Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 4 febbraio 2017

La reazione e la recriminazione

Editoriale di Radicati nella Fede - foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale).
Interessante la distinzione tra reazione e recriminazione.

Gli anni passano, e passano veloci e chi vive di recriminazioni resta senza nulla in mano.

Questo è vero per ogni cosa della nostra vita umana, ma è vero e forse ancora di più per la vita di fede, per la vita soprannaturale, la vita di grazia.

Non è vero per un motivo moralistico, perché recriminare non è bene, non è bello; ma è vero per un motivo strutturale, cioè morale: la vita di grazia non può stare con la recriminazione, con il continuo lamento.

Con questo non vogliamo dire che non si debba reagire al male e alla crisi: questo foglio di collegamento è nato come reazione anche; per essere uomini di Dio occorre essere anche uomini di reazione, occorre reagire; ma la reazione, quella vera, è di natura diversa dalla recriminazione.

La reazione parte dal positivo di una vita che si pone; la reazione difende un positivo che c’è già.
La recriminazione, che non è reazione, parte dalla rabbia di chi aspetta da altri la soluzione dei propri problemi. La recriminazione parte da un vuoto terribile.

Anche tra noi, nel mondo della Tradizione per intenderci, passa questa linea di demarcazione tra reazione e recriminazione.

Chi, in questi anni, ha fatto la Tradizione, vive in pace e continua a fare un gran bene alla propria anima e alla Chiesa tutta.
Chi, invece, in questo lavoro non è mai partito, per timidità, per prudenza umana o peggio per calcolo meschinamente umano, oggi vive di rabbia, colpevolizzando il sistema per i propri passi non fatti.

Invece occorre avere una posizione morale veramente equilibrata, cioè cattolica.

Ed è equilibrata, cioè vera, la posizione morale che non dimentica nessuno dei fattori in gioco nell’azione umana. Se dimentichi un fattore, diventi di fatto eretico, perché l’eresia è di per sé uno squilibrio, una sottolineatura indebita.

La vita cristiana è vita soprannaturale, è vita di grazia, ma la grazia non annulla la tua libertà, anzi chiede che la tua libertà si metta in gioco: tu devi corrispondere alla grazia di Dio dentro un’azione reale, e non solo cerebrale. In una parola semplice, la grazia di Dio ti dà la capacità di operare il bene, tu poi devi operare il bene che Dio ti dà la possibilità di riconoscere e operare.
Negare uno dei due fattori sarebbe squilibrare il disegno di Dio, sarebbe uscire dalla realtà.

Non siamo Protestanti, sottolineando la grazia di Dio e basta: fanno così quei tradizionali che guardano al valore della Tradizione, e questo è giusto, ma che poi, fermandosi alla pura contemplazione, non agiscono di conseguenza. Non operano scelte concrete, che sono costose, perché la Tradizione diventi una vita reale per loro.

Eh sì! perché se è vero che nella vita personale non si può sottolineare unicamente la Grazia di Dio che salva, dimenticando che da parte nostra deve corrispondere alla Grazia un’azione positiva reale – non ci si salva senza le opere, come ci ricorda san Giacomo nella sua lettera e come ribadisce tutta la Rivelazione e la Tradizione della Chiesa contro la pretesa protestante del sola gratia - se è vero questo per la vita personale, lo è altrettanto per la vita della Chiesa tutta, nel suo aspetto pubblico e sociale; e questo è vero anche per il ritorno della Chiesa alla sua salvifica Tradizione: che senso avrebbe essere giustamente anti-protestanti e poi attendere che la riforma anti-modernista della Chiesa piova dal cielo senza che tu abbia fatto nulla? E il fare non consiste in un recriminare o in un parlare della Tradizione, ma consiste nel porre opere concrete perché la Tradizione viva: prima tra tutte nel celebrare nel vetus ordo e nell’assistere alla Messa di sempre.

Non siamo nemmeno Liberali, pensando che la grazia possa agire in noi senza limitare le nostre libertà personali (nei liberali le libertà personali prevalgono sempre sulle scelte definitive): che senso avrebbe, anche qui, volere la Tradizione nella Chiesa e non decidersi nell’operare concretamente a favore di essa al fine di restare liberi nei movimenti personali? Quanti “tradizionalisti” rischiano di fare così!

Siamo cattolici: ci salviamo se corrispondiamo alla grazia, concretamente, se facciamo il bene, non se lo guardiamo da lontano.

Così siamo Tradizionali, cioè Cattolici secondo l’assioma di Pio X, se facciamo la Tradizione concretamente, fino in fondo, espletando tutte le possibilità concrete che ci sono date, fino al sacrificio di noi stessi; non lo siamo, invece, se ci limitiamo a commentare da lontano la situazione disastrosa della Chiesa, anche se lo facciamo secondo idee tradizionali.

La fede senza le opere è morta, sempre, anche nella Tradizione... sia questo il richiamo che segni il nostro passo.

Nessun commento: