«Molta morale, poca comunità, zero cultura»: è questa la sintesi dell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi su Avvenire dal teologo Pierangelo Sequeri :«Perché i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali?». Un intervento che suscita interrogativi e merita risposte che diano ragioni a 360° aprendo un confronto meno autoreferenziale del giudizio in esame.
Non possiamo fare finta di nulla. Le realtà ispirate e fecondate dal cristianesimo non sono più operative, si sono piegate al pensiero del mondo e non incidono sulla vita e sulla storia del nostro tempo. Non sono mancati maestri e testimoni, come Dietrich von Hildebrand ad esempio [qui - qui - qui - qui] o alcune perle presenti anche nel Magistero postconciliare: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Lo diceva Giovanni Paolo II. C'è la critica al relativismo di Benedetto XVI... Hanno indicato la strada ma è mancato il quid per una incarnazione concreta e diffusa per effetto della 'pastorale' annacquata. Del resto conosciamo purtroppo i limiti dell'antropocentrismo conciliare che ha permeato il pensiero e la fede cattolica... La realtà è quella descritta da Veneziani nell'articolo ripreso di seguito. Prima ne prendiamo atto, meglio sarà. Richiamo l'attenzione anche sulle note. Restano, per ora, le preghiere, l'offerta, le suppliche e l'impegno di nicchia di chi come noi non si arrende e, impotente sul resto, vuol almeno salvare il seme. Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica. (M.G,)
La scomparsa dei cattolici non dipende solo dal Papa
di Marcello Veneziani
Ma la Chiesa, il mondo cattolico, le scuole cattoliche, le università cattoliche, l’editoria cattolica, la comunicazione d’ispirazione cattolica, il popolo dei credenti dove sono finiti, come mai non si fanno sentire mai sulle questioni decisive e rilevanti che riguardano gli orientamenti civili e culturali, l’arte, il pensiero, la scienza e la tecnologia, la letteratura, la musica e il cinema, il politically correct, la cancel culture e l’ideologia woke? Ma anche nelle scelte della vita comune, la vita intima, le sue inclinazioni non si avverte mai un punto di osservazione religioso, prima che cattolico e cristiano…
Noi risolviamo tutto risalendo a Papa Francesco, a lui attribuiamo ogni merito, ogni colpa, ogni responsabilità della presenza o dell’assenza cristiana nel mondo; ma non possiamo caricare sulle sue spalle, piuttosto malandate e forse inadeguate, tutto il peso della cristianità. Ma nemmeno sulla Conferenza Episcopale o su qualche suo portavoce o esponente di spicco. Certo, l’ordine e la gerarchia delle responsabilità è a partire da loro che sono ai vertici della cristianità; ma non possiamo esaurire un mondo vasto che un tempo coincideva quasi col mondo occidentale, con la società, ad alcune figure apicali o rappresentative.
Sull’Avvenire di qualche giorno fa, il teologo Pierangelo Sequeri ha denunciato l’irrilevanza dei cattolici sul terreno culturale e sul piano comunitario. Tema ripreso da Roberto Righetto. Persiste solo un flebile moralismo, solitamente sconfinante nella filantropia sociale, soprattutto in tema di accoglienza e migranti [qui]. Anche il cardinale Zuppi riconosceva una certa timidezza dei cattolici rispetto ad atteggiamenti aggressivi “di una certa cultura dominante”; magari si dovrebbe avere il coraggio di chiamare con i suoi nomi propri, per non restare nella stessa timidezza subalterna che viene denunciata: l’egemonia radical-progressista, d’impronta atea, irreligiosa e laicista [1]. Giusto il suo appello alla fantasia creativa, ma probabilmente non basta, occorre una visione del mondo calata nella vita dei giorni, l’ardire di un confronto, il coraggio civile, la capacità di dialogo e pure di dissenso, il non aver paura di essere troppo innovatori o troppo conservatori; l’amore per la realtà, per la natura, per la storia e per la tradizione in una società che preferisce il loro contrario. E poi, se permettete, avete ormai la prova che il mimetismo fino all’assimilazione al gergo e alle attitudini del presente non funziona e non fa proseliti, anzi allontana sempre più i popoli e i singoli credenti dalla vita e da ogni concezione religiosa: se credete di contare di più mettendovi semplicemente al passo dei tempi, sposando il linguaggio e le preoccupazioni correnti, perdete il senso radicale e originale della vostra missione e del vostro messaggio e il motivo per cui potete trovare attenzione nel mondo. Se non parlate di morte e resurrezione, di senso della vita e amor di Dio; di mistero e scommessa sul rischio della fede, non c’è bisogno di voi nel mondo. E se dimenticate i simboli, i riti, le liturgie, le rappresentazioni del sacro, per mimetizzarvi di più nel paesaggio corrente, vi confondete col mondo, passate inosservati, perdete la grazia del vostro linguaggio divino e differente, che solo può destare attenzione e ammirazione. Poi è inutile prendervela col supermercato delle religioni, la paccottiglia spirituale, la sottocultura new age, l’analfabetismo religioso, se rinunciate a coltivare la forza e il mistero della vostra testimonianza, del vostro linguaggio, della vostra capacità di parlare oltre la vita e oltre la morte, di esprimere il desiderio d’eternità. Quelle pseudoreligioni coprono un vuoto che voi lasciate incustodito…
Però, come dicevo agli inizi, non si può risolvere il problema additando i vertici della Chiesa per i loro errori, la loro compiacente neutralità sui temi cruciali della vita, la loro riluttanza a portare lo scandalo della religione in una società radicalmente e superficialmente irreligiosa. C’è un problema più vasto che riguarda proprio il mondo cattolico, anche quello che va oltre le chiese e le sacrestie. E’ un ritirarsi, uno spegnersi, un essiccarsi della fiamma, un’accettazione di disfatta e di abbandono che ormai è in ciascuno. Non c’è mai un organismo d’ispirazione cristiana, a qualunque livello, che prenda posizione su temi, dibattiti, personaggi, aggressività e supponenza della cultura dominante. Prevale un senso di inadeguatezza e la percezione di essere comunque soccombenti, fuori luogo: dunque inutile cimentarsi, meglio mettere da parte le proprie convinzioni, o tenersele per sé, fino a privatizzare la propria fede cristiana a ridurla a un intimismo privo di porte e di finestre. Non c’è questione culturale, storica o ideale in cui si avverta la presenza di un punto di vista schiettamente cristiano e cattolico, mai un segno né di fedeltà né di originalità; come se già la definizione di cultura, di storia o di pensiero ponesse confini laici e razionali da non oltrepassare, fino a circoscrivere al proprio tempo o alla competenza tecnico-scientifica di quei saperi specifici, l’ambito adeguato di quelle controversie. Ogni “intrusione” religiosa è considerata come impropria, fuori luogo, anche se in realtà il sottinteso è che sia “fuori tempo”. Quello è già il segno di una capitolazione, il cedimento alla pigrizia e al decorso degli eventi, perché è faticoso oltre che creativo, saper rispondere alle controversie della contemporaneità, al narcisismo, ai coming out, ai desideri di mutare natura, sesso, corpo, età, famiglia, città che prevalgono nel frasario più diffuso del momento.
Si tratta in una parola – ma che diviene fatto, scommessa e ammissione di identità – mettere in gioco il senso religioso della vita e farlo valere nelle scelte quotidiane. Anche in quelle scelte di ogni giorno, che sembrano attenere ad ambiti neutrali, asettici, o semplicemente profani, vitali, tecnici, è in gioco il senso religioso o irreligioso della vita. Finché non si riparte da lì, i cattolici proseguiranno nel loro progressivo passaggio alla clandestinità, in una parabola che va dall’irrilevanza alla scomparsa [2].
La Verità – 10 marzo 2024
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Le carenze più macroscopiche riguardano la gerarchia; ma mancano totalmente (perché tagliate inesorabilmente fuori e dunque silenziate) le voci laiche alternative alle correnti totalitarie troppo potenti e pervasive. Basti pensare ai media che, per chi è più attento, subdolamente mirano a rendere accettabile e normale il 'meticciato' inserendo un nero/a (lo dico guardando in faccia la realtà non con disprezzo, ovviamente) o una coppia gay, in ogni inserto pubblicitario, nelle fiction o negli argomenti che ospitano unicamente il pensiero unico nelle discussioni nei talk show, per far diventare normale e lecito ciò che normale (parola espulsa dal vocabolario) non è... e manca anche, non tanto a livello culturale, quanto politico o tecnico-economico, chi potrebbe promuovere e alimentare canali comunicativi alternativi per rispondere non solo alle sfide culturali, ma per fecondare la cultura con la verità di cui siamo testimoni e portatori.
Effettivamente manca chi evangelizzi una società a rischio di nichilismo quando non di islamizzazione e parli anche delle cose ultime come si dovrebbe; ma coloro che potrebbero e vorrebbero farlo sono silenziati o disprezzati persino dai cosiddetti pastori...
2. La concretezza del quotidiano è ineludibile, ma non basta: la Fede va vissuta anche a livello collettivo. La parcellizzazione estrema e il materialismo imperante, insieme alla crisi epocale nella (non della) Chiesa, mentre ha favorito le colonizzazioni ideologiche, ha cancellato la forza della comunità.
5 commenti:
La timidezza e inanità del Cattolicesimo attuale
Un simbolo di questa "timidezza", dispiace dirlo, lo vediamo in un individuo rappresentativo come il cardinale Burke.
Dopo esser stato "sanzionato" da papa Francesco e da lui convocato in riservatissima udienza privata, ha smesso di censurare le errate impostazioni del papa, censure nelle quali si era distinto, anche per l'equilibrio dimostrato.
Su un documento aberrante come 'Fiducia supplicans' non ha detto nulla. Si limita adesso alle Novene e ai Tridui. Tutte pratiche di culto buone e giuste, ci mancherebbe, ma che da sole sicuramente non bastano.
Viene in mente l'aneddoto, forse inventato, di quel cardinale il quale, ricevuti dei fondi dal papa per comprare armi per difendersi dagli eserciti rivoluzionari francesi ai confini (eravamo a quell'epoca), destinò invece i fondi come offerte ai conventi per preghiere continue a difesa dall'invasione straniera e rivoluzionaria - la quale invasione ebbe naturalmente luogo, senza problemi.
L'aneddoto, forse falso, rende comunque bene l'idea di quello che era il potere temporale del tempo.
Come può la Chiesa visibile, la Gerarchia attuale, intervenire criticamente, da vera Chiesa cattolica cioè inalberando alta la Croce, nel caos dominante quando, a partire dal Concilio, ha voluto "accomodarsi" ai valori del mondo, a quel laicismo che è la causa principale della crisi delle nostre società? Anche oggi, quelli che criticano Fiducia supplicans, ultimo nei documenti di questo papa, che si richiama di continuo al Concilio, del Concilio non parlano mai, se non per dirne bene.
È proprio il Concilio che ha intaccato la fede, sostituendo il dialogo alla conversione quale modo di essere stesso della Chiesa. Il "dialogo" ha portato a mettere il cattolicesimo sullo stesso piano delle altre religioni, svirilizzandolo e facendone una rancida pappa del cuore pseudoumanitaria, giustamente scaduto a livello insignificante.
T.
L'analisi di Veneziani è interessante. Non condivido il giudizio sui fedeli laici inesistenti... In molti casi, dalle Sentinelle in piedi fino a questo e tanti altri blog, i laici fanno la loro parte con grande coraggio e determinazione. Essendo però di fatto sconfessati dalle gerarchie, che lavorano a fianco del mondo contro la Chiesa di Gesù Cristo che malauguratamente rappresentano e contro il loro stesso gregge che dovrebbero pascere, l'azione di questi laici viene ahimè spenta. Non distrutta del tutto, ma sicuramente compromessa sia nel raggiungimento dei fini che si propone sia nel suo valore di testimonianza. Altri erano i tempi di Giovanni Paolo II e di Benedetto.
E' un complesso di inferiorità quello che vive la Chiesa da decenni e ciò per un cattolico è assurdo, semplicemente innominabile, perché il cattolico dovrebbe essere consapevole della unicità della propria fede, sola via maestra per l'eterno.
In realtà il cattolico si sente tradito e disorientato, a causa dell'operato dei vertici della Chiesa, e non è un alibi di comodo ma un dato di fatto.
Il cattolico si ritrae, disgustato dal mondo, ma non scompare, anzi acquista sempre più consapevolezza della forza inviolabile della propria fede che tutto trascende.
Veneziani si riferisce all'Italia e all'Europa, peraltro (immagino), dove il declino della Chiesa è il declino della civiltà europea.
M.
La gerarchia ha tradito, ma non solo quella rappresentata dai vescovi e papa. Si pensi per esempio ad un movimento come CL, che ai tempi di Giussani era uno dei protagonisti cattolici della resistenza al mondo, e che durante gli anni nefasti di Carron alla sua guida si è trasformato in quello che Giussani odiava e combatteva di più, ovvero una associazione dedita alla contemplazione del proprio ombelico, con le ali tarpate da una "scelta religiosa" di azion-cattolichina memoria. Si pensi ai ciellini ignari recipienti (con qualche debita eccezione) della cosiddetta Finestra di Overton, silenti sul gender, pro-v*x, favorevoli a matrimoni colorati, votanti democratici eccetera... Quindi gerarchia penso vada intesa in senso largo, senza limitarla a vescovi e papa ma includendo anche i capi di associazioni, gruppi ecclesiali, movimenti, e personalità cattoliche.
E si pensi anche ad Avvenire che ora si straccia le vesti per l'irrilevanza dei cattolici ma che negli ultimi anni ha sempre supportato la politica della Cei di stare al guinzaglio del potere.
(Ex ciellino)
Veneziani non tiene conto del fatto, per noi acclamato, che il deragliamento della chiesa cattolica risale al Vaticano secondo. Sull'irrilevanza di fatto dei cattolici osserviamo che quelli che veramente contano, nelle parrocchie, nelle scuole e nei media, sono imbevuti di idee progressiste davvero pericolose. E contano, come contano! Altra cosa sono i cattolici genuini, che tentano di conservare "il buon seme", come ben dice Mic.
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