Guardare a quello che accadde a Gesù, tra Betania e Gerusalemme, dalla fine di marzo all’inizio di aprile del 33 d.C., nella sua ultima settimana di vita terrena prima di risorgere da morte in una corporeità differente, può esserci occasione di fare verità su noi stessi.
La verità ci rende liberi dalle limitate misure della materia, che tende ad esaurirci in essa.
Corpo: per vivere gli è necessario respirare, mangiare, bere, dormire … Ciò che gli si configura ha il proprio centro di gravità verso il basso e la Terra. Il peccato può avere anche conseguenze fisiche.
Spirito: per vivere gli è necessario pregare. Ciò che gli si configura ha il proprio centro di gravità verso il Cielo. Il peccato può essere mortale per lo spirito, interrompendo la comunione con Dio.
Se non si ha una vita secondo lo spirito, percepiamo solo le esigenze della carne.
Lo spirito si trova contenuto nel corpo come un gas nella bombola. Se si apre il rubinetto, il gas esce e prende la forma dell’ambiente in cui si propaga. Così il gas prende la forma dell’infinito.
Quanto più ci si svincola dalle misure corporee, tanto più si percepisce il trascendente, che è Dio.
In questa dimensione, lo spazio e il tempo della storia diventano insignificanti.
La nostra persona umana, in cui coesiste una duplice natura, può esserne conscia o meno.
Nel caso in cui non lo sia, vive come confinata nelle esigenze contingenti di un punto nell’universo.
Ci accontentiamo delle misure in cui signoreggia il principe di questo mondo, espulso dal Cielo.
Va tenuto presente che la nostra psiche non è lo spirito: essa infatti è solo quella parte dell’anima, immateriale, che però “ragiona” secondo il corpo, venendo informata soprattutto dai sensi, anche se produce pensiero, immaginazione e idee; e sono tanto più ingannevoli, quanto meno abitati da Dio.
L’anima è immortale, ma il suo destino eterno sarà con il centro di gravità che si sarà dato: il Cielo per lo spirito, la Terra per la psiche.
Lo spirito invece è una scintilla di eterno e di divino che permette alla persona umana di essere “capace di Dio”: è in quest’ambito che è possibile una vita spirituale, facendo un’esperienza del Signore che informa tutta la fisiologia dello spirito, di cui la preghiera è il respiro.
È questa natura spirituale che, progredendo nella comunione con l’Eterno e la Rivelazione, conoscendo l’Amore e facendosene istruire, comprende la Volontà di Dio e la riconosce come il meglio per il proprio bene, fino ad uniformare la volontà umana (che guarda alla Terra) a quella.
È questo “il Regno dei cieli” che è “vicino”.
È così che si fa la Volontà del Padre “come in Cielo così in Terra”.
Un “pane quotidiano” che non è quello cotto dal fornaio: non solo di quel pane è la vita dell’uomo, che ha bisogno soprattutto del pane supersostanziale: il Pane Vivo disceso dal cielo, nostro Signore!
Dio è puro spirito. Le creature sono create da Dio. Ogni creatura esiste con lo scopo di conoscere, amare e servire Dio e in questo modo raggiungere la vita eterna… Ciò che ci trascende.
Anche Gesù al Getsemani visse il dramma di questa decisione: il Figlio e il Padre sono una cosa sola, da sempre e per sempre. La divinità di Gesù, Verbo fatto carne, vero Dio e vero uomo, non ha problemi a fare una volontà che è la stessa, di cui lo Spirito santo è l’espressione genuina.
Fu solo l’umanità di Gesù, il suo uomo-psichico, la sua carne, a decidere che in lui fosse fatta la Volontà di Dio. In Gesù la spiritualità è così pura e perfetta che la sua scelta è la logica (ma non “scontata”) “consegna” di una vita che rimette lo Spirito al Padre, nella Sua Volontà di misericordia.
Ognuno di noi, creature anche corporee, ha una vita spirituale da far vivere, per vivere in eterno.
Se non si riconosce la dimensione spirituale, la preghiera resterà sempre un orpello assolutamente non spontaneo. Preferiamo che sia fatta la nostra volontà. Il mondo ce lo raccomanda! Viviamo Dio come un concorrente e serviamo il principe di questo mondo, preferendo il peccato (cioè la non volontà di Dio). Gli unici (ri)morsi che sentiremo saranno quelli della fame di mondo. Viceversa, nell’altra fisiologia, “rinascendo dall’alto”, godremo anche l’esperienza che viene dal nutrimento spirituale, in cui un digiuno è alimento, il silenzio parla e così via, di paradosso in paradosso.
È necessario vivere nel segno della croce: la mano sulla fronte per “ri-conoscere Dio”, quella sul petto per amarlo, il movimento orizzontale sulle spalle per servirlo nella creazione, portando il peso della concretezza. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Amen.
9 commenti:
Quando Gesù sulla croce dice:"ho sete" certamente sentiva nel corpo l'arsura della disidratazione e della febbre, ma (Madre Teresa di Calcutta contemplava sempre queste due parole) insieme al bisogno materiale c'è la sete della sua anima e delle anime, di quell'acqua spirituale che chi la beve non avrà più sete!
Quando Gesù grida: "Dio mio perchè mi hai abbandonato" le orecchie carnali-psichiche sentono un grido che pare racchiudere accusa, dubbio e disperazione, mentre le orecchie spirituali riconoscono una preghiera (il salmo 21) che è un inno di affidamento e la "fotografia", impressionante, di quanto sta accadendo in quel mentre.
Quando Gesù sulla croce dice: "Padre nelle Tue mani consegno il mio spirito" traspare che il compimento della missione è proprio "andare dove per ora gli altri non possono ancora", proprio là dove riesce, all'ultimo, ad entrare anche uno degli altri due crocifissi del Golgotha. Il corpo di Gesù va nel sepolcro, fino al terzo giorno, ma l'anima va in paradiso. "Oggi stesso". Dove, come per lo spazio, anche il tempo va inteso in modo nuovo.
Il corpo è mezzo e strumento per compiere la via che conduce all'approdo dell'anima, secondo il centro di gravità che avrà avuto. Contemplando la morte di Nostro Signore Gesù Cristo possiamo ben comprendere la complementarità dei due ambiti, senza ridurre l'anima ai microcosmi in cui spadroneggiano i nipotini di Freud.
Traendone un'ulteriore consolazione: la resurrezione della carne, ma di un corpo trasfigurato, che si può toccare, ma che ha altre prerogative materiali.
Il sabato santo è giorno di tabernacoli vuoti.
Chi può cerchi di sostare lungamente ad osservarli, vuoti.
Se Gesù non fosse presente, sarebbe tutti i giorni come oggi. Pensiamoci bene.
Le nostre chiese ci vedrebbero radunati a "parlare di Lui", senza di Lui!
Gesù invece è risorto ed è realmente presente. In uno spazio-tempo tutto Suo!
Ci ha consegnati a questa presenza, attraverso la Madre e Giovanni, sotto la croce.
Può essere il nostro presente, se avremo una vita spirituale con quel centro di gravità.
Il nostro essere nel mondo non deve vederci essere del mondo, come se Gesù fosse un "valore", o un'idea, un programma per agire e contribuire al governo del mondo.
E' chiaro che se (anche nelle espressioni ecclesiali) vediamo "solo" ciò che vede il mondo rischiamo di sentire o dire un grido quasi di di protesta "Dio mio perchè mi hai abbandonato") senza imparare da Gesù e senza soprattutto salire con Lui sulla croce e al Cielo.
Gesù è vero uomo e vero Dio. E'(Lui) il "Figlio di Dio", considerato bestemmia che gli valse la condanna. Come "figlio dell'uomo" si è incarnato, si è consegnato, è stato crocifisso. E ci chiede fede. Per essere "figli di Dio nel Figlio".
Noi uomini siamo fratelli come figli dell'uomo.
Diventano figli adottivi di Dio, fratelli in Cristo.
C'è sempre un doppio livello. Un doppio registro. Ma chi è schiacciato sullo spazio-tempo e piega il vangelo al divenire della storia si perde l'infinito. E tante cose che stanno lì. rug
Testo molto bello ispirato all'antropologia e gnoseologia esperenziale patristica, che è differente da quella razionale agostiniano-tomista.
Qui uno schema risaauntivo: http://oodegr.co/italiano/tradizione_index/dogmatica/comeortodossesperdio.htm
Buona Pasqua.
"Di mio perché mi hai abbandonato?" è un inno di affidamento? Mentire sapendo di mentire!
Certo ch'è un inno di affidamento, Anonimo.
È ben noto che sono le prime parole del Salmo 22, che inizia con la sofferenza per i "lacci di morte" e l'invocazione fiduciosa per finire con la risurrezione...
È sempre più evidente che in molti cristiani, che si ritengono maturi, eruditi, manca prima di tutto l'esperienza viva di Gesù Cristo. Anche non conoscendo per intero il Salmo 22, avendo piena fiducia nel Figlio di Dio, nemmeno sfiorerebbe la mente, che il Gesù umano, abbia provato disperazione, dato che era, prima di tutto Dio e se fosse servito caricarsi di altri lancinanti dolori, per salvare anche un solo uomo, lo avrebbe fatto. Ma di quali altri dolori avrebbe potuto caricarsi, non avendo più un solo lembo del corpo integro e avendoci donato tutto, insieme a sua Madre? Il suo sommo dolore era sapere e vivere in pienezza, il rifiuto di gran parte dell'umanità che non avrebbe creduto al valore redentivo del suo Sacrificio, immolandosi sulla Croce e che avrebbe continuato a considerarlo solo un uomo, un grande profeta, ma un Dio disposto ad annichilirsi, fino ad essere completamente sfigurato, quanti lo avrebbero creduto? Un esempio che parla chiaro: i Miracoli Eucaristici, nella maggior parte, non sono forse stati un dono speciale per rinsaldare i Ministri increduli, quelli che più di tutti, erano intimi amici eppure i più ingrati? Nella novena alla Divina Misericordia, ricorre oggi il secondo giorno:"
“Oggi portami le anime dei Sacerdoti e dei Consacrati ed immergile nella mia imperscrutabile Misericordia. Esse mi hanno dato la forza di sopportare la mia dolorosa Passione. Per mezzo di queste anime, come attraverso dei canali, la mia Misericordia si riversa sull’umanità”.
Quell'invocazione del Salmo 22 ci fa capire che Gesù ha raggiunto l'abisso della sofferenza, il culmine della condivisione : la prima parte del Salmo è drammatica e sembra parlare proprio di Lui soprattutto i vs. 14-20 :
Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
E' arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
...
Ma anche la seconda (c'è tanto da meditare) E' il grido del cuore del servo sofferente che mai perde il suo ancorarsi e rivolgersi a Dio. Ne è prova la supplica fiduciosa. Ci insegna (ma con la Sua grazia ce ne rende capaci) quale deve essere il nostro rapporto col Padre. E che meraviglia la conclusione:
Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
«Viva il loro cuore per sempre».
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l'opera del Signore!».
Tutti sofismi, il grido del Cristo è per il senso di abbandono. Il resto sono chiacchiere
Certo che è per il senso di abbandono. È entrato anche in questa estrema sofferenza, per una condivisione totale. Ma la sua invocazione non prescinde dal Salmo e dal suo significato di grande fiducia, invocazione e lode nei confronti del Padre e del futuro escatologico che già afferma. Se ha detto: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno, Lui sapeva benissimo cosa faceva e per cosa era venuto.
Uno che considera "sofismi" i Salmi, non e' cristiano, viene solo a dare fastidio.
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