le terzine rimate sono un metro estremamente difficile. La struttura della lingua russa è lontana da quella italiana. Molti punti della “Divina Commedia” sono oscuri. Vi hanno lavorato alacremente commentatori di ogni paese, discutendo. Capitava di dover scegliere tra le loro spiegazioni. E lì dove il testo di Dante permetteva interpretazioni diverse, bisognava fare in modo che anche il testo russo potesse essere letto in due o tre chiavi diverse. Nell’arco di questi sette anni ho lavorato anche ad altre cose. Per la traduzione di Dante ho impiegato, nei fatti, 576 giorni di lavoro, peraltro accadeva che in una giornata intera riuscissi a tradurre appena sei versi, ma accadeva anche che ne traducessi 69, in media comunque traducevo circa 24 versi al giorno … più mi addentravo nella “Divina Commedia”, più mi inchinavo dinanzi alla sua grandezza. Nella letteratura mondiale si erge come una catena montuosa, adombrata da null’altro”.
Lettera di Michail Lozinskij, il geniale traduttore della Divina Commedia
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