Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente [vedi].
Diebus Saltem Dominicis:
Domenica IV di Quaresima (Lætáre) – Noi siamo i nostri riti
Dio il Figlio nutrì le moltitudini moltiplicando miracolosamente il pane e i pesci in un luogo remoto e lontano da altre fonti di cibo. La sovrabbondanza del miracolo rivela un modello di privazione prima della generosità. Digiuniamo prima delle nostre feste. La Santa Madre Chiesa, la più grande esperta di umanità mai esistita, comprende questo modello, rafforzato e richiesto dalla rivelazione divina; il che si riflette nel nostro calendario e nei nostri riti. I nostri riti siamo noi.
Dio è sempre attento a noi, prevedendo, permettendo e provvedendo ciò di cui abbiamo bisogno, non per il nostro conforto terreno e temporale ma per la nostra salvezza.
A volte Dio ci lascia in uno stato di fame e di bisogno di mettere alla prova e rafforzare la nostra fede. Portare via le cose o permettere la perdita e la fame sono modi per dimostrare la nostra dipendenza da Lui, non la Sua mancanza di coinvolgimento. Le privazioni e la mancanza di consolazioni alla fine aumentano la nostra gioia in paradiso.
Facciamo bene ad affrontare mortificazioni e privazioni in questa vita. Così facendo facciamo penitenza per i nostri peccati e possiamo riparare i peccati degli altri. Impariamo anche il valore della generosità e le promesse della vita a venire.
E in vista della vita che verrà e della Pasqua che non è lontana, rallegratevi! Nei nostri tempi cupi, questa domenica fermatevi e scrutate serenamente l'orizzonte dalle rosee dita.
Siamo ormai, in questa IV domenica di Quaresima, a 21 giorni dalla Pasqua. Durante la Quaresima abbiamo digiunato e ci siamo astenuti dagli ornamenti liturgici, rendendo il nostro culto sacro più austero come si conviene a un tempo penitenziale. Tuttavia oggi sull'altare alcuni fiori sono ammessi e qualche strumento musicale può trasmettere i testi sacri. Non usiamo i paramenti porpora o viola associati alla penitenza, ma piuttosto quelli rosacei che assomigliano più autenticamente alla robbia o al salmone scuro piuttosto che al rosa squillante. L'usanza dei paramenti di rose nasce a Roma proprio in questa domenica presso la chiesa della Stazione, ovvero Santa Croce in Gerusalemme, dove furono custodite le reliquie della Passione scoperte e portate a Roma. In epoca medievale in questa domenica, come scrisse il Beato Ildefonso Schuster nella sua grande opera Il Sacramentario
il Papa era solito recarsi alla stazione di Sta. Croce in Gerusalemme teneva in mano una rosa d'oro... Al suo ritorno la presentò al Prefetto di Roma, e da questo nacque l'usanza... di inviare in dono la rosa d'oro benedetta dal Papa a uno dei principi cattolici.
Non ci è voluta molta fantasia per elaborare dei paramenti color rosa per questa domenica delle rose. Allo stesso modo, il colore per osmosi liturgica ha attraversato la barriera dei tempi liturgici e nel tempo dell'Avvento, anch'esso tempo penitenziale, dove la terza domenica veniva applicata una simile attenuazione dell'austerità con i paramenti rosa [vedi]. Sicuramente l’associazione è stata suggerita anche dalle prime parole dell’antifona dell’introito di quelle domeniche, Laetare [qui] e Gaudete [qui], che in effetti significano la stessa cosa: “Rallegratevi!” I nostri antenati sentivano fortemente la vicinanza delle prossime feste della Pasqua e della Natività, forse perché, come comunità, prendevano la penitenza e le mortificazioni molto più seriamente di noi oggi.
Questa domenica è talvolta chiamata anche domenica del ristoro forse a causa del brano evangelico di Giovanni 6,1-15 che racconta il miracolo della nutrizione dei 5000 : l'unico miracolo raccontato in tutti e quattro i Vangeli. L'altro grande miracolo dell'alimentazione, di poco successivo, dei 4000 con 7 pani e pochi pesci, si trova solo in Matteo e Marco [o forse anche, per i richiami, vedi nota 1 -ndT].
Avvicinandosi il tempo della Pasqua, dopo aver ricevuto la notizia della morte di Giovanni Battista, il Signore si recò in barca in un luogo solitario. Tuttavia, moltissime persone lo seguirono sulla riva. Quando Cristo scese a terra trovò una folla enorme e guarì i malati. Vediamo questa parte:
Gesù disse a Filippo: «Come compreremo il pane perché questa gente possa mangiare?». Disse questo per metterlo alla prova, perché lui stesso sapeva cosa avrebbe fatto. Filippo gli rispose: «Duecento denari non basterebbero a comprare pane sufficiente perché ciascuno di loro ne possa avere un po'». Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma cosa sono tra tanti?”
Allora il Signore fece sedere i discepoli, secondo il brano parallelo di Marco 6,40, in gruppi di centinaia e di cinquanta. Le magre provviste furono miracolosamente moltiplicate e distribuite. C'erano 5000 uomini, quindi il numero delle persone era molto più grande. Successivamente raccolsero 12 ceste dai 5 pani e dai 2 pesci. I numeri sono significativi.
Il miracolo compiuto è prefigurato sia nell'Antico Testamento sia in seguito nei Vangeli. Considerate che ciò avvenne nel deserto, dove le persone avevano viaggiato a piedi dopo che Cristo venne sull'acqua. Durante l'Esodo, Mosè scelse uomini capaci di agire come leader e giudici su gruppi di persone, compresi i gruppi di centinaia e cinquanta. Il Signore, il Nuovo Mosè, rivelò che era in atto un Nuovo Esodo verso una nuova Terra Promessa, in definitiva una Nuova Gerusalemme.
L'alimentazione miracolosa prefigura anche l'Eucaristia, l'Ultima Cena. In entrambi i casi era vicino alla Pasqua. Era sera. Tutti si sdraiarono. Cristo prese, benedisse e spezzò il pane. Egli rese grazie (in greco eucharistesas entrambe le volte) e lo diede. Partendo dal lontano passato dell'Esodo, passiamo dalla manna quotidiana del deserto al nuovo pane miracolosamente moltiplicato, e poi alla nuova manna, il pane trasformato nel Corpo e nel Sangue stesso di Cristo, che è esso stesso anticipazione della nuova creazione e il mondo che verrà, la Nuova Gerusalemme. E siamo alla Stazione Romana di Santa Croce in Gerusalemme.
Dopo che ha avuto luogo questo miracolo di moltiplicazione e di nutrimento, c'è un secondo miracolo di nutrimento delle moltitudini, che si trova solo in Matteo e Marco. Cristo era nella regione dei Gentili, dall'altra parte del Mar di Galilea. Fu allora che ebbe l'incontro con le donne cananee e dichiarò che, in quel momento, la Sua missione era rivolta agli ebrei, non ai gentili. Molte persone Lo seguirono, ancora una volta, nel deserto. Questa volta il Signore moltiplicò 7 pani e alcuni pesciolini e sfamò “4000 uomini oltre alle donne e ai bambini”. Successivamente sono stati recuperati 7 cesti di avanzi.
Il Signore chiese ai Suoi discepoli se comprendevano il simbolismo dei 5000 con le dodici ceste vicino a Betsaida, e dei 4000 (raccontati solo in Matteo 15 e Marco 8) con le sette ceste vicino a Ippopotamo. In Marco 8 Cristo chiese agli Apostoli se capivano cosa significassero quei miracoli (Marco 8:17-21). Se lo hanno fatto o no, cerchiamo di capire. La alimentazione delle 5.000 e delle 12 ceste recuperate è avvenuta nella regione ebraica. Il 12 rappresenta il raduno delle dodici tribù d'Israele a Cristo, il Nuovo Mosè. Dopo il miracolo avvenuto nelle terre dei gentili, invece, le 7 ceste rappresentano le 7 nazioni delle genti (cfr Dt 7,1). Alla fine sia gli ebrei che i gentili saranno radunati e nutriti nella chiesa di Cristo. Tutti i popoli saranno uno in Cristo.
Dio il Figlio nutrì le moltitudini moltiplicando miracolosamente il pane e i pesci in un luogo remoto e lontano da altre fonti di cibo. La sovrabbondanza del miracolo rivela un modello di privazione prima della generosità. Digiuniamo prima delle nostre feste. La Santa Madre Chiesa, la più grande esperta di umanità mai esistita, comprende questo modello, rafforzato e richiesto dalla rivelazione divina; il che si riflette nel nostro calendario e nei nostri riti. I nostri riti siamo noi.
Dio è sempre attento a noi, prevedendo, permettendo e provvedendo ciò di cui abbiamo bisogno, non per il nostro conforto terreno e temporale ma per la nostra salvezza.
A volte Dio ci lascia in uno stato di fame e di bisogno di mettere alla prova e rafforzare la nostra fede. Portare via le cose o permettere la perdita e la fame sono modi per dimostrare la nostra dipendenza da Lui, non la Sua mancanza di coinvolgimento. Le privazioni e la mancanza di consolazioni alla fine aumentano la nostra gioia in paradiso.
Facciamo bene ad affrontare mortificazioni e privazioni in questa vita. Così facendo facciamo penitenza per i nostri peccati e possiamo riparare i peccati degli altri. Impariamo anche il valore della generosità e le promesse della vita a venire.
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Nota di Chiesta e post concilio
Nota di Chiesta e post concilio
Il richiamo all'introito Laetare Ierusalem possiamo ttrovarlo anche nell'Ufficio del notturno, dove si medita il Responsorio riferito alla Chiesa 'nupva Gerusalemme': “Audi Israel praecepta Domini et ea in corde tuo quasi in libro scribe. Et dabo tibi terram fluentem lac et mel / Ascolta, o Israele, i precetti del Signore e scrivili nel tuo cuore come in un libro. Ed io ti darò una terra dove scorre il latte e il miele“. Dt 6,3”. L’Introito del giorno, allora, “risponde” alla promessa notturna con quel “satiemini ab uberibus consolationis (“siamo saziati ai seni della consolazione“
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio per le traduzioni
IBAN - Maria Guarini
IT66Z0200805134000103529621
Codice BIC SWIFT : UNCRITM1731
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1 commento:
La condizione umana
Solo i peccati separano l’uomo da Dio, e da essi non ci purifica in questa vita la nostra virtù, ma la divina misericordia, non per la nostra forza, ma per la sua indulgenza; poiché anche la virtù che reputiamo nostra, per quanto minima, ci è concessa per la bontà di Dio.
- Sant’Agostino, De civitate Dei, X, 22
Mai quiete né tranquillità, mai pace né sicurezza, ma sempre timore e tremito, fatica e dolore. La carne finché vive dolora, e l’anima è destinata al pianto.
- Innocenzo III, De contemptu mundi, cit., XIX
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